ELEZIONI POLITICHE 2013
27/02/2013 - COLLOQUIO
Renzi: niente polemiche, ma non vengo
ai summit di partito con Rosy Bindi
Parla il sindaco di Firenze:
“Abbiamo regalato un rigore a Beppe Grillo e sottovalutato Berlusconi”
FEDERICO GEREMICCA
ROMA
I giornalisti telefonano, pressano, insistono per le interviste... Ma che cosa dovrei dire che non ho già detto? E se poi pensano che ora mi metta ad attaccare Bersani, vuol dire che non hanno capito niente: io non faccio lo sciacallo». Pomeriggio inoltrato, Palazzo Vecchio, il sole che tramonta mentre Matteo Renzi conclude una rapida riunione di staff per poi riunire la sua giunta. Come da subito dopo le primarie, infatti, è tornato e continua a fare il sindaco a tempo pieno: ma da 48 ore a questa parte è inseguito da struggenti appelli al ritorno in campo o da tweet e messaggini che evocano quel che avrebbe potuto essere e non è stato.
Scrivono: «Con Renzi avremmo vinto a mani basse»; «Se candidavamo Matteo, Grillo se lo sognava il 25%»; «Altro che smacchieremo il giaguaro: ci ha fatti neri così». Sono militanti, cittadini qualunque, giovani che avevamo scommesso su un giovane. Ma arrivano anche dichiarazioni sorprendenti, inattese: come quella del sindaco di Bologna Virginio Merola, ultrà bersaniano alle primarie del centrosinistra e fierissimo avversario del primo cittadino di Firenze, definito addirittura “un golpista”: «Matteo Renzi - dice ora Merola - è la nostra possibilità di rinnovamento: e di questo dobbiamo prenderne atto».
Riconoscimenti postumi. Ricostruzioni - ma senza controprova - di quel che poteva essere e non è stato. E la speranza - soprattutto - che possa finalmente decollare un progetto che lo stesso “popolo del centrosinistra”, però, ha affondato nel ballottaggio del 2 dicembre. Nessuno, naturalmente, può sapere se Matteo Renzi, in cuor suo, avesse puntato sul naufragio elettorale di Bersani sperando in reazioni così. La linea tenuta nelle ore successive al voto, però - nessun commento, nessuna polemica e l’invito agli uomini a lui più vicini di tacere e lavorare - sembra dire che, se anche lo avesse sperato, ora non intende maramaldeggiare su un partito scosso e pronto a dividersi.
«Sto zitto e non faccio polemiche, come dal ballottaggio in poi - ha confermato ieri allo staff riunito -. Ma non mi si chieda di condividere, e soprattutto di venire a Roma per fare riunioni di “caminetto”, come lo chiamano, assieme a Rosy Bindi: non è cosa che faccia per me». Ieri mattina, infatti, qualcuno ha chiamato Renzi per invitarlo a partecipare al vertice romano che si sarebbe svolto in serata nella sede del Pd per analizzare il voto e decidere cosa fare: ma il sindaco aveva una riunione di giunta e ha potuto motivatamente rifiutare l’invito.
Del resto, come aveva appena spiegato agli uomini dello staff, cosa potrebbe dire che non aveva già detto? «Dovrei ripetere che il nostro compito era snidare gli elettori delusi del centrodestra? Che non bisognava sottovalutare Berlusconi? Oppure che dovevamo fare nostri alcuni temi di Beppe Grillo? Inutile, ora. Inutile, dopo aver voluto le primarie salvo poi chiuderle al secondo turno per paura che venissero a votare elettori esterni al centrosinistra: che sono precisamente quelli che di cui avevamo bisono alle elezioni vere e che, naturalmente, non ci hanno votato».
Il punto sarebbe che cosa fare adesso. Ma su questo Renzi passa la palla al segretario: «Ha vinto le primarie, ha fatto la sua campagna elettorale ed è giusto che adesso sia lui a indicarci la rotta», spiega ai suoi che gli chiedono quale sia la via da seguire. «Annoto solo che ci stiamo mettendo nelle mani di Grillo. Gli abbiamo regalato un rigore, e ora vediamo come lo calcerà. Naturalmente, penso ai timori in Europa di fronte a un centrosinistra che pende dalle labbra di Beppe Grillo».
La sensazione che gli uomini a lui più vicini ricavano dai mezzi ragionamenti del sindaco, è che anche la sua rotta sia ancora da definire. Quel che sembra chiaro, è che per ora non si attacca il segretario (col quale Renzi ha scambiato un paio di sms di commento e solidarietà) ma nemmeno si dà sostegno a una linea che non pare condividere granchè. In un altro tempo si sarebbe detto “nè aderire nè sabotare”: ora si può azzardare un meno enfatico “aspettare e vedere”. Con la certezza che non ci sarà molto da aspettare per vedere che accadrà...
Resta un ultimo punto: lo stato d’animo della «speranza di cambiamento», come lo definisce oggi Virginio Merola. Onestamente, non pare un granchè, considerata la confusione tra rammarico e spinta a guardare avanti che agita i suoi pensieri. Senza confessarlo, Renzi lo ammetteva in qualche modo regalando ai suoi fedelissimi un’ultima battuta: «Durante le primarie dicevo che il Pd con me sarebbe arrivato al 40% e senza di me al 25. Oggi gli amici mi chiamano per prendermi in giro. “Caro Matteo, il candidato premier non lo potevi fare, ma come sondaggista hai un bel futuro”...». Magra soddisfazione, si potrebbe ipotizzare. Anzi: nessuna soddisfazione, a dir la verità .
http://www.lastampa.it/2013/02/27/itali ... agina.html