Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01 ... te/182580/
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I carceri ci sono li abbiamo visti in TV.
Ciao
Paolo11
Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.