Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Matteo Renzi sale al Quirinale, ma Mattarella lo "congela"
Prima l'incontro informale con Mattarella, poi l'ultimo Cdm: il premier lascia, ma solo dopo l'ok alla legge di Bilancio
Chiara Sarra - Lun, 05/12/2016 - 23:33
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È durato appena dieci minuti l'ultimo Consiglio dei ministri di questo governo convocato da Matteo Renzi.
Al termine della riunione il premier è salito al Quirinale per la seconda volta in questo giorno.
Il nodo manovra ancora da sciogliere
video
Matteo Renzi lascia Palazzo Chigi
video
Matteo Renzi arriva al Quirinale
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 39291.html
Un colloquio durato meno di mezz'ora e nel quale il premier avrebbe deciso di accettare la proposta di Mattarella che gli ha chiesto di restare fino al via libera alla manovra.
"Il presidente del Consiglio ha comunicato di non ritenere possibile la prosecuzione del mandato del governo e ha pertanto manifestato l'intento di rassegnare le dimissioni", spiegano dal Colle, "Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l'iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento".
Renzi lascia, quindi, ma non subito: le dimissioni sono congelate fino all'approvazione della legge di bilancio che sarà incardinata domani al Senato e che dovrebbe ricevere l'ok definitivo - forse anche tramite un'ultima fiducia "tecnica" - nei prossimi giorni. Il mandato di Renzi dovrebbe quindi scadere ufficialmente solo venerdì.
Già stamattina il presidente del Consiglio aveva incontrato Sergio Mattarella per un colloquio di circa un'ora. "Ho sempre detto che, in caso di sconfitta, avrei mollato tutto", ha ripetuto il premier a tutti i suoi interlocutori. "Io non sono come gli altri politici, io mi prendo tutte le mie responsabilità", ha ribadito, mentre per tutta mattinata a Palazzo Chigi sfilavano diversi ministri, dai fedelissimi Graziano Delrio e Maria Elena Boschi, ma anche Angelino Alfano, arrivato solo nel pomeriggio. "Renzi è arrabbiatissimo", dicono i suoi. Intanto lui si trincera nel palazzo e si limita a un "cinguettio" su Twitter: "Mille giorni difficili ma belli. Grazie a tutti, viva l'Italia"
Esclusa l'ipotesi che possa sciogliere le Camere e tornare al voto, è probabile che Mattarella affidi l'incarico a qualcuno che possa formare un governo di scopo che metta in piedi una nuova riforma costituzionale e una legge elettorale collegata. In pole ci sono Pier Carlo Padoan e Pietro Grasso, ma anche Romano Prodi e persino Delrio come racconta nella sua analisi Adalberto Signore.
Un monito di Mattarella è già arrivato attraverso una nota breve, ma incisiva: "La democrazia è solida", ha detto il Capo dello Stato, "Ma vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all'altezza dei problemi del momento".
Prima l'incontro informale con Mattarella, poi l'ultimo Cdm: il premier lascia, ma solo dopo l'ok alla legge di Bilancio
Chiara Sarra - Lun, 05/12/2016 - 23:33
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È durato appena dieci minuti l'ultimo Consiglio dei ministri di questo governo convocato da Matteo Renzi.
Al termine della riunione il premier è salito al Quirinale per la seconda volta in questo giorno.
Il nodo manovra ancora da sciogliere
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Matteo Renzi lascia Palazzo Chigi
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Matteo Renzi arriva al Quirinale
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 39291.html
Un colloquio durato meno di mezz'ora e nel quale il premier avrebbe deciso di accettare la proposta di Mattarella che gli ha chiesto di restare fino al via libera alla manovra.
"Il presidente del Consiglio ha comunicato di non ritenere possibile la prosecuzione del mandato del governo e ha pertanto manifestato l'intento di rassegnare le dimissioni", spiegano dal Colle, "Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l'iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento".
Renzi lascia, quindi, ma non subito: le dimissioni sono congelate fino all'approvazione della legge di bilancio che sarà incardinata domani al Senato e che dovrebbe ricevere l'ok definitivo - forse anche tramite un'ultima fiducia "tecnica" - nei prossimi giorni. Il mandato di Renzi dovrebbe quindi scadere ufficialmente solo venerdì.
Già stamattina il presidente del Consiglio aveva incontrato Sergio Mattarella per un colloquio di circa un'ora. "Ho sempre detto che, in caso di sconfitta, avrei mollato tutto", ha ripetuto il premier a tutti i suoi interlocutori. "Io non sono come gli altri politici, io mi prendo tutte le mie responsabilità", ha ribadito, mentre per tutta mattinata a Palazzo Chigi sfilavano diversi ministri, dai fedelissimi Graziano Delrio e Maria Elena Boschi, ma anche Angelino Alfano, arrivato solo nel pomeriggio. "Renzi è arrabbiatissimo", dicono i suoi. Intanto lui si trincera nel palazzo e si limita a un "cinguettio" su Twitter: "Mille giorni difficili ma belli. Grazie a tutti, viva l'Italia"
Esclusa l'ipotesi che possa sciogliere le Camere e tornare al voto, è probabile che Mattarella affidi l'incarico a qualcuno che possa formare un governo di scopo che metta in piedi una nuova riforma costituzionale e una legge elettorale collegata. In pole ci sono Pier Carlo Padoan e Pietro Grasso, ma anche Romano Prodi e persino Delrio come racconta nella sua analisi Adalberto Signore.
Un monito di Mattarella è già arrivato attraverso una nota breve, ma incisiva: "La democrazia è solida", ha detto il Capo dello Stato, "Ma vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all'altezza dei problemi del momento".
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Re: Diario della caduta di un regime.
da www.huffingtonpost.it
Una vittoria mistificata
Pubblicato: 06/12/2016
Lorenza Carlassare
Costituzionalista
Le hanno viste le bandiere rosse nelle piazze, nei teatri, nei tanti luoghi degli incontri festosi dei Comitati del No?
Per neutralizzare il risultato clamoroso del referendum, nei loro interminabili vaniloqui televisivi i soliti noti ne celano l'esistenza e insistono nel riferire quel successo soltanto ai partiti (affermando così che ha vinto la destra) ignorandone volutamente il grande protagonista, il popolo italiano in tutte le sue diversificazioni e le associazioni nelle quali si è riconosciuto, ha trovato espressione, ha potuto far sentire la sua voce (Libertà e Giustizia e i Comitati). In particolare ignorando il popolo della sinistra che, da tempo senza un partito di riferimento, si è mobilitato per lunghissimi mesi lavorando col massimo impegno civile trovando nuove aggregazioni.
Non più rappresentati dal Pd che in passato votavano (da tempo trasformato dall'interno a opera di un manipolo arrogante che se ne è impadronito) né da altre sigle, questi cittadini costituiscono la più possente forza per un cambiamento reale, per la svolta vera che può consentirci di ripartire; e non distruggendo la Costituzione, ma finalmente applicandone le norme e dare ai suoi principi una vita effettiva. A essi si dovrebbe guardare.
Ma è la mobilitazione dal basso nella sua spontaneità irresistibile che i "conservatori" dell'esistente non possono tollerare; perciò si agitano scompostamente per minimizzarne la portata, per celarla sotto un profluvio di parole senza spessore e verità, per distorcerne il senso a difesa dell'assetto consolidato di poteri e interessi, ogni giorno più invasivo e arrogante.
Nonostante gli sforzi assillanti compiuti dal governo per convincere gli elettori a votare Sì, nonostante le ripetute menzogne, i mezzi ingenti profusi e le paure suscitate con complicità estese, il tentativo di tacitare il popolo non è riuscito. I cittadini si sono pronunziati respingendo la riforma in contrasto coi loro governanti che, forse, nemmeno si aspettavano la sconfitta. Oggi, ripeto, si tenta di soffocare la portata di uno spontaneo pronunciamento collettivo di grandi dimensioni, si vuole mistificarne il senso e confonderne gli attori.
È soltanto l'incapacità dell'informazione di regime di leggere la realtà del paese, d'intendere i suoi movimenti profondi? Un'informazione - come dice Marco Travaglio - la quale anche nella lunga notte del referendum "esibiva le sue migliori facce sepolcrali nel talk show, e tanto per cambiare non aveva capito nulla del Paese che dovrebbe interpretare e raccontare, invece non sa più neppure dove stia nella carta geografica".
Temo di no. C'è dell'altro, mi pare, qualcosa di ancor più grave di cui quell'informazione è intrisa: l'evidente intento di minimizzare e contraffare, in una direzione più conveniente per il potere, la volontà popolare. Operazione quanto mai difficile ora che la volontà popolare si è espressa con una forza e consapevolezza impossibili da ignorare.
Una vittoria mistificata
Pubblicato: 06/12/2016
Lorenza Carlassare
Costituzionalista
Le hanno viste le bandiere rosse nelle piazze, nei teatri, nei tanti luoghi degli incontri festosi dei Comitati del No?
Per neutralizzare il risultato clamoroso del referendum, nei loro interminabili vaniloqui televisivi i soliti noti ne celano l'esistenza e insistono nel riferire quel successo soltanto ai partiti (affermando così che ha vinto la destra) ignorandone volutamente il grande protagonista, il popolo italiano in tutte le sue diversificazioni e le associazioni nelle quali si è riconosciuto, ha trovato espressione, ha potuto far sentire la sua voce (Libertà e Giustizia e i Comitati). In particolare ignorando il popolo della sinistra che, da tempo senza un partito di riferimento, si è mobilitato per lunghissimi mesi lavorando col massimo impegno civile trovando nuove aggregazioni.
Non più rappresentati dal Pd che in passato votavano (da tempo trasformato dall'interno a opera di un manipolo arrogante che se ne è impadronito) né da altre sigle, questi cittadini costituiscono la più possente forza per un cambiamento reale, per la svolta vera che può consentirci di ripartire; e non distruggendo la Costituzione, ma finalmente applicandone le norme e dare ai suoi principi una vita effettiva. A essi si dovrebbe guardare.
Ma è la mobilitazione dal basso nella sua spontaneità irresistibile che i "conservatori" dell'esistente non possono tollerare; perciò si agitano scompostamente per minimizzarne la portata, per celarla sotto un profluvio di parole senza spessore e verità, per distorcerne il senso a difesa dell'assetto consolidato di poteri e interessi, ogni giorno più invasivo e arrogante.
Nonostante gli sforzi assillanti compiuti dal governo per convincere gli elettori a votare Sì, nonostante le ripetute menzogne, i mezzi ingenti profusi e le paure suscitate con complicità estese, il tentativo di tacitare il popolo non è riuscito. I cittadini si sono pronunziati respingendo la riforma in contrasto coi loro governanti che, forse, nemmeno si aspettavano la sconfitta. Oggi, ripeto, si tenta di soffocare la portata di uno spontaneo pronunciamento collettivo di grandi dimensioni, si vuole mistificarne il senso e confonderne gli attori.
È soltanto l'incapacità dell'informazione di regime di leggere la realtà del paese, d'intendere i suoi movimenti profondi? Un'informazione - come dice Marco Travaglio - la quale anche nella lunga notte del referendum "esibiva le sue migliori facce sepolcrali nel talk show, e tanto per cambiare non aveva capito nulla del Paese che dovrebbe interpretare e raccontare, invece non sa più neppure dove stia nella carta geografica".
Temo di no. C'è dell'altro, mi pare, qualcosa di ancor più grave di cui quell'informazione è intrisa: l'evidente intento di minimizzare e contraffare, in una direzione più conveniente per il potere, la volontà popolare. Operazione quanto mai difficile ora che la volontà popolare si è espressa con una forza e consapevolezza impossibili da ignorare.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA FINE DEL REGIME RENZIANO STENTA AD ATTUARSI
Manovra, con la fiducia saltano le correzioni
Dai fondi per Taranto al sisma-bonus incapienti
Il via libera del Senato è atteso già domani, senza spazio per alcuna modifica. Poi Renzi si dimetterà
Video – protestano le opposizioni: “Maggioranza sceglie gli aut aut nonostante il governo dimissionario”
Economia & Lobby
Dai 50 milioni per l’emergenza sanitaria a Taranto all’allargamento agli incapienti degli incentivi per le ristrutturazioni energetiche e antisismiche dei condomini. Ma anche la possibilità per le banche di spalmare su più anni i contributi straordinari al Fondo di risoluzione, le nuove norme per limitare l’offerta di gioco d’azzardo legale sul territorio e la stabilizzazione dei precari dell’Istat. Il via libera del Senato è atteso mercoledì, poi il premier rassegnerà le sue dimissioni
di F. Q.
Manovra, con la fiducia saltano le correzioni
Dai fondi per Taranto al sisma-bonus incapienti
Il via libera del Senato è atteso già domani, senza spazio per alcuna modifica. Poi Renzi si dimetterà
Video – protestano le opposizioni: “Maggioranza sceglie gli aut aut nonostante il governo dimissionario”
Economia & Lobby
Dai 50 milioni per l’emergenza sanitaria a Taranto all’allargamento agli incapienti degli incentivi per le ristrutturazioni energetiche e antisismiche dei condomini. Ma anche la possibilità per le banche di spalmare su più anni i contributi straordinari al Fondo di risoluzione, le nuove norme per limitare l’offerta di gioco d’azzardo legale sul territorio e la stabilizzazione dei precari dell’Istat. Il via libera del Senato è atteso mercoledì, poi il premier rassegnerà le sue dimissioni
di F. Q.
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Re: Diario della caduta di un regime.
FORSE, MA RIPETO FORSE, PERCHE' DA QUESTO PERSONAGGIO C'E' DA ASPETTARSI DI TUTTO IN QUALSIASI MOMENTO, IL REGIME RENZIANO POTREBBE CHIUDERSI.
Il Senato approva la manovra
Renzi va oggi da Mattarella
Votata la fiducia: c'è il via libera definitivo alla legge di bilancio. Adesso Renzi non ha più alibi: deve dare le dimissioni
di Chiara Sarra
8 minuti fa
Il Senato approva la manovra
Renzi va oggi da Mattarella
Votata la fiducia: c'è il via libera definitivo alla legge di bilancio. Adesso Renzi non ha più alibi: deve dare le dimissioni
di Chiara Sarra
8 minuti fa
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CADUTA DEL REGIME
ULTIME NOTIZIE
8 dic 2016 11:47
1. IL PD LO HA MOLLATO, I PARLAMENTARI NON VOGLIONO LE ELEZIONI: RENZI E’ RIMASTO SOLO
2. I “TURCHI” CHE FANNO CAPO AL MINISTRO ORLANDO GIA’ SI SONO ACCORDATI CON FRANCESCHINI, CHE HA UN SOLIDO FLIRT CON MATTARELLA: “MATTEO CI HA FATTO PERDERE PRIMA LE AMMINISTRATIVE, POI IL REFERENDUM; STAVOLTA A SBATTERE CI VA DA SOLO”
3. IN DIREZIONE PD, RENZI HA SIMULATO SERENITÀ MA AI SOSTENITORI DEL NO RIFILA UN CALCIO: “ALCUNI TRA NOI HANNO FESTEGGIATO IN MODO PROROMPENTE E NON ELEGANTISSIMO LA MIA CADUTA; MA LO STILE È COME IL CORAGGIO DI DON ABBONDIO. MA NON GIUDICO E NON BIASIMO”
4. STUMPO, NELLA CUI CASA SI SONO SVOLTI I FESTEGGIAMENTI, SORRIDE COME UNA JENA
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8 dic 2016 11:47
1. IL PD LO HA MOLLATO, I PARLAMENTARI NON VOGLIONO LE ELEZIONI: RENZI E’ RIMASTO SOLO
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3. IN DIREZIONE PD, RENZI HA SIMULATO SERENITÀ MA AI SOSTENITORI DEL NO RIFILA UN CALCIO: “ALCUNI TRA NOI HANNO FESTEGGIATO IN MODO PROROMPENTE E NON ELEGANTISSIMO LA MIA CADUTA; MA LO STILE È COME IL CORAGGIO DI DON ABBONDIO. MA NON GIUDICO E NON BIASIMO”
4. STUMPO, NELLA CUI CASA SI SONO SVOLTI I FESTEGGIAMENTI, SORRIDE COME UNA JENA
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:LA CADUTA DEL REGIME
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8 dic 2016 11:47
1. IL PD LO HA MOLLATO, I PARLAMENTARI NON VOGLIONO LE ELEZIONI: RENZI E’ RIMASTO SOLO
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3. IN DIREZIONE PD, RENZI HA SIMULATO SERENITÀ MA AI SOSTENITORI DEL NO RIFILA UN CALCIO: “ALCUNI TRA NOI HANNO FESTEGGIATO IN MODO PROROMPENTE E NON ELEGANTISSIMO LA MIA CADUTA; MA LO STILE È COME IL CORAGGIO DI DON ABBONDIO. MA NON GIUDICO E NON BIASIMO”
4. STUMPO, NELLA CUI CASA SI SONO SVOLTI I FESTEGGIAMENTI, SORRIDE COME UNA JENA
1 - QUIRINALE
Jena per “la Stampa” - Presidente, è arrivato Renzi! Renzi chi?
2 - LA SOLITUDINE DEL SEGRETARIO
Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”
«So' quattro giorni che se dimette…». Dalle ultime file la voce dal marcato accento centromeridionale toglie ogni solennità all' addio di Renzi.
Il Pd lo abbandona: le elezioni anticipate non le vuole nessuno.
Cade il più longevo governo di centrosinistra della Seconda Repubblica, ma i deputati e senatori qui convenuti hanno una sola preoccupazione: salvare la legislatura, quindi le poltrone, e il vitalizio.
Il 62% sono di prima nomina; deve passare almeno l' estate; prima viene la legge elettorale, poi il congresso, quindi le primarie; resistere resistere resistere.
Una senatrice della corrente dei «turchi», quella del ministro Orlando, dà la linea: «Matteuccio nostro ci ha fatto perdere prima le amministrative, poi il referendum; stavolta a sbattere ci va da solo».
Ormai si sente il padrone del partito, e un po' lo è.
Il rapporto con Mattarella è antico.
Rosato e Zanda, i due capigruppo che saliranno al Quirinale con Guerini e Orfini (Renzi torna a casa a festeggiare gli 86 anni della nonna più giovane e giocare alla playstation con i figli) sono uomini suoi.
Ormai parlano di lui con sufficienza.
«Mo' vediamo che cce dice» si fa largo tra la folla il mitico Stumpo, l'aria del latifondista che si riprende le terre.
«Calmi, calmi…è un assedio!» grida delicatamente il biondo Cuperlo.
C'è qualche militante venuto a sostenere Renzi; non ci sono le proteste annunciate contro i sostenitori del No.
D'Alema è a Bruxelles, Bersani passa dal retro e si apparta con Speranza; tutti i fischi se li prende il povero Boccia in De Girolamo, lettiano; Franceschini si siede al suo fianco per confortarlo.
Quando scoppia la ressa - 400 persone per 100 sedie in un caldo africano -, è Franceschini a far defluire: «Quand'ero segretario abbiamo fatto i lavori di ristrutturazione, ma più di tanti non ci stanno; qualcuno esca se no crolla tutto».
A Renzi ha assicurato che lavora per lui: non ha ambizioni personali, ma la legislatura è meglio portarla avanti; Matteo ha tempo per preparare la rivincita; nel frattempo a Palazzo Chigi potrebbe andare un altro uomo del Pd, magari un ferrarese con la barba autore di romanzi tra cui gli immortali Nelle vene quell'acqua d' argento e L' improvvisa follia di Ignazio Rando .
I «turchi» sono già d'accordo con Franceschini.
L'ultimo a cedere è stato Orfini, che ora chiama l'applauso all' arrivo di Renzi.
Il segretario simula serenità - «non si fa politica con il broncio, passerò la campanella al mio successore con il sorriso più largo e più grato» -, ma ai sostenitori del No caverebbe volentieri gli occhi tipo imperatore bizantino della decadenza per poi succhiarli con un po' di limone come ostriche: «Alcuni tra noi hanno festeggiato in modo prorompente e non elegantissimo la mia caduta; ma lo stile è come il coraggio di don Abbondio», chi non ce l' ha non se lo può dare; «non giudico e non biasimo, alzo anch'io il calice alla fortuna del Paese più bello del mondo».
Stumpo, nella cui casa si sono svolti i festeggiamenti, sorride come Franti.
Renzi dice in sostanza che il «governo di responsabilità nazionale» si può fare solo se ci stanno tutti, o almeno Berlusconi; altrimenti si va a votare.
E siccome nessun partito avrà la maggioranza in entrambe le Camere, comincerà una nuova stagione di larghe intese contro Grillo; e non è affatto detto che «l'animale ferito» Renzi, come lo definisce un bersaniano, sia l'uomo adatto per guidarle.
Matteo Richetti e Simona Bonafé, renziani antemarcia che nei giorni difficili sono tornati al suo fianco, gli hanno consigliato di dar retta a «San Mattarella», come lo chiamano senza ironia: votare subito converrebbe; ma non si può.
Fassino ha tentato di placarlo suggerendogli un Renzi bis, almeno sino al 24 gennaio: se la sentenza della Consulta sarà autoapplicativa, si potrà andare subito alle urne; altrimenti ci si prende un altro mese per fare la legge elettorale. In tal caso i ministri potrebbero restare, tranne quelli che si sono più esposti: la Boschi sul referendum, la Madia sulla riforma bocciata dalla Corte, la Giannini non molto amata dagli insegnanti.
Ma il segretario vorrebbe segnare la massima discontinuità: fuori tutti, tranne Padoan.
«Si parla, si vota, si decide qui dentro, in direzione» quasi grida Renzi, che sa di non poter più contare sui gruppi parlamentari. Il dibattito è rinviato ma Walter Tocci del No vuole parlare lo stesso, Paola Concia gli urla di smettere: «Anche io volevo intervenire, sono venuta apposta da Francoforte, ma Matteo ha detto che non è il momento!».
Il parlamentare europeo Daniele Viotti, anche lui gay dichiarato, si schiera in difesa di Tocci, la senatrice ex civatiana Lucrezia Ricchiuti la appoggia, la Concia renzianissima si avventa; per tenerla ferma deve muoversi la Boschi, aiutata dal galante Pino Catizone, per vent' anni sindaco di Nichelino.
Renzi è già al Quirinale: dimissioni, ma congelate.
Quinto giorno.
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Re: Diario della caduta di un regime.
COME E' CADUTO IL REGIME
Referendum, analisi dei flussi: Pd ed ex Pdl si sfaldano, M5s compatto per il No. Periferie e giovani puniscono Renzi
Referendum Costituzionale
L'istituto Cattaneo ha messo a confronto il comportamento degli elettori alle politiche del 2013 e alla consultazione del 4 dicembre: i grillini votano in massa seguendo la linea e al massimo scelgono l'astensione, mentre i dem e i berlusconiani sono vittima dei dissidenti. Confrontando i dati locali, si conferma anche lo scarso appeal del leader Pd nelle zone più disagiate e con maggiori problemi economici: dal Sulcis alla zona est di Roma il No trionfa dove la disoccupazione è più alta
di Martina Castigliani | 5 dicembre 2016
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Gli elettori del Movimento 5 stelle compatti per il No, mentre quelli dei partiti tradizionali (vedi Pd ed ex Pdl) si sfaldano tra dissidenti contro Renzi e fronda di berlusconiani a favore della legge Boschi. Ma soprattutto le periferie e le zone con un più alto disagio politico ed economico che puniscono per la seconda volta (la prima era stata alle amministrative di giugno) il leader del Partito democratico. L’analisi dei flussi di voto dell’Istituto Cattaneo e dei risultati scorporati nei singoli quartieri delle città permettono di capire meglio i movimenti degli elettori che il 4 dicembre sono stati chiamati alle urne. E l’immagine che consegnano è quella di un Paese spaccato che là dove soffre di più per crisi economica e mancanza di lavoro, ha deciso di dare il suo messaggio netto contro chi è al potere. Quindi No al Sud, dalla Campania alla Puglia fino alla Sardegna, astensione in Calabria e No nel Nord produttivo di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Sì tiepido solo in Emilia, Toscana e Trentino Alto Adige. L’età è una delle variabili più importanti: come evidenziato da Quorum gli under 34 si sono schierati all’81 per cento contro la riforma, mentre tra gli over 55 ha vinto il Sì. Senza contare che, come fa notare Youtrend, nei 100 comuni con più disoccupati “il No vince con il 65,8% dei consensi”, mentre nei 100 con meno disoccupati ha la meglio il Sì con il 59%.
15320496_10211908258601353_952592135_nIl report del Cattaneo mette in evidenza il diverso comportamento di chi ha scelto i grillini alle scorse elezioni politiche rispetto ai partiti tradizionali: si conferma una fidelizzazione senza precedenti che ha portato in massa i sostenitori del M5s a esporsi contro la riforma del Senato, mentre chi nel 2013 aveva votato per i democratici o l’ex Pdl ha in parte tradito le indicazioni dei dirigenti. “Gli elettori dei partiti storici”, scrive l’istituto, “si frammentano mentre quello del non partito nuovo rivela una compattezza granitica”. L’analisi si è concentrata su 12 città attraverso “il modello Goodman“, ossia si sono presi come punto di partenza i dati delle sezioni elettorali di ciascun comune considerato; e si è basata su “elettori” e non “su voti validi” così da poter valutare “anche gli interscambi con l’area del non voto”. Il riferimento è con il 2013, quando per la prima volta le elezioni hanno consegnato al Paese un nuovo modello tripartito con il Movimento 5 stelle tra gli attori principali.
Si è poi concentrata l’attenzione sul tema delle periferie che, ancora una volta, hanno abbandonato il governo Renzi. I dati esposti dal Cattaneo riguardano il caso di Bologna, dove il fenomeno è evidente: la fetta di popolazione che più si è esposta contro la riforma è rappresentata dai giovani, da chi ha un reddito sotto i 18mila euro, e i residenti delle zone dove gli stranieri superano il 14 per cento. Questa riflessione può essere usata anche per analizzare gli elettori di altre grandi città: a Milano ha vinto il Sì di misura, ma nei quartieri periferici il No l’ha spuntata; discorso uguale per Torino o per Roma, dove ad esempio nel centro storico la legge Boschi è stata valutata positivamente ribaltando completamente il 70 per cento di contrari di Roma Est. Il dato è quindi quello già evidenziato in occasione delle scorse amministrative: Renzi e il Pd hanno perso i consensi delle periferie e delle fasce sociali con maggiori difficoltà economiche.
Elettori Pd in massa al voto, ma non tutti premiano Renzi – Chi nel 2013 ha scelto di votare per i democratici in linea generale ha deciso di non disertare le urne, tanto che “quasi nessuno ha optato per l’astensione”. Diverso però è stato il comportamento a seconda dei casi: c’è stata infatti quella che il Cattaneo chiama “una diaspora” verso il No nonostante il segretario Matteo Renzi avesse chiesto una mobilitazione collettiva e avesse vincolato la vita del governo al successo nelle urne. Il peso di chi ha scelto di opporsi varia a seconda delle città. Si va dal 20,3 per cento di Firenze, la città dove il presidente del Consiglio è stato sindaco, al 33,3 per cento della grillina Torino. Quest’ultimo caso è significativo anche perché proprio in uno dei centri più importanti dove il M5s è al governo, il No non ha stravinto e di sicuro non ha raggiunto i livelli di Sardegna, Sicilia e Puglia. I dissidenti Pd sono di misura a Bologna dove raggiungono il 22,8 per cento dell’elettorato del 2013, mentre raggiungono picchi di oltre il 40 per cento al Sud (Napoli 41,6 per cento, Cagliari 45,9%). A Palermo, città dove i contrari hanno sbancato, è stato il 29,9 per cento degli elettori democratici a scegliere di bocciare la riforma Renzi-Boschi. Da segnalare il fatto che solo a Reggio Calabria addirittura il 29,4% degli elettori ha scelto di astenersi e di non presentarsi alle urne.
Elettori di centro scelgono quasi unanimemente il Sì – L’analisi del voto di chi alle scorse politiche ha scelto partiti di centro deve tenere presente un grande disgregamento interno della compagine, che risulta frammentata tra Scelta civica, Udc e Fli. Bisogna infatti considerare che l’ex presidente del Consiglio Mario Monti ha fatto campagna per il No, mentre il leader Udc Pierferdinando Casini si è schierato per il Sì. La schizofrenia delle posizioni non ha però spinto gli elettori centristi ad abbandonare la linea di sostegno al governo: la maggior parte si sono schierati a favore del progetto di riforma, da Alessandria (71 per cento degli elettori), Brescia (70,6 per cento) e Parma (74,7%) fino a Palermo (70,1%). Sono in parte eccezioni da segnalare città del sud come Reggio Calabria e Cagliari.
I berlusconiani in parte tradiscono il partito e scelgono di sostenere la riforma – Gli ex elettori del Pdl si sono dispersi tra astensione e tra chi ha deciso di non ascoltare le indicazioni del leader Silvio Berlusconi che negli ultimi mesi ha deciso di schierarsi contro la legge Boschi. La fronda dei dissidenti non è determinante nella maggior parte dei casi, ma comunque resta da segnalare: a Bologna i Sì al referendum sono stati oltre il 41 per cento, a Firenze il 44 per cento, a Brescia il 36,8%. Le cifre sono più piccole se invece guardiamo Parma, Napoli e Palermo dove i critici a favore di Renzi sono rimasti sotto il 20%.
La “compattezza granitica” dell’elettorato M5s – Il referendum del 4 dicembre dimostra un consolidamento di chi vota 5 stelle, i cui segnali erano già risultati evidenti in occasione della consultazione sulle trivelle della primavera scorsa. I dati sono schiaccianti: “In sei città su dieci (Alessandria, Novara, Brescia, Padova, Palermo, Napoli) le quote di chi aveva scelto M5s alle politiche e poi si è schierato contro la riforma superano il 90 per cento“. Addirittura a Napoli il 100 per cento di chi aveva votato i grillini è andato alle urne e ha barrato la casella del No. Oltre il 90 per cento a Palermo, città dove i grillini ultimamente stanno soffrendo per il caso delle firme false per le scorse amministrative: le liti interne al Movimento non sono bastate a scoraggiare il fronte di chi ha voluto dare un chiaro segnale all’esecutivo di Renzi. Da segnalare che là dove si discostano dalla linea di Beppe Grillo, gli elettori scelgono di non andare alle urne: il 17 per cento si è astenuto a Torino e Parma, due città notoriamente vicine ai 5 stelle, il 21 per cento a Firenze e il 25,5% a Cagliari.
(Di nuovo) il problema delle periferie per il Pd – Ancora una volta si presenta in modo prepotente il tema delle periferie. I democratici come alle scorse amministrative perdono consensi in aree con gravi problemi economici (vedi il Sulcis dove il No supera il 77 per cento della popolazione) e soprattutto nei quartieri più poveri dei grandi centri. L’Istituto Cattaneo ha provato a fotografare il problema partendo da dati reali e per farlo ha concentrato l’attenzione su Bologna: proprio qui è risultato evidente che il Pd ha perso consensi negli “strati sociali più deboli, appartenenti al ceto medio impoverito”. Nel capoluogo di regione dell’Emilia Romagna, dove ha pure vinto il Sì in controtendenza con i risultati nazionali, il 51 per cento di chi ha un reddito inferiore ai 18mila euro ha votato per il No e i Sì aumentano man mano che aumenta la ricchezza. A questo proposito, scrivono i ricercatori, il voto “sembra essere stato guidato anche da motivazioni di natura economica e sociale”. Viene inserito in questa linea l’analisi sulla base dell’età: i bolognesi che hanno meno di 45 anni hanno votato per la maggior parte (51 per cento) per il No, mentre la percentuale diminuisce con l’aumentare degli anni (il 44 per cento degli oltre 50enni ha bocciato la riforma). L’idea è che i precari siano stati in prima linea nella campagna di opposizione al progetto. Infine è stata considerata anche la presenza di immigrati: là dove gli stranieri superano il 14 per cento la maggior parte degli elettori si è schierato contro e la tendenza diminuisce se calano i non italiani sul territorio.
L’analisi può essere trasferita anche su altri centri, confrontando il risultato nel capoluogo e poi in provincia. Tra gli esempi più significativi c’è Milano: la città amministrata da giugno scorso dal sindaco di centrosinistra Beppe Sala è una delle poche in cui ha vinto, anche se di misura, il Sì. Se però ci si sposta nella zona della provincia il dato viene ribaltato e il No torna in vantaggio con un distacco di addirittura dieci punti. Andando a guardare i singoli dati, la tendenza viene confermata: la vittoria del Sì è netta nel centro storico (64 per cento nel municipio 1) e nella zona “buona” di Porta Venezia (53 per cento nel municipio 3). Mentre nelle zone periferiche (municipi 2 e 9) la spunta il No.
In Sardegna fa rumore la zona del Sulcis: l’area meridionale non più provincia arriva al 77 per cento di No in una zona fortemente colpita dalla crisi economica. Esemplificativa è anche la città della sindaca M5s Appendino Torino: il fronte dei contrari, comunque vittorioso, aumenta se si passa dal centro alla provincia (da 53 a 56 per cento). Anche qui la dinamica è quella di sempre: nella circoscrizione uno, e solo in quella, vince il Sì alle riforme, mentre in tutto il resto della città la spunta il No con il picco nella circoscrizione 5 (61 per cento di No).
Stesso discorso per Roma dove si discosta di due punti rispetto alle aree periferiche (dal 59 al 61 per cento) e dove comunque il No è vittorioso. La Capitale merita un approfondimento proprio sui quartieri: già come era successo in occasione delle elezioni amministrative, il voto cambia radicalmente a seconda della zona presa in considerazione. Così a Roma centro e nel quartiere dei Parioli vince il Sì, anche se di poco: rispettivamente 50 e 52 per cento dei consensi. Totalmente diversa la situazione se si guardano i risultati delle aree periferiche: a Roma est il No raggiunge addirittura il picco del 70 per cento. Il Sud in generale ha dato lo schiaffo più forte a Renzi con Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia in prima fila nell’opposizione alla riforma della Costituzione. Infine c’è il caso della Calabria: l’astensione in quella regione è stata la risposta per segnalare il disagio nei confronti del governo.
di Martina Castigliani | 5 dicembre 2016
Referendum, analisi dei flussi: Pd ed ex Pdl si sfaldano, M5s compatto per il No. Periferie e giovani puniscono Renzi
Referendum Costituzionale
L'istituto Cattaneo ha messo a confronto il comportamento degli elettori alle politiche del 2013 e alla consultazione del 4 dicembre: i grillini votano in massa seguendo la linea e al massimo scelgono l'astensione, mentre i dem e i berlusconiani sono vittima dei dissidenti. Confrontando i dati locali, si conferma anche lo scarso appeal del leader Pd nelle zone più disagiate e con maggiori problemi economici: dal Sulcis alla zona est di Roma il No trionfa dove la disoccupazione è più alta
di Martina Castigliani | 5 dicembre 2016
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Gli elettori del Movimento 5 stelle compatti per il No, mentre quelli dei partiti tradizionali (vedi Pd ed ex Pdl) si sfaldano tra dissidenti contro Renzi e fronda di berlusconiani a favore della legge Boschi. Ma soprattutto le periferie e le zone con un più alto disagio politico ed economico che puniscono per la seconda volta (la prima era stata alle amministrative di giugno) il leader del Partito democratico. L’analisi dei flussi di voto dell’Istituto Cattaneo e dei risultati scorporati nei singoli quartieri delle città permettono di capire meglio i movimenti degli elettori che il 4 dicembre sono stati chiamati alle urne. E l’immagine che consegnano è quella di un Paese spaccato che là dove soffre di più per crisi economica e mancanza di lavoro, ha deciso di dare il suo messaggio netto contro chi è al potere. Quindi No al Sud, dalla Campania alla Puglia fino alla Sardegna, astensione in Calabria e No nel Nord produttivo di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Sì tiepido solo in Emilia, Toscana e Trentino Alto Adige. L’età è una delle variabili più importanti: come evidenziato da Quorum gli under 34 si sono schierati all’81 per cento contro la riforma, mentre tra gli over 55 ha vinto il Sì. Senza contare che, come fa notare Youtrend, nei 100 comuni con più disoccupati “il No vince con il 65,8% dei consensi”, mentre nei 100 con meno disoccupati ha la meglio il Sì con il 59%.
15320496_10211908258601353_952592135_nIl report del Cattaneo mette in evidenza il diverso comportamento di chi ha scelto i grillini alle scorse elezioni politiche rispetto ai partiti tradizionali: si conferma una fidelizzazione senza precedenti che ha portato in massa i sostenitori del M5s a esporsi contro la riforma del Senato, mentre chi nel 2013 aveva votato per i democratici o l’ex Pdl ha in parte tradito le indicazioni dei dirigenti. “Gli elettori dei partiti storici”, scrive l’istituto, “si frammentano mentre quello del non partito nuovo rivela una compattezza granitica”. L’analisi si è concentrata su 12 città attraverso “il modello Goodman“, ossia si sono presi come punto di partenza i dati delle sezioni elettorali di ciascun comune considerato; e si è basata su “elettori” e non “su voti validi” così da poter valutare “anche gli interscambi con l’area del non voto”. Il riferimento è con il 2013, quando per la prima volta le elezioni hanno consegnato al Paese un nuovo modello tripartito con il Movimento 5 stelle tra gli attori principali.
Si è poi concentrata l’attenzione sul tema delle periferie che, ancora una volta, hanno abbandonato il governo Renzi. I dati esposti dal Cattaneo riguardano il caso di Bologna, dove il fenomeno è evidente: la fetta di popolazione che più si è esposta contro la riforma è rappresentata dai giovani, da chi ha un reddito sotto i 18mila euro, e i residenti delle zone dove gli stranieri superano il 14 per cento. Questa riflessione può essere usata anche per analizzare gli elettori di altre grandi città: a Milano ha vinto il Sì di misura, ma nei quartieri periferici il No l’ha spuntata; discorso uguale per Torino o per Roma, dove ad esempio nel centro storico la legge Boschi è stata valutata positivamente ribaltando completamente il 70 per cento di contrari di Roma Est. Il dato è quindi quello già evidenziato in occasione delle scorse amministrative: Renzi e il Pd hanno perso i consensi delle periferie e delle fasce sociali con maggiori difficoltà economiche.
Elettori Pd in massa al voto, ma non tutti premiano Renzi – Chi nel 2013 ha scelto di votare per i democratici in linea generale ha deciso di non disertare le urne, tanto che “quasi nessuno ha optato per l’astensione”. Diverso però è stato il comportamento a seconda dei casi: c’è stata infatti quella che il Cattaneo chiama “una diaspora” verso il No nonostante il segretario Matteo Renzi avesse chiesto una mobilitazione collettiva e avesse vincolato la vita del governo al successo nelle urne. Il peso di chi ha scelto di opporsi varia a seconda delle città. Si va dal 20,3 per cento di Firenze, la città dove il presidente del Consiglio è stato sindaco, al 33,3 per cento della grillina Torino. Quest’ultimo caso è significativo anche perché proprio in uno dei centri più importanti dove il M5s è al governo, il No non ha stravinto e di sicuro non ha raggiunto i livelli di Sardegna, Sicilia e Puglia. I dissidenti Pd sono di misura a Bologna dove raggiungono il 22,8 per cento dell’elettorato del 2013, mentre raggiungono picchi di oltre il 40 per cento al Sud (Napoli 41,6 per cento, Cagliari 45,9%). A Palermo, città dove i contrari hanno sbancato, è stato il 29,9 per cento degli elettori democratici a scegliere di bocciare la riforma Renzi-Boschi. Da segnalare il fatto che solo a Reggio Calabria addirittura il 29,4% degli elettori ha scelto di astenersi e di non presentarsi alle urne.
Elettori di centro scelgono quasi unanimemente il Sì – L’analisi del voto di chi alle scorse politiche ha scelto partiti di centro deve tenere presente un grande disgregamento interno della compagine, che risulta frammentata tra Scelta civica, Udc e Fli. Bisogna infatti considerare che l’ex presidente del Consiglio Mario Monti ha fatto campagna per il No, mentre il leader Udc Pierferdinando Casini si è schierato per il Sì. La schizofrenia delle posizioni non ha però spinto gli elettori centristi ad abbandonare la linea di sostegno al governo: la maggior parte si sono schierati a favore del progetto di riforma, da Alessandria (71 per cento degli elettori), Brescia (70,6 per cento) e Parma (74,7%) fino a Palermo (70,1%). Sono in parte eccezioni da segnalare città del sud come Reggio Calabria e Cagliari.
I berlusconiani in parte tradiscono il partito e scelgono di sostenere la riforma – Gli ex elettori del Pdl si sono dispersi tra astensione e tra chi ha deciso di non ascoltare le indicazioni del leader Silvio Berlusconi che negli ultimi mesi ha deciso di schierarsi contro la legge Boschi. La fronda dei dissidenti non è determinante nella maggior parte dei casi, ma comunque resta da segnalare: a Bologna i Sì al referendum sono stati oltre il 41 per cento, a Firenze il 44 per cento, a Brescia il 36,8%. Le cifre sono più piccole se invece guardiamo Parma, Napoli e Palermo dove i critici a favore di Renzi sono rimasti sotto il 20%.
La “compattezza granitica” dell’elettorato M5s – Il referendum del 4 dicembre dimostra un consolidamento di chi vota 5 stelle, i cui segnali erano già risultati evidenti in occasione della consultazione sulle trivelle della primavera scorsa. I dati sono schiaccianti: “In sei città su dieci (Alessandria, Novara, Brescia, Padova, Palermo, Napoli) le quote di chi aveva scelto M5s alle politiche e poi si è schierato contro la riforma superano il 90 per cento“. Addirittura a Napoli il 100 per cento di chi aveva votato i grillini è andato alle urne e ha barrato la casella del No. Oltre il 90 per cento a Palermo, città dove i grillini ultimamente stanno soffrendo per il caso delle firme false per le scorse amministrative: le liti interne al Movimento non sono bastate a scoraggiare il fronte di chi ha voluto dare un chiaro segnale all’esecutivo di Renzi. Da segnalare che là dove si discostano dalla linea di Beppe Grillo, gli elettori scelgono di non andare alle urne: il 17 per cento si è astenuto a Torino e Parma, due città notoriamente vicine ai 5 stelle, il 21 per cento a Firenze e il 25,5% a Cagliari.
(Di nuovo) il problema delle periferie per il Pd – Ancora una volta si presenta in modo prepotente il tema delle periferie. I democratici come alle scorse amministrative perdono consensi in aree con gravi problemi economici (vedi il Sulcis dove il No supera il 77 per cento della popolazione) e soprattutto nei quartieri più poveri dei grandi centri. L’Istituto Cattaneo ha provato a fotografare il problema partendo da dati reali e per farlo ha concentrato l’attenzione su Bologna: proprio qui è risultato evidente che il Pd ha perso consensi negli “strati sociali più deboli, appartenenti al ceto medio impoverito”. Nel capoluogo di regione dell’Emilia Romagna, dove ha pure vinto il Sì in controtendenza con i risultati nazionali, il 51 per cento di chi ha un reddito inferiore ai 18mila euro ha votato per il No e i Sì aumentano man mano che aumenta la ricchezza. A questo proposito, scrivono i ricercatori, il voto “sembra essere stato guidato anche da motivazioni di natura economica e sociale”. Viene inserito in questa linea l’analisi sulla base dell’età: i bolognesi che hanno meno di 45 anni hanno votato per la maggior parte (51 per cento) per il No, mentre la percentuale diminuisce con l’aumentare degli anni (il 44 per cento degli oltre 50enni ha bocciato la riforma). L’idea è che i precari siano stati in prima linea nella campagna di opposizione al progetto. Infine è stata considerata anche la presenza di immigrati: là dove gli stranieri superano il 14 per cento la maggior parte degli elettori si è schierato contro e la tendenza diminuisce se calano i non italiani sul territorio.
L’analisi può essere trasferita anche su altri centri, confrontando il risultato nel capoluogo e poi in provincia. Tra gli esempi più significativi c’è Milano: la città amministrata da giugno scorso dal sindaco di centrosinistra Beppe Sala è una delle poche in cui ha vinto, anche se di misura, il Sì. Se però ci si sposta nella zona della provincia il dato viene ribaltato e il No torna in vantaggio con un distacco di addirittura dieci punti. Andando a guardare i singoli dati, la tendenza viene confermata: la vittoria del Sì è netta nel centro storico (64 per cento nel municipio 1) e nella zona “buona” di Porta Venezia (53 per cento nel municipio 3). Mentre nelle zone periferiche (municipi 2 e 9) la spunta il No.
In Sardegna fa rumore la zona del Sulcis: l’area meridionale non più provincia arriva al 77 per cento di No in una zona fortemente colpita dalla crisi economica. Esemplificativa è anche la città della sindaca M5s Appendino Torino: il fronte dei contrari, comunque vittorioso, aumenta se si passa dal centro alla provincia (da 53 a 56 per cento). Anche qui la dinamica è quella di sempre: nella circoscrizione uno, e solo in quella, vince il Sì alle riforme, mentre in tutto il resto della città la spunta il No con il picco nella circoscrizione 5 (61 per cento di No).
Stesso discorso per Roma dove si discosta di due punti rispetto alle aree periferiche (dal 59 al 61 per cento) e dove comunque il No è vittorioso. La Capitale merita un approfondimento proprio sui quartieri: già come era successo in occasione delle elezioni amministrative, il voto cambia radicalmente a seconda della zona presa in considerazione. Così a Roma centro e nel quartiere dei Parioli vince il Sì, anche se di poco: rispettivamente 50 e 52 per cento dei consensi. Totalmente diversa la situazione se si guardano i risultati delle aree periferiche: a Roma est il No raggiunge addirittura il picco del 70 per cento. Il Sud in generale ha dato lo schiaffo più forte a Renzi con Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia in prima fila nell’opposizione alla riforma della Costituzione. Infine c’è il caso della Calabria: l’astensione in quella regione è stata la risposta per segnalare il disagio nei confronti del governo.
di Martina Castigliani | 5 dicembre 2016
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Re: Diario della caduta di un regime.
EFFETTI SECONDARI DI UNA CADUTA DI REGIME
LA CADUTA DEGLI DEI
8 dic 2016 16:49
FULVIO ABBATE: “DOPO LA CADUTA DI RENZI, E’ DURA SCOPRIRE CHE PERFINO CACCIARI NON CE L’HA PIÙ LUNGO DEGLI ALTRI. IL SUO SGUARDO NON VA OLTRE LA SUA BARBA, LE SUE PAROLE SONO UNA SORTA DI ‘VICKS VAPORUB’ DIALETTICO, E’ UN ‘DEFIBRILLATORE’, VULCANIZZATORE, KIT DI MONTAGGIO E SALVAVITA D’OGNI POSSIBILE SUGGERIMENTO E AVVERTIMENTO POLITICI: TUTTI COMUNQUE FALLIMENTARI”
Fulvio Abbate per “il Dubbio”
Massimo Cacciari non ce l’ha più lungo degli altri. Ormai è un dato certo, la complessità non fa sconti neppure ai filosofi con la barba. Mi riferisco al suo sguardo sulle cose, sulla politica. I suoi studi su “Angelus Novus”, cioè il messaggero della storia visto attraverso la metafora di Paul Klee e Walter Benjamin, evidentemente non bastano per intuire con pienezza gli esiti e soprattutto gli umori dell’Altro, della realtà quotidiana, della pancia e delle interiora che hanno luogo dall’altro lato della palizzata del mondo e della realtà sociale.
Cacciari, del cui pensiero assai acuto per definizione i talk show non fanno mai a meno, è sovente chiamato in causa come una sorta di porto soccorso filosofico, a maggior ragione tenendo conto che l’uomo, il professore, il pensatore dalla fascinosa barba cardata ha addirittura avuto la sua personale “repubblica platonica” amministrando il comune di Venezia, città miraggio, capitale assoluta d’ogni estetica che voglia farsi cartolina sia pop sia d’autore, da Tiziano e Canaletto a Sorrentino e Alberto Sordi gondoliere, dunque Cacciari Sa quel che dice, Sa ciò che pensa, forte del fatto d’avere un plusvalore di intelligenza e appunto di saperi che gli giungono appunto dalla storia del pensiero: filosofia più annona, competenza e narcisismo degno dello schnauzer del poeta Rilke, maestro dell’Indicibile.
Grazie a queste prerogative Cacciari mostra d’avere un salvacondotto particolare che si avvicina alla più celebre affermazione-esclamazione del compianto campione di ciclismo Gino Bartali: “Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare!” In verità, nonostante le sue molte lauree, Cacciari fa risuonare un assai più prosaico “ma che caXXo state dicendo?!”, riuscendo così a mettere l’altro in una posizione di evidente minorità, nel senso che se a darti dell’incapace è un filosofo non può non esserci qualcosa di vero, no?
Il grande talento di Cacciari va comunque oltre il dato contingente, sembra infatti che nelle sue considerazioni l’incapacità o addirittura l’inettitudine altrui dipendano soprattutto dal non averlo preventivamente consultato, e tutto ciò è davvero imperdonabile se, come abbiamo già fatto notare, Massimo Cacciari è per chiara fama una sorta di “defibrillatore”, vulcanizzatore, kit di montaggio e salvavita d’ogni possibile suggerimento e avvertimento politici: tutti comunque fallimentari.
Il quotidiano della bella gente dei ceti medi riflessivi, “la Repubblica”, per esempio, non fa trascorrere mai più di una sessantina di giorni senza fare dono ai lettori del verbo del professore veneziano confermando così l’idea del suo plusvalore, quasi che tutti noi ci si debba sentire assai inadeguati rispetto alla gittata dialettica e le capacità di carotaggio degli strati geopolitici dell’ex cognato di Nanni Moretti.
Il pensiero, le parole di Cacciari ovviamente sono sempre percepite come una possibile bussola sul destino e il cammino stesso della Sinistra, una sorta di ideale “Vicks Vaporub” dialettico, e questo non da ora, c’è infatti da ricordare i suoi non meno preziosi inascoltati contributi perfino nei giorni del travagliatissimo scioglimento del Partito comunista italiano e ancora nelle settimane non meno problematiche dei governi dell’Ulivo.
Soltanto in una circostanza la proverbiale incontenibilità dialettica cacciariana ha smentito se stessa: è accaduto quando Silvio Berlusconi, in una pubblica occasione, nell'ottobre del 2002, insieme al presidente di turno dell’Ue, il danese Anders Fogh Rasmussen, disse: “Rasmussen è il primo ministro più bello dell’Europa. Penso di presentarlo a mia moglie perché è anche più bello di Cacciari. Con tutto quello che si dice in giro… Povera donna…”. Già, lo citò come possibile frequentatore di sua moglie, Veronica Lario; la risposta del diretto interessato tagliò la testa a tutti i possibili tori del gossip: “Non l'ho mai vista”.
Anche i giorni del “cupio dissolvi” renziano non potevano non farci dopo delle certezze apodittiche del filosofo prêt-à-porter mediatico, egli infatti ospite in diretta da Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” su La7, ha tuonato così: “Anche un cieco, un sordo, un handicappato capirebbe che in Italia c’è bisogno di un governo in questo momento”.
Dove l’offesa, mi perdoneranno gli amici degli autistici che ha stigmatizzato l’accaduto sul loro sito come riportato da Dagospia, non è riferita a un insieme umano comunque ridotto, no, in questo caso Cacciari ci ricorda la nostra inadeguatezza globale a comprendere i pesi della politica, neppure se, come lui, si è laureati in filosofia e si conosce questa massima di Walter Benjamin: “L’angelo della storia ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Che immenso dolore, dopo la caduta di Matteo, scoprire che perfino Massimo non ce l’ha più lungo degli altri. Già, il suo sguardo custodisce tutti i limiti dell’umano, e forse non va oltre la sua barba. Chissà poi se il povero l’Angelus Novus ha mai ricevuto l’accredito per la “Leopolda”?
LA CADUTA DEGLI DEI
8 dic 2016 16:49
FULVIO ABBATE: “DOPO LA CADUTA DI RENZI, E’ DURA SCOPRIRE CHE PERFINO CACCIARI NON CE L’HA PIÙ LUNGO DEGLI ALTRI. IL SUO SGUARDO NON VA OLTRE LA SUA BARBA, LE SUE PAROLE SONO UNA SORTA DI ‘VICKS VAPORUB’ DIALETTICO, E’ UN ‘DEFIBRILLATORE’, VULCANIZZATORE, KIT DI MONTAGGIO E SALVAVITA D’OGNI POSSIBILE SUGGERIMENTO E AVVERTIMENTO POLITICI: TUTTI COMUNQUE FALLIMENTARI”
Fulvio Abbate per “il Dubbio”
Massimo Cacciari non ce l’ha più lungo degli altri. Ormai è un dato certo, la complessità non fa sconti neppure ai filosofi con la barba. Mi riferisco al suo sguardo sulle cose, sulla politica. I suoi studi su “Angelus Novus”, cioè il messaggero della storia visto attraverso la metafora di Paul Klee e Walter Benjamin, evidentemente non bastano per intuire con pienezza gli esiti e soprattutto gli umori dell’Altro, della realtà quotidiana, della pancia e delle interiora che hanno luogo dall’altro lato della palizzata del mondo e della realtà sociale.
Cacciari, del cui pensiero assai acuto per definizione i talk show non fanno mai a meno, è sovente chiamato in causa come una sorta di porto soccorso filosofico, a maggior ragione tenendo conto che l’uomo, il professore, il pensatore dalla fascinosa barba cardata ha addirittura avuto la sua personale “repubblica platonica” amministrando il comune di Venezia, città miraggio, capitale assoluta d’ogni estetica che voglia farsi cartolina sia pop sia d’autore, da Tiziano e Canaletto a Sorrentino e Alberto Sordi gondoliere, dunque Cacciari Sa quel che dice, Sa ciò che pensa, forte del fatto d’avere un plusvalore di intelligenza e appunto di saperi che gli giungono appunto dalla storia del pensiero: filosofia più annona, competenza e narcisismo degno dello schnauzer del poeta Rilke, maestro dell’Indicibile.
Grazie a queste prerogative Cacciari mostra d’avere un salvacondotto particolare che si avvicina alla più celebre affermazione-esclamazione del compianto campione di ciclismo Gino Bartali: “Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare!” In verità, nonostante le sue molte lauree, Cacciari fa risuonare un assai più prosaico “ma che caXXo state dicendo?!”, riuscendo così a mettere l’altro in una posizione di evidente minorità, nel senso che se a darti dell’incapace è un filosofo non può non esserci qualcosa di vero, no?
Il grande talento di Cacciari va comunque oltre il dato contingente, sembra infatti che nelle sue considerazioni l’incapacità o addirittura l’inettitudine altrui dipendano soprattutto dal non averlo preventivamente consultato, e tutto ciò è davvero imperdonabile se, come abbiamo già fatto notare, Massimo Cacciari è per chiara fama una sorta di “defibrillatore”, vulcanizzatore, kit di montaggio e salvavita d’ogni possibile suggerimento e avvertimento politici: tutti comunque fallimentari.
Il quotidiano della bella gente dei ceti medi riflessivi, “la Repubblica”, per esempio, non fa trascorrere mai più di una sessantina di giorni senza fare dono ai lettori del verbo del professore veneziano confermando così l’idea del suo plusvalore, quasi che tutti noi ci si debba sentire assai inadeguati rispetto alla gittata dialettica e le capacità di carotaggio degli strati geopolitici dell’ex cognato di Nanni Moretti.
Il pensiero, le parole di Cacciari ovviamente sono sempre percepite come una possibile bussola sul destino e il cammino stesso della Sinistra, una sorta di ideale “Vicks Vaporub” dialettico, e questo non da ora, c’è infatti da ricordare i suoi non meno preziosi inascoltati contributi perfino nei giorni del travagliatissimo scioglimento del Partito comunista italiano e ancora nelle settimane non meno problematiche dei governi dell’Ulivo.
Soltanto in una circostanza la proverbiale incontenibilità dialettica cacciariana ha smentito se stessa: è accaduto quando Silvio Berlusconi, in una pubblica occasione, nell'ottobre del 2002, insieme al presidente di turno dell’Ue, il danese Anders Fogh Rasmussen, disse: “Rasmussen è il primo ministro più bello dell’Europa. Penso di presentarlo a mia moglie perché è anche più bello di Cacciari. Con tutto quello che si dice in giro… Povera donna…”. Già, lo citò come possibile frequentatore di sua moglie, Veronica Lario; la risposta del diretto interessato tagliò la testa a tutti i possibili tori del gossip: “Non l'ho mai vista”.
Anche i giorni del “cupio dissolvi” renziano non potevano non farci dopo delle certezze apodittiche del filosofo prêt-à-porter mediatico, egli infatti ospite in diretta da Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” su La7, ha tuonato così: “Anche un cieco, un sordo, un handicappato capirebbe che in Italia c’è bisogno di un governo in questo momento”.
Dove l’offesa, mi perdoneranno gli amici degli autistici che ha stigmatizzato l’accaduto sul loro sito come riportato da Dagospia, non è riferita a un insieme umano comunque ridotto, no, in questo caso Cacciari ci ricorda la nostra inadeguatezza globale a comprendere i pesi della politica, neppure se, come lui, si è laureati in filosofia e si conosce questa massima di Walter Benjamin: “L’angelo della storia ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Che immenso dolore, dopo la caduta di Matteo, scoprire che perfino Massimo non ce l’ha più lungo degli altri. Già, il suo sguardo custodisce tutti i limiti dell’umano, e forse non va oltre la sua barba. Chissà poi se il povero l’Angelus Novus ha mai ricevuto l’accredito per la “Leopolda”?
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Re: Diario della caduta di un regime.
IL REGIME DI PINOCCHIO MUSSOLONI E' ANCORA IN PIEDI.
LUI NON SIEDE UFFICIALMENTE A PALAZZO CHIGI MA ABBIAMO A CHE FARE CON UN IMPIANTO GOVERNATIVO FOTOCOPIA.
PERO', IL DUCE, TIRA ANCORA LE FILA DEL SUO EX GOVERNO, STANDO DIETRO LE QUINTE AL RIPARO.
UN PO' PERCHE' VUOLE LA RIVINCITA SUL BATOSTONE CHE L'HA FATTO CADERE DA CAVALLO, E UN PO' PERCHE' NON VUOLE ALIENARSI DEL TUTTO I SUOI PADRONI D'OLTRE OCEANO, E I LORO ESECUTORI EUROPEI, QUALORA RIUSCISSE A RITORNARE NEL GIRO CHE CONTA.
PER IL MOMENTO SI E' BRUCIATO LA CREDIBILITA' CON LE ELITE.
HA VOLUTO STRAFARE SECONDO I DETTAMI DELLA SUA CULTURA DA GRANDE ILLUSIONISTA, E PER UN PO' DI TEMPO DEVE RIMANERE DIETRO LE QUINTE CERCANDO DI FARSI DIMENTICARE.
PURTROPPO LE ESIGENZE DELLE ELITE CONTINUANO.
IL POMPIERE GENTILO' E' AL LORO COMPLETO SERVIZIO.
ANIMA E CORPO.
AMMESSO CHE UN FANTASMINO ABBIA L'ANIMA.
LUI NON SIEDE UFFICIALMENTE A PALAZZO CHIGI MA ABBIAMO A CHE FARE CON UN IMPIANTO GOVERNATIVO FOTOCOPIA.
PERO', IL DUCE, TIRA ANCORA LE FILA DEL SUO EX GOVERNO, STANDO DIETRO LE QUINTE AL RIPARO.
UN PO' PERCHE' VUOLE LA RIVINCITA SUL BATOSTONE CHE L'HA FATTO CADERE DA CAVALLO, E UN PO' PERCHE' NON VUOLE ALIENARSI DEL TUTTO I SUOI PADRONI D'OLTRE OCEANO, E I LORO ESECUTORI EUROPEI, QUALORA RIUSCISSE A RITORNARE NEL GIRO CHE CONTA.
PER IL MOMENTO SI E' BRUCIATO LA CREDIBILITA' CON LE ELITE.
HA VOLUTO STRAFARE SECONDO I DETTAMI DELLA SUA CULTURA DA GRANDE ILLUSIONISTA, E PER UN PO' DI TEMPO DEVE RIMANERE DIETRO LE QUINTE CERCANDO DI FARSI DIMENTICARE.
PURTROPPO LE ESIGENZE DELLE ELITE CONTINUANO.
IL POMPIERE GENTILO' E' AL LORO COMPLETO SERVIZIO.
ANIMA E CORPO.
AMMESSO CHE UN FANTASMINO ABBIA L'ANIMA.
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Re: Diario della caduta di un regime.
.....la festa appena cominciata, è già finita....
Sergio Endrigo (Canzone per te)
Poletti fissa la fine di Gentiloni: "Alle urne prima del referendum sul Jobs Act"
Il Pd teme il voto sul Jobs Act. E studia le elezioni in aprile, prima del referendum sulla riforma del lavoro. Poletti: "Se si vota prima il problema non si pone". Ma Speranza lo stoppa: "Modifiche subito"
Sergio Rame - Mer, 14/12/2016 - 13:49
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"Se si vota prima il problema non si pone". Commentando con l'Ansa i rischi del voto sul referendum sul "Questo è un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo - mette in chiaro - questo è lo scenario più probabile". Una bocciatura della riforma del lavoro, dopo la tranvata sul ddl Boschi, potrebbe essere un ulteriore problema per il Pd e, in modo particolare, per Matteo Renzi.
Gli occhi della politica sono tutti puntati sulla Corte Costituzionale. Il prossimo 11 gennaio dovrebbe prendere una decisione definitiva sulle richieste di referendum abrogativi in materia di lavoro e Jobs Act. La stessa Consulta ha spiegato che la questione verrà trattata in una camera di consiglio, in aggiunta ad altre cause già fissate. "La Consulta farà le sue valutazioni - commenta Poletti durante una pausa dei lavori del Senato - noi le attendiamo con rispetto". Come riporta anche l'Huffington Post, le richieste di referendum, già vagliate dall'Ufficio centrale della Cassazione, riguardano le disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi e quelle inerenti il lavoro accessorio contenute nel Jobs Act, nonchè la norma, contenuta nel decreto per l'attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, riguardanti la Jobs Act proposto dalla Cgil, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti fissa la scadenza del governo Gentiloni.
responsabilità solidale in materia di appalti.
Come spiegato da Augusto Minzolini sul Giornale, il referendum sul Jobs Act è una vera e propria bomba a orologeria che rischia di affondare sia il governo sia il Pd. Il voto sulla riforma della riforma è la mina letale. E i dem possono disinnescarla soltanto con le elezioni anticipate. Un'eventualità che non piace al "ribelle" dem Roberto Speranza che vuole modifiche alla legge prima senza aspettare la consultazione referendaria. Nel frattempo, però, il Paese vive nell'incertezza. Anche la Confindustria denuncia tutti i rischi di questa situazione di incertezza per l'occupazione. "È stato fatto il jobs act, ora c'è il referendum, che succede? Io cosa faccio? Attendo e non assumo. Questo è un capolavoro italiano di ansietà e di incertezza totale e perenne", spiega il leader degli industriali, Vincenzo Boccia, secondo cui il Jobs Act ha generato il 75% di assunzioni a tempo indeterminato. "Questi diventano consumatori che hanno progetti di vita, comprano casa. Ora c'è un nuovo rischio".
Sergio Endrigo (Canzone per te)
Poletti fissa la fine di Gentiloni: "Alle urne prima del referendum sul Jobs Act"
Il Pd teme il voto sul Jobs Act. E studia le elezioni in aprile, prima del referendum sulla riforma del lavoro. Poletti: "Se si vota prima il problema non si pone". Ma Speranza lo stoppa: "Modifiche subito"
Sergio Rame - Mer, 14/12/2016 - 13:49
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"Se si vota prima il problema non si pone". Commentando con l'Ansa i rischi del voto sul referendum sul "Questo è un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo - mette in chiaro - questo è lo scenario più probabile". Una bocciatura della riforma del lavoro, dopo la tranvata sul ddl Boschi, potrebbe essere un ulteriore problema per il Pd e, in modo particolare, per Matteo Renzi.
Gli occhi della politica sono tutti puntati sulla Corte Costituzionale. Il prossimo 11 gennaio dovrebbe prendere una decisione definitiva sulle richieste di referendum abrogativi in materia di lavoro e Jobs Act. La stessa Consulta ha spiegato che la questione verrà trattata in una camera di consiglio, in aggiunta ad altre cause già fissate. "La Consulta farà le sue valutazioni - commenta Poletti durante una pausa dei lavori del Senato - noi le attendiamo con rispetto". Come riporta anche l'Huffington Post, le richieste di referendum, già vagliate dall'Ufficio centrale della Cassazione, riguardano le disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi e quelle inerenti il lavoro accessorio contenute nel Jobs Act, nonchè la norma, contenuta nel decreto per l'attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, riguardanti la Jobs Act proposto dalla Cgil, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti fissa la scadenza del governo Gentiloni.
responsabilità solidale in materia di appalti.
Come spiegato da Augusto Minzolini sul Giornale, il referendum sul Jobs Act è una vera e propria bomba a orologeria che rischia di affondare sia il governo sia il Pd. Il voto sulla riforma della riforma è la mina letale. E i dem possono disinnescarla soltanto con le elezioni anticipate. Un'eventualità che non piace al "ribelle" dem Roberto Speranza che vuole modifiche alla legge prima senza aspettare la consultazione referendaria. Nel frattempo, però, il Paese vive nell'incertezza. Anche la Confindustria denuncia tutti i rischi di questa situazione di incertezza per l'occupazione. "È stato fatto il jobs act, ora c'è il referendum, che succede? Io cosa faccio? Attendo e non assumo. Questo è un capolavoro italiano di ansietà e di incertezza totale e perenne", spiega il leader degli industriali, Vincenzo Boccia, secondo cui il Jobs Act ha generato il 75% di assunzioni a tempo indeterminato. "Questi diventano consumatori che hanno progetti di vita, comprano casa. Ora c'è un nuovo rischio".
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