Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA NOTIZIA VISTA SUL GIORNALE DI BERLUSCONI DEVE ESSERE DEPURATA DAI TONI DI PROPAGANDA


Corruzione, arrestato Marra
il braccio destro della Raggi


In manette il capo del personale del Campidoglio. M5s nel caos dopo l'arresto. Fico attacca: "Un fatto gravissimo"

di Sergio Rame

1 ora fa

^^^^^^

Questo è il momento di sferrare l'attacco ai Pentastellati.


Fico: "Un fatto gravissimo"



La cena segreta Raggi-Grillo: "Virginia, chi sono questi?"



Scarpellini faceva la cresta sugli affitti al Comune


Adesso la Raggi è braccata dai pm


IL LUPO PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO

Le notizie che riguardano gli avversari vengono trattate in un certo modo.

Quelle che riguardano il paron con molto riguardo.


4 ore fa

Mediaset, l'altolà del Garante:
"L'assalto è vietato dalla legge"


Antonio Signorini
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA GUERRA CONTINUA


I grillini assediano Virginia


Guerra nel M5S. Molti parlamentari vogliono la testa della Raggi. L'ipotesi delle dimissioni o il ritiro del simbolo

di Claudio Cartaldo

20 minuti fa
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:LA GUERRA CONTINUA


I grillini assediano Virginia


Guerra nel M5S. Molti parlamentari vogliono la testa della Raggi. L'ipotesi delle dimissioni o il ritiro del simbolo

di Claudio Cartaldo

20 minuti fa







Grillini assediano Virginia: vogliono la sua testa per il caso Marra

Citando Martin Luther King su Facebook, Roberta Lombardi invita Virginia Raggi a "prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla"

Claudio Cartaldo - Ven, 16/12/2016 - 16:16

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Il Movimento Cinque Stelle è in preda al panico. Politico, s'intende. Nel senso che con l'arresto di Raffaele Marra è molto difficile che Virginia Raggi non subisca conseguenze.

È stata infatti proprio la sindaca grillina, quando tutti erano contro Marra, a difenderlo e a dire che senza di lui "non vado avanti". E così in molti vogliono la sue testa: dimissioni o addio al simbolo.

Partiamo dall'inizio, una storia fatta di correnti romane e nazionali. Da una parte Di Maio e la Raggi, dall'altra il mini direttorio e Roberta Lombardi. A luglio Virginia puntò i piedi per nominare Marra a capo di Gabinetto anche se tutti le chiedevano di non farlo. Alla fine dovette soprassedere, ma gli rinnovò la fiducia concedendo comunque un ruolo di primo piano. A seguito della scelta della Raggi, l'ortodossa Roberta Lombardi - grillina della prima ora - si dimise dal mini direttorio in rotta con il sindaco. Oggi Lombardi si è presa la sua rivincita e con un post su Facebook - di fatto - chiede le dimissioni della Raggi.

Lombardi non usa parole proprie. Ma copia e incolla le parole di Martin Luther King: "La vigliaccheria chiede: è sicuro? L'opportunità chiede: è conveniente? La vana gloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta". Il post è stato condiviso anche da Carla Ruocco, altra avversaria di Virginia, e da Roberto Fico, membro del direttorio, che ha definito la vicenda come un "fatto gravissimo".

Ora entrambe sembrano volere le dimissioni di quella che ha permesso a Marra, il "virus", di "infettare il Movimento". Sulla stessa linea anche altri parlamentari ed esponenti grillini. Nicola Marra si è scagliato contro la poca trasparenza della sindaca: "Se vuoi essere severo con gli altri devi essere inflessibile con te stesso". Poi ha aggiunto: "Fermo restando che occorrerà verificare, si parte dal presupposto che se vuoi essere severo con gli altri devi essere inflessibile con te stesso. Noi siamo nati per ripristinare le regole, ora verificheremo, ma se emergeranno quadri politicamente o moralmente scorretti, non potremo certo difendere certe posizioni".

Nel Movimento si fa sempre più alta l'onda di chi vorrebbe un passo indietro della Raggi. Oppure che Grillo le tolga il simbolo a 5 Stelle. "Penso che oggi qualcuno dovrebbe chiedere scusa e ringraziare Carla Ruocco e Roberta Lombardi", ha scritto su twitter il parlamentare 5 Stelle Michele Dell'Orco, che è stato anche capogruppo alla Camera.

Il fatto è che quando la Lombardi fece quel Tweet con la fatidica frase sul "il virus che ha infettato il Movimento" e della necessità (per la Raggi) di "dimostrare di avere gli anticorpi", sul blog di Grillo apparve un articolo durissimo che la richiamava all'ordine e chiudeva la faccenda: "Virginia non si tocca". Anche per questo la Lombardi oggi è la vera vincitrice. Perde invece il M5S che non ha ancora una linea unica. "Ragazzi, questione Marra: silenzio stampa. Uscirà il sindaco ed eventualmente il Blog", si legge sui cellulari dei parlamentari grillini in questo momento. Il Movimento sta decidendo come comportasi: e in molti vorrebbero cacciare Raggi dal Campidoglio. O almeno dal Movimento.


Roberta Lombardi

3 ore fa.
La vigliaccheria chiede: è sicuro? L'opportunità chiede: è conveniente?
La vana gloria chiede: è popolare?
Ma la coscienza chiede: è giusto?
Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta.
(Martin Luther King)
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IL FATTO QUOTIDIANO, RITENUTO VICINO AL MOVIMENTO, SEMBRA NON FARE SCONTI

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... i/3264548/

Politica
Roma, di questo passo Virginia Raggi diventerà impopolare quanto la Boschi
di Fabrizio d'Esposito | 16 dicembre 2016

16 dicembre 2016


Fabrizio d'Esposito
Inviato del Fatto Quotidiano
Post | Articoli
A questo punto della tremenda notte grillina calata su Roma, e di questo passo, la sindaca Virginia Raggi rischia seriamente di trasfigurarsi nella Maria Elena Boschi del Movimento 5 Stelle. Le manette a Raffaele Marra sono infatti una sorta di punto di non ritorno dopo due stagioni, estate e autunno, trascorse a discutere in modo estenuante sullo stesso Marra e sull’altrettanto famosa Paola Muraro, da poco dimissionaria. Sei mesi fa, a giugno quando venne eletta, neanche il più ottimista tra gli odiatori del movimento pentastellato poteva immaginare un disastro del genere nella Capitale, con il quale adesso è necessario fare i conti. Perché nel frattempo la metropoli è sempre più sporca e trasmette un’eclatante percezione di incuria e abbandono. E se l’arresto di Marra è davvero un punto di non ritorno, forse le dimissioni della Raggi sarebbero utili allo stesso Movimento. In ogni caso, il rischio di diventare irritante e impopolare come la Boschi postrefendaria è fortissimo. Altrimenti, stamattina, non avremmo assistito all’imbarazzante annullamento, in diretta tv, della trasferta grillina a Siena contro lo scandalo Mps. Il problema esiste, è enorme e apre alcuni interrogativi. Questi.

1) Morire per Muraro e Marra. L’ostinazione con cui Virginia Raggi ha voluto e difeso pezzi dell’antico establishment, senza segnare una rottura con il passato, non ha solo moltiplicato veleni e divisioni nel giovane movimento grillino, non solo romano ma nazionale. No. Soprattutto getta una nuova luce inquietante su presunti e indicibili patti di potere infilati nel suo trionfo elettorale, a partire da quell’omissione nel suo curriculum sul suo impiego professionale in studi legali vicino a Cesare Previti, simbolo della peggiore destra capitolina che ha sguazzato nel potere per convenienze personali.

2) La selezione della classe dirigente. Su questo aspetto sono stati versati centinaia di litri d’inchiostro. Giova però fissare alcuni paletti. La crisi della Seconda Repubblica ha messo a nudo la fragilità del partito leggero e carismatico, quantomento leaderistico. Ne sono prova il crepuscolo berlusconiano e il biennio della fiammata renziana. I Cinquestelle sono stati e sono un ibrido. Da un lato il paternalismo del carisma del cofondatore Beppe Grillo. Da all’altro l’esperimento benemerito della democrazia diretta grazie al web. Fino alla morte di Casaleggio poi, il leninismo dirigista dall’alto dell’altro fondatore ha tentato di temperare le distorsioni della democrazia diretta (clamoroso il caso sulla furbesca non linea grillina sull’immigrazione) e soprattutto ha ghigliottinato alcune vivacità locali (Pizzarotti) e parlamentari (le espulsioni a scadenza regolare a Camera e Senato). Ora tutto questo non basta più perché l’enormità del caso romano porta sul patibolo virtuale la stessa Raggi. Che fare con lei? Chi deve rispondere a questa domanda? Grillo, un direttorio quale esso sia, il web? E qui forse sovviene la grande lezione novecentesca dei partiti, che non stati solo corruzione e malaffare sfociati nella partitocrazia. Un partito pulito avrebbe un vertice, una segreteria, una direzione e svolgerebbe una mediazione tra gli eletti, gli iscritti e gli elettori. Con un partito vero, il caso Raggi non sarebbe arrivato a questo punto. Un partito vero avrebbe discusso e trovato un compromesso tra l’autonomia della sindaca e la linea del movimento che chiedeva discontinuità. Invece abbiamo assistito a un balletto di faide e di gelosia personali con la rincorsa a farsi scudo di giovani padrini. Diciamo, non un modo originale per fare politica. Senza dimenticare che la gestione del consenso, soprattutto di un consenso grande, merita rispetto e competenze non comuni, non dilettanti allo sbaraglio.

3) Il lato più inquietante è il pericolo del vuoto. Nel giro di due settimane, la politica italiana assiste al rogo delle uniche due novità emerse negli ultimi anni, a prescindere da come la si pensi: l’ascesa di Matteo Renzi nel Pd e la clamorosa vittoria di Virginia Raggi a Roma, una notizia che ha fatto il giro del mondo nonché simbolo di una rivoluzione ineludibile. La domanda che si scorge nel pantano romano è questa: cosa succederebbe senza i Cinquestelle? Perché un dato è certo: una loro deriva modello Uomo Qualunque non avvantaggerebbe né il Pd né il centrodestra frantumato. Aumenterebbe l’astensionismo o che altro? Sono domande inquietanti, appunto, pensando per esempio alla grottesca farsa dell’arresto popolare di un deputato azzurro a opera dei cosiddetti Forconi.
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LE CREPE VISIBILI SUL SISTEMA ITALIA SONO MOLTE E SI VEDONO A VISTA D'OCCHIO DA CHIUNQUE.

C'E' SOLO DA CHIEDERSI QUANTO TEMPO REGGERA' ANCORA PRIMA DI VENIRE GIU' TOTANBOT???????




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Politica

Giuseppe Sala indagato, i fatti erano noti. Perché candidarlo sindaco?
di Gianni Barbacetto | 16 dicembre 2016

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Dunque Giuseppe Sala è indagato. Per il più grosso degli appalti Expo, quello della “piastra” su cui è stata costruita tutta l’esposizione (base d’asta: 272 milioni di euro). Le accuse sono note da anni, erano già state formulate durante un’inchiesta della Procura di Milano del 2014. Per riuscire a ogni costo a finire in tempo i lavori, Sala non ha annullato la gara, vinta nel 2012 dalla Mantovani in modo anomalo, con un ribasso del 42 per cento, offrendo una cifra che “non era idonea neppure a coprire i costi”, annotavano i pm nella loro richiesta d’archiviazione, segnalando anche “numerose anomalie e irregolarità amministrative”, sia nella “scelta del contraente”, sia “nella fase esecutiva”.

Per non far saltare la gara, Sala avrebbe anche falsificato una data, retrodatandola. E poi avrebbe “aggiustato” con la Mantovani le cose: avevano vinto il 3 agosto 2012 offrendo soli 165,1 milioni. Il commissario si accorda concedendo alla Mantovani prezzi più alti per nuovi lavori aggiuntivi, in modo da compensare il mega-ribasso iniziale. Per esempio, i 6mila alberi di Expo, comprati in un vivaio a 266 euro l’uno, sono stati pagati da Sala alla Mantovani 716 euro l’uno. Con un contratto affidato nel luglio 2013, senza gara, all’impresa per un importo di 4,3 milioni; la Mantovani nel novembre successivo stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni.

L’inchiesta della Procura di Milano rileva tutte queste anomalie, ma è azzoppata dallo scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Bruti Liberati aveva avocato ogni inchiesta sull’esposizione universale, costituendo una “Area omogenea Expo” di cui aveva assunto personalmente il coordinamento, esautorando Robledo. Quella struttura organizzativa era poi stata dichiarata non legittima.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, a cose fatte, ringrazierà Bruti per la sua “sensibilità istituzionale”. Ma quando nel 2016 la Procura chiude l’indagine e chiede l’archiviazione, prima il gip Andrea Ghinetti non l’accetta, poi la Procura generale avoca l’inchiesta e chiede altri sei mesi per indagare, iscrivendo anche Sala tra gli indagati.

Fatti minori, si difende Sala, compiuti “in buona fede” per finire i lavori in tempo per aprire Expo. Se anche fosse così, resta da spiegare perché il commissario Expo che aveva forzato le norme e aggirato le regole sia poi stato candidato sindaco: mettendo a rischio Milano e la sua amministrazione e provocando l’attuale crisi istituzionale.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ALCUNI MEDIA LO FANNO CONSAPEVOLMENTE, ALTRI INCOMPENSAPEVOLMENTE. MA TUTTI PORTANO ALLO STESSO RISULTATO FINALE. CI VUOLE L'UOMO FORTE CHE METTA TUTTI IN RIGA.




Grillo l'ha già venduta. Scoppia la guerra Di Maio-Fico

Casaleggio jr frena: "Farla saltare? Sarebbe la nostra fine". Il silenzio di Di Battista
Giampiero Timossi - Dom, 18/12/2016 - 08:35
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Roma - Roma e i capoccia, quelli della giunta Raggi messi all'angolo dai vertici nazionali dei Cinque Stelle.

E ora che si fa? «Si marcia sul Campidoglio e poi a giugno si tira dritti per Palazzo Chigi». Ripulire la giunta pentastellata, limitare i danni e non perdere l'occasione di giocarsela da protagonista alle prime elezioni politiche. È la linea dura: le mani M5S sulla giunta capitolina per mettere in sicurezza quei «casinari romani», basta indugi, basta fiducia condizionata, stop. Tanto per confondere un po' le acque già decisamente torbide, Beppe Grillo va controcorrente, ma è solo apparenza, l'ennesimo colpo di teatro: dalla Capitale se ne va ieri, in mattinata. Partenza intelligente, esce dall'hotel alle cinque, alle sei prende il primo treno per Genova. Lascia che sia Davide Casaleggio a gestire le cose.
Lui è il mediatore: tra quelli che vogliono la testa di «Virginia e del suo raggio magico» e i consiglieri pentastellati che non vogliono mollare il sostegno e il simbolo delle Cinque Stelle. Grosso guaio, sempre peggio. Urla in un apparente silenzio, che lasciano trapelare una dichiarazione choc della sindaca: «Non mi riconosco più in questo Movimento», a margine di un'infinita riunione di maggioranza, stritolata tra il diktat dei capoccia nazionali e dei dissidenti della prima ora. «Abbiamo il 70 per cento dei consensi, non molliamo», ripeteva lei. Basta? Non basta? E se la notte porta sfiducia ecco che la sindaca prova a giocare la carta a sorpresa: «Me ne vado io». In fondo sarebbe un gran favore a Grillo. Frena Casaleggio: «Non basterebbe a ripulire l'immagine del Movimento a livello nazionale. E sarebbe una sconfitta dal punto di vista amministrativo. Ci schiaccerebbero dicendo: non sanno governare Roma, figuriamoci l'Italia». Per questo si media. E si cerca un vicesindaco «perché la possibilità che Raggi sia indagata resta elevatissima. Noi diciamo il contrario, guardiamo le carte, ma prepariamoci. Si dovrà dimettere, almeno autosospendere. E il vicesindaco non può essere Frongia, lui ha messo Virginia in questo casino, si fidava sempre e subito di Marra. Frongia se ne deve andare e pure Salvatore Romeo e deve sparire anche Renato Marra. Via tutti, il vicesindaco deve essere un uomo di nostra as-so-lu-ta fiducia. Qui scoppia l'ultima guerra, la rivolta dei peones consiglieri. Casaleggio media, due nomi: il consigliere Paolo Ferrara più di Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale, dalla prima ora nemico in Campidoglio di Virginia Raggi.
La guerra è appena iniziata, il virus del Campidoglio «non deve infettare il sogno di Palazzo Chigi e di un primo governo M5S». Lo ha già fatto e l'infezione si propaga, per scegliere il prossimo candidato premier si dovranno fare i conti con il caso-Roma: Luigi Di Maio ormai è al tappeto, Alessandro Di Battista, mai pervenuto sui bordelli romani, traballa. Ma è nell'ala dura che emerge un nome, quello di Roberto Fico, il grillino di Neanderthal: da presidente della vigilanza Rai non ha fatto danni. E ha pure una laurea, di questi tempi pare importante.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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57 minuti fa

"Se parlo qualcuno tremerà"
Rivelate le minacce di Marra

Patricia Tagliaferri
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UN'ALTRA PATACCA RENZIANA


QUELLO CHE DON RAFFAELE NON COMPRENDE, O SIMULA DI NON CAPIRE, E' CHE INSERITO IN QUESTO PERVERSO SENZA AGIRE CON IL BISTURI QUANDO SI DEVE, SI PERMETTE ALLA MALATTIA DI PROSPERARE.

AL CANCRO DI CRESCERE.

DON RAFFE', A NAPULE DICONO: "CA' NISSCIUNO E' FESSO".

VEDI UN PO' TU.






Lo scudo Cantone non funziona più Renzi e Grillo fanno i conti con l'etica
Il presidente dell'Anac rigetta il ruolo di "marchio di garanzia"
Silvia Cocuzza - Dom, 18/12/2016 - 08:59
Roma - La Francia vorrebbe adottare l'Anac, e pure una versione francese di Cantone. La notizia arriva a margine dell'audizione di Paolo Foietta, commissario alla Torino-Lione, in Commissione Esteri della Camera.

Ed è, immaginiamo, una notizia che porta un sospiro di sollievo in ore difficili, al magistrato in aspettativa e presidente dell'Anti Corruzione Raffaele Cantone, che invece sul suo ruolo, in Italia, qualche domanda se la sta ponendo. L'asse dell'illegalità congiunge idealmente la capitale d'Italia, con l'arresto di Marra che squarcia il cielo di carta della terzietà dei cinque stelle rispetto ai tempi di Mafia Capitale e l'altra, Milano, per definizione di Cantone la «capitale morale» della legalità ai tempi di Expo, dove oggi il sindaco Sala è indagato proprio su Expo. Ed è da qui che bisogna partire, dal garantismo di Cantone che liquida i fatti della giunta Raggi con un «mi astengo da qualunque valutazione» e su Sala, se possibile, ci va ancora più cauto. Giudica «eccessiva» l'autosospensione, rispetto a un semplice atto «dovuto» della magistratura, ricorda la collaborazione «leale» con l'allora manager di Expo. Cantone ripete a più riprese come un refrain che le contestazioni a Sala risalgono a due anni prima l'incarico all'Anac di vigilare sui lavori dell'Expo.
Lo dice in tutte le interviste e ognuna di esse somiglia a un'excusatio non petita, parola d'ordine prendere le distanze: non sapevo, non potevo, non era di mia competenza. «Non ho mai pensato di essere Superman», dice Cantone, che non ha «mai sostenuto di poter impedire la corruzione, non ne abbiamo gli strumenti». Eppur, i super-poteri li ha avuti tutti. da deus-ex-machina della macchina di governo Renzi: proprio lui, chiamato in causa ad ogni difficoltà, stupisce che si sia perso per strada a suo tempo pure le infiltrazioni della Mafia Calabrese ad Expo, lui che ha contribuito con successo, negli anni come magistrato, alle indagini sulle infiltrazioni mafiose all'estero e nel Nord Italia. Cantone è forse oggi più in difficoltà con se stesso, per il tributo che deve alla sua lunga storia di magistrato, in prima linea contro il potente clan dei Casalesi, più che nei confronti di quell'establishment politico di cui teme di essere capro espiatorio. Renzi ha fatto di lui lo status symbol di una classe dirigente rottamatrice, il testimonial ideale per Expo, che avrebbe dovuto consacrare il PD sala-renziano. E com'è andata si è visto. Sarà per questo che Cantone si affretta a smarcarsi di un ruolo che gli sta ormai stretto, dice che «la politica deve recuperare la capacità di fare le sue scelte, indipendentemente dalla magistratura», e poi ancora, che «le chiavi ce le ha la burocrazia amministrativa che spesso la politica fa fatica a scegliere». L'unica cosa certa nei suoi interventi è che le chiavi non poteva averle lui. La politica si salvi da sola.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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I MEDIA SOTTOTONO, PERCHE' AL CENTRO IN QUESTI GIORNI CI STANNO COLORO CHE NON SONO ADDOMESTICABILI COME I COLLEGHI PRECEDENTI(PER IL MOMENTO)




18 dic 2016 11:12

SALA NEL SOTTOSCALA


- IL RIDICOLO CAPRICCIO DEL SINDACO DI MILANO FA SALTARE EVENTI E PURE IL CDA DELLA SCALA: DOMANI I SUOI AVVOCATI SARANNO IN PROCURA, DOPO AVER MESSO I MAGISTRATI CON LE SPALLE AL MURO PER AVER LASCIATO UNA CITTÀ SENZA GUIDA


- IL TUTTO PER UN’INCHIESTA CHE ERA STATA SILENZIATA DAL PATTO NAPOLITANO-BRUTI LIBERATI CHE IMPOSE LA PAX DELL’EXPO



1. MILANO, PARALISI IN COMUNE PER SALA PRIMA VITTIMA: SALTA IL CDA DELLA SCALA
Fabio Poletti per ‘La Stampa’


Sono passate 48 ore dalla decisione di Giuseppe Sala di autosospendersi e Milano già si ferma. Il cda della Scala convocato per domani è stato per il momento rinviato di 4 giorni. In discussione c' è il bilancio preventivo del 2017, uno degli atti più importanti dell' Ente lirico.

Non si sa ancora se nella seduta di venerdì a fare le veci di Giuseppe Sala ci sarà il vicesindaco Anna Scavuzzo che ha ricevuto tutte le deleghe o il consigliere anziano Francesco Micheli. Anna Scavuzzo nel suo primo giorno di interim giura che va tutto benissimo: «Giornata intensa, ma Milano è amministrata da una macchina articolata e quindi non sono da sola. Non era necessario autosospendersi, ma è una reazione nelle sue corde».

Intanto Sala viene invitato a riprendere le sue mansioni da 135 sindaci, attraverso una lettera il cui primo firmatario è Enzo Bianco, sindaco di Catania e presidente dell' Anci. «La decisione del nostro collega Beppe Sala di autosospendersi - si legge - è un gesto di grande sensibilità, pieno di dignità e orgoglio. Lo comprendiamo e lo rispettiamo. Ma gli chiediamo di riprendere la sua funzione».

I sindaci osservano che «Sala ha appreso (dalla stampa!) che la richiesta di proscioglimento avanzata dalla Procura di Milano non è stata accolta e che le indagini continuano. Rispettiamo sempre le decisioni della Magistratura, anche quando non appaiono convincenti. Tuttavia, se passa il messaggio che, di fronte al semplice avvio di una indagine, all' iscrizione nel registro degli indagati, un amministratore è gravemente indebolito nell' esercizio delle sue funzioni, si determinano gravi conseguenze».

A Milano in 2 giorni di autosospensione per 2 volte la poltrona del sindaco è stata vuota. Venerdì a un convegno della Cariplo. E pure ieri, alla chiusura della 3 giorni di confronto tra Comune e Fs sui progetti di ristrutturazione degli scali ferroviari milanesi.

Uno dei progetti più ambiziosi in discussione a Milano. Chiuso nella sua casa a Brera Giuseppe Sala continua a rimuginare sul da farsi. Il mantra che ripete a tutti è noto: «Voglio capire se la mia presenza è un bene o un danno per la città».

La prima ipotesi sembra prevalere nella sua testa. Ma solo quando riuscirà a parlare coi magistrati della Procura generale che lo hanno messo sotto inchiesta per falso ideologico e materiale il sindaco capirà meglio cosa fare. I suoi avvocati hanno già preso contatto. C' è chi giura che l' interrogatorio potrebbe avvenire domani.
Domani è invece in bilico il consiglio comunale. La decisione verrà presa solo dopo l' incontro tra i capigruppo. Filippo Barberis il capogruppo del Pd a Palazzo Marino fa l' ottimista: «Giuseppe Sala ha promesso di chiarire la sua posizione in pochi giorni. Noi siamo pronti ad andare avanti».

Le opposizioni finora sono state morbide con Sala. Non hanno chiesto la sua testa, ma anzi lo invitano a darsi da fare.

Gianluca Marco Comazzi, capogruppo di Forza Italia: «Il rischio vero è che Milano sia in balia dei venti. Con tutto l' affetto per il vicesindaco non si possono delegare a lei certe discussioni. Di sicuro non possiamo aspettare un mese».

Alessandro Morelli capogruppo leghista dà un ultimatum: «Le discussioni su certe delibere che coinvolgono Expo o il sindaco è meglio che vengano ritirate. Il sindaco ci faccia sapere entro la settimana cosa intende fare». Matteo Salvini, che è pure consigliere, fa fretta al sindaco: «Se ha la coscienza pulita si rimetta a lavorare perché Milano ha bisogno. Altrimenti si faccia da parte». È probabile che domani Sala non faccia né una cosa né l' altra.





2. I LEGALI DI MR EXPO AL LAVORO, DOMANI GIÀ IN PROCURA
Cristina Bassi per ‘il Giornale’


È un fine settimana di lavoro intenso, non c' è dubbio, per gli avvocati di Giuseppe Sala. Venerdì hanno ufficialmente potuto vedere la richiesta di proroga delle indagini sull' appalto per la Piastra di Expo 2015, le due scarne paginette che riportano il nome del sindaco di Milano tra quelli dei nuovi indagati (l' altro è l' imprenditore Paolo Pizzarotti). Sala è indagato per falso materiale e falso ideologico in concorso per aver - spiega un' informativa della Gdf del 2013 - da ad della società che ha organizzato l' Esposizione universale retrodatato illecitamente due verbali relativi alla sostituzione di altrettanti membri della commissione giudicatrice della gara per l' appalto più importante, quello andato poi alla Mantovani grazie a un ribasso montre del 42 per cento.

Nominato il difensore Salvatore Scuto, è partito lo studio delle carte in vista di un colloquio con il sostituto procuratore generale di Milano Felice Isnardi, lo stesso che il 10 novembre ha avocato l' inchiesta togliendola alla Procura della Repubblica, che invece ne aveva chiesto l' archiviazione. Archiviazione d' altro canto bocciata dal gip Andrea Ghinetti.


Dal terzo piano del Palazzo di giustizia è trapelata la massima disponibilità ad ascoltare Sala. Anche se è difficile che già domani il sindaco bussi alla porta del pg. È più probabile che si muovano prima i suoi avvocati con un incontro «esplorativo» con i magistrati per un chiarimento sulle esatte accuse mosse al loro assistito. Il documento con la richiesta di sei mesi di proroga delle indagini, fino al 10 giugno 2017, è molto preciso a riguardo. Elenca solo una ipotesi di reato per il primo cittadino con data e luogo di presunta commissione: Milano, 30 maggio 2012.


È vero anche però che Isnardi indaga da poco più di un mese e nulla gli vieta in futuro di formulare altre ipotesi. Capire dove andrà a parare sarebbe cruciale per i legali, per Sala e per il destino della città. Ma appare una missione quasi impossibile. L' interlocutore infatti è più che mai cauto e abbottonato. Dopo il primo colloquio, comunque, sarà fissato plausibilmente l' interrogatorio vero e proprio del sindaco indagato, che potrebbe svolgersi prima di Natale.


C' è poi il nodo della proroga delle indagini. Il gip Lucio Marcantonio ha tra i cinque e i sette giorni per accoglierla o no. Normalmente il via libera è considerato scontato.

L' avvocato Federico Cecconi, che difende Antonio Acerbo, uno degli indagati dell' inchiesta originaria partita nel 2012, è orientato a fare opposizione. E quelli di Sala? Anche tale aspetto viene valutato in queste ore, ma vista la vicenda praticamente inedita non è escluso il deposito di una memoria di opposizione - prevista per legge - pure da parte loro. Se ci saranno i sei mesi supplementari, starà poi al pg decidere: o stralciare la posizione di Sala da quella degli altri indagati e chiedere l' archiviazione.


Oppure, ed è lo scenario che sembra più probabile viste le iniziative fin qui adottate dalla Procura generale, prendersi tutto il tempo a disposizione per indagare e formulare la richiesta di rinvio a giudizio.

Intanto ieri sul Fatto l' ex aggiunto di Milano Alfredo Robledo, costretto al trasferimento dopo uno scontro con l' allora capo Edmondo Bruti Liberati proprio sui fascicoli di Expo, si compiace: «Finalmente uffici inquirenti milanesi ripristinano l' autonomia delle indagini. Nel 2014 alla Procura c' era stato un abbraccio mortale tra magistratura e politica». Mentre il Codacons invia una diffida al sindaco: decida in 15 giorni se riprendere l' incarico oppure dimettersi.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:57 minuti fa

"Se parlo qualcuno tremerà"
Rivelate le minacce di Marra

Patricia Tagliaferri




"Se parlo qualcuno tremerà". Rivelate le minacce di Marra

Nell'esposto della Raineri tutte le manovre anomale dell'ex vice capo di gabinetto ora finito dietro le sbarre
Patricia Tagliaferri - Dom, 18/12/2016 - 08:51

Diceva Raffaele Marra in Campidoglio: «Se parlo io qualcuno tremerà». Spavaldo, a tratti minaccioso, forte dell'appoggio della sindaca Virgina Raggi, che il suo ex vice capo di gabinetto arrestato per corruzione ha difeso contro tutto e tutti.

Anche contro Grillo, che gli chiedeva di mollarlo. Ora l'opportunità di parlare Marra ce l'ha, nel carcere di Regina Coeli, dove martedì verrà interrogato dal gip che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare. «Risponderà ai magistrati», garantisce il suo avvocato, Francesco Scacchia, che lo descrive «sorpreso» dalle accuse ma pronto a difendersi.

È Carla Rainieri, il giudice civile milanese che è stata capo di gabinetto del Comune di Roma dal 22 luglio al 31 agosto, a dipingere Marra come uno di cui non fidarsi nell'esposto presentato lo scorso 11 ottobre alla Procura di Roma dopo le sue dimissioni, lo stesso esposto in cui accusa la Raggi di aver proceduto illegittimamente alla promozione di Salvatore Romeo a capo della sua segreteria, nomina su cui stanno indagando i magistrati della capitale e che potrebbe costare un avviso di garanzia alla sindaca grillina. La Rainieri spiega ai pm di essere stata messa in guardia da alcuni ufficiali della Finanza che avevano collaborato con lei, sull'inopportunità di trattenere Marra - in passato anche lui nelle Fiamme Gialle - nel gabinetto del sindaco. E racconta di quando, venuto a sapere che lei non lo avrebbe riconfermato nel suo ruolo di vice, si arrabbiò molto, minacciando ritorsioni: «Non mi farò cacciare senza reagire», diceva Marra, oltre al già citato «se parlo io qualcuno tremerà».

Dalla denuncia sembra proprio che la Rainieri avesse già allora ben inquadrato il personaggio, colui che nella sua breve permanenza in Campidoglio non fu mai effettivamente il suo vice perché aveva il privilegio di riferire direttamente alla Raggi. Ricorda, il giudice milanese, di quando il braccio destro della sindaca andò nel suo ufficio nei primi giorni del suo insediamento a raccontargli le sue vicissitudini («un racconto ricco di suggestioni che a tratti rasentava la mitomania»), sbandierando un curriculum lungo così: «Mi disse di aver dovuto trasferire la moglie e i suoi quattro figli a Malta, perché minacciati dalla criminalità organizzata e di aver rinunciato alla scorta nonostante anch'egli a rischio incolumità». Ed in effetti gli investigatori hanno riscontrato che nel 2015 la moglie e i figli del fedelissimo della Raggi avevano trasferito la residenza nell'isola, ma alla ricerca di prove per ipotizzare l'accusa di riciclaggio si sono soffermati anche «sull'eventuale presenza, presso intermediari con sede a Malta, di rapporti a lui riconducibili». Perché i pm vogliono capire da dove sono arrivati tutti i soldi con cui Marra ha gestito le compravendite delle case acquistate dal costruttore Sergio Scarpellini, finito in carcere con lui, quello a cui ricordava, per mezzo di una collaboratrice e mentre era intercettato, che era «a disposizione». L'accusa, infatti, è proprio quella di aver messo a disposizione la sua funzione in cambio di regalie da parte dell'immobiliarista che aveva affari legati all'amministrazione capitolina. Ma sembra che Marra avesse interessi anche fuori dal Comune, nel settore nautico soprattutto. A Malta, infatti, i magistrati hanno individuato alcune operazioni di compravendita e di leasing su imbarcazioni sulle quali le indagini sono ancora in corso.
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