Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ADORATORI DEL "DIO" DOLLARO APPARTENGONO AD UNA RELIGIONE CHE NON FA PRIGIONIERI.

ALTRO CHE DLI SGOZZATORI DELL'ISIS.

QUESTI APPLICANO TRANQUILLAMENTE IL METODO CAZZANIGA



20 dic 2016 18:31

[b]I TASSISTI VOGLIONO IL BLACK

-OUT DI UBER - DOPO AVER BLOCCATO UBER-POP, ORA TAXI E NCC FANNO RICORSO D'URGENZA ANCHE CONTRO UBER BLACK, LA VERSIONE DI ''LUSSO'' CON AUTISTI PROFESSIONISTI: ''LA SITUAZIONE È FUORI CONTROLLO, CI SONO 15MILA AUTO CHE ARRIVANO DA TUTTA ITALIA''

- LA MULTINAZIONALE CHE VALE 62 MILIARDI DI DOLLARI PUNTA A ELIMINARE PURE I GUIDATORI CON VEICOLI CHE SI GUIDANO DA SOLI
[/b]





Giacomo Valtolina per il ''Corriere della Sera - Milano''


Tassisti e autisti Ncc uniti in Tribunale contro Uber. Con il ricorso cautelare d' urgenza per «concorrenza sleale» presentato nei giorni scorsi a Roma, è partita la «battaglia finale» alla multinazionale valutata 62 miliardi di dollari che, nelle intenzioni dei ricorrenti, dovrebbe concludersi con il blocco definitivo della app .

Dopo lo stop del giugno 2015 alle corse di Uberpop - che impiegava autisti senza licenza -, ora il fronte si sposta su Uberblack, il servizio che si avvale di conducenti con regolare autorizzazione Ncc (noleggio con conducente) ma contestato dai taxi poiché non rispetterebbe le condizioni che differenziano i due servizi, in particolare la prenotazione delle corse in autorimessa e il divieto di stazionamento in pubblica via (prerogativa delle auto bianche insieme con il tassametro).



Oltre alle associazioni sindacali, tra i ricorrenti ci sono sia cooperative e consorzi che uniscono i radiotaxi milanesi e romani, le due città dove è attivo Uberblack, sia società di Ncc, nonché singoli operatori titolari di licenza taxi o autorizzazione Ncc.



Sulla questione Uberblack, a monte, c' è una sentenza del Tribunale di Milano. Nel luglio 2015 il servizio era ritenuto «illegittimo» e «in contrasto con la normativa italiana» poiché «attraverso un sistema di geolocalizzazione» la app «realizza la medesima specifica modalità operativa del servizio di radiotaxi», violando così la norma che impone agli Ncc di iniziare il servizio «nella sede del vettore» e che vieta agli Ncc di «sostare sulla pubblica via in attesa dei clienti».


La notizia del ricorso d' urgenza, arrivata al Corriere, è stata confermata dai ricorrenti. «La situazione è ormai fuori controllo - spiega Pietro Gagliardi dell' Unione artigiani provinciale -: su Milano orbitano autisti Ncc in arrivo da tutta Italia, addirittura da paesini sperduti dell' Aspromonte. Speriamo di stimolare la magistratura. Anche perché i controlli sono difficili: come fanno quattro pattuglie a controllare 15 mila Ncc?».



L' azione cautelare ex articolo 700 cpc nasconde tuttavia delle insidie. Se il giudice non dovesse riconoscere l' urgenza, si rischia di iniziare una lunga battaglia legale. L' avvocato Marco Giustiniani, -che coordina il team dello studio legale Pavia e Ansaldo che si era occupato dell' analogo ricorso su Uberpop - spiega: «Non si è agito prima poiché si pensava che le precedenti decisioni dei giudici avrebbero dissuaso Uber e spinto il governo a intervenire».

Ma così non è stato. La conseguenza è che dopo gli scioperi selvaggi milanesi, tocca a Roma subire le crescenti tensioni, sfociate alla fine di novembre in una rissa all' aeroporto di Fiumicino quando un tassista volontario che indirizzava i turisti verso i «legal taxi» è stato preso a calci e pugni da autisti Ncc. Nella Capitale, peraltro, è attiva tutti i giorni una «linea U» a fermate e prezzo fissi, lungo la quale le berline nere si muovono come se fossero una linea del metrò.

A differenza del caso Uberpop, in cui la app agiva in Italia con quattro società olandesi e una italiana, per Uberblack lo schema è più semplice: tre società olandesi e una italiana (marketing), con le operazioni tutte in capo alla «madre» Uber Bv. «Operiamo in Italia solo con regolari autisti Ncc - replicano da Uber - offrendo loro un modo in più per raggiungere i clienti. Se un tempo non c' era alternativa tra prendere i taxi in piazza o prenotare Ncc via fax, oggi le persone possono affidarsi allo smartphone. Lavoreremo per difendere la nostra posizione».
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Lavoro & Precari

Poletti non può rimanere ministro: facciamolo sloggiare noi

di Stefano Feltri | 20 dicembre 2016

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Più informazioni su: Giovani, Giuliano Poletti, Governo Renzi, Voucher

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Lo so che occuparsi di politica è una fatica, che a vedere Giuliano Poletti ancora ministro dopo un referendum che – come gradito effetto collaterale – doveva abbattere il governo Renzi si ha l’ennesima conferma che siamo nel Paese del Gattopardo.

E so anche che molti di noi non hanno davvero più la forza di indignarsi per le parole perché l’indignazione è già consumata dai fatti, da governi che pensano ai pensionati invece che ai giovani, che liberalizzano i voucher togliendo persino la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato. Indebolire l’articolo 18 era anche lecito, ma solo in una prospettiva di contratto unico per tutti. Invece la precarietà è rimasta e il governo ha speso miliardi per fingere un boom dell’occupazione pagato carissimo dai contribuenti: 60.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro aggiuntivo rispetto all’anno precedente, secondo i calcoli della Cgil.

Lo so che c’è Natale e che molti di voi hanno di meglio da fare. Però Giuliano Poletti non può rimanere ministro del Lavoro di questo Paese. Se ne deve andare. Non domani, oggi. E se non lo caccia Matteo Renzi, perché deve simulare distanza da questo esecutivo teleguidato, o il nuovo premier Paolo Gentiloni, dobbiamo farlo sloggiare noi.

Smettiamola con questa idea che tocca sempre ad altri prendere l’iniziativa. Nel caso ve la foste persa, vi ricordo che cosa ha detto Giuliano Poletti ieri: “Bisogna correggere l’opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori. Se ne vanno 100mila, ce ne sono 60 milioni qui: sarebbe a dire che i 100mila bravi e intelligenti se ne sono andati e quelli che sono rimasti qui sono tutti dei pistola. Permettetemi di contestare questa tesi”. E poi ha argomentato, da par suo, in questo modo: “Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”.

Si è giustificato, ha detto di essersi espresso male. Io non credo. Si è espresso benissimo, con tutta la chiarezza che il suo livello culturale e il suo curriculum gli consentono. Ha detto quello che pensa. “Esprimersi male”, in casa Poletti, significa evitare l’ipocrisia di mascherare le proprie idee. Il ministro, invece, si è “espresso male” perché pensa male. E chi pensa come lui non può e non deve fare il ministro in questo Paese. Chi è convinto che i ragazzi che emigrano – per fare i ricercatori o i pizzaioli – lo facciano perché sono inquieti, troppo ambiziosi o irresponsabili non ha il diritto di incidere sulle politiche di occupazione in Italia.

In assenza di elezioni competitive, non ci sono molti modi per fermare Poletti o il partito che lo appoggia, il Pd. L’unico è farsi sentire. Già in altre fasi della storia repubblicana forti ondate di indignazione hanno spinto la politica a correggersi, penso per esempio al decreto “salvaladri” e al popolo dei Fax. Siamo pur sempre una democrazia, se centinaia di migliaia o milioni di persone considerano (con buoni argomenti) Poletti inadeguato a fare il ministro, qualcuno dovrà ascoltarci.

Scrivetelo nei vostri profili Faceboook, su Twitter: #PolettiVattene.
E mandate una mail al Ministero del Lavoro e a palazzo Chigi, mettendo in copia il Fatto Quotidiano (segreteria@ilfattoquotidiano.it). Potere usare questi indirizzi: ufficiostampa@lavoro.gov.it ; presidente@pec.governo.it o altri che trovate sul web. Noi pubblicheremo i vostri messaggi sul giornale.

Bisogna insistere. Finché Poletti non si dimette.
cielo 70
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da cielo 70 »

UncleTom ha scritto:ADORATORI DEL "DIO" DOLLARO APPARTENGONO AD UNA RELIGIONE CHE NON FA PRIGIONIERI.

ALTRO CHE DLI SGOZZATORI DELL'ISIS.

QUESTI APPLICANO TRANQUILLAMENTE IL METODO CAZZANIGA



20 dic 2016 18:31

[b]I TASSISTI VOGLIONO IL BLACK

-OUT DI UBER - DOPO AVER BLOCCATO UBER-POP, ORA TAXI E NCC FANNO RICORSO D'URGENZA ANCHE CONTRO UBER BLACK, LA VERSIONE DI ''LUSSO'' CON AUTISTI PROFESSIONISTI: ''LA SITUAZIONE È FUORI CONTROLLO, CI SONO 15MILA AUTO CHE ARRIVANO DA TUTTA ITALIA''

- LA MULTINAZIONALE CHE VALE 62 MILIARDI DI DOLLARI PUNTA A ELIMINARE PURE I GUIDATORI CON VEICOLI CHE SI GUIDANO DA SOLI
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Giacomo Valtolina per il ''Corriere della Sera - Milano''


Tassisti e autisti Ncc uniti in Tribunale contro Uber. Con il ricorso cautelare d' urgenza per «concorrenza sleale» presentato nei giorni scorsi a Roma, è partita la «battaglia finale» alla multinazionale valutata 62 miliardi di dollari che, nelle intenzioni dei ricorrenti, dovrebbe concludersi con il blocco definitivo della app .

Dopo lo stop del giugno 2015 alle corse di Uberpop - che impiegava autisti senza licenza -, ora il fronte si sposta su Uberblack, il servizio che si avvale di conducenti con regolare autorizzazione Ncc (noleggio con conducente) ma contestato dai taxi poiché non rispetterebbe le condizioni che differenziano i due servizi, in particolare la prenotazione delle corse in autorimessa e il divieto di stazionamento in pubblica via (prerogativa delle auto bianche insieme con il tassametro).



Oltre alle associazioni sindacali, tra i ricorrenti ci sono sia cooperative e consorzi che uniscono i radiotaxi milanesi e romani, le due città dove è attivo Uberblack, sia società di Ncc, nonché singoli operatori titolari di licenza taxi o autorizzazione Ncc.



Sulla questione Uberblack, a monte, c' è una sentenza del Tribunale di Milano. Nel luglio 2015 il servizio era ritenuto «illegittimo» e «in contrasto con la normativa italiana» poiché «attraverso un sistema di geolocalizzazione» la app «realizza la medesima specifica modalità operativa del servizio di radiotaxi», violando così la norma che impone agli Ncc di iniziare il servizio «nella sede del vettore» e che vieta agli Ncc di «sostare sulla pubblica via in attesa dei clienti».


La notizia del ricorso d' urgenza, arrivata al Corriere, è stata confermata dai ricorrenti. «La situazione è ormai fuori controllo - spiega Pietro Gagliardi dell' Unione artigiani provinciale -: su Milano orbitano autisti Ncc in arrivo da tutta Italia, addirittura da paesini sperduti dell' Aspromonte. Speriamo di stimolare la magistratura. Anche perché i controlli sono difficili: come fanno quattro pattuglie a controllare 15 mila Ncc?».



L' azione cautelare ex articolo 700 cpc nasconde tuttavia delle insidie. Se il giudice non dovesse riconoscere l' urgenza, si rischia di iniziare una lunga battaglia legale. L' avvocato Marco Giustiniani, -che coordina il team dello studio legale Pavia e Ansaldo che si era occupato dell' analogo ricorso su Uberpop - spiega: «Non si è agito prima poiché si pensava che le precedenti decisioni dei giudici avrebbero dissuaso Uber e spinto il governo a intervenire».

Ma così non è stato. La conseguenza è che dopo gli scioperi selvaggi milanesi, tocca a Roma subire le crescenti tensioni, sfociate alla fine di novembre in una rissa all' aeroporto di Fiumicino quando un tassista volontario che indirizzava i turisti verso i «legal taxi» è stato preso a calci e pugni da autisti Ncc. Nella Capitale, peraltro, è attiva tutti i giorni una «linea U» a fermate e prezzo fissi, lungo la quale le berline nere si muovono come se fossero una linea del metrò.

A differenza del caso Uberpop, in cui la app agiva in Italia con quattro società olandesi e una italiana, per Uberblack lo schema è più semplice: tre società olandesi e una italiana (marketing), con le operazioni tutte in capo alla «madre» Uber Bv. «Operiamo in Italia solo con regolari autisti Ncc - replicano da Uber - offrendo loro un modo in più per raggiungere i clienti. Se un tempo non c' era alternativa tra prendere i taxi in piazza o prenotare Ncc via fax, oggi le persone possono affidarsi allo smartphone. Lavoreremo per difendere la nostra posizione».
Non capisco. Se uno deve contrastare il dominio delle multinazionali allora questa volta i taxisti hanno ragione.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LIBRE news



Chi ha detto che la nostra democrazia durerà per sempre?


Scritto il 21/12/16 • nella Categoria: idee Condividi Tweet


«In gran parte degli Stati liberal-democratici occidentali la sfiducia nella politica non è mai stata così alta».

Come restituire credibilità alla politica, rimettendola al centro della società? Bel problema.

«Anche perché la democrazia, che oggi riteniamo una conquista sociale scontata, scontata non lo è affatto», scrive Marco Moiso sul blog del “Movimento Roosevelt”, fondato da Gioele Magaldi nel tentativo di produrre un “risveglio”, trasversale, nella politica italiana.

Lo stesso Magaldi «definisce spesso la democrazia come un’anomalia storica», non certo una condizione stabile.


«E il rischio di una involuzione verso forme di post-democrazia è estremamente reale e attuale», concorda Moiso: «La storia è infatti piena di esempi di modelli di organizzazione sociale che si credevano stabili e immutabili, e che poi sono crollati nel giro di una notte», come ad esempio l’impero sovietico.


«La stessa cosa potrebbe succedere alle democrazie liberali».



Effetto-valanga: i “populismi” di oggi svelano che «la società che ha inventato il capitalismo (e ne ha beneficiato più di tutte le altre) sta votando contro il modello politico-economico liberista nato in seno al capitalismo».

Così, «molti populismi anti-sistema», anche involontariamente,
«stanno proprio favorendo chi è interessato ad una involuzione antidemocratica (o post-democratica) della società».

Stiamo vivendo una involuzione, scrive Moiso, in cui «le istituzioni pubbliche sono delegittimate e hanno secondaria importanza rispetto agli interessi finanziari».


L’analista del “Movimento Roosevelt” cita il professor Yascha Monk, docente di “government” ad Harvard: «E’ una delle giovani e autorevoli voci che stanno denunciando l’involuzione del sistema democratico di cui abbiamo goduto dal dopoguerra ad oggi».


Monk smentisce «una delle credenze più radicate nella politica occidentale», ovvero la convizione che «una volta che una nazione diventa una democrazia liberale, questa rimarrà tale».


Si chiama: teoria della “democratic consolidation”.

Ed è sbagliata, purtroppo.

Le ricerche di Monk «mostrano che la democrazia sta perdendo importanza agli occhi della collettività», tant’è vero che «oggi sempre meno persone considerano essenziale il vivere in uno Stato democratico».

A cosa si deve questa involuzione?

In primis, al carattere nuovamente autoereferenziale del potere, lontano e iraggiungibile, tornato di esclusivo appannaggio di un’élite inavvicinabile e ricchissima.

Marco Moiso rivolge uno sguardo al passato: fino al 1600, la politica (“arcana impèrii”), era prerogativa dell’aristocrazia.

«Con una nascente borghesia e la diffusione del pensiero empirista, John Locke cominciò a descrivere la proprietà come un qualcosa che sarebbe dovuto derivare dal lavoro e non più tramandata tramite ereditarietà».

In quest’ottica, in una società che avrebbe superato, almeno parzialmente, l’oligopolio dell’aristocrazia (l’Ancien Régime) e in cui il potere sarebbe andato ad un governo “laico”, c’era bisogno di un contratto sociale tra governanti e popolo: «Un contratto tramite il quale il governo avrebbe giustificato il proprio “avere” sulla base del proprio lavoro e dell’attività svolta».

Secondo questo patto, continua Moiso, il popolo dava al governo il potere (che Montesquieu avrebbe poi separato in legislativo, esecutivo e giudiziario); a sua volta, il governo si impegnava a lavorare nell’interesse del popolo.

Il pensiero di Locke fu poi in qualche modo sviluppato dal filosofo statunitense John Rawls, secondo cui «le ricchezze delle persone possono essere diverse nella misura in cui le differenze di ricchezza possono essere giustificate agli occhi del popolo in virtù di talenti, capacità e attività».


Oggi, dice Moiso, se guardiamo al vissuto di grande parte della popolazione occidentale, sembra che tutto questo sia venuto a mancare: «La percezione diffusa è che la politica sia nuovamente un “arcana impèrii” riservato a privilegiati, e che i politici non stiano più, come descritto dal contratto sociale, lavorando per la collettività, ma stiano facendo interessi terzi – quelli del mondo finanziario e di alcune potentissime lobbies (Locke)».

E in un momento in cui la politica «chiede alla popolazione di stringere la cinghia», accampando leggi economiche che si pretendono “universalmente valide e immutabili”, ecco che «la popolazione non giustifica più gli averi ed i benefici della classe politica», come previsto da Rawls.

Solo che fino a ieri la disaffezione portava al massimo «ad allontanarsi dalla politica», mentre oggi «il dissenso monta» in modo crescente, alimentato «dal confronto tra “ciò che doveva essere” e “ciò che è”».

Così esplode «una reazione di rabbia sociale, tendenzialmente caratterizzata da poca lungimiranza, che non attacca solo i politici ma la politica e le idee stesse».

Per questo, sostiene Moiso, «oggi vengono criticate le istituzioni, i governi, la politica, l’Unione Europea, lo Stato liberale e infine la democrazia stessa».

E’ cosi che «nasce, cresce e si rafforza un populismo che poggia su problemi reali ma che, puntando quasi con cecità a risolvere problemi nel brevissimo termine, rischia di distruggere anche quello Stato politico, democratico, rappresentativo e liberale che è la principale tutela dei diritti e del benessere dei cittadini».

Che fare? Serve uno sforzo immenso, per combattere le dirompenti emergenze sociali con credibilità ed efficacia: «C’è bisogno di riunire il dissenso cresciuto attorno alle nuove diseguaglianze e spiegare che la lotta per la democrazia sostanziale e per il benessere della popolazione ha bisogno di strategie di breve ma soprattutto di medio e lungo termine».

Bisogna quindi cominciare a pensare che «il campo di battaglia non può essere quello nazionale, perché la battaglia è globale».

Bisogna restituire dignità alla politica, certo, ripulendo le istituzioni. E chiarendo che «le regole economiche non sono leggi naturali universali, ma possono cambiare».

Servono nuove regole e nuovi indicatori economici, che dovranno «far avvicinare la ricchezza assoluta con il benessere dei cittadini».

Vi pare possibile, conclude Moiso, che oggi, «all’apice della nostra civiltà, e in assenza di scarsità, si debba vivere una involuzione economica così diffusa?».

Ogni catastrofe può accadere, se si archivia la politica e si ripiega su «un modello economico politico che predilige performances economiche numeriche al benessere sostanziale della collettività».
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ALLA FINESTRA OSSERVANDO L’ITALIA CHE CROLLA

• LIBRE news

Disgustoso Poletti, avete fatto di noi i camerieri d’Europa
Scritto il 21/12/16 • nella Categoria: idee Condividi


«Caro ministro Poletti, le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano».

Comincia con queste parole la lettera aperta che Marta Fana, ricercatrice impegnata a Parigi, ha affidato a “L’Espresso” dopo la sconcertante uscita dell’ex dirigente LegaCoop, ora membro dell’esecutivo Gentiloni: «Centomila giovani in fuga dall’Italia? Conosco gente che è bene non avere tra i piedi».

Poletti ha espresso in modo esplicito un pensiero che dimostra la ormai storica rassegnazione dell’ex sinistra al pensiero unico, quello del mercato, sancita da personalità come Tiziano Treu e Marco Biagi, che hanno firmato le tappe fondamentali della revoca dei diritti del lavoro, per poi arrivare allo scempio della riforma Fornero e al Jobs Act renziano.

«Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più – scrive Marta Fana – non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci. Parlo dei voucher, ministro».

L’Inps ha appena reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher.

Da quando Poletti è ministro, ne sono stati venduti oltre 265 milioni: «E’ sfruttamento. Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa».


Marta Fana si riferisce a un ragazzo di 21 anni, senza indennità per malattia perché «faceva il saldatore a voucher».

E aggiunge: «Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata.

Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere competitivi».

Quelli che sono rimasti, continua la lettera, sono coloro che per colpa di queste politiche si sono trovati in pochi anni a “generazione 1.000 euro al mese” a “generazione a 5.000 euro l’anno”.

«Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che molti se ne sono andati proprio per questo.

Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con orari lunghissimi e salari da fame.

Quelli che fanno i facchini per la logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché chiedevano diritti contro lo sfruttamento.

Sono quelli che un lavoro non l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”».

Sono gli stessi che «non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più spesso ci ritornano», perché il governo, come i precedenti,«invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi e prima ancora di approvare il piano casa».

È lo stesso governo che «spende lo 0% del Pil per il diritto all’abitare», e che «si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che garantisca a tutti dignità».

Marta Fana non si dichiara “redditista”, ma spiega: «A fronte di 17 milioni di italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta, mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà».

La colpa «è vostra», scrive la Fana: è colpa di voi politici, «che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci».

Il capolavoro? «Spostare quasi 20 miliardi dai salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio – tanto ci sono i voucher», per poi ridurre le tasse sui profitti.

«Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di lamentarci».

Il governo non crede nell’istruzione e nella cultura, vara “La Buona Scuola” ma taglia i fondi a scuola e università, e quindi spedisce il giovani a lavorare da McDonald’s: «Anche loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada – scrive la Fana a Poletti – chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa vita fa schifo.

Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo governo, questi giovani all’estero sono pagati».

Ma il peggio, continua la lettera al ministro, «è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis».

L’imbarazzante esternazione del ministro? «A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti».




E ancora: «Non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri».



Tutto questo «rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza».


In Italia, ormai, studia solo «chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara».

Insiste la Fana, rivolta a Poletti: «Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto».

Molti di questi genitori, poi, «con la crisi sono stati licenziati».

Finito il sussidio di disoccupazione, «potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero.

Chieda scusa a loro – insiste Marta Fana – perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno».

E aggiunge: «Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi».

No alla supremazia del mercato. «Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la “buona scuola”, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di artecipazione.

E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.

Costi quel che costi, noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro.



E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia».
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

GLI ALIENI ESISTONO??????

Dopo anni di resistenza in cui relegavo la presenza di alieni nell’universo conosciuto, nello scaffale delle fantasie che l’uomo si crea nel corso della sua esistenza, comincio a ricredermi.

Dopo gli insulti del Web, dopo le varie pubblicazioni sui quotidiani e dopo questa lettera, comincio ad avere il dubbio sul fatto che gli alieni esistono davvero e sono presenti tra noi.

Questo perché nessun essere umano, per quanto spregevole possa essere, di fronte all’ondata dei # Poletti vattene!!!, , #Poletti dimettiti!!, non sarebbe rimasto al suo posto, imperturbabile, ma si sarebbe dimesso.

Perché a tutto c’è un limite.

Ma solo un alieno avrebbe la forza di continuare il suo cammino con grande indifferenza come sta facendo Giuliano Poletti.

Non avere sentimenti e sensibilità umane, ti consentono di fare questo ed altro.

Ma sarà il solo fuggito dal campo 51??????????????


Area 51 - Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Area_51
senza fonte] Modifica dati su Wikidata · Manuale L' Area 51 , inizialmente chiamata "Nevada Test Site - 51" e successivamente ribattezzata con il nome attuale, fa ...
Geografia · Operazioni · Attività · Piste · Posizione del ...


La verità sull’Area 51 | Il Post
www.ilpost.it/2013/08/17/area-51-nevada
18/08/2013 · È stato reso pubblico un documento ufficiale che per la prima volta nomina la base: si parla poco di alieni, ma parecchio di aerei segreti Giovedì 15 ...
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

21 dic 2016 14:00

CERVELLI CHE NON FUGGONO: IL FIGLIO DI POLETTI FA IL DIRETTORE DELLE RIVISTE DELLE COOP, DIRETTE DAL PADRE PER ANNI E FINANZIATE CON MOLTI SOLDI PUBBLICI

- LE OPPOSIZIONI DEPOSITANO UNA MOZIONE DI SFIDUCIA CONTRO IL MINISTRO, ''COMPORTAMENTO INADEGUATO AL RUOLO, AFFERMAZIONI GRAVISSIME''



1. LAVORO: DEPOSITATA MOZIONE SFIDUCIA CONTRO POLETTI

(ANSA) - E' stata depositata questa mattina al Senato una mozione di sfiducia nel confronti del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, firmata dai senatori di Sinistra italiana, del M5S, della Lega e di alcuni senatori del Gruppo Misto. Lo rende noto un comunicato dell'ufficio stampa di Sinistra italiana al Senato. Il Ministro - si legge nella mozione - "ha nelle ultime settimane dato riprova di un comportamento totalmente inadeguato al suo ruolo, esprimendosi in più di un'occasione con un linguaggio discutibile e opinioni del tutto inaccettabili".


In particolare - si legge nella nota di Sinistra Italiana - la mozione di sfiducia ricorda la dichiarazione "inaccettabile e che compromette la libertà di voto dei cittadini" del Ministro Poletti sulla possibilità di evitare il referendum sul Jobs Act grazie allo scioglimento delle Camere e alla convocazione delle elezioni politiche, e le "affermazioni gravissime" dello stesso Ministro sui giovani italiani costretti a cercare lavoro all'estero.



2. POLETTI JR. NON EMIGRA: LAVORA NEL FEUDO DI PAPÀ E PRENDE SOLDI PUBBLICI
Paolo Bracalini per il Giornale



Tra i milioni di giovani rimasti in Italia, a riprova che «non è che qui sono rimasti solo i pistola» come sostiene il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (contro cui il M5s presenterà una mozione di sfiducia), c' è anche suo figlio, Manuel Poletti.


Poletti jr, uno dei due pargoli dell' ex presidente di Legacoop, non ha mai sentito la necessità di partire per l' estero per cercare un impiego fuori dall' Italia, unendosi così a quell' esercito di espatriati che, sempre citando il ministro, in molti casi «è bene che stia dove è andata perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Manuel Poletti, infatti, si è inserito bene nel mondo del lavoro, traducendo la sua passione per il giornalismo in una brillante carriera, già direttore poco più che trentenne.

Prima il figlio di Giuliano Poletti, ex segretario del Pci di Imola e poi consigliere Pds alla Provincia di Bologna, è stato preso dall' Unità (quotidiano organo del Pci-Ds-Pd) come corrispondente da Imola. Tempo di farsi le ossa come cronista, e Poletti jr riesce a fare il balzo. Dove? Nel mondo delle coop rosse, fiorente industria soprattutto nella rossa Emilia Romagna. Una passione che spesso si tramanda in famiglia, ed è proprio quel che è successo in casa Poletti.


Dopo l' Unità, il figlio del ministro Poletti (che, a riprova che le occasioni in Italia si trovano se ci si impegna, è ministro del Lavoro col diploma di perito agrario) è passato a guidare alcuni settimanali locali controllati da cooperative associate a Legacoop, la potente associazione che proprio suo padre ha presieduto per più di dieci anni, dal 2002 al 2014, prima di essere chiamato a Roma dal premier Renzi.

Attualmente Poletti jr è presidente di Media Romagna soc.coop., una cooperativa che fa parte di LegaCoop Romagna.



La coop del figlio del ministro si occupa di comunicazione, ed edita un giornale di cui è direttore lo stesso Manuel Poletti, SetteSereQui, nato dalla fusione di tre precedenti testate della provincia di Ravenna. Come cooperativa editoriale, il gironale di Poletti jr ha ottenuto i contributi pubblici all' editoria. Parecchi: 191mila euro nel 2015, 197mila nel 2014, e 133mila nel 2013.

Più di mezzo milione di euro in tre anni. «In questa veste di imprenditore-cooperatore, oltre che di socio e lavoratore della sua cooperativa, Manuel Poletti sta seguendo in parte le orme del padre muovendo passi importanti all' interno di Legacoop Romagna - scriveva Italia Oggi -. È lui infatti a guidare il neonato network ribattezzato Treseiuno, una rete di cooperative romagnole attive nei settori della comunicazione e dell' informatica nata con lo scopo di fare massa critica e intercettare nuovi mercati e possibilità di sviluppo».



L' obiettivo del network di coop lo ha spiegato lo stesso Poletti jr al notiziario associativo Romagna Cooperativa: «Proporci come fornitori di servizi avanzati ad associazioni e imprese. E non solamente del mondo cooperativo». In particolare si punta a fornire servizi a «Fico», la grande «Fabbrica italiana contadina» di Bologna progettata dal gruppo Eataly di Oscar Farinetti, grande sponsor del Pd di Renzi, di cui Poletti senior è stato (ed è ancora, con Gentiloni) ministro.


Incroci inevitabili, coincidenze fatali, a prescindere dal sicuro merito e impegno dietro alle carriere. Così come sarebbe malevolo voler vedere per forza un marchio parentale anche nella linea politica del giornale-coop diretto dal figlio del ministro-ex Legacoop. Ad esempio sul referendum, il direttore Poletti jr ha firmato un editoriale-appello il giorno prima del voto: «Basta un Sì per un Paese migliore». Disdetta per la famiglia Poletti, ha stravinto il No. Si vede che non sono andati via abbastanza buoni a nulla.
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Fuga cervelli, mozione di sfiducia contro Poletti
E i giovani Pd attaccano: “No a scuse, si dimetta”

Il testo presentato da M5s, Lega e Si dopo le esternazioni del ministro: “Comportamento inadeguato”
200 dem under 30 firmano una lettera: “Leggerezza e superficialità”. Lui: “Dimissioni? No” (video)
Politica
“Giovani italiani vanno all’estero? Alcuni meglio non averli tra i piedi”. Prima la valanga di messaggi sui social che chiedeva le dimissioni del ministro, poi la stessa richiesta dai Giovani democratici. Ora il caso delle dichiarazioni sui giovani italiani all’estero di Giuliano Poletti (leggi) è approdato in Parlamento. I senatori di Sinistra italiana, di M5S, Lega e alcuni del Gruppo Misto hanno depositato una mozione di sfiducia nei confronti del ministro del Lavoro perché “ha nelle ultime settimane dato riprova di un comportamento totalmente inadeguato al suo ruolo”
di F. Q.


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Poletti e italiani all’estero: mozione di sfiducia di M5s, Sinistra italiana e Lega. I Giovani dem: “Si dimetta”


Politica


E' stata depositata dopo le parole del ministro che aveva detto: "Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Sinistra italiana: "Inadeguato al ruolo". Il documento dei Giovani dem firmato da oltre 200 iscritti under 30, molti dei quali sono amministratori locali. "Lei è l’ennesima persona che ha trattato con leggerezza e superficialità la difficile situazione dell’occupazione giovanile in questo paese"

di F. Q. | 21 dicembre 2016


Testo + video:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... a/3274464/
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Bastardi senza gloria, Tarantino e i valorosi cavalieri del Tav

Scritto il 21/12/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile della storia del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.

Non sarà mai un set di Tarantino, il Parlamento. Lo conferma il tenore dei commenti dei lettori del “Fatto Quotidiano” all’indomani del voto, a cui si sono inutilmente opposti i 5 Stelle, agitando in aula i fazzoletti NoTav. Il clima è quello che è logico attendersi dopo il referendum del 4 dicembre e il bluff di Pinocchio-Renzi sul suo addio alla politica. Scrive “Così è se vi pare”: «Scusate, ma dopo le dimissioni di Renzi, l’unica priorità della nazione non era la legge elettorale e poi tutti al voto?». E Mara: «Fra 20 anni saranno tutti lì a condannare la schifosa mangianza politica su un’opera già inutile in partenza. Tanto paghiamo noi. E il Pd, al solito, fa la parte del pescecane». La cosa più divertente, scrive Francesco, «è che la Francia non ritiene prioritaria l’opera, non ha nemmeno fissato una data di avvio lavori (ad oggi sono partiti solo i lavori esplorativi) e a quanto pare li avvieranno solo in vista della saturazione della linea attuale…. Cioè, probabilmente, mai». Scherza Mario Poillucci: «Non siate così drastici e intransigenti nei vs commenti!! Bisogna capirli! Le mafie hanno fame! Senza il banchetto luculliano delle olimpiadi cosa resta?».

«Vergognosi», sentenzia “Viva Sankara”. «Poi fomentano casi come quello di Roma cercando di mettere in cattiva luce la Raggi e il M5S. Quelli di “sinistra” sono ormai il trastullo delle mafie più patetiche. Ma la colpa di tutto ciò è della base Pd che non si ribella». E, intanto, come andiamo dalle parti di Amatrice? «Ai terremotati quanti soldi?», domanda “Luca Z”. E Andrea Magnaghi, sul traforo in valle di Susa: «Solo 8 miliardi? Se ne spendiamo 15 siamo fortunati». Dunque, fa eco “Zio68”, «tipo il Mose che doveva costare 1 e siamo a 6?». Risponde “Bquadro”: «Costi stimati: 8,3 miliardi. A fine lavori saranno 25!». Ribadisce “Giftzwerg”: «La Tav non serve, l’Italia non lavora, non c´è piú niente da esportare. Hanno esportatto le aziende». E Luca: «Vediamo il lato positivo. I piddins potrebbero prendere questo treno per andarsene a fare danni in un altro paese una volta perse le prossime elezioni». Chiosa Riccardo Revilant: «Questa è l’Italia, un paese con le pezze al culo che non disdegna di spendere miliardi in opere “assolutamente irrinunciabili” ma casualmente con sistematiche infiltrazioni mafiose, costi esorbitanti mai pianificati a dovere e sempre lievitati, studi “contro” che dimostrano l’assurdità dell’opera che verrà comunque fatta».
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ALLA FINESTRA, OSSERVANDO L’ITALIA CHE CROLLA










Roberto Formigoni condannato a sei anni per corruzione e associazione a delinquere


Giustizia & Impunità



L'ex presidente della Regione Lombardia, attuale senatore Ncd e presidente della Commissione agricoltura, riconosciuto colpevole in primo grado per i casi San Raffaele e Maugeri, due fra i maggiori scandali della sanità regionale. Disposti anche sei anni di interdizione dai pubblici uffici e il pagamento di tre milioni al Pirellone, in solido con i coimputati Daccò (nove anni e due mesi) e Simone (otto anni e otto mesi). Sette anni a Passerino, ex direttore della clinica pavese. Le "utilità" ricevute dal "Celeste" in cambio di finanziamenti pubblici per 200 milioni alle strutture private stimate dai pm Pedio e Pastore in 8 milioni, tra vacanze e contanti

di Giovanna Trinchella | 22 dicembre 2016

commenti ()


L’ex presidente della Lombardia, e senatore di Ncd, Roberto Formigoni è stato condannato a 6 anni di carcere per associazione a delinquere e corruzione. Lo ha deciso la decima sezione penale del Tribunale di Milano nel processo sul caso Maugeri e San Raffaele per il quale l’ex numero uno del Pirellone era imputato con altre 9 persone. La sentenza, letta nella maxi aula della Prima Corte d’Assise d’Appello, la stessa dei processi a carico di Silvio Berlusconi, arriva otto mesi dalla richiesta di pena, quantificata dai pm in nove anni.

Per il “Celeste”, alla guida della Regione ininterrottamente dal 1995 al 2013, già democristiano ed esponente di Forza Italia di osservanza ciellina, poi approdato fra gli alfaniani, i giudici hanno disposto anche sei anni di interdizione dai pubblici uffici. Il tribunale ha condannato Formigoni in solido con Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio Simone – coimputati al processo, entrambi ciellini – a versare una provvisionale complessiva alla Regione Lombardia di 3 milioni di euro. Daccò è stato condannato a 9 anni e 2 mesi (l’accusa aveva chiesto 8 anni e 8 mesi) e Simone a 8 anni e 8 mesi come chiesto dalla Procura milanese. Condannati anche l’ex direttore amministrativo della Maugeri, Costantino Passerino, a 7 anni, e l’imprenditore Carlo Farina a 3 anni e 4 mesi.

Il tribunale ha disposto la confisca di circa 6,6 milioni di euro, tra cui la quota del 50% di proprietà di una villa in Sardegna il cui acquisto era stato uno dei punti al centro dell’inchiesta. I giudici hanno deciso il trasferimento di quelle quote in capo allo storico amico di Formigoni, Alberto Perego, assolto oggi insieme ad altri quattro imputati, compresa l’ex moglie di Daccò Carla Vites.

L’accusa: “Corrotto con viaggi e vacanze”, la difesa: “Un teorema”
Per l’accusa il faccendiere Pierangelo Dacco‘, già condannato nel processo San Raffaele, e l’ex assessore lombardo Antonio Simone sarebbero stati “il borsellino” attraverso cui l’allora governatore avrebbe goduto di una serie di benefit di lusso, tra cui “viaggi ai Cairabi e barche con tanto di champagne a bordo”. In questo modo il Celeste, per i pm di Milano Laura Pedio e Antonio Pastore, era “capo” di un “gruppo criminale” che avrebbe “sperperato 70 milioni di euro di denaro pubblico con un grave danno al sistema sanitario”. Soldi tolti ai malati per i suoi sollazzi, grazie a “corruzione sistemica durata 10 anni”. Soldi “rubati, rubati ai malati della Regione Lombardia, soldi pubblici che erano destinati a curare malattie, ad accorciare liste di attesa, ad aumentare posti letto, a comprare farmaci… – aveva detto il pm -. E anche i soldi con cui è stato costruito un ospedale in Cile per i bambini cerebrolesi sono stati rubati ad altri malati”.

Formigoni né da indagato né da imputato, come era suo diritto, si è fatto interrogare, ma per gli inquirenti durante le dichiarazioni spontanee, in cui affermava che i suoi atti erano legittimi e incontestabili bollando come un teorema le ricostruzione della Procura di Milano, ha “mentito”. Ed è venuto a farlo, aveva aggiunto il pm Pedio, “qua in aula da senatore della Repubblica e da presidente della Commissione Agricoltura”.

Secondo l’accusa, dalle casse della Fondazione Maugeri – il cui ex presidente Umberto Maugeri – ha patteggiato una pena a sarebbero usciti circa 61 milioni di euro tra il ’97 e il 2011 e dalle casse del San Raffaele, tra il 2005 e il 2006, altri nove milioni di euro. Tutti soldi che sarebbero confluiti sui conti e sulle società di Daccò e Simone, considerati i collettori di quelle tangenti fatte di giornate in barche e flûte, di cene e vacanze, quantificate in circa otto milioni di euro. E lui in cambio, sempre secondo l’accusa, avrebbe favorito la Maugeri e il San Raffaele con atti di Giunta garantendogli rimborsi per 200 milioni di euro.

Formigoni, l’amico Perego e la villa in Sardegna
Formigoni, assieme all’amico di una vita e anche lui tra i ‘memores domini’, Alberto Perego, avrebbe avuto “i poteri di armatore” su tre yacht che, uno dietro l’altro, Dacco’ gli avrebbe messo a disposizione per il suo “uso esclusivo”, con tanto di “cabine riservate” e “marinai” a disposizione per un totale di circa 4,7 milioni di euro. Oltre, poi, a cinque viaggi ai Caraibi interamente pagati, a un finanziamento da 600mila euro per una campagna elettorale nel 2010, alle cene per la quali Formigoni “non sborsava come al solito neanche un centesimo”. Dacco’ avrebbe garantito, a detta dei pm, a Formigoni e al suo “prestanome” Perego un maxisconto da 1,5 milioni di euro sull’acquisto di una villa in Sardegna non potendo Perego pagare “il mutuo da oltre 6mila euro”, l’ex numero uno del Pirellone nel dicembre del 2010 lo nominò, hanno ricostruito i pm, come membro del cda dell’Istituto nazionale di genetica molecolare garantendogli cosi’ “uno stipendio superiore ai 100mila euro all’anno”.

Pm: “I conti correnti silenti di Formigoni che non si comprava neanche un vestito”
Durante la requisitoria il pm aveva descritto anche una scena definita “agghiacciante”. Quella di un Presidente che consegna buste di contanti a un direttore di banca nel Palazzo della Regione e si raccomanda di non versarli sul suo conto ma su un conto di ‘transito'”. Formigoni, infatti, sempre secondo i pm, avrebbe goduto anche di “parte di quegli milioni di euro in contanti”‘ di Dacco’. Tra il 2002 e il 2012, invece, “i conti del Presidente sono rimasti silenti” perché, aveva detto il pm Pedio, “lui non si comprava neanche un vestito, non si pagava neanche un aereo per andare in Sardegna a godersi la sua bella barca”.

di Giovanna Trinchella | 22 dicembre 2016
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