Re: quo vadis PD ????
Inviato: 23/03/2013, 20:42
’Unità 23.3.13
I timori del Pd. «La via greca sarebbe disastrosa»
Fassina: «L’agenda liberista alimenta i populismi»
Ma i renziani aprono al governo istituzionale
Delrio: «Se Bersani non ce la fa e il Colle chiede un accordo con il Pdl...»
di Andrea Carugati
ROMA Non è solo l’«impresentabilità» di un Pdl ancora lontano da un ricambio di leadership a sconsigliare ai democratici di prendere in considerazione la strada delle larghe intese.
C’è anche il fantasma del Pasok greco a motivare quel no a una grande coalizione che fuori dal Palazzo è assai ben compreso.
Ma che dentro le stanze della politica, talvolta, viene letto come un irrigidimento del Pd e in particolare del suo segretario fresco di incarico per formare il nuovo governo.
In Grecia, dal giugno 2012, il partito socialista Pasok è alleato dei conservatori in un governo di coalizione, ma è indubbio che proprio quel partito ha pagato il prezzo più alto rispetto alle tensioni sociali che attraversano il Paese e alla rabbia verso le misure imposte dall’Europa.
Ecco, quella è la la strada che dentro il Pd viene esclusa con forza. «Noi stiamo cercando di evitare quello scenario, e l’unica strada è quella di un governo di cambiamento, non un governo tecnico o le larghe intese che abbiamo già sperimentato nell’ultimo anno», spiega Miguel Gotor, senatore Pd.
«L’Italia è come un aereo in stallo, o si riesce a mettere la benzina giusta per fare uno scatto o altrimenti c’è il rischio di precipitare. E la benzina è solo un governo che coniughi cambiamento e responsabilità», prosegue Gotor.
«L’Italia è in una crisi di sistema che può risolvere solo la politica, la tecnica è una carta che è già stata utilizzata e la Grande coalizione non è percorribile perché non siamo la Germania, e lo scenario che esce dalle urne non è quello di due grandi partiti ma tripolare».
Secondo Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, pesa anche il fattore Berlusconi.
«È inutile negare che la destra italiana ha una sua specificità, che riguarda il suo leader, con tutti i noti problemi che comporta.
Ma il motivo principale del nostro no riguarda l’agenda che è stata sperimentata in questo ultimo anno, che ha aggravato i problemi economici e sociali.
Su quella strada, il liberismo avvolto da un mantello tecnocratico, si fornirebbe ulteriore alimento ai populismi», spiega Fassina.
«Se il Pd imboccasse quella strada rischierebbe di finire condannato alla marginalità, come è successo al Pasok.
Quell’agenda è stata bocciata dagli elettori, non per i sacrifici, ma perché non c’era luce in fondo al tunnel».
Concorda anche Pippo Civati: «Le larghe intese le abbiamo già sperimentate con Monti e abbiamo visto i risultati... per questo sono contrario a ulteriori pasticci trasversali.
E anche perché, in quel modo, non saremmo in grado di dare risposte credibili al Paese: non sull’economia e certamente non sulla moralizzazione della vita pubblica, ma neppure su una nuova legge elettorale che il Cavaliere ha boicottato negli ultimi mesi della scorsa legislatura.
Anche il presidente Napolitano, del resto, ha evidenziato le grandi criticità di un’ipotesi del genere».
Quanto al Pd, dice Civati, «basta parlare con i nostri elettori per capire che quella scelta avrebbe effetti devastanti».
Antonello Giacomelli, braccio destro di Franceschini, immagina una strada intermedia tra il «muro contro muro» con il Pd e «un grande abbraccio» con il partito del Cavaliere.
«C’è una differenza importante tra la responsabilità dell’azione di governo, che deve essere chiara, e la corresponsabilità che è necessaria quando si parla di riforme costituzionali e delle regole», spiega.
«Sarebbe un errore se i partiti tradizionali si arroccassero nel fortino di un governo privo di una chiarezza di linea.
Questo non vuol dire che ci presentiamo con un atteggiamento autosufficiente».
Tra i renziani, invece, l’ipotesi di larghe intese viene presa in considerazione.
«Se Bersani non ce la facesse e il presidente della Repubblica proponesse un governo istituzionale che faccia alcune cose anche col Pdl, non mi vergognerei di questo» spiega Graziano Delrio.
«La cosa peggiore che il Pd può fare è guardarsi l’ombelico, pensare a speculazioni di breve periodo per poter andare ancora alle elezioni e incattivire il Paese.
Abbiamo fatto dei sacrifici: è giusto che non vadano dispersi per capricci, correnti o calcoli». Matteo Richetti, uno degli uomini più vicini al sindaco di Firenze, spiega: «Non si può pensare che la proposta che Bersani farà al Parlamento sia interdetta preventivamente a qualcuno, neppure al Pdl».
I timori del Pd. «La via greca sarebbe disastrosa»
Fassina: «L’agenda liberista alimenta i populismi»
Ma i renziani aprono al governo istituzionale
Delrio: «Se Bersani non ce la fa e il Colle chiede un accordo con il Pdl...»
di Andrea Carugati
ROMA Non è solo l’«impresentabilità» di un Pdl ancora lontano da un ricambio di leadership a sconsigliare ai democratici di prendere in considerazione la strada delle larghe intese.
C’è anche il fantasma del Pasok greco a motivare quel no a una grande coalizione che fuori dal Palazzo è assai ben compreso.
Ma che dentro le stanze della politica, talvolta, viene letto come un irrigidimento del Pd e in particolare del suo segretario fresco di incarico per formare il nuovo governo.
In Grecia, dal giugno 2012, il partito socialista Pasok è alleato dei conservatori in un governo di coalizione, ma è indubbio che proprio quel partito ha pagato il prezzo più alto rispetto alle tensioni sociali che attraversano il Paese e alla rabbia verso le misure imposte dall’Europa.
Ecco, quella è la la strada che dentro il Pd viene esclusa con forza. «Noi stiamo cercando di evitare quello scenario, e l’unica strada è quella di un governo di cambiamento, non un governo tecnico o le larghe intese che abbiamo già sperimentato nell’ultimo anno», spiega Miguel Gotor, senatore Pd.
«L’Italia è come un aereo in stallo, o si riesce a mettere la benzina giusta per fare uno scatto o altrimenti c’è il rischio di precipitare. E la benzina è solo un governo che coniughi cambiamento e responsabilità», prosegue Gotor.
«L’Italia è in una crisi di sistema che può risolvere solo la politica, la tecnica è una carta che è già stata utilizzata e la Grande coalizione non è percorribile perché non siamo la Germania, e lo scenario che esce dalle urne non è quello di due grandi partiti ma tripolare».
Secondo Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, pesa anche il fattore Berlusconi.
«È inutile negare che la destra italiana ha una sua specificità, che riguarda il suo leader, con tutti i noti problemi che comporta.
Ma il motivo principale del nostro no riguarda l’agenda che è stata sperimentata in questo ultimo anno, che ha aggravato i problemi economici e sociali.
Su quella strada, il liberismo avvolto da un mantello tecnocratico, si fornirebbe ulteriore alimento ai populismi», spiega Fassina.
«Se il Pd imboccasse quella strada rischierebbe di finire condannato alla marginalità, come è successo al Pasok.
Quell’agenda è stata bocciata dagli elettori, non per i sacrifici, ma perché non c’era luce in fondo al tunnel».
Concorda anche Pippo Civati: «Le larghe intese le abbiamo già sperimentate con Monti e abbiamo visto i risultati... per questo sono contrario a ulteriori pasticci trasversali.
E anche perché, in quel modo, non saremmo in grado di dare risposte credibili al Paese: non sull’economia e certamente non sulla moralizzazione della vita pubblica, ma neppure su una nuova legge elettorale che il Cavaliere ha boicottato negli ultimi mesi della scorsa legislatura.
Anche il presidente Napolitano, del resto, ha evidenziato le grandi criticità di un’ipotesi del genere».
Quanto al Pd, dice Civati, «basta parlare con i nostri elettori per capire che quella scelta avrebbe effetti devastanti».
Antonello Giacomelli, braccio destro di Franceschini, immagina una strada intermedia tra il «muro contro muro» con il Pd e «un grande abbraccio» con il partito del Cavaliere.
«C’è una differenza importante tra la responsabilità dell’azione di governo, che deve essere chiara, e la corresponsabilità che è necessaria quando si parla di riforme costituzionali e delle regole», spiega.
«Sarebbe un errore se i partiti tradizionali si arroccassero nel fortino di un governo privo di una chiarezza di linea.
Questo non vuol dire che ci presentiamo con un atteggiamento autosufficiente».
Tra i renziani, invece, l’ipotesi di larghe intese viene presa in considerazione.
«Se Bersani non ce la facesse e il presidente della Repubblica proponesse un governo istituzionale che faccia alcune cose anche col Pdl, non mi vergognerei di questo» spiega Graziano Delrio.
«La cosa peggiore che il Pd può fare è guardarsi l’ombelico, pensare a speculazioni di breve periodo per poter andare ancora alle elezioni e incattivire il Paese.
Abbiamo fatto dei sacrifici: è giusto che non vadano dispersi per capricci, correnti o calcoli». Matteo Richetti, uno degli uomini più vicini al sindaco di Firenze, spiega: «Non si può pensare che la proposta che Bersani farà al Parlamento sia interdetta preventivamente a qualcuno, neppure al Pdl».