Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Da facebook un post di Francesco Erspamer
"Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché
il governo non cede. Come in Romania.
Come ci si riprende un partito di sinistra diventato liberista? Opponendo nelle strade,
in decine di migliaia e per settimane, la sua Loi Travail (in italiano: Jobs Act), costringendo
i suoi dirigenti a sputtanarsi.
Come in Francia. In Italia, niente. Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò
la gente per strada; ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.
I liberisti e i corrotti sanno benissimo che, qualunque cosa facciano, gli italiani si piegheranno.
Oh, certo, lamentandosi molto; ma di tutti indifferentemente, ossia di nessuno, e preferibilmente
a telecomando, ossia per ciò che i media gli propongono quel giorno (quasi sempre le malefatte
di Virginia Raggi e della sua giunta; se non ci fossero loro l'Italia evidentemente sarebbe un paradiso).
Disoccupazione? Precariato? Favoritismi? Sprechi e ruberie? Privatizzazioni selvagge?
Evasione fiscale dei ricchi e delle multinazionali e accanimento fiscale contro il piccolo commercio
e le piccole imprese? Malasanità? Dissesto del territorio? Non scompariranno per conto loro ma
neppure sono inevitabili. Votare contro non si può o comunque non basterebbe; ma basterebbe un
mese di lotta dura e di massa, nelle strade e nelle piazze, non sui social. Contro il governo,
i partiti di governo, la casta, i centri di potere, finché non mollano. Non vi va? Comprensibile;
ma smettetela di credere che la colpa sia degli altri." (Francesco Erspamer)
“Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché il governo non cede.
Come in Romania.” (...)“Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò la gente per strada;
ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.”
Non è difficile tenerci buoni a noi italiani: basta poco.
Anche la Romania ci sta dando lezioni di determinazione sconosciuta a noi italiani.
Tutti, o quasi tutti, ce la prendiamo con gli immigrati, non è che questi “barbari” potrebbero
rappresentare la salvezza.
"Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché
il governo non cede. Come in Romania.
Come ci si riprende un partito di sinistra diventato liberista? Opponendo nelle strade,
in decine di migliaia e per settimane, la sua Loi Travail (in italiano: Jobs Act), costringendo
i suoi dirigenti a sputtanarsi.
Come in Francia. In Italia, niente. Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò
la gente per strada; ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.
I liberisti e i corrotti sanno benissimo che, qualunque cosa facciano, gli italiani si piegheranno.
Oh, certo, lamentandosi molto; ma di tutti indifferentemente, ossia di nessuno, e preferibilmente
a telecomando, ossia per ciò che i media gli propongono quel giorno (quasi sempre le malefatte
di Virginia Raggi e della sua giunta; se non ci fossero loro l'Italia evidentemente sarebbe un paradiso).
Disoccupazione? Precariato? Favoritismi? Sprechi e ruberie? Privatizzazioni selvagge?
Evasione fiscale dei ricchi e delle multinazionali e accanimento fiscale contro il piccolo commercio
e le piccole imprese? Malasanità? Dissesto del territorio? Non scompariranno per conto loro ma
neppure sono inevitabili. Votare contro non si può o comunque non basterebbe; ma basterebbe un
mese di lotta dura e di massa, nelle strade e nelle piazze, non sui social. Contro il governo,
i partiti di governo, la casta, i centri di potere, finché non mollano. Non vi va? Comprensibile;
ma smettetela di credere che la colpa sia degli altri." (Francesco Erspamer)
“Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché il governo non cede.
Come in Romania.” (...)“Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò la gente per strada;
ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.”
Non è difficile tenerci buoni a noi italiani: basta poco.
Anche la Romania ci sta dando lezioni di determinazione sconosciuta a noi italiani.
Tutti, o quasi tutti, ce la prendiamo con gli immigrati, non è che questi “barbari” potrebbero
rappresentare la salvezza.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Opinioni
Tommaso Cerno Tommaso Cerno
Editoriale
Il secolo brevissimo e la politica esausta
La crisi italiana non è solo di leader. Ma di idee e visione del futuro. Tutti vogliono l’uomo forte, ma la guerra è fra omini. Emuli o nemici del Trump di turno. Senza sapere nel nome di che cosa
Mica dobbiamo farcene un cruccio se al contrario di gran parte del mondo, amico e no, non si vede spuntare l’uomo (o la donna) forte alle nostre latitudini. Sospiro di sollievo, abbiamo già dato. Metti che Silvio Berlusconi non si fosse allitterato in burlesque. Che Matteo Renzi fosse stato un proto Tsipras piuttosto che un tardo Blair. Che Matteo Salvini nel guado tra federalismo e nazionalismo non naufragasse in un copia-incolla pseudo lepenista. O che Beppe Grillo avesse trovato risposte e atteggiamenti più plausibili, tra il “facci ridere” e il “facci incazzare” con cui lo incalzano le platee. Chissà che Italia sarebbe. Invece no. La nostra fame di uomo forte (8 italiani su 10 lo vorrebbero) sembra trovare più circenses che panem. E sarebbe un’ottima occasione per riprendere il filo di un discorso spezzato: il discorso politico.
Davanti al bancone di un bar del centro di Roma, bicchiere in mano, l’avventore fa: “Hamon, il francese, vuole mettere la tassa sui robot. Anche in Italia ci vorrebbe”. E il barista, flemmatico, ribatte: “Non gli bastano le tasse che ci prendono già. Anche ai robot le vogliono mettere?”. E giù a ridere. Ma c’è poco di che sghignazzare. Perché la battuta sulle primarie della gauche di Francia mostra l’unica certezza per questa Italia in crisi di leader, ma soprattutto di idee. Chiamateli come volete, sinistra radicale, destra populista, trumpismo, nel resto del mondo si fa politica. Le divisioni, gli scontri, gli stessi muri di Trump, che scatenano reazioni in mezzo pianeta e riempiono le piazze, sono politica. Come nel secolo breve di Hobsbawm c’erano uomini forti e fallimento di ideologie, nel secolo brevissimo che stiamo vivendo, dieci anni in cui il mondo ci è cambiato davanti agli occhi, esiste ancora una contrapposizione atavica fra modelli politici. I “populismi-popolari” di cui Trump è capofila richiedono alla politica uno sforzo sovrumano. Una risurrezione. Perché essi appaiono immuni alle nostre regole senza tuttavia scardinarle nella forma. È come se ci addormentassero l’anima con un sortilegio, una profilassi alla democrazia occidentale, qualcosa che fu capace di sconfiggere Hitler e Mussolini, che la rende oggi spuntata davanti al magnate Usa salito alla Casa bianca.
Per questo la copertina dell’Espresso mostra i quattro uomini forti, anzi “omini forti” d’Italia, stretti in un fascio littorio che porta, però, le insegne della nuova America trumpiana. Al posto dell’ascia, il pollice che simboleggia l’Okay con cui, in modo spiccio, la nuova politica decide, fa e disfa. Sono chiusi lì dentro perché stritolati dai tempi nuovi. Forse l’unico paese il nostro dove la politica è sparita nel momento in cui c’era più bisogno di lei. Esausta come l’olio che ha compiuto il suo ciclo. Esempi? Il dibattito nel Pd di Matteo Renzi, in fiamme per le guerre fra capicorrente, riguarda la data del congresso, i cavilli, le liste, i collegi elettorali, l’antipatia per il segretario piuttosto che per il grande inquisitore Massimo D’Alema. Un dibattito manierista che culmina in una stravaganza: la sfigurata legge elettorale uscita dalla Consulta è il primo caso di provvedimento “mutante” della storia repubblicana. Si comporta da proporzionale quando sei dentro il Palazzo, dove si calcolano seggi e maggioranze alternative, mentre per il paese votante, per il popolo, rimane sostanzialmente maggioritaria. Spingendo a una scelta radicale forse più di quanto sarebbe stato con l’Italicum: o con loro o contro di loro.
Dove loro è l’olio esausto. Stessa cosa a destra, dove la Lega di Salvini è alle prese con la metamorfosi incompiuta da partito padan-secessionista in camicia verde a emulo in sedicesimo di una Le Pen in camicia nerastra, tutto zingari e ruspe, che non sfonda né il muro dei voti né quello del Po. Berlusconi ripete come un mantra la parola “proporzionale”, a testimoniare una metamorfosi ontologica prima ancora che elettorale. Dalle aziende fino al Parlamento il Grande Monopolista che ha fatto il bello e il cattivo tempo nella Seconda repubblica si prepara a giocare un match da azionista di minoranza. Infine Beppe Grillo, che può surfare sull’ondata di Trump. Se non fosse che anche il M5s è entrato in impasse da regole: regole sulla tv, regole sul voto in aula, regole sui meet up, regole sugli indagati. Regole, regole, regole. E la politica? La lasciamo fare agli altri. E pensare che proprio Trump può costituire la grande occasione per l’Europa. L’occasione di essere quel modello alternativo che prima il muro di Berlino, poi la globalizzazione le hanno di fatto impedito di essere. Confinandola a biblioteca del sapere democratico, archivio di ciò che è stato o di ciò che dovrebbe essere. Ma sempre più raramente di ciò che è. O, parlando di politica, di ciò che sarà.
Twitter @Tommasocerno
06 febbraio 2017 © Riproduzione riservata
Tommaso Cerno Tommaso Cerno
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Il secolo brevissimo e la politica esausta
La crisi italiana non è solo di leader. Ma di idee e visione del futuro. Tutti vogliono l’uomo forte, ma la guerra è fra omini. Emuli o nemici del Trump di turno. Senza sapere nel nome di che cosa
Mica dobbiamo farcene un cruccio se al contrario di gran parte del mondo, amico e no, non si vede spuntare l’uomo (o la donna) forte alle nostre latitudini. Sospiro di sollievo, abbiamo già dato. Metti che Silvio Berlusconi non si fosse allitterato in burlesque. Che Matteo Renzi fosse stato un proto Tsipras piuttosto che un tardo Blair. Che Matteo Salvini nel guado tra federalismo e nazionalismo non naufragasse in un copia-incolla pseudo lepenista. O che Beppe Grillo avesse trovato risposte e atteggiamenti più plausibili, tra il “facci ridere” e il “facci incazzare” con cui lo incalzano le platee. Chissà che Italia sarebbe. Invece no. La nostra fame di uomo forte (8 italiani su 10 lo vorrebbero) sembra trovare più circenses che panem. E sarebbe un’ottima occasione per riprendere il filo di un discorso spezzato: il discorso politico.
Davanti al bancone di un bar del centro di Roma, bicchiere in mano, l’avventore fa: “Hamon, il francese, vuole mettere la tassa sui robot. Anche in Italia ci vorrebbe”. E il barista, flemmatico, ribatte: “Non gli bastano le tasse che ci prendono già. Anche ai robot le vogliono mettere?”. E giù a ridere. Ma c’è poco di che sghignazzare. Perché la battuta sulle primarie della gauche di Francia mostra l’unica certezza per questa Italia in crisi di leader, ma soprattutto di idee. Chiamateli come volete, sinistra radicale, destra populista, trumpismo, nel resto del mondo si fa politica. Le divisioni, gli scontri, gli stessi muri di Trump, che scatenano reazioni in mezzo pianeta e riempiono le piazze, sono politica. Come nel secolo breve di Hobsbawm c’erano uomini forti e fallimento di ideologie, nel secolo brevissimo che stiamo vivendo, dieci anni in cui il mondo ci è cambiato davanti agli occhi, esiste ancora una contrapposizione atavica fra modelli politici. I “populismi-popolari” di cui Trump è capofila richiedono alla politica uno sforzo sovrumano. Una risurrezione. Perché essi appaiono immuni alle nostre regole senza tuttavia scardinarle nella forma. È come se ci addormentassero l’anima con un sortilegio, una profilassi alla democrazia occidentale, qualcosa che fu capace di sconfiggere Hitler e Mussolini, che la rende oggi spuntata davanti al magnate Usa salito alla Casa bianca.
Per questo la copertina dell’Espresso mostra i quattro uomini forti, anzi “omini forti” d’Italia, stretti in un fascio littorio che porta, però, le insegne della nuova America trumpiana. Al posto dell’ascia, il pollice che simboleggia l’Okay con cui, in modo spiccio, la nuova politica decide, fa e disfa. Sono chiusi lì dentro perché stritolati dai tempi nuovi. Forse l’unico paese il nostro dove la politica è sparita nel momento in cui c’era più bisogno di lei. Esausta come l’olio che ha compiuto il suo ciclo. Esempi? Il dibattito nel Pd di Matteo Renzi, in fiamme per le guerre fra capicorrente, riguarda la data del congresso, i cavilli, le liste, i collegi elettorali, l’antipatia per il segretario piuttosto che per il grande inquisitore Massimo D’Alema. Un dibattito manierista che culmina in una stravaganza: la sfigurata legge elettorale uscita dalla Consulta è il primo caso di provvedimento “mutante” della storia repubblicana. Si comporta da proporzionale quando sei dentro il Palazzo, dove si calcolano seggi e maggioranze alternative, mentre per il paese votante, per il popolo, rimane sostanzialmente maggioritaria. Spingendo a una scelta radicale forse più di quanto sarebbe stato con l’Italicum: o con loro o contro di loro.
Dove loro è l’olio esausto. Stessa cosa a destra, dove la Lega di Salvini è alle prese con la metamorfosi incompiuta da partito padan-secessionista in camicia verde a emulo in sedicesimo di una Le Pen in camicia nerastra, tutto zingari e ruspe, che non sfonda né il muro dei voti né quello del Po. Berlusconi ripete come un mantra la parola “proporzionale”, a testimoniare una metamorfosi ontologica prima ancora che elettorale. Dalle aziende fino al Parlamento il Grande Monopolista che ha fatto il bello e il cattivo tempo nella Seconda repubblica si prepara a giocare un match da azionista di minoranza. Infine Beppe Grillo, che può surfare sull’ondata di Trump. Se non fosse che anche il M5s è entrato in impasse da regole: regole sulla tv, regole sul voto in aula, regole sui meet up, regole sugli indagati. Regole, regole, regole. E la politica? La lasciamo fare agli altri. E pensare che proprio Trump può costituire la grande occasione per l’Europa. L’occasione di essere quel modello alternativo che prima il muro di Berlino, poi la globalizzazione le hanno di fatto impedito di essere. Confinandola a biblioteca del sapere democratico, archivio di ciò che è stato o di ciò che dovrebbe essere. Ma sempre più raramente di ciò che è. O, parlando di politica, di ciò che sarà.
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Re: Diario della caduta di un regime.
erding ha scritto:Da facebook un post di Francesco Erspamer
"Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché
il governo non cede. Come in Romania.
Come ci si riprende un partito di sinistra diventato liberista? Opponendo nelle strade,
in decine di migliaia e per settimane, la sua Loi Travail (in italiano: Jobs Act), costringendo
i suoi dirigenti a sputtanarsi.
Come in Francia. In Italia, niente. Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò
la gente per strada; ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.
I liberisti e i corrotti sanno benissimo che, qualunque cosa facciano, gli italiani si piegheranno.
Oh, certo, lamentandosi molto; ma di tutti indifferentemente, ossia di nessuno, e preferibilmente
a telecomando, ossia per ciò che i media gli propongono quel giorno (quasi sempre le malefatte
di Virginia Raggi e della sua giunta; se non ci fossero loro l'Italia evidentemente sarebbe un paradiso).
Disoccupazione? Precariato? Favoritismi? Sprechi e ruberie? Privatizzazioni selvagge?
Evasione fiscale dei ricchi e delle multinazionali e accanimento fiscale contro il piccolo commercio
e le piccole imprese? Malasanità? Dissesto del territorio? Non scompariranno per conto loro ma
neppure sono inevitabili. Votare contro non si può o comunque non basterebbe; ma basterebbe un
mese di lotta dura e di massa, nelle strade e nelle piazze, non sui social. Contro il governo,
i partiti di governo, la casta, i centri di potere, finché non mollano. Non vi va? Comprensibile;
ma smettetela di credere che la colpa sia degli altri." (Francesco Erspamer)
“Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché il governo non cede.
Come in Romania.” (...)“Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò la gente per strada;
ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.”
Non è difficile tenerci buoni a noi italiani: basta poco.
Anche la Romania ci sta dando lezioni di determinazione sconosciuta a noi italiani.
Tutti, o quasi tutti, ce la prendiamo con gli immigrati, non è che questi “barbari” potrebbero
rappresentare la salvezza.
Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
"Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché
il governo non cede. Come in Romania
Tema decisamente interessante da approfondire.
Tema forte.
Tema complesso.
Nella gerarchia dei problemi della società italiana sotto le macerie, al 6 febbraio 2017, è nei primi posti, al vertice.
Visto che questo forum consente ed auspica il dibattito, mi auguro, che possano partecipare in molti ad esprimere il proprio punto di vista nell’Italia sotto le macerie.
Non sarebbe male se al dibattito partecipasse direttamente l’autore, Francesco Erspamer
Il mio punto di vista, contestabilissimo.
CONTINUA
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Re: Diario della caduta di un regime.
Io da almeno 20 anni spero che il popolo si stufi e si rechi a decine di migliaia tutti i giorni di fronte a Montecitorio e Palazzo Madama per protestare con tutti i nostri parlamentari per chieder loro di svolgere il lavoro per cui sono stati eletti: amministrare e dirigere nel miglior modo possibile il Paese rispettando le leggi e agendo nella massima onestà!
Purtroppo l'italico medio non ha la rivolta (non solo quella violenta ma anche quella civile) nel sangue e fino a che non avrà sistematicamente la pancia vuota non muoverà un dito continuando a messaggiare sul telefonino e a protestare per un rigore dato o non dato...
Purtroppo l'italico medio non ha la rivolta (non solo quella violenta ma anche quella civile) nel sangue e fino a che non avrà sistematicamente la pancia vuota non muoverà un dito continuando a messaggiare sul telefonino e a protestare per un rigore dato o non dato...
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Re: Diario della caduta di un regime.
Maucat ha scritto:Io da almeno 20 anni spero che il popolo si stufi e si rechi a decine di migliaia tutti i giorni di fronte a Montecitorio e Palazzo Madama per protestare con tutti i nostri parlamentari per chieder loro di svolgere il lavoro per cui sono stati eletti: amministrare e dirigere nel miglior modo possibile il Paese rispettando le leggi e agendo nella massima onestà!
Purtroppo l'italico medio non ha la rivolta (non solo quella violenta ma anche quella civile) nel sangue e fino a che non avrà sistematicamente la pancia vuota non muoverà un dito continuando a messaggiare sul telefonino e a protestare per un rigore dato o non dato...
A SUGGELLO
Manco a farlo apposta, stamani l'articolo di LIBRE, verte su questo tema.
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
L’eroica lotta degli italiani per i diritti, un esempio per tutti
Scritto il 07/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
Gli studenti americani si sono ribellati, la scorsa settimana, ed hanno impedito ad un portavoce di Donald Trump di venire a tenere un discorso all’Università di Berkeley. Incuranti dei getti d’acqua e dello spray urticante della polizia, questi studenti hanno lottato fino all’ultimo per affermare il proprio diritto di non vedere il loro campus calpestato da un personaggio con cui non volevano avere nulla a che fare. I cittadini catalani stanno portando avanti da mesi una dura lotta per riuscire a fare il referendum sulla secessione, e stanno obbligando il premier Mariano Rajoy a ricorrere a tutte le più sofisticate armi burocratiche pur di impedirglielo. Avanti di questo passo, riusciranno sicuramente a meritarsi il diritto di votare liberamente sul futuro della propria regione. In Romania da quasi una settimana il popolo è sceso in piazza contro le riforme del governo, che voleva abolire il reato di abuso di ufficio e altri reati minori.
Compatti e uniti, i cittadini romeni sono riusciti ad ottenere il ritiro del nuovo regolamento da parte del proprio governo, e ora, non contenti, chiedono anche la testa del proprio primo ministro. Anche in Italia i nostri concittadini hanno imparato ormai da tempo a scendere in strada per difendere i propri diritti. Storico infatti il loro successo dell’anno scorso, nel quale, dopo una lunga serie di dure manifestazioni di piazza, sono riusciti a far revocare dal governo l’abolizione dell’articolo 18. Altrettanto entusiasmante è stata la protesta con la quale si sono rifiutati di vedersi inserire l’obbligo del pagamento del canone televisivo nella bolletta elettrica, una scelta chiaramente incostituzionale.
Ancora più rumorose ed efficaci sono le lotte che stanno facendo gli italiani in piazza per vedere finalmente rispettato il loro diritto di andare a votare, e di scegliersi il proprio governo con elezioni regolari. In fondo, dopo aver espresso con tanta chiarezza il proprio desiderio, il 4 dicembre, non ci si poteva che aspettare una presa di posizione così forte da parte dei nostri concittadini in difesa dei propri diritti. Noi sì che siamo un popolo di gente unita e dura, gente che sa combattere per ottenere ciò che ci spetta, e che su questo terreno non ha nulla da imparare da nessuno. (Chiedo scusa, ma temo di essermi addormentato scrivendo l’ultima parte dell’articolo).
(Massimo Mazzucco, “Italiani esempio per tutti”, dal blog “Luogo Comune” del 5 febbraio 2017).
IN QUESTI ANNI, LIBRE ASSOCIAZIONE DI IDEE, NON HA MAI PUBBLICATO VIGNETTE.
LO FA IN QUESTA OCCASIONE, CON UNA VIGNETTA CHE MOLTI TROVERANNO OFFENSIVA PIU' DI QUELLE DI CHARLIE HEBDO IN OCCASIONE DEL TERREMOTO E DELLA NEVICATA IN CENTRO ITALIA
Vedi:
http://www.libreidee.org/2017/02/leroic ... per-tutti/
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Re: Diario della caduta di un regime.
INTERMEZZO
LA BUONA SQUOLA
Inchiesta
Gli italiani si rovinano mentre i privati lucrano: così siamo diventati il Paese delle slot machine
Anziani, adolescenti e perfino bambini. Poveri e ricchi. Tutti appassionati dall'azzardo. Viaggio in un affare da decine di miliardi che lo Stato continua a favorire. Incassando però sempre meno
di Fabrizio Gatti
07 febbraio 2017
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Gli italiani si rovinano mentre i privati lucrano: così siamo diventati il Paese delle slot machine
La mattina in classe. La sera a scommettere soldi fino a tardi. Noia e slot-machine. L’avvicinamento tra scuola e luoghi del gioco d’azzardo sembra rendere bene. Stasera, un mercoledì qualunque tra le undici e la mezzanotte, è strapieno di ragazzini e ragazzi da spennare. I minorenni si accalcano intorno alle “ticket redeption”, gli apparecchi mangiasoldi per bambini che in Italia hanno invaso i centri commerciali: macchine della fortuna che incassano monete e, quando si vince, sputano metri di cartoncini. I premi li hanno pensati proprio così: metri di scomoda carta in modo che siano ben visibili.
Avvolti come piccoli Rambo nelle cartucciere, i vincitori si mettono poi in coda al “ticket eater”, il mangia biglietti che dopo molti secondi e qualche lampo di luce restituisce un voucher (accessorio sempre più diffuso nella nostra società). Ed ecco il punteggio totale della vincita da incassare: di solito un minuscolo, inutile oggetto di plastica made in China del valore di pochi centesimi, per il quale ogni baby giocatore ha però speso fino a 10 euro. Gli studenti maggiorenni appena usciti dal cinema multisala saltano invece i preliminari. E, sotto la sguardo del buttafuori senegalese, si infilano direttamente nella porta a vetri del “Luckyville”, la sala del gioco per adulti. Domani mattina non hanno lezione?
IL RESTO DELL'ARTICOLO CON FOTO E DATI PROSEGUE IN:
http://espresso.repubblica.it/inchieste ... =HEF_RULLO
LA BUONA SQUOLA
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Gli italiani si rovinano mentre i privati lucrano: così siamo diventati il Paese delle slot machine
Anziani, adolescenti e perfino bambini. Poveri e ricchi. Tutti appassionati dall'azzardo. Viaggio in un affare da decine di miliardi che lo Stato continua a favorire. Incassando però sempre meno
di Fabrizio Gatti
07 febbraio 2017
Gli italiani si rovinano mentre i privati lucrano: così siamo diventati il Paese delle slot machine
La mattina in classe. La sera a scommettere soldi fino a tardi. Noia e slot-machine. L’avvicinamento tra scuola e luoghi del gioco d’azzardo sembra rendere bene. Stasera, un mercoledì qualunque tra le undici e la mezzanotte, è strapieno di ragazzini e ragazzi da spennare. I minorenni si accalcano intorno alle “ticket redeption”, gli apparecchi mangiasoldi per bambini che in Italia hanno invaso i centri commerciali: macchine della fortuna che incassano monete e, quando si vince, sputano metri di cartoncini. I premi li hanno pensati proprio così: metri di scomoda carta in modo che siano ben visibili.
Avvolti come piccoli Rambo nelle cartucciere, i vincitori si mettono poi in coda al “ticket eater”, il mangia biglietti che dopo molti secondi e qualche lampo di luce restituisce un voucher (accessorio sempre più diffuso nella nostra società). Ed ecco il punteggio totale della vincita da incassare: di solito un minuscolo, inutile oggetto di plastica made in China del valore di pochi centesimi, per il quale ogni baby giocatore ha però speso fino a 10 euro. Gli studenti maggiorenni appena usciti dal cinema multisala saltano invece i preliminari. E, sotto la sguardo del buttafuori senegalese, si infilano direttamente nella porta a vetri del “Luckyville”, la sala del gioco per adulti. Domani mattina non hanno lezione?
IL RESTO DELL'ARTICOLO CON FOTO E DATI PROSEGUE IN:
http://espresso.repubblica.it/inchieste ... =HEF_RULLO
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Re: Diario della caduta di un regime.
Analisi
Chi vuole un Donald Trump all'italiana
Sulla spinta del presidente americano cresce in Europa e in Italia la voglia di un capo deciso. Cambiano equilibri antichi: Usa e Russia, finanza e fondi tifano per i partiti antisistema. Ma la politica resta fragile
di Marco Damilano
07 febbraio 2017
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Il capovolgimento è totale, come una rivoluzione copernicana. Poteri forti, i grandi fondi speculativi, la finanza che determina la crisi o la fortuna di un Paese, l’ambasciata Usa di via Veneto che in Italia ha sempre rappresentato un centro di influenza in grado di condizionare, determinare o bloccare le svolte politiche interne. Sta per cambiare il sistema di alleanze che ha retto per decenni l’Italia, alla vigilia di una nuova, possibile chiamata alle urne per nuove elezioni.
Alla ricerca di un Trump italiano: la suggestione dell’uomo forte, richiamata da Ilvo Diamanti (“Repubblica”, 24 gennaio), che affascina otto italiani su dieci. In una situazione, però, di totale debolezza della politica, i partiti, le istituzioni. Con leadership fino a due mesi fa considerate invincibili, come quella di Matteo Renzi, oggi sospese tra la tentazione di una nuova avventura elettorale e lo spettro dell’irrilevanza. Con il rischio dell’ingovernabilità e del caos, conseguenza della legge elettorale ridisegnata dalla Consulta, fotografato da tutti i sondaggi.
Nell’anno più pericoloso per l’Europa, con l’Olanda in corsa per uscire dall’euro e dall’Unione europea, la Francia in mezzo alla campagna presidenziale più pazza della sua storia, la Germania gigante assediato dall’interno e dall’esterno, dai movimenti che attaccano Angela Merkel da destra e dagli Usa di Trump.
«Trump provocherà una reazione o un’ondata?», si chiede Romano Prodi, scrutando le prime mosse del neo-presidente americano e le conseguenze sull’Europa e sull’Italia. Scatenerà l’orgoglio degli europei, come è sembrato avvenire dopo la pubblicazione del Muslim Ban, la chiusura delle frontiere americane per i cittadini di sette Stati musulmani? O, al contrario, la voglia di emulazione, il tentativo di esportare la formula Trump e del leader che agisce per decreto nel vecchio continente e in Italia?
Di certo l’avvento del nuovo inquilino della Casa Bianca cambia tutti gli schemi e il sistema di rapporti che finora ha tenuto collegate le due sponde dell’Atlantico. A Roma si aspetta con una certa inquietudine l’arrivo di Lew Eisenberg, tesoriere del Partito repubblicano, amico di Trump, l’uomo che ha spostato milioni di dollari sulla candidatura del tycoon, il nuovo ambasciatore americano. Eisenberg potrebbe esordire nell’ambasciata di via Veneto mentre l’Italia si avvia a una nuova campagna elettorale. Meno drammatica, forse, di quella del 18 aprile 1948 tra la Dc di Alcide De Gasperi e il Fronte popolare di Togliatti-Nenni, quando da via Veneto lanciavano l’Sos a Washington: «Inviati hanno assicurato al primo ministro una somma di mezzo milione di dollari. Per ora ne sono arrivati solo 50mila. In questo momento critico i leader democristiani hanno l’acqua alla gola e necessitano di aiuto». Ma anche più incerta. Con il dubbio che gli inviati di Trump, questa volta, possano voltare le spalle ai partiti tradizionali. E mettersi invece a fare il tifo, in modo più o meno esplicito, per Beppe Grillo o per Matteo Salvini. Al pari di un’altra rappresentanza diplomatica storicamente molto influente, l’ambasciata della Russia di Vladimir Putin. Una rivoluzione, appunto.
Uno scenario reso ancora più credibile dall’interesse che stanno dimostrando per le vicende italiane gli emissari dei maggiori fondi speculativi a livello mondiale. Con un ragionamento ineccepibile, dal loro punto di vista: è venuto il momento di scommettere sulla fine dell’euro, nell’anno 2017. E l’Italia è il punto debole.
Per questo vengono seguite con attenzione le prospettive del Movimento 5 Stelle, di Salvini e di Giorgia Meloni. Movimenti, partiti e leader che fino a qualche tempo fa erano considerati completamente fuorigioco. E che invece ora si ritrovano, quasi a loro insaputa, dentro un big game che riguarda i futuri equilibri dell’Europa e del Mediterraneo.
L’ondata Trump, appena all’inizio, intercetta la richiesta di una politica forte anche in Italia. E svela un paradosso. Perché, in realtà, una leadership forte c’era, fino a due mesi fa, e ha inseguito il sogno di rafforzarsi ancora di più, a furor di popolo. Se Matteo Renzi avesse vinto il referendum il 4 dicembre 2016 oggi sarebbe il dominus incontrastato della politica italiana, pronto a correre verso elezioni anticipate con il carisma del vincitore predestinato, una specie di De Gaulle all’italiana. Invece oggi è un segretario del Pd che deve fronteggiare il malumore crescente nel suo partito, la preoccupazione di chi considera una follia far cadere il governo di Paolo Gentiloni per tornare immediatamente alle urne. «Matteo ci sta portando a sbattere», ripetono nel Pd: non i nemici della minoranza interna, ma anche i renziani più affezionati al Capo. Renzi non ha rinunciato all’idea di presentarsi come il giovane leader forte che cambia il Paese, l’ambizione di conquistare il 40 per cento dei voti che consegna il premio in seggi di governabilità. «Il nostro Federer», lo chiama il fedelissimo deputato toscano Dario Parrini. «Ha vinto lo slam come Matteo ha vinto le elezioni europee, con il sorriso». Solo che le elezioni europee del 40 per cento sono lontane, risalgono a tre anni fa. E quel risultato stratosferico assomiglia a una maledizione: ha illuso Renzi di essere imbattibile, lo ha portato a disegnare una legge elettorale ritagliata su quella percentuale, ritrovandosi in una situazione da incubo.
Pd diviso, capicorrente da accontentare, candidati alternativi alla segreteria, raccolte di firme di iscritti contro il leader, la minaccia di scissione che arriva da Massimo D’Alema. Una moltiplicazione di uomini forti, fin troppi: Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania. Lo stesso ministro dell’Interno Marco Minniti, il più applaudito alla convention dei sindaci Pd di Rimini, si presenta come inflessibile. Se si andasse a votare e Renzi dovesse arrivare al 40 per cento tornerebbe a essere un uomo forte, fortissimo. In caso contrario, sarebbe la fine della sua carriera politica, in un paesaggio politico devastato.
Il Renzi diviso tra l’onnipotenza e la fragilità è l’immagine di tutto il sistema politico. Speculare alla traiettoria del Movimento 5 Stelle, in cui il rapporto forza-debolezza si ribalta. Forte è Beppe Grillo, tifoso dichiarato di Trump e Putin, oltre che del presidente dell’Ecuador Rafael Correa, forte è la Casaleggio, forte è il Movimento agli occhi degli aderenti e, per ora, degli elettori. Anche se il caso di Roma svela quanto sia facile scalare dall’interno M5S. E deboli, debolissime sono le figure politiche che M5S ha prodotto: Luigi Di Maio, Virginia Raggi e i suoi guai giudiziari, i direttori, i sindaci. Per ora non è scalfita la potenzialità elettorale di Grillo. Anche lui, come Renzi, sbandiera l’obiettivo del 40 per cento ma in realtà è pronto ad accontentarsi di un risultato senza vincitori: in un’Italia ingovernabile il suo peso sarebbe destinato ad aumentare, soprattutto in questo quadro internazionale in cui, come dice Prodi, «gli Stati Uniti vogliono un’Europa con la testa sotto l’acqua, mentre prima le lasciavano almeno fare qualche bracciata».
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Chi vuole un Donald Trump all'italiana
Sulla spinta del presidente americano cresce in Europa e in Italia la voglia di un capo deciso. Cambiano equilibri antichi: Usa e Russia, finanza e fondi tifano per i partiti antisistema. Ma la politica resta fragile
di Marco Damilano
07 febbraio 2017
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Il capovolgimento è totale, come una rivoluzione copernicana. Poteri forti, i grandi fondi speculativi, la finanza che determina la crisi o la fortuna di un Paese, l’ambasciata Usa di via Veneto che in Italia ha sempre rappresentato un centro di influenza in grado di condizionare, determinare o bloccare le svolte politiche interne. Sta per cambiare il sistema di alleanze che ha retto per decenni l’Italia, alla vigilia di una nuova, possibile chiamata alle urne per nuove elezioni.
Alla ricerca di un Trump italiano: la suggestione dell’uomo forte, richiamata da Ilvo Diamanti (“Repubblica”, 24 gennaio), che affascina otto italiani su dieci. In una situazione, però, di totale debolezza della politica, i partiti, le istituzioni. Con leadership fino a due mesi fa considerate invincibili, come quella di Matteo Renzi, oggi sospese tra la tentazione di una nuova avventura elettorale e lo spettro dell’irrilevanza. Con il rischio dell’ingovernabilità e del caos, conseguenza della legge elettorale ridisegnata dalla Consulta, fotografato da tutti i sondaggi.
Nell’anno più pericoloso per l’Europa, con l’Olanda in corsa per uscire dall’euro e dall’Unione europea, la Francia in mezzo alla campagna presidenziale più pazza della sua storia, la Germania gigante assediato dall’interno e dall’esterno, dai movimenti che attaccano Angela Merkel da destra e dagli Usa di Trump.
«Trump provocherà una reazione o un’ondata?», si chiede Romano Prodi, scrutando le prime mosse del neo-presidente americano e le conseguenze sull’Europa e sull’Italia. Scatenerà l’orgoglio degli europei, come è sembrato avvenire dopo la pubblicazione del Muslim Ban, la chiusura delle frontiere americane per i cittadini di sette Stati musulmani? O, al contrario, la voglia di emulazione, il tentativo di esportare la formula Trump e del leader che agisce per decreto nel vecchio continente e in Italia?
Di certo l’avvento del nuovo inquilino della Casa Bianca cambia tutti gli schemi e il sistema di rapporti che finora ha tenuto collegate le due sponde dell’Atlantico. A Roma si aspetta con una certa inquietudine l’arrivo di Lew Eisenberg, tesoriere del Partito repubblicano, amico di Trump, l’uomo che ha spostato milioni di dollari sulla candidatura del tycoon, il nuovo ambasciatore americano. Eisenberg potrebbe esordire nell’ambasciata di via Veneto mentre l’Italia si avvia a una nuova campagna elettorale. Meno drammatica, forse, di quella del 18 aprile 1948 tra la Dc di Alcide De Gasperi e il Fronte popolare di Togliatti-Nenni, quando da via Veneto lanciavano l’Sos a Washington: «Inviati hanno assicurato al primo ministro una somma di mezzo milione di dollari. Per ora ne sono arrivati solo 50mila. In questo momento critico i leader democristiani hanno l’acqua alla gola e necessitano di aiuto». Ma anche più incerta. Con il dubbio che gli inviati di Trump, questa volta, possano voltare le spalle ai partiti tradizionali. E mettersi invece a fare il tifo, in modo più o meno esplicito, per Beppe Grillo o per Matteo Salvini. Al pari di un’altra rappresentanza diplomatica storicamente molto influente, l’ambasciata della Russia di Vladimir Putin. Una rivoluzione, appunto.
Uno scenario reso ancora più credibile dall’interesse che stanno dimostrando per le vicende italiane gli emissari dei maggiori fondi speculativi a livello mondiale. Con un ragionamento ineccepibile, dal loro punto di vista: è venuto il momento di scommettere sulla fine dell’euro, nell’anno 2017. E l’Italia è il punto debole.
Per questo vengono seguite con attenzione le prospettive del Movimento 5 Stelle, di Salvini e di Giorgia Meloni. Movimenti, partiti e leader che fino a qualche tempo fa erano considerati completamente fuorigioco. E che invece ora si ritrovano, quasi a loro insaputa, dentro un big game che riguarda i futuri equilibri dell’Europa e del Mediterraneo.
L’ondata Trump, appena all’inizio, intercetta la richiesta di una politica forte anche in Italia. E svela un paradosso. Perché, in realtà, una leadership forte c’era, fino a due mesi fa, e ha inseguito il sogno di rafforzarsi ancora di più, a furor di popolo. Se Matteo Renzi avesse vinto il referendum il 4 dicembre 2016 oggi sarebbe il dominus incontrastato della politica italiana, pronto a correre verso elezioni anticipate con il carisma del vincitore predestinato, una specie di De Gaulle all’italiana. Invece oggi è un segretario del Pd che deve fronteggiare il malumore crescente nel suo partito, la preoccupazione di chi considera una follia far cadere il governo di Paolo Gentiloni per tornare immediatamente alle urne. «Matteo ci sta portando a sbattere», ripetono nel Pd: non i nemici della minoranza interna, ma anche i renziani più affezionati al Capo. Renzi non ha rinunciato all’idea di presentarsi come il giovane leader forte che cambia il Paese, l’ambizione di conquistare il 40 per cento dei voti che consegna il premio in seggi di governabilità. «Il nostro Federer», lo chiama il fedelissimo deputato toscano Dario Parrini. «Ha vinto lo slam come Matteo ha vinto le elezioni europee, con il sorriso». Solo che le elezioni europee del 40 per cento sono lontane, risalgono a tre anni fa. E quel risultato stratosferico assomiglia a una maledizione: ha illuso Renzi di essere imbattibile, lo ha portato a disegnare una legge elettorale ritagliata su quella percentuale, ritrovandosi in una situazione da incubo.
Pd diviso, capicorrente da accontentare, candidati alternativi alla segreteria, raccolte di firme di iscritti contro il leader, la minaccia di scissione che arriva da Massimo D’Alema. Una moltiplicazione di uomini forti, fin troppi: Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania. Lo stesso ministro dell’Interno Marco Minniti, il più applaudito alla convention dei sindaci Pd di Rimini, si presenta come inflessibile. Se si andasse a votare e Renzi dovesse arrivare al 40 per cento tornerebbe a essere un uomo forte, fortissimo. In caso contrario, sarebbe la fine della sua carriera politica, in un paesaggio politico devastato.
Il Renzi diviso tra l’onnipotenza e la fragilità è l’immagine di tutto il sistema politico. Speculare alla traiettoria del Movimento 5 Stelle, in cui il rapporto forza-debolezza si ribalta. Forte è Beppe Grillo, tifoso dichiarato di Trump e Putin, oltre che del presidente dell’Ecuador Rafael Correa, forte è la Casaleggio, forte è il Movimento agli occhi degli aderenti e, per ora, degli elettori. Anche se il caso di Roma svela quanto sia facile scalare dall’interno M5S. E deboli, debolissime sono le figure politiche che M5S ha prodotto: Luigi Di Maio, Virginia Raggi e i suoi guai giudiziari, i direttori, i sindaci. Per ora non è scalfita la potenzialità elettorale di Grillo. Anche lui, come Renzi, sbandiera l’obiettivo del 40 per cento ma in realtà è pronto ad accontentarsi di un risultato senza vincitori: in un’Italia ingovernabile il suo peso sarebbe destinato ad aumentare, soprattutto in questo quadro internazionale in cui, come dice Prodi, «gli Stati Uniti vogliono un’Europa con la testa sotto l’acqua, mentre prima le lasciavano almeno fare qualche bracciata».
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Re: Diario della caduta di un regime.
IL TORMENTONE DI FINE STAGIONE DELLA SECONDA REPUBBLICA
LIBRE news
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Governi non eletti, Parlamento illegittimo: questa è l’Italia
Scritto il 08/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.
Nel 2006, nel 2008 e nel 2013 ben tre volte i cittadini italiani sono stati chiamati a eleggere i propri rappresentanti sulla base di una legge elettorale incostituzionale, cioè che non avrebbe dovuto esserci. Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi hanno tranquillamente governato dopo aver ricevuto il voto di fiducia da un Parlamento illegittimo. Un Parlamento che ha preso decisioni che influiscono pesantemente sulle nostre vite, dalla legge Fornero, alla Buona Scuola, al Jobs Act, all’acquisto degli F-35, alle missioni militari in giro per il mondo. Un Parlamento che ha approvato il Fiscal Compact vincolando per i prossimi venti anni l’Italia alle politiche di austerità della Unione Europea e che lo ha addirittura inserito nella Costituzione, stravolgendone l’articolo 81. Un Parlamento incostituzionale che infine ha approvato una completa controriforma della Costituzione, corredata da una corrispondente legge elettorale, passata, è bene ricordarlo, con il voto di fiducia. Sono stati il popolo, con il suo No referendario, e le sentenze della suprema magistratura dello Stato a fermare questa deriva del sistema istituzionale verso la totale illegittimità.
Il popolo, la magistratura, i giuristi e i cittadini democratici, loro hanno fermato il disastro e non le altre istituzioni, né quelle italiane, né tantomeno quelle europee, che della distruzione della nostra Costituzione hanno assoluto bisogno, per imporci il loro volere. È una situazione senza precedenti, per una democrazia, quella di operare nella illegittimità delle sue istituzioni da più di dieci anni, e se non si vuole riprendere a precipitare nella china alla fine della quale c’è solo la formale dittatura, bisogna fermare tutto qui e ora. Altro che affidare a un Parlamento squalificato e soprattutto incostituzionale il varo di una terza legge elettorale, magari incostituzionale anch’essa! Altro che il teatrino della politica! Si vada a votare subito, anche con il pasticcio che è venuto fuori dalle sentenze e di cui le varie maggioranze politiche, non le sentenze, hanno colpa. Si metta punto fermo alla catena delle illegittimità e si ricominci a parlare di contenuti materiali delle scelte politiche, e non ancora una volta della governabilità. Principio che da noi ha sviluppato appieno tutte le sue potenzialità antidemocratiche e che ha finito per produrre il suo esatto opposto: lo stato confusionale di un sistema illegittimo. Basta, al voto subito.
(Giorgio Cremaschi, “Solo il voto subito ferma la deriva di un sistema illegittimo”, dall’“Huffington Post” del 27 gennaio 2017).
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Governi non eletti, Parlamento illegittimo: questa è l’Italia
Scritto il 08/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.
Nel 2006, nel 2008 e nel 2013 ben tre volte i cittadini italiani sono stati chiamati a eleggere i propri rappresentanti sulla base di una legge elettorale incostituzionale, cioè che non avrebbe dovuto esserci. Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi hanno tranquillamente governato dopo aver ricevuto il voto di fiducia da un Parlamento illegittimo. Un Parlamento che ha preso decisioni che influiscono pesantemente sulle nostre vite, dalla legge Fornero, alla Buona Scuola, al Jobs Act, all’acquisto degli F-35, alle missioni militari in giro per il mondo. Un Parlamento che ha approvato il Fiscal Compact vincolando per i prossimi venti anni l’Italia alle politiche di austerità della Unione Europea e che lo ha addirittura inserito nella Costituzione, stravolgendone l’articolo 81. Un Parlamento incostituzionale che infine ha approvato una completa controriforma della Costituzione, corredata da una corrispondente legge elettorale, passata, è bene ricordarlo, con il voto di fiducia. Sono stati il popolo, con il suo No referendario, e le sentenze della suprema magistratura dello Stato a fermare questa deriva del sistema istituzionale verso la totale illegittimità.
Il popolo, la magistratura, i giuristi e i cittadini democratici, loro hanno fermato il disastro e non le altre istituzioni, né quelle italiane, né tantomeno quelle europee, che della distruzione della nostra Costituzione hanno assoluto bisogno, per imporci il loro volere. È una situazione senza precedenti, per una democrazia, quella di operare nella illegittimità delle sue istituzioni da più di dieci anni, e se non si vuole riprendere a precipitare nella china alla fine della quale c’è solo la formale dittatura, bisogna fermare tutto qui e ora. Altro che affidare a un Parlamento squalificato e soprattutto incostituzionale il varo di una terza legge elettorale, magari incostituzionale anch’essa! Altro che il teatrino della politica! Si vada a votare subito, anche con il pasticcio che è venuto fuori dalle sentenze e di cui le varie maggioranze politiche, non le sentenze, hanno colpa. Si metta punto fermo alla catena delle illegittimità e si ricominci a parlare di contenuti materiali delle scelte politiche, e non ancora una volta della governabilità. Principio che da noi ha sviluppato appieno tutte le sue potenzialità antidemocratiche e che ha finito per produrre il suo esatto opposto: lo stato confusionale di un sistema illegittimo. Basta, al voto subito.
(Giorgio Cremaschi, “Solo il voto subito ferma la deriva di un sistema illegittimo”, dall’“Huffington Post” del 27 gennaio 2017).
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Re: Diario della caduta di un regime.
RARAMENTE CI SONO COMMENTI A QUANTO PUBBLICA LIBRE QUOTIDINAMENTE.
QUESTA VOLTA CE N'E' UNO ALL'ARTICOLO PRECEDENTE DI CREMASCHI.
LA VOX POPULI
Roberto
8 febbraio 2017 • 06:54
.
Visto i personaggi che abbiamo avuto al governo e in parlamento negli ultimi 30 anni, visto la corruzione e il malaffare che permeano ogni movimento di soldi nel nostro paesiello, visto le stragi e gli omicidi irrisolti, visto la delinquenza e il menefreghismo a tutti i livelli, il dilagare della povertà ecc cercherò di non stupirmi troppo se non mi fanno votare.
E anche quando è stato possibile votare non esultavo certo per la scelta che c’era.
In America poi… Tra Clinton e Trump, sai che scelta c’è stata.
QUESTA VOLTA CE N'E' UNO ALL'ARTICOLO PRECEDENTE DI CREMASCHI.
LA VOX POPULI
Roberto
8 febbraio 2017 • 06:54
.
Visto i personaggi che abbiamo avuto al governo e in parlamento negli ultimi 30 anni, visto la corruzione e il malaffare che permeano ogni movimento di soldi nel nostro paesiello, visto le stragi e gli omicidi irrisolti, visto la delinquenza e il menefreghismo a tutti i livelli, il dilagare della povertà ecc cercherò di non stupirmi troppo se non mi fanno votare.
E anche quando è stato possibile votare non esultavo certo per la scelta che c’era.
In America poi… Tra Clinton e Trump, sai che scelta c’è stata.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Qui neanche gli iscritti del partito democratico si fanno sentire.erding ha scritto:Da facebook un post di Francesco Erspamer
"Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché
il governo non cede. Come in Romania.
Come ci si riprende un partito di sinistra diventato liberista? Opponendo nelle strade,
in decine di migliaia e per settimane, la sua Loi Travail (in italiano: Jobs Act), costringendo
i suoi dirigenti a sputtanarsi.
Come in Francia. In Italia, niente. Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò
la gente per strada; ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.
I liberisti e i corrotti sanno benissimo che, qualunque cosa facciano, gli italiani si piegheranno.
Oh, certo, lamentandosi molto; ma di tutti indifferentemente, ossia di nessuno, e preferibilmente
a telecomando, ossia per ciò che i media gli propongono quel giorno (quasi sempre le malefatte
di Virginia Raggi e della sua giunta; se non ci fossero loro l'Italia evidentemente sarebbe un paradiso).
Disoccupazione? Precariato? Favoritismi? Sprechi e ruberie? Privatizzazioni selvagge?
Evasione fiscale dei ricchi e delle multinazionali e accanimento fiscale contro il piccolo commercio
e le piccole imprese? Malasanità? Dissesto del territorio? Non scompariranno per conto loro ma
neppure sono inevitabili. Votare contro non si può o comunque non basterebbe; ma basterebbe un
mese di lotta dura e di massa, nelle strade e nelle piazze, non sui social. Contro il governo,
i partiti di governo, la casta, i centri di potere, finché non mollano. Non vi va? Comprensibile;
ma smettetela di credere che la colpa sia degli altri." (Francesco Erspamer)
“Come si combatte la corruzione? Scendendo in piazza in centinaia di migliaia
(bastano centinaia di migliaia, non serve il 40%) e tornandoci ogni giorno finché il governo non cede.
Come in Romania.” (...)“Neanche il tentativo di stravolgere la Costituzione portò la gente per strada;
ovvio che malgrado il risultato del referendum niente sia cambiato.”
Non è difficile tenerci buoni a noi italiani: basta poco.
Anche la Romania ci sta dando lezioni di determinazione sconosciuta a noi italiani.
Tutti, o quasi tutti, ce la prendiamo con gli immigrati, non è che questi “barbari” potrebbero
rappresentare la salvezza.
Chi c’è in linea
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