Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 22/10/2012, 13:40
VISTI DA LONTANO………DA MOLTO LONTANO - 1
Sono fuori da un pò di tempo da quelle che sono le comuni logiche del Piddì da almeno un anno e mezzo, da quando ho cominciato a scrivere sul vecchio forum che saremmo finiti in mezzo ad una guerra civile, o qualcosa di molto simile. Da quando, molto molto tempo prima che Mao Tze Grill definì zombie quelli del Piddì, ho chiamato quel partito “Il Partito dei defunti”. In pratica i morti viventi, gli zombies di Mao Tze, che tanto ha fatto infuriare, ma con molta furbizia temporale, in agosto Peppone Bersande.
Per essere sincero fino in fondo non mai amato il Piddì come fusione fredda voluta dai Ds perché stavano affondando miseramente nel 2006, raggiungendo il minimo storico del 17 % e dei margheritini che si rendevano perfettamente conto di aver raggiunto il loro punto massimo di espansione con il 10,727 %, all’inizio di aprile (8-9) in occasione delle elezioni nazionali che portarono Prodi alla guida del Paese.
La supercazzola di Ciariakos (l’uomo dell’antica Grecia- Definizione dell’avvocato nazionale, buonanima), “Meddiamogi insieme e boi veddiamo ghe suggede” e le motivazioni dei tromboni diessini guidati dalla Volpe del Tavoliere votati interamente al democristianesimo in cui, per incompetenza o per puro fancazzismo non avevano nessuna voglia di fare politica, ma diventava tutto più semplice applicare la regola aurea della vecchia Balena bianca, dove per tirare a campare bene senza troppi affanni bastava aggiungere partiti al banchetto, non mi ha mai né convinto, né entusiasmato più di tanto,…anzi, per niente.
L’inno ufficiale della fusione fredda era quello usato da Johnni Dorelli nella fortunatissima commedia musicale di Garinei e Giovannini nel lontano 1974, “Aggiungi un posto a tavola”:
Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.
http://www.youtube.com/watch?v=-72AeFfb714
Sono sempre stato legato all’Ulivo sia perché dal punto di vista della comunicazione è stato uno dei nomi più azzeccati della partitocrazia italiana, per quello che l’ulivo rappresenta, sia perché dopo 32 anni si avverava la richiesta di Giorgio Amendola fatta nel lontano 1964 all’allora direzione del Pci, in cui dopo quasi vent’anni di Repubblica intendeva sbloccare la sinistra italiana dai giochi internazionali e farla partecipare ai giochi dell’alternanza alla guida del Paese come avviene in una qualsiasi democrazia compiuta. La proposta era di rifondare l‘intera sinistra italiana riunendola in un solo grande partito in grado di competere con la Dc. Ovviamente comportava il distacco da Mosca. Le resistenze degli uomini legati a Mosca e non solo non consentirono la svolta democratica.
Lo farà più tardi Enrico Berlinguer (uno con le palle) a sprezzo del pericolo, perché Mosca già prima aveva ordinato : “Uccidete Berlinguer”.
Piero Melograni
Mosca ordinò: uccidete Berlinguer
"Il Sole 24 ore"
19 giugno 2005, p. 41
Finalmente, a trentadue anni di distanza dal giorno in cui bulgari e sovietici tentarono di uccidere Enrico Berlinguer esce un libro sull'argomento. L'intera storia del Pci dovrà essere riconsiderata alla luce di queste rivelazioni.
Il 3 ottobre 1973 Berlinguer era a Sofia per incontrare Zhivkov, capo dei comunisti bulgari. I colloqui furono assai tesi tanto che Berlinguer decise di interromperli e tornare in Italia. Lungo la strada da Sofia all'aeroporto si avviò un corteo di automobili. La prima con i poliziotti bulgari. La seconda, oltre all'autista e a un interprete, ospitava Berlinguer e due alti dirigenti bulgari: Tellalov e Velchev. Nella terza auto due esponenti del Pci, Gastone Gensini, e Angelo Oliva. Su un cavalcavia, la prima auto, con i poliziotti, accelerò e scomparve. Vari automezzi si muovevano nell'opposta corsia in direzione di Sofia. Tra questi un camion militare dei servizi speciali carico di pietre. Non appena l'auto di Berlinguer gli arrivò a tiro, il camion sterzò a sinistra e accelerò per colpirla con forza. L'auto sarebbe precipitata dal cavalcavia se non fosse stata fermata da un palo della luce. L'interprete morì sul colpo. Berlinguer ebbe un trauma cranico, varie ferite e perse una scarpa. Tellalov fu sbalzato fuori e si trovò a terra ferito. Velchev ebbe una gamba fratturata, lesioni alla pupilla e perse alcuni denti.
Gensini e Oliva, soccorso Berlinguer, fermarono un taxi per condurlo all'ospedale. I medici consigliarono al ferito di restare in osservazione alcune settimane, ma lui, che aveva superato lo choc e temeva i bulgari, decise di ripartire. Telefonò alla famiglia, minacciò di emanare un comunicato stampa e, attraverso l'ambasciata d'Italia, ottenne da Roma un aereo ambulanza. Per mantenere il segreto l'aereo atterrò all'aeroporto di Ciampino. Il presidente del Consiglio era allora Rumor e il ministro degli Esteri Aldo Moro. Rumor, Moro, l'ambasciatore italiano e i servizi segreti capirono tutto, ma proteggevano il Pci e restarono muti. Né «l'Unità» né altri giornali pubblicarono una sola riga. Berlinguer disse poi a Emanuele Macaluso, alto dirigente del Pci, di sospettare un attentato, ma gli chiese di tacere. Macaluso tacque diciotto anni. Nel 1991, dopo la morte di Berlinguer, ne parlò con Fasanella e Incerti, i due giornalisti di «Panorama» che hanno ora scritto questo libro. Molte persone vicine a Berlinguer - fra le quali Tatò, Giuseppe Fiori, Antonio Rubbi, Natta e Galluzzi - sostennero che Macaluso aveva detto il falso. Bufalini, membro della segreteria, giudicò strampalata l'ipotesi dell'attentato dato che Berlinguer viaggiava con due eminenti bulgari. Inconcepibile che si volessero eliminare anche loro. Giovanni Berlinguer, fratello di Enrico, attestò che il fratello non gli aveva mai parlato di attentato. «Panorama» si trovò in imbarazzo. Ma «l'Unità» del 28 ottobre 1991 pubblicò un'intervista con Letizia Berlinguer, vedova di Enrico, la quale confermò le confidenze di Macaluso: Enrico aveva comunicato i suoi sospetti anche a lei.
Oggi non possiamo più dubitare si volesse uccidere Berlinguer. I due bulgari nell'auto speronata erano nemici di Zhivkov, così che Zhivkov, uccidendo anche loro, prendeva due piccioni con una fava. In quei giorni il numero due del Pci era Cossutta, amicissimo di bulgari e sovietici. Se Berlinguer fosse morto ne diventava l'erede. Due anni dopo Berlinguer provvide a estrometterlo dalla segreteria.
Gli autori del libro sono stati bravissimi nel raccogliere informazioni e prove. Dimitri Georgiev, che aveva fotografato l'auto speronata, ha ritrovato le foto sequestrategli dalla polizia segreta. Fasanella e Incerti, tuttavia, cercano le motivazioni dell'attentato soprattutto nel crescente distacco tra Berlinguer e l'Urss. Un fatto incontrovertibile, ma insufficiente a spiegare l'attentato, che ebbe luogo il 3 ottobre '73, proprio nei giorni in cui Berlinguer rendeva pubblica la linea del "compromesso storico" con la Dc scrivendo tre articoli su «Rinascita». Il primo era uscito il 28 settembre. L'ultimo apparve il 12 ottobre, dopo l'attentato, ma poteva essere stato scritto prima.
Sia gli americani sia i sovietici non volevano che il Pci partecipasse al governo per non mettere in discussione la spartizione dell'Europa in sfere di influenze, sulla quale poggiava la pace mondiale. Gli occidentali non sostennero mai le rivoluzioni spontaneamente scoppiate nell'impero sovietico. E i sovietici, in cambio, non avrebbero mai appoggiato una insurrezione comunista in Italia. Le prove sono tante. L'ultima si trova nel diario di Andreotti pubblicato in questi giorni da Rizzoli. All'ammiraglio Garofalo che paventava un'insurrezione, Andreotti rispose tranquillo: «I comunisti non si muoveranno che nel caso di una guerra». La guerra non ci fu mai e i comunisti non insorsero mai.
Mosca vietava al Pci di entrare in un governo anche attraverso la via elettorale, per la semplice ragione che i cattolici polacchi o i dissidenti ungheresi, avrebbero preteso a quel punto libere elezioni, mettendo a rischio l'impero di Mosca e la pace generale. Come scrisse già nel 1975 lo storico britannico A.J.P. Taylor nella sua Storia della Seconda guerra mondiale: «Stalin era più che mai deciso a impedire qualsiasi successo comunista al di fuori della sua sfera di influenza, e fu Stalin, più che gli americani, a conservare l'Europa occidentale per la democrazia capitalista».
Fasanella e Incerti danno giustamente credito a Oleg Gordievskij, il funzionario dei servizi segreti sovietici che, con Christopher Andrew, pubblicò anni or sono La storia segreta del Kgb. Ci stupisce però che abbiano eliminato la frase più significativa di Gordievskij: «La proposta (del compromesso storico) fu resa accettabile dal fatto che il Pci avrebbe appoggiato il governo Dc, ma non sarebbe entrato a farne parte». La frase è stata così parafrasata: «Il punto di equilibrio fu che Mosca non avrebbe provocato una scissione finché il Pci, nonostante tutto, avesse continuato a mantenere un dialogo aperto con l'Urss». È vero che in altre pagine Fasanella e Incerti accennano al fatto che la Russia non gradiva il Pci al governo, ma si tratta di accenni che possono sfuggire.
Giovanni Fasanella e Corrado Incerti, «Sofia 1973: Berlinguer deve morire», Fazi editore, Roma 2005, pagg. 108, € 11,00.
http://www.oocities.org/melograni/testi_berlinguer.htm
Sono fuori da un pò di tempo da quelle che sono le comuni logiche del Piddì da almeno un anno e mezzo, da quando ho cominciato a scrivere sul vecchio forum che saremmo finiti in mezzo ad una guerra civile, o qualcosa di molto simile. Da quando, molto molto tempo prima che Mao Tze Grill definì zombie quelli del Piddì, ho chiamato quel partito “Il Partito dei defunti”. In pratica i morti viventi, gli zombies di Mao Tze, che tanto ha fatto infuriare, ma con molta furbizia temporale, in agosto Peppone Bersande.
Per essere sincero fino in fondo non mai amato il Piddì come fusione fredda voluta dai Ds perché stavano affondando miseramente nel 2006, raggiungendo il minimo storico del 17 % e dei margheritini che si rendevano perfettamente conto di aver raggiunto il loro punto massimo di espansione con il 10,727 %, all’inizio di aprile (8-9) in occasione delle elezioni nazionali che portarono Prodi alla guida del Paese.
La supercazzola di Ciariakos (l’uomo dell’antica Grecia- Definizione dell’avvocato nazionale, buonanima), “Meddiamogi insieme e boi veddiamo ghe suggede” e le motivazioni dei tromboni diessini guidati dalla Volpe del Tavoliere votati interamente al democristianesimo in cui, per incompetenza o per puro fancazzismo non avevano nessuna voglia di fare politica, ma diventava tutto più semplice applicare la regola aurea della vecchia Balena bianca, dove per tirare a campare bene senza troppi affanni bastava aggiungere partiti al banchetto, non mi ha mai né convinto, né entusiasmato più di tanto,…anzi, per niente.
L’inno ufficiale della fusione fredda era quello usato da Johnni Dorelli nella fortunatissima commedia musicale di Garinei e Giovannini nel lontano 1974, “Aggiungi un posto a tavola”:
Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.
http://www.youtube.com/watch?v=-72AeFfb714
Sono sempre stato legato all’Ulivo sia perché dal punto di vista della comunicazione è stato uno dei nomi più azzeccati della partitocrazia italiana, per quello che l’ulivo rappresenta, sia perché dopo 32 anni si avverava la richiesta di Giorgio Amendola fatta nel lontano 1964 all’allora direzione del Pci, in cui dopo quasi vent’anni di Repubblica intendeva sbloccare la sinistra italiana dai giochi internazionali e farla partecipare ai giochi dell’alternanza alla guida del Paese come avviene in una qualsiasi democrazia compiuta. La proposta era di rifondare l‘intera sinistra italiana riunendola in un solo grande partito in grado di competere con la Dc. Ovviamente comportava il distacco da Mosca. Le resistenze degli uomini legati a Mosca e non solo non consentirono la svolta democratica.
Lo farà più tardi Enrico Berlinguer (uno con le palle) a sprezzo del pericolo, perché Mosca già prima aveva ordinato : “Uccidete Berlinguer”.
Piero Melograni
Mosca ordinò: uccidete Berlinguer
"Il Sole 24 ore"
19 giugno 2005, p. 41
Finalmente, a trentadue anni di distanza dal giorno in cui bulgari e sovietici tentarono di uccidere Enrico Berlinguer esce un libro sull'argomento. L'intera storia del Pci dovrà essere riconsiderata alla luce di queste rivelazioni.
Il 3 ottobre 1973 Berlinguer era a Sofia per incontrare Zhivkov, capo dei comunisti bulgari. I colloqui furono assai tesi tanto che Berlinguer decise di interromperli e tornare in Italia. Lungo la strada da Sofia all'aeroporto si avviò un corteo di automobili. La prima con i poliziotti bulgari. La seconda, oltre all'autista e a un interprete, ospitava Berlinguer e due alti dirigenti bulgari: Tellalov e Velchev. Nella terza auto due esponenti del Pci, Gastone Gensini, e Angelo Oliva. Su un cavalcavia, la prima auto, con i poliziotti, accelerò e scomparve. Vari automezzi si muovevano nell'opposta corsia in direzione di Sofia. Tra questi un camion militare dei servizi speciali carico di pietre. Non appena l'auto di Berlinguer gli arrivò a tiro, il camion sterzò a sinistra e accelerò per colpirla con forza. L'auto sarebbe precipitata dal cavalcavia se non fosse stata fermata da un palo della luce. L'interprete morì sul colpo. Berlinguer ebbe un trauma cranico, varie ferite e perse una scarpa. Tellalov fu sbalzato fuori e si trovò a terra ferito. Velchev ebbe una gamba fratturata, lesioni alla pupilla e perse alcuni denti.
Gensini e Oliva, soccorso Berlinguer, fermarono un taxi per condurlo all'ospedale. I medici consigliarono al ferito di restare in osservazione alcune settimane, ma lui, che aveva superato lo choc e temeva i bulgari, decise di ripartire. Telefonò alla famiglia, minacciò di emanare un comunicato stampa e, attraverso l'ambasciata d'Italia, ottenne da Roma un aereo ambulanza. Per mantenere il segreto l'aereo atterrò all'aeroporto di Ciampino. Il presidente del Consiglio era allora Rumor e il ministro degli Esteri Aldo Moro. Rumor, Moro, l'ambasciatore italiano e i servizi segreti capirono tutto, ma proteggevano il Pci e restarono muti. Né «l'Unità» né altri giornali pubblicarono una sola riga. Berlinguer disse poi a Emanuele Macaluso, alto dirigente del Pci, di sospettare un attentato, ma gli chiese di tacere. Macaluso tacque diciotto anni. Nel 1991, dopo la morte di Berlinguer, ne parlò con Fasanella e Incerti, i due giornalisti di «Panorama» che hanno ora scritto questo libro. Molte persone vicine a Berlinguer - fra le quali Tatò, Giuseppe Fiori, Antonio Rubbi, Natta e Galluzzi - sostennero che Macaluso aveva detto il falso. Bufalini, membro della segreteria, giudicò strampalata l'ipotesi dell'attentato dato che Berlinguer viaggiava con due eminenti bulgari. Inconcepibile che si volessero eliminare anche loro. Giovanni Berlinguer, fratello di Enrico, attestò che il fratello non gli aveva mai parlato di attentato. «Panorama» si trovò in imbarazzo. Ma «l'Unità» del 28 ottobre 1991 pubblicò un'intervista con Letizia Berlinguer, vedova di Enrico, la quale confermò le confidenze di Macaluso: Enrico aveva comunicato i suoi sospetti anche a lei.
Oggi non possiamo più dubitare si volesse uccidere Berlinguer. I due bulgari nell'auto speronata erano nemici di Zhivkov, così che Zhivkov, uccidendo anche loro, prendeva due piccioni con una fava. In quei giorni il numero due del Pci era Cossutta, amicissimo di bulgari e sovietici. Se Berlinguer fosse morto ne diventava l'erede. Due anni dopo Berlinguer provvide a estrometterlo dalla segreteria.
Gli autori del libro sono stati bravissimi nel raccogliere informazioni e prove. Dimitri Georgiev, che aveva fotografato l'auto speronata, ha ritrovato le foto sequestrategli dalla polizia segreta. Fasanella e Incerti, tuttavia, cercano le motivazioni dell'attentato soprattutto nel crescente distacco tra Berlinguer e l'Urss. Un fatto incontrovertibile, ma insufficiente a spiegare l'attentato, che ebbe luogo il 3 ottobre '73, proprio nei giorni in cui Berlinguer rendeva pubblica la linea del "compromesso storico" con la Dc scrivendo tre articoli su «Rinascita». Il primo era uscito il 28 settembre. L'ultimo apparve il 12 ottobre, dopo l'attentato, ma poteva essere stato scritto prima.
Sia gli americani sia i sovietici non volevano che il Pci partecipasse al governo per non mettere in discussione la spartizione dell'Europa in sfere di influenze, sulla quale poggiava la pace mondiale. Gli occidentali non sostennero mai le rivoluzioni spontaneamente scoppiate nell'impero sovietico. E i sovietici, in cambio, non avrebbero mai appoggiato una insurrezione comunista in Italia. Le prove sono tante. L'ultima si trova nel diario di Andreotti pubblicato in questi giorni da Rizzoli. All'ammiraglio Garofalo che paventava un'insurrezione, Andreotti rispose tranquillo: «I comunisti non si muoveranno che nel caso di una guerra». La guerra non ci fu mai e i comunisti non insorsero mai.
Mosca vietava al Pci di entrare in un governo anche attraverso la via elettorale, per la semplice ragione che i cattolici polacchi o i dissidenti ungheresi, avrebbero preteso a quel punto libere elezioni, mettendo a rischio l'impero di Mosca e la pace generale. Come scrisse già nel 1975 lo storico britannico A.J.P. Taylor nella sua Storia della Seconda guerra mondiale: «Stalin era più che mai deciso a impedire qualsiasi successo comunista al di fuori della sua sfera di influenza, e fu Stalin, più che gli americani, a conservare l'Europa occidentale per la democrazia capitalista».
Fasanella e Incerti danno giustamente credito a Oleg Gordievskij, il funzionario dei servizi segreti sovietici che, con Christopher Andrew, pubblicò anni or sono La storia segreta del Kgb. Ci stupisce però che abbiano eliminato la frase più significativa di Gordievskij: «La proposta (del compromesso storico) fu resa accettabile dal fatto che il Pci avrebbe appoggiato il governo Dc, ma non sarebbe entrato a farne parte». La frase è stata così parafrasata: «Il punto di equilibrio fu che Mosca non avrebbe provocato una scissione finché il Pci, nonostante tutto, avesse continuato a mantenere un dialogo aperto con l'Urss». È vero che in altre pagine Fasanella e Incerti accennano al fatto che la Russia non gradiva il Pci al governo, ma si tratta di accenni che possono sfuggire.
Giovanni Fasanella e Corrado Incerti, «Sofia 1973: Berlinguer deve morire», Fazi editore, Roma 2005, pagg. 108, € 11,00.
http://www.oocities.org/melograni/testi_berlinguer.htm