Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
INTERMEZZO AL TEMA IN CORSO
Dieci anni fa, nella società italiana che tra alti e bassi tentava di crescere, questa realtà era impensabile.
Oggi è una realtà.
E i dati oggettivi ci spingono a credere che nei mesi successivi, peggiorerà.
Niente dentista, non ci sono soldi: un bambino su 2 ha i denti cariati
1/52
Il Gazzettino
Camilla De Mori
2 ore fa
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UDINE - Con la crisi, troppo spesso le famiglie, che già fanno fatica ad arrivare a fine mese, rinunciano al dentista. E i risultati (di questo, ma anche di altri fattori), sono, purtroppo nei dati allarmanti messi in luce da uno studio condotto nel 2015-2016 su oltre ottocento bambini di prima elementare di 44 classi di 26 scuole (di cui 20 pubbliche) udinesi. Solo il 48% degli 807 piccoli visitati, infatti, aveva denti “caries free”, che non avevano (né avevano avuto) carie. Una percentuale ben distante dall’obiettivo 2020 dell’Oms, che è del 90% fra i bimbi di 5-6 anni. E nel 2014-2015 era andata anche peggio, visto che uno studio su 195 alunni di prima elementare aveva rilevato un tasso di “caries free” di appena il 38%. Tanto che ora Udine corre ai ripari, estendendo lo screening preventivo «a tutte le scuole dei comuni dell’Uti, per un totale di quasi 1.300-1400 bambini», come spiega l’odontoiatra del distretto sanitario Rossella Tito.
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
Dieci anni fa, nella società italiana che tra alti e bassi tentava di crescere, questa realtà era impensabile.
Oggi è una realtà.
E i dati oggettivi ci spingono a credere che nei mesi successivi, peggiorerà.
Niente dentista, non ci sono soldi: un bambino su 2 ha i denti cariati
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UDINE - Con la crisi, troppo spesso le famiglie, che già fanno fatica ad arrivare a fine mese, rinunciano al dentista. E i risultati (di questo, ma anche di altri fattori), sono, purtroppo nei dati allarmanti messi in luce da uno studio condotto nel 2015-2016 su oltre ottocento bambini di prima elementare di 44 classi di 26 scuole (di cui 20 pubbliche) udinesi. Solo il 48% degli 807 piccoli visitati, infatti, aveva denti “caries free”, che non avevano (né avevano avuto) carie. Una percentuale ben distante dall’obiettivo 2020 dell’Oms, che è del 90% fra i bimbi di 5-6 anni. E nel 2014-2015 era andata anche peggio, visto che uno studio su 195 alunni di prima elementare aveva rilevato un tasso di “caries free” di appena il 38%. Tanto che ora Udine corre ai ripari, estendendo lo screening preventivo «a tutte le scuole dei comuni dell’Uti, per un totale di quasi 1.300-1400 bambini», come spiega l’odontoiatra del distretto sanitario Rossella Tito.
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
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Re: Diario della caduta di un regime.
INTERMEZZO AL TEMA IN CORSO
Questi fantasmi!
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
« I fantasmi non esistono... li creiamo noi, siamo noi i fantasmi! »
(Pasquale Lojacono in Questi fantasmi!)
Questi fantasmi! è una commedia in tre atti, scritta nel 1945 ed interpretata da Eduardo De Filippo il 7 gennaio 1946, al Teatro Eliseo di Roma, con la Compagnia «Il Teatro di Eduardo con Titina De Filippo».
E INVECE I FANTASMI ESISTONO…….ECCOME ESISTONO........
Questi fantasmi!
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« I fantasmi non esistono... li creiamo noi, siamo noi i fantasmi! »
(Pasquale Lojacono in Questi fantasmi!)
Questi fantasmi! è una commedia in tre atti, scritta nel 1945 ed interpretata da Eduardo De Filippo il 7 gennaio 1946, al Teatro Eliseo di Roma, con la Compagnia «Il Teatro di Eduardo con Titina De Filippo».
E INVECE I FANTASMI ESISTONO…….ECCOME ESISTONO........
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Re: Diario della caduta di un regime.
INTERMEZZO AL TEMA IN CORSO
DIRETTAMENTE DALL’ALDILA’, DOPO AVER PAGATO UN PERMESSO IN DIAMANTI, TORNA IL FANTASMA DELL’EX SENATUR, FAMOSO PER IL SEMPER DUR.
Bossi e il ritorno del centrodestra: “Pd a pezzi
M5S inaffidabile. Vinciamo noi con Berlusconi”
INTERVISTA – Il senatur: “Salvini e Silvio? Si stanno parlando. Io fatto fuori dalle liste? Tutte cazzate”
Su Renzi: “Non ne ha fatta una giusta. Un segretario sa unire. La minaccia è l’ultima carta degli sconfitti”
Politica
Alle nove rivisita Lincoln: “Puoi imbrogliare tutti per un po’ e qualcuno per sempre, non tutti per sempre”. Dieci ore dopo bofonchia un Flaiano sulla rinnovata alleanza con Berlusconi: “Certissima, anzi probabile”. Nel mezzo, 49 votazioni e una dozzina di sigari Garibaldi accesi e quasi subito buttati: “Il piacere di dar fuoco a Garibaldi”, sorride. Il 75enne Umberto Bossi non si dà tregua. “Non mi perdo nulla”. E non si capisce se parli dei lavori in aula o del chiacchiericcio dei deputati. Lui una certezza ce l’ha: essere, nonostante tutto, al centro degli equilibri della possibile rinnovata alleanza con l’ex cavaliere
di Davide Vecchi
DIRETTAMENTE DALL’ALDILA’, DOPO AVER PAGATO UN PERMESSO IN DIAMANTI, TORNA IL FANTASMA DELL’EX SENATUR, FAMOSO PER IL SEMPER DUR.
Bossi e il ritorno del centrodestra: “Pd a pezzi
M5S inaffidabile. Vinciamo noi con Berlusconi”
INTERVISTA – Il senatur: “Salvini e Silvio? Si stanno parlando. Io fatto fuori dalle liste? Tutte cazzate”
Su Renzi: “Non ne ha fatta una giusta. Un segretario sa unire. La minaccia è l’ultima carta degli sconfitti”
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Alle nove rivisita Lincoln: “Puoi imbrogliare tutti per un po’ e qualcuno per sempre, non tutti per sempre”. Dieci ore dopo bofonchia un Flaiano sulla rinnovata alleanza con Berlusconi: “Certissima, anzi probabile”. Nel mezzo, 49 votazioni e una dozzina di sigari Garibaldi accesi e quasi subito buttati: “Il piacere di dar fuoco a Garibaldi”, sorride. Il 75enne Umberto Bossi non si dà tregua. “Non mi perdo nulla”. E non si capisce se parli dei lavori in aula o del chiacchiericcio dei deputati. Lui una certezza ce l’ha: essere, nonostante tutto, al centro degli equilibri della possibile rinnovata alleanza con l’ex cavaliere
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Re: Diario della caduta di un regime.
ANCORA SU MICHELE
Precarietà e disoccupazione uccidono i giovani. Chi sono i responsabili?
di Fabio Marcelli | 10 febbraio 2017
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Fabio Marcelli
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L’abbandono dei giovani, completamente lasciati a se stessi e senza la possibilità di costruirsi un futuro, costituisce senza dubbio uno dei tratti più inquietanti dell’attuale società capitalistica occidentale. Una drammatica testimonianza ce ne viene dalla lettera di addio lasciata da Michele, giovane grafico trentenne udinese, prima di suicidarsi. Un’estrema scelta individuale le cui radici sociali sarebbe tuttavia da sciocchi voler negare, tanto più che sono stati gli stessi genitori di Michele a sottolineare il legame esistente tra la scelta disperata del loro figlio e la situazione di precarietà che stava vivendo.
Varie sono le responsabilità dietro a una situazione così drammatica, che vede oggi quasi il 40% dei giovani senza lavoro e il dilagare di occupazioni precarie prive di sicurezza sociale e individuale. In primo luogo quella di governi come l’attuale e quelli che l’hanno preceduto, composti da ministri le cui politiche sciagurate hanno ingigantito la precarietà sopprimendo il futuro di milioni di giovani. Ministri il cui archetipo pare essere quel Poletti che Michele non a caso cita nella sua lettera d’addio. A ciò si aggiunga il preciso disegno di distruggere il sistema educativo, perpetrato, da Gelmini in poi, per eliminare ogni spirito critico nelle giovani generazioni e trasformarle in un esercito di ottusi esecutori degli ordini superiori.
In secondo luogo quelle dell’Europa a dominanza germanica, le cui politiche economiche mirano a favorire i vecchi redditieri e non creano posti di lavoro per i giovani.
In terzo luogo quelle dei predicatori del neoliberismo, nefasta dottrina che è alla base delle disuguaglianze crescenti e della distruzione di ogni cultura e struttura dell’intervento pubblico, generalmente additate come causa di sprechi d preziose valute che andrebbero invece riposte nei forzieri della finanza, cosa che infatti avviene a discapito di tutti coloro che non rientrano nella ristretta minoranza dei ricchi detentori di patrimonio.
Vi sono nel mondo miliardi di giovani cui il futuro è negato da questo sistema politico, economico e sociale. Molti di essi tentano, fuggendo da Paesi da tempo distrutti da tale sistema, tentano di raggiungere l’Occidente dove si illudono di poter avere un destino migliore, finendo spesso in condizioni di vera e propria schiavitù ovvero nelle maglie dell’economia criminale che costituisce l’altra faccia di quella ufficiale. Altri, come Michele, nati in Occidente, vi conducono un’esistenza grama per effetto della precarizzazione e della mancanza di lavoro, nell’impossibilità di costruirsi un futuro, di farsi una famiglia, di avere dei figli, di poter progettare e condurre un’esistenza minimamente dignitosa.
Nessun beneficio potranno trarre gli uni e gli altri dall’ultima invenzione del sistema capitalistico occidentale, il razzismo stile Trump che vende fumo e cerca di accaparrarsi il consenso degli uni alimentando la sofferenza degli altri. E pare significativo che i giovani, che hanno sconfitto in Italia la controriforma renziana, abbiano votato a grande maggioranza contro Trump negli Stati Uniti.
I problemi di fondo di cui soffriamo non sono peraltro solubili entro l’attuale asfittico orizzonte ideale della nostra classe dirigente profondamente degenerata. Mi limito a citarne i principali: 1) la demolizione dello Stato sociale, imprenditore e regolatore dell’economia, che priva gli Stati (e l’Unione europea) di ogni possibilità di progettare politiche pubbliche che pur sarebbero necessarie come il pane in una situazione del genere; 2) l’enorme rafforzamento del capitale, specie finanziario, a scapito del lavoro, sempre più bistrattato ed umiliato; 3) l’automazione dei processi produttivi che elimina posti di lavoro e beneficia esclusivamente il capitale.
Una risposta possibile, sulla quale sono in molti a chiacchierare ma pochi ad agire, almeno in Italia, è quella di un reddito di cittadinanza finanziato da un’imposta patrimoniale, che avrebbe un duplice effetto positivo, specialmente se abbinato all’intervento pubblico per l’effettuazione di lavori di pubblica utilità in tutta una serie di settori, dalla sistemazione del territorio alla tutela del patrimonio culturale, dalla protezione ambientale alla produzione artistica, puntando fortemente sul rilancio in tutti questi settori di una formazione mirata e della ricerca. In primo luogo tale scelta invertirebbe la tendenza alla precarizzazione e costituirebbe un segno concreto del fatto che il futuro dei giovani è di interesse comune. In secondo luogo essa, grazie a un cospicuo prelievo fiscale, frenerebbe la crescente disuguaglianza tra i redditi e tra i patrimoni, che esiste e aumenta.
Una scelta del genere presuppone però un cambiamento radicale della scena politica, da cui vanno estromessi definitivamente parassiti e servi del potere finanziario che la dominano oramai da troppo tempo. Occorre peraltro essere consapevoli del fatto che ci si potrà arrivare solo attraverso una lotta dura e di lunga durata. Ma prima si comincia e prima si arriva. Uno degli effetti positivi di tale lotta sarà anche quello di dare una prospettiva e un senso di vita a coloro che, come Michele, ne sono oggi privati in numero crescente.
Precarietà e disoccupazione uccidono i giovani. Chi sono i responsabili?
di Fabio Marcelli | 10 febbraio 2017
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L’abbandono dei giovani, completamente lasciati a se stessi e senza la possibilità di costruirsi un futuro, costituisce senza dubbio uno dei tratti più inquietanti dell’attuale società capitalistica occidentale. Una drammatica testimonianza ce ne viene dalla lettera di addio lasciata da Michele, giovane grafico trentenne udinese, prima di suicidarsi. Un’estrema scelta individuale le cui radici sociali sarebbe tuttavia da sciocchi voler negare, tanto più che sono stati gli stessi genitori di Michele a sottolineare il legame esistente tra la scelta disperata del loro figlio e la situazione di precarietà che stava vivendo.
Varie sono le responsabilità dietro a una situazione così drammatica, che vede oggi quasi il 40% dei giovani senza lavoro e il dilagare di occupazioni precarie prive di sicurezza sociale e individuale. In primo luogo quella di governi come l’attuale e quelli che l’hanno preceduto, composti da ministri le cui politiche sciagurate hanno ingigantito la precarietà sopprimendo il futuro di milioni di giovani. Ministri il cui archetipo pare essere quel Poletti che Michele non a caso cita nella sua lettera d’addio. A ciò si aggiunga il preciso disegno di distruggere il sistema educativo, perpetrato, da Gelmini in poi, per eliminare ogni spirito critico nelle giovani generazioni e trasformarle in un esercito di ottusi esecutori degli ordini superiori.
In secondo luogo quelle dell’Europa a dominanza germanica, le cui politiche economiche mirano a favorire i vecchi redditieri e non creano posti di lavoro per i giovani.
In terzo luogo quelle dei predicatori del neoliberismo, nefasta dottrina che è alla base delle disuguaglianze crescenti e della distruzione di ogni cultura e struttura dell’intervento pubblico, generalmente additate come causa di sprechi d preziose valute che andrebbero invece riposte nei forzieri della finanza, cosa che infatti avviene a discapito di tutti coloro che non rientrano nella ristretta minoranza dei ricchi detentori di patrimonio.
Vi sono nel mondo miliardi di giovani cui il futuro è negato da questo sistema politico, economico e sociale. Molti di essi tentano, fuggendo da Paesi da tempo distrutti da tale sistema, tentano di raggiungere l’Occidente dove si illudono di poter avere un destino migliore, finendo spesso in condizioni di vera e propria schiavitù ovvero nelle maglie dell’economia criminale che costituisce l’altra faccia di quella ufficiale. Altri, come Michele, nati in Occidente, vi conducono un’esistenza grama per effetto della precarizzazione e della mancanza di lavoro, nell’impossibilità di costruirsi un futuro, di farsi una famiglia, di avere dei figli, di poter progettare e condurre un’esistenza minimamente dignitosa.
Nessun beneficio potranno trarre gli uni e gli altri dall’ultima invenzione del sistema capitalistico occidentale, il razzismo stile Trump che vende fumo e cerca di accaparrarsi il consenso degli uni alimentando la sofferenza degli altri. E pare significativo che i giovani, che hanno sconfitto in Italia la controriforma renziana, abbiano votato a grande maggioranza contro Trump negli Stati Uniti.
I problemi di fondo di cui soffriamo non sono peraltro solubili entro l’attuale asfittico orizzonte ideale della nostra classe dirigente profondamente degenerata. Mi limito a citarne i principali: 1) la demolizione dello Stato sociale, imprenditore e regolatore dell’economia, che priva gli Stati (e l’Unione europea) di ogni possibilità di progettare politiche pubbliche che pur sarebbero necessarie come il pane in una situazione del genere; 2) l’enorme rafforzamento del capitale, specie finanziario, a scapito del lavoro, sempre più bistrattato ed umiliato; 3) l’automazione dei processi produttivi che elimina posti di lavoro e beneficia esclusivamente il capitale.
Una risposta possibile, sulla quale sono in molti a chiacchierare ma pochi ad agire, almeno in Italia, è quella di un reddito di cittadinanza finanziato da un’imposta patrimoniale, che avrebbe un duplice effetto positivo, specialmente se abbinato all’intervento pubblico per l’effettuazione di lavori di pubblica utilità in tutta una serie di settori, dalla sistemazione del territorio alla tutela del patrimonio culturale, dalla protezione ambientale alla produzione artistica, puntando fortemente sul rilancio in tutti questi settori di una formazione mirata e della ricerca. In primo luogo tale scelta invertirebbe la tendenza alla precarizzazione e costituirebbe un segno concreto del fatto che il futuro dei giovani è di interesse comune. In secondo luogo essa, grazie a un cospicuo prelievo fiscale, frenerebbe la crescente disuguaglianza tra i redditi e tra i patrimoni, che esiste e aumenta.
Una scelta del genere presuppone però un cambiamento radicale della scena politica, da cui vanno estromessi definitivamente parassiti e servi del potere finanziario che la dominano oramai da troppo tempo. Occorre peraltro essere consapevoli del fatto che ci si potrà arrivare solo attraverso una lotta dura e di lunga durata. Ma prima si comincia e prima si arriva. Uno degli effetti positivi di tale lotta sarà anche quello di dare una prospettiva e un senso di vita a coloro che, come Michele, ne sono oggi privati in numero crescente.
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Re: Diario della caduta di un regime.
ANCORA SU MICHELE
La lettera di Michele, aspettative frustrate che possono uccidere
di Stefano Feltri | 8 febbraio 2017
| 404
“Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione“. La lettera di Michele ieri era ovunque sui social, dopo la pubblicazione voluta dai genitori sul Messaggero Veneto: 30enne, friulano, grafico che ha ricevuto troppi rifiuti (sul lavoro e in amore), si è suicidato lasciando una lettera lucida perché “dentro di me non c’era caos, dentro di me c’era ordine”.
Ne abbiamo discusso a lungo in redazione tra noi intorno ai trent’anni: abbiamo un lavoro, stiamo meglio di tanti nostri coetanei e di certo meglio di Michele. Ma tutti noi abbiamo capito cosa intende quando, poche righe prima di congedarsi, scrive: “Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità”. Chi è cresciuto con il senso di colpa di avere troppo e poi, diventato adulto, per colpa della crisi, della globalizzazione, del debito pubblico, ma di sicuro non sua, ha scoperto di avere troppo poco matura una notevole frustrazione.
Di fronte a un suicidio non ha senso cercare colpevoli o concentrarsi su quel Post scriptum politico (“Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi”). Il filosofo tedesco Byung-Chul Han nel suo libro Psicopolitica (Nottetempo) ha scritto: “Nelle società della prestazione neoliberale chi fallisce, invece di mettere in dubbio la società e il sistema, ritiene se stesso responsabile e si vergogna del fallimento”.
Una volta la qualità di una democrazia si misurava sul tipo di vita che conducevano gli ultimi, quelli che in inglese si chiamano “have nots”, coloro che non hanno, i più fragili. Poi la retorica della meritocrazia ha stabilito che invece la temperatura della democrazia andava misurata alle eccellenze, le élite. Predicare merito e competizione, in un Paese vischioso e declinante come l’Italia, può essere utile e perfino necessario. Ma produce effetti collaterali. E talvolta vittime
La lettera di Michele, aspettative frustrate che possono uccidere
di Stefano Feltri | 8 febbraio 2017
| 404
“Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione“. La lettera di Michele ieri era ovunque sui social, dopo la pubblicazione voluta dai genitori sul Messaggero Veneto: 30enne, friulano, grafico che ha ricevuto troppi rifiuti (sul lavoro e in amore), si è suicidato lasciando una lettera lucida perché “dentro di me non c’era caos, dentro di me c’era ordine”.
Ne abbiamo discusso a lungo in redazione tra noi intorno ai trent’anni: abbiamo un lavoro, stiamo meglio di tanti nostri coetanei e di certo meglio di Michele. Ma tutti noi abbiamo capito cosa intende quando, poche righe prima di congedarsi, scrive: “Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità”. Chi è cresciuto con il senso di colpa di avere troppo e poi, diventato adulto, per colpa della crisi, della globalizzazione, del debito pubblico, ma di sicuro non sua, ha scoperto di avere troppo poco matura una notevole frustrazione.
Di fronte a un suicidio non ha senso cercare colpevoli o concentrarsi su quel Post scriptum politico (“Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi”). Il filosofo tedesco Byung-Chul Han nel suo libro Psicopolitica (Nottetempo) ha scritto: “Nelle società della prestazione neoliberale chi fallisce, invece di mettere in dubbio la società e il sistema, ritiene se stesso responsabile e si vergogna del fallimento”.
Una volta la qualità di una democrazia si misurava sul tipo di vita che conducevano gli ultimi, quelli che in inglese si chiamano “have nots”, coloro che non hanno, i più fragili. Poi la retorica della meritocrazia ha stabilito che invece la temperatura della democrazia andava misurata alle eccellenze, le élite. Predicare merito e competizione, in un Paese vischioso e declinante come l’Italia, può essere utile e perfino necessario. Ma produce effetti collaterali. E talvolta vittime
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Re: Diario della caduta di un regime.
NEL POZZO NERO, SOTTO LE MACERIE, MENTRE IMPAZZA L'EPIDEMIA DA IMBECILLOCOCCO
Politica
I falsi populisti, da Trump a Beppe Grillo e Salvini
di Pierfranco Pellizzetti | 8 febbraio 2017
Nell’odierna confusione babelica, che qualcuno già etichetta come “post-globalizzazione”, parrebbe prendere forma una bizzarra filiera – tra l’altro accreditata dal feeling tra i diretti interessati – che collegherebbe Donald Trump a Beppe Grillo, Marine Le Pen a Matteo Salvini: la singolare genia dei populisti versione sovranista.
Dunque un capriccioso bancarottiere in preda a turbe iomaniache, un tribuno della plebe affetto da pulsioni cristologiche (sdoppiamento di personalità risalente al 1982, quando il regista Luigi Comencini lo diresse in “Cercasi Gesù”?), una figlia d’arte che amministra il lascito chauvinistico della Francia profonda, un bulletto in carriera. Maschere certamente differenti, eppure accomunate dalla spiccata e manifesta simpatia nei confronti dei sinistri e inquietanti ceffi della Democratura odierna: da Vladimir Putin a Tayyip Erdogan, al premier ungherese Viktor Orbàn.
Disturbi mentali di tipo dissociativo a parte (leggi, identificazione nel ruolo che si recita), un bel gruppo di furboni; i quali hanno trovato nel campo del cosiddetto “populismo” terreno fertile per le loro aspirazioni ascensionali. Fermo restando che le rispettive frequentazioni dovrebbero smascherarne le effettive affinità/preferenze sociali: i petrolieri miliardari e i consulenti alla Goldman Sachs che Trump ha riunito nella sala ovale di Washington, gli omologhi carrieristi di estrazione piccolo borghese da frequentare nei momenti di intimità per Beppe Grillo (la bella gente cafonal, tipo Flavio Briatore o l’evasore seriale Gino Paoli). Combriccole di amici che nulla avrebbero da spartire con le pratiche da ami du peuple; nell’apoteosi dell’imbroglionismo demagogico. Stravolgimento del significato intrinseco che – nonostante demonizzazioni strumentali – oggi assume il termine “populista”: la denuncia delle politiche anti-popolari imposte in questa fase storica dalle plutocrazie dominanti. Estraneità che le soluzioni di stampo sovranista, con cui i demagoghi ammantati di populismo colonizzano in maniera ambigua la vasta area dell’indignazione anti-establishment, dovrebbero mettere in evidenza. E da cui incassano consistenti dividendi elettorali. Mentre le masse che si bevono il suddetto imbroglio – assetate di semplificazioni anestetiche, come sono – accreditano alla stregua di panacea miracolosa.
E neppure scorgono l’insanabile contraddizione che condanna al fallimento la ricetta sovranista/populista. Ossia, mentre si proclamano intenti popolari, si perseguono chiusure protezionistiche; in linea con gli intenti di quella parte dell’establishment che coltiva da un ventennio la versione più prevaricatrice nella complessiva strategia reazionaria: l’isolazionismo, tradotto nella blindatura del privilegio in una nuova società rifeudalizzata e castale. Con le moltitudini ridotte a gregge e relegate in ghetti post-democratici, dove essere tenute a bada dai demagoghi sedicenti “amici del popolo”.
Il tutto in un’orgia di comunicazioni false e truffaldine, ma sempre improntate alla semplificazione. Per cui vengono attaccate cose buone e inclusive – quali la globalizzazione cosmopolitica e il processo di unificazione europea – falsamente identificate nei loro esiti degenerati: la globalizzazione finanziaria alla Clinton e l’Unione europea delle banche e dell’austerity. Non progetti civili che hanno subito un’indebita deviazione e da riportare sui giusti binari. Bensì da distruggere, cancellandone i generosi intenti originari. All’insegna dell’esclusione di massa mondializzata. Mentre i demagoghi finto populisti potranno occupare le poltrone pubbliche più elevate, sempre al servizio del nuovo ordine anti-popolare.
Politica
I falsi populisti, da Trump a Beppe Grillo e Salvini
di Pierfranco Pellizzetti | 8 febbraio 2017
Nell’odierna confusione babelica, che qualcuno già etichetta come “post-globalizzazione”, parrebbe prendere forma una bizzarra filiera – tra l’altro accreditata dal feeling tra i diretti interessati – che collegherebbe Donald Trump a Beppe Grillo, Marine Le Pen a Matteo Salvini: la singolare genia dei populisti versione sovranista.
Dunque un capriccioso bancarottiere in preda a turbe iomaniache, un tribuno della plebe affetto da pulsioni cristologiche (sdoppiamento di personalità risalente al 1982, quando il regista Luigi Comencini lo diresse in “Cercasi Gesù”?), una figlia d’arte che amministra il lascito chauvinistico della Francia profonda, un bulletto in carriera. Maschere certamente differenti, eppure accomunate dalla spiccata e manifesta simpatia nei confronti dei sinistri e inquietanti ceffi della Democratura odierna: da Vladimir Putin a Tayyip Erdogan, al premier ungherese Viktor Orbàn.
Disturbi mentali di tipo dissociativo a parte (leggi, identificazione nel ruolo che si recita), un bel gruppo di furboni; i quali hanno trovato nel campo del cosiddetto “populismo” terreno fertile per le loro aspirazioni ascensionali. Fermo restando che le rispettive frequentazioni dovrebbero smascherarne le effettive affinità/preferenze sociali: i petrolieri miliardari e i consulenti alla Goldman Sachs che Trump ha riunito nella sala ovale di Washington, gli omologhi carrieristi di estrazione piccolo borghese da frequentare nei momenti di intimità per Beppe Grillo (la bella gente cafonal, tipo Flavio Briatore o l’evasore seriale Gino Paoli). Combriccole di amici che nulla avrebbero da spartire con le pratiche da ami du peuple; nell’apoteosi dell’imbroglionismo demagogico. Stravolgimento del significato intrinseco che – nonostante demonizzazioni strumentali – oggi assume il termine “populista”: la denuncia delle politiche anti-popolari imposte in questa fase storica dalle plutocrazie dominanti. Estraneità che le soluzioni di stampo sovranista, con cui i demagoghi ammantati di populismo colonizzano in maniera ambigua la vasta area dell’indignazione anti-establishment, dovrebbero mettere in evidenza. E da cui incassano consistenti dividendi elettorali. Mentre le masse che si bevono il suddetto imbroglio – assetate di semplificazioni anestetiche, come sono – accreditano alla stregua di panacea miracolosa.
E neppure scorgono l’insanabile contraddizione che condanna al fallimento la ricetta sovranista/populista. Ossia, mentre si proclamano intenti popolari, si perseguono chiusure protezionistiche; in linea con gli intenti di quella parte dell’establishment che coltiva da un ventennio la versione più prevaricatrice nella complessiva strategia reazionaria: l’isolazionismo, tradotto nella blindatura del privilegio in una nuova società rifeudalizzata e castale. Con le moltitudini ridotte a gregge e relegate in ghetti post-democratici, dove essere tenute a bada dai demagoghi sedicenti “amici del popolo”.
Il tutto in un’orgia di comunicazioni false e truffaldine, ma sempre improntate alla semplificazione. Per cui vengono attaccate cose buone e inclusive – quali la globalizzazione cosmopolitica e il processo di unificazione europea – falsamente identificate nei loro esiti degenerati: la globalizzazione finanziaria alla Clinton e l’Unione europea delle banche e dell’austerity. Non progetti civili che hanno subito un’indebita deviazione e da riportare sui giusti binari. Bensì da distruggere, cancellandone i generosi intenti originari. All’insegna dell’esclusione di massa mondializzata. Mentre i demagoghi finto populisti potranno occupare le poltrone pubbliche più elevate, sempre al servizio del nuovo ordine anti-popolare.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Giovedì scorso, on the road, ho incontrato un vecchio amico. E come di abitudine abbiamo confrontato i nostri punti di vista sul malessere della società italiana.
La cosa che però ha attirato la mia attenzione, è quando ha affrontato la materia puntando i riflettori sull’elettorato italiano, in parte responsabile del disastro attuale, nella sua quota parte.
Evidenziando nei fatti la responsabilità dell’italiano medio.
Adesso, incuriosito di saperne di più, sto sondando tutti coloro con cui vengo a contatto.
Non posso, quindi, non girare la domanda al forum.
QUAL’E’, SECONDO VOI, IL PROFILO DELL’ITALIANO MEDIO ALL’INIZIO DEL TERZO MILLENNIO?????
La cosa che però ha attirato la mia attenzione, è quando ha affrontato la materia puntando i riflettori sull’elettorato italiano, in parte responsabile del disastro attuale, nella sua quota parte.
Evidenziando nei fatti la responsabilità dell’italiano medio.
Adesso, incuriosito di saperne di più, sto sondando tutti coloro con cui vengo a contatto.
Non posso, quindi, non girare la domanda al forum.
QUAL’E’, SECONDO VOI, IL PROFILO DELL’ITALIANO MEDIO ALL’INIZIO DEL TERZO MILLENNIO?????
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Re: Diario della caduta di un regime.
l'uomo del futuro sarà la perfetta fotocopia di bic jim
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Re: Diario della caduta di un regime.
Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
LA GUERRA PER BANDE CHE STA PORTANDO AL TERMINE L’ESPERIENZA REPUBBLICANA NATA DALLA RESISTENZA.
CRONACA DELLE VOCI DALL’OLTRETOMBA
IL PARERE DEL PROFETA FONDATORE DELLA RELIGIONE BUNGA-BUNGA, IN PIENA ESPANSIONE
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"Impossibile votare a giugno
E sarebbe da irresponsabili"
Chiara Sarra
LA GUERRA PER BANDE CHE STA PORTANDO AL TERMINE L’ESPERIENZA REPUBBLICANA NATA DALLA RESISTENZA.
CRONACA DELLE VOCI DALL’OLTRETOMBA
IL PARERE DEL PROFETA FONDATORE DELLA RELIGIONE BUNGA-BUNGA, IN PIENA ESPANSIONE
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"Impossibile votare a giugno
E sarebbe da irresponsabili"
Chiara Sarra
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Re: Diario della caduta di un regime.
IN PREPARAZIONE DEI TEMPI PROSSIMI VENTURI
Trieste, il sindaco Dipiazza fa il saluto romano in diretta: “A noi”
Video:
00:41
ilfattoquotidiano.it/2017/02/11/trieste-gaffe-del-sindaco-dipiazza-fa-il-saluto-romano-in-diretta-e-poi-si-giustifica-e-solo-un-saluto/3384716
di Gisella Ruccia | 11 febbraio 2017
commenti (74)
558
Più informazioni su: Fascismo, Trieste
Durante la diretta della trasmissione “Ring”, su Telenova, il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, si è lasciato andare al saluto romano, accompagnandolo col canonico “A noi”, mentre scorreva la sigla d’inizio del programma. Con imbarazzo il conduttore, Ferdinando Iavarino, ha tentato di fermarlo: “No, è in diretta, eh”. “Sì, in diretta” – ha replicato il politico – “E’ un saluto“. L’intervista è andata in onda on live anche su Facebook, scatenando una ridda di commenti. I detrattori hanno condannato il saluto fascista, i fan del sindaco hanno obiettato che si trattasse di un gesto eseguito con la mano sinistra e come tale non catalogabile come nostalgico. Certo è che Dipiazza, che in queste ore furoreggia su youtube in un filmato virale, non è nuovo a evocazioni del ventennio: le cronache locali raccontano che il 15 settembre 2016, in un ristorante di Gemona (Udine), in occasione di una cena con Simone Cristicchi, dopo il suo spettacolo “Orcolat ’76” dedicato al 40mo anniversario del terremoto che colpì il Friuli, il sindaco, nel congedarsi dal parterre di politici di centrodestra presenti, si accomiatò con il noto saluto a braccio teso
I camerati Sallusti e Feltri Littorio, saranno in sullucchero.
FINALMENTE QUALCHE CORAGGIOSO
Trieste, il sindaco Dipiazza fa il saluto romano in diretta: “A noi”
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di Gisella Ruccia | 11 febbraio 2017
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Durante la diretta della trasmissione “Ring”, su Telenova, il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, si è lasciato andare al saluto romano, accompagnandolo col canonico “A noi”, mentre scorreva la sigla d’inizio del programma. Con imbarazzo il conduttore, Ferdinando Iavarino, ha tentato di fermarlo: “No, è in diretta, eh”. “Sì, in diretta” – ha replicato il politico – “E’ un saluto“. L’intervista è andata in onda on live anche su Facebook, scatenando una ridda di commenti. I detrattori hanno condannato il saluto fascista, i fan del sindaco hanno obiettato che si trattasse di un gesto eseguito con la mano sinistra e come tale non catalogabile come nostalgico. Certo è che Dipiazza, che in queste ore furoreggia su youtube in un filmato virale, non è nuovo a evocazioni del ventennio: le cronache locali raccontano che il 15 settembre 2016, in un ristorante di Gemona (Udine), in occasione di una cena con Simone Cristicchi, dopo il suo spettacolo “Orcolat ’76” dedicato al 40mo anniversario del terremoto che colpì il Friuli, il sindaco, nel congedarsi dal parterre di politici di centrodestra presenti, si accomiatò con il noto saluto a braccio teso
I camerati Sallusti e Feltri Littorio, saranno in sullucchero.
FINALMENTE QUALCHE CORAGGIOSO
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