ROMA - Durerà un'ora e mezza il primo faccia a faccia in tv tra Barack Obama e Mitt Romney. Il presidente americano e il candidato repubblicano alla Casa Bianca si sfideranno all'Università di Denver, in Colorado, alle 19 locali (le 3 di notte in Italia) e - secondo le stime - davanti ai teleschermi ci saranno almeno 60 milioni di telespettatori. A moderare il dibattito sarà Jim Leher, caporedattore di Pbs Newshour.
Queste le regole fissate dalla Commission on Presidential Debate (Cpd).
DURATA - Il confronto è di 90 minuti, suddiviso in sei segmenti di 15 minuti l'uno, ognuno dedicato ad un tema di politica interna. Non è previsto alcun break.
TEMI - Sono concordati con i due candidati che però non conoscono le domande. Nei primi tre segmenti si affrontano quelli dell'economia, della disoccupazione, del fisco e del bilancio. Nella quarta parte la sanità e la controversa Obamacare. Nelle ultime due sezioni, la questione del ruolo del governo e probabilmente quella della sicurezza.
RISPOSTE - Ogni tema viene introdotto da una domanda del moderatore e i due candidati hanno due minuti ciascuno per rispondere. Poi partono le altre domande, e sta al moderatore fermare i candidati se vanno troppo lunghi sui tempi.
DICHIARAZIONI FINALI - Al termine del dibattito i due candidati hanno qualche minuto per dire l'ultima parola e lanciare il loro appello agli elettori.
PUBBLICO - I presenti al dibattito hanno la consegna del più assoluto silenzio. Vietati quindi applausi o manifestazioni di dissenso.
lo stesso preciso identico come da noi
La storia. Dalla fronte imperlata di sudore, allo sguardo perso nel vuoto. Dall'occhiata fugace all'orologio, alla risposta troppo distaccata e formale. Sono tante le bucce di banana che i candidati alla Casa Bianca, il presidente Barack Obama e lo sfidante, il repubblicano Mitt Romney, dovranno schivare questa sera, nei 90 lunghissimi minuti di duello televisivo, il primo, sui temi più scottanti della politica interna e dell'economia.
Ad insegnarlo è la leggenda dei dibattiti televisivi, non a torto ribattezzati negli Usa «Great Debates» perché in più di una occasione hanno marcato indelebilmente il prosieguo della campagna elettorale e, in ultima analisi, l'esito elettorale. Nessuno potrà mai affermare su basi scientifiche che sia stata la giacca chiara indossata da Richard Nixon a costargli le elezioni, a vantaggio del giovane e carismatico John Fitzgerald Kennedy. Ma quel vestito, che lo faceva confondere con lo sfondo dello studio, durante quel primo dibattito in tv, nel 1960, è rimasto nella storia della comunicazione politica mondiale. Era la tv in bianco e nero di oltre mezzo secolo fa.
Ma anche oggi, nell'era di Twitter, l'antica arte oratoria e la capacità di essere convincente può fare ancora la differenza. In quel famoso dibattito, davanti a oltre 66 milioni di spettatori, Nixon si presentò con la barba lunga, pallido e poco espressivo. Jfk, invece, rilassato, tonico e ottimista. Al momento di parlare agli americani, Kennedy guardò dritto in camera, mentre Nixon si rivolgeva ai moderatori. Tutti errori gravi che nessuno fece mai più.
Sedici anni dopo, nel 1976, i duellanti erano Jimmy Carter e Gerald Ford. Nel loro primo dibattito fu un incidente tecnico ad attirare l'attenzione: l'audio andò via e i due candidati furono costretti a rimanere fermi come manichini per circa mezz'ora. Nel secondo dibattito, Ford commise uno sbaglio irreparabile, quando disse che nell'Europa dell'est «non c'era alcuna dominazione sovietica». Tutt'altro clima quattro anni dopo: stavolta Carter trovò sulla strada della sua rielezione un osso duro, l'ex attore Ronald Reagan, affabulatore eccezionale e mago della comunicazione, tanto da coniare il celebre “It's morning again, in America” (È di nuovo mattina, in America).
Era il 28 ottobre 1980 quando Ronnie rivolse una domanda che probabilmente Romney ripeterà tra qualche ora a Barack Obama: «Presidente, crede che stiamo meglio di 4 anni fa?». Una sorta di slogan, che i repubblicani hanno ripetuto all'ultima Convention di Tampa, sperando che Barack faccia la stessa fine di Carter, cioè presidente di un solo mandato. Nel 1992, per la prima volta nella storia americana, furono tre i candidati a sfidarsi in tv: Bill Clinton, George H. Bush e il miliardario Ross Perot. Il loro terzo e finale dibattito fu seguito da 97 milioni di persone, tuttora il record di ascolto per un programma di questo tipo.
A Bush, che gli contestò scarsa esperienza, Perot replicò a muso duro: «Sì, ammetto di non aver l'esperienza che serve per far indebitare il Paese di 4 miliardi di dollari...». Fecero epoca, nel 2000, anche i sospiri ad alto volume di Al Gore, all'epoca sfidante di George W. Bush. Rumori che esasperarono gli elettori e potrebbero essere costati cari all'ex numero due di Bill Clinton. Non sospiri, ma durissimi scontri verbali, invece nel 2004, quando sempre George W. si giocò la rielezione contro John Kerry, oggi sparring partner di Obama nella parte di Mitt Romney.
In piena guerra in Iraq, Kerry attaccò così Bush figlio: «Il presidente non ha mai trovato le prove di armi di distruzione di massa in Iraq, quindi la sua campagna elettorale s'è trasformata in una arma di bugie di massa». Infine, le scintille di 4 anni fa, quando in piena crisi economica a battersi per la Casa Bianca c'erano Barack Obama e John McCain. Erano passate poche settimane dal crollo di Lehman Brothers, quando durante il terzo dibattito, McCain sfidò cos il suo giovane competitor: «Senatore Obama, non sono il presidente Bush. Se voleva avere lui di fronte, avrebbe dovuto presentarsi 4 anni fà». Una frase efficace, che però non gli evitò una dura sconfitta contro parole d'ordine della potenza di “Hope”, “Change”, e “Yes We Can”.