Scrive all’inizio della “Premessa” del suo libro: LA FABBRICA DEL FALSO, Vladimiro Giacchè:
La menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo.
La sua presenza nella società è generalizzata e pervasiva.
Non è difficile capire perché.
Un tempo le verità incoffessabili del potere potevano agevolmente essere coperte dal segreto (gli arcana imperii).
Oggi, nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa e della politica medializzata, il silenzio e il segreto sono armi spuntate.
Perciò, quando serve(e serve sempre più spesso) la verità deve essere occultata o neutralizzata in altro modo.
Quindi si offrono versioni di comodo dei fatti, si distrae l’attenzione dei problemi reali dando il massimo rilievo a questioni di scarsa importanza, si inventano pericoli e nemici inesistenti per eludere quelli veri.
Ma soprattutto, le verità scomode vengono neutralizzate riformulandole in maniera appropriata.
Il terreno principale su cui oggi viene combattuta la guerra contro la verità è quello del linguaggio.
Si tratta di convincere l’opinione pubblica dell’utilità di una guerra o dell’opportunità di politiche economiche socialmente inique , si tratti di tranquillizzarla sul surriscaldamento del pianeta o persuaderla della inevitabilità degli omicidi sul lavoro, le cose non cambiano: il potere delle parole risulta decisivo per la costruzione del consenso.
Nella prima parte di questo libro viene quindi effettuato un esame critico dei luoghi comuni e parole chiave del lessico politico contemporaneo.
Ovviamente, la menzogna chiama in causa la società in cui nasce e prospera.
Da un lato, in quanto presuppone che la realtà debba essere in qualche modo occultata o travisata per poter essere accettata: da questo punto di vista , il grado di falsità del discorso pubblico contemporaneo è un buon indicatore di ciò che non funziona nella nostra società.
Dall’altro, in quanto la diffusione stessa della menzogna implica l’esistenza di meccanismi sociali in grado di favorire la produzione e la propagazione.
La menzogna ha accompagnato tutte società umane da quando si sono formate le prime comunità.
La sua diffusione è stata a volte minimale e a volte diffusa e pregnante.
L’ultimo quarto di secolo della storia repubblicana italiana registra un’incremento notevole dell’impiego della menzogna nel discorso pubblico.
Tanto che ogni notizia va sempre pesata obbligandoci all’analisi permanente e continua circa le motivazioni per cui è stata messa su piazza.
A chi serve, a chi giova, perché proprio ora??????
Se si vuol capire il contenuto di una notizia, diventa un impresa defatigante.
Ed è questo, ma non è il solo e principale motivo, che gli italiani si stanno orientando per il ritorno dell’uomo, forte sulla scena politica italiana.
Che nell’immaginario collettivo rappresenta colui che risolve tutti i problemi sul tavolo.
Ma in pratica è solo una via di fuga dalla palese impotenza offerta da questa apparente democrazia.
Inoltre, come è notorio, gli italici soffrono del problema della memoria.
Magari si ricordano dopo anni quanti gol e come li ha fatti, l’Inter, il Milan, la Juve, in determinate occasioni.
Ma della storia patria, quando possono, se ne sbattono.
Tanto da richiedere l’uomo forte, senza pronunciarlo, ma il loro riferimento è Benito Mussolini.
Dimenticando che all’inizio di carriera si è fatto anche lui i suoi bei flop.
Uno di questi è stato la lotta alla mafia.
Nominò Cesare Mori plenipotenziario in Sicilia il 20 ottobre 1925.
Nel luglio del 1929, il prefetto di ferro dovette abbandonare l’impresa perché si accorse che la mafia siciliana era presente a Roma, nel cuore del fascismo.
Diventa quindi complicato interpretare questa notizia passata dagli STRUMPTRUPPEN,un’ora e mezza fa, e non presente sui siti di :
Corriere della Sera
La Stampa
La Repubblica
Il Fatto Quotidiano
Il Giorno
Il Messaggero
Il Tempo
Minniti smaschera l'Ue: "Volevano pagarci per tenerci i migranti"
Il ministro: la loro proposta era di creare qui delle galere da cui nessuno potesse uscire
Gian Micalessin - Gio, 17/08/2017 - 10:23
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“Quest’articolo nella versione in edicola contiene delle frasi virgolettate che non corrispondono alle affermazioni del Ministro Marco Minniti. Questa è la versione corretta".
“Io sono uno che più mi dicono che non si può fare e più mi scatta il trip…. Sulla Libia e sui migranti è andata così….”.
Fuori Roma è un deserto assolato e desolato.
Lassù nel palazzone dalle cento stanze appoggiato sul colle del Viminale il ministro Marco Minniti discute con generali, alti funzionari e capi delle forze di sicurezza e intanto si divide tra riunioni e visite alle sale operative del Viminale.
Verso le 14, terminate la consueta Conferenza Stampa e la riunione del “Comitato Nazionale per la Sicurezza e l’Ordine Pubblico”, sarebbe il momento di un veloce pranzo in piedi.
Ma il ministro continua a voltare le spalle a pizzette e tramezzini.
La sua testa è ferma a quei fatidici 27 e 28 giugno quando nell’arco di sole 48 ore 27 navi di tutta Europa, Ong comprese, scodellano sulle coste italiane la bellezza di 12 mila migranti.
Il ministro lo ricorda più volte.
Quello per lui è il “D day”, il giorno in cui comprende definitivamente che l’Italia non può più sperare nell’aiuto o nella compassione dell’Unione Europea, ma deve trovare da sola la soluzione ai suoi problemi.
E approfittando dell’incontro di Ferragosto spiega anche perché.
Racconta ai suoi interlocutori che dopo quei 12mila sbarchi la risposta dell’Europa non prevedeva soluzioni politiche o operazioni concrete per darci una mano, ma “semplicemente più soldi per creare nuovi hotspots”.
E specifica che gli “hotspots” nel linguaggio europeo non sono soltanto dei semplici centri d’identificazione, ma veri e propri centri di detenzione da cui non si esce.
Insomma delle galere.
Per Bruxelles l’ importante, quindi, non era fermare la marea di migranti che si stava scaricando sul nostro paese, ma semplicemente metterli in condizione di non muoversi dall’Italia. “Pensate ci proponevano – aggiunge uno dei presenti - di fare dei centri di internamento, cioè delle vere e proprie galere, persino per i minori non accompagnati”. Il ministro non lo conferma, ma il paradosso è chiaro. I soldi offerti all’Italia da Bruxelles servivano a garantire che i profughi – raccolti in mare dalle Ong e scaricati sulle coste italiane dalle navi di Triton e di Eunavfor Med, ovvero da due missioni europee - non si muovessero dall’Italia, non si avvicinassero ai confini di Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, mettendo a rischio sovranità e sensibilità dei nostri “amici” europei.
Proprio l’egoismo europeo fa capire a Minniti che l’Italia deve trattare da sola con la Libia, deve aver la forza d’intervenire, deve costruire una missione navale autonoma, lontana dalle pastoie europee che imbrigliano Frontex e Sophia. Ma i trenta denari di Bruxelles hanno anche il potere di far scattare l’orgoglio di Minniti, quella “calabresità” che il ministro ammette di portarsi dentro. Una calabresità spiegata con la barzelletta del Signore pronto a esaudire i desideri di un romano, di un sardo e di un calabrese. “Il romano sogna di diventare l’antico imperatore Augusto, il sardo chiede mille pecore e il Signore accontenta entrambi. Ma sapete che gli chiede il calabrese? - ghigna in dialetto Minniti - Dio ti prego fai morire le pecore del sardo”. “Se le pecore fossero navi – sussurra un presente - sarebbe difficile non pensare al Canale di Sicilia e alle navi delle Ong”. Quelle Ong, Msf in testa, che quando Minniti propone un codice approvato all’unanimità dal Parlamento italiano e sottoscritto dalla Commissione Unione Europea, si dicono pronte a sfidarlo, annunciando di voler continuar ad operare senza firmarlo. Salvo poi dichiararsi minacciate e intimorite non appena la Guardia Costiera di Tripoli le avverte di tenersi alla larga dalle acque territoriali libiche. Mentre fa visita alle sale operative del Viminale il ministro si guarda bene dal rivendicare qualsiasi atteggiamento vendicativo nei confronti di Msf o di altre Ong. “La mia posizione – sorride sornione - è esattamente quella espressa dal mio vice ministro Filippo Bubbico al Corriere della Sera. Quella è la linea del Viminale ed è anche la mia personale ”. Nessuno lo ammette, ma chi ricorda l’intervista, ha già capito. La calabresità si nasconde nella risposta in cui Bubbico, interprete del Minniti pensiero, sostiene di non intravvedere alcuna autentica minaccia per le Ong e definisce la Guardia Costiera libica una “forza legittima che non viola i trattati internazionali”. “Insomma ministro un'altra delusione per la sinistra” - ridacchia un funzionario alludendo alla carriera tutta Pd del vice Filippo Bubbico e alle domande di chi, in conferenza stampa, chiedeva a Minniti come viva le critiche rivoltegli dalla sinistra. “Vede - risponde felpato il ministro - la colpa è tutta della mia famiglia. Ero figlio di un militare sognavo di diventare un pilota, ma mia madre non ne voleva sapere e così, a 17 anni, entrai nel partito comunista. Immaginate con quanta gioia fosse vissuta in casa quella mia scelta. Ma almeno costrinsi mia madre a ricredersi. Forse - mi disse quando ormai avevo 24 anni - era meglio se ti facevo diventare un pilota. Quindi a sinistra devono star contenti e ringraziare mia madre….se no come Ministro dell’Interno gli toccava un ufficiale dell’aeronautica.”
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 31303.html