Re: quo vadis PD ????
Inviato: 07/04/2013, 20:42
La maionese impazzita chiamata Pd - 25
La Stampa 7.4.13
Sale la voglia di intesa Pdl-Pd Bersani indebolito dai suoi
Al via la settimana decisiva: incontro tra i leader, e nome condiviso per il Colle
di Federico Geremicca
Secondo i più ottimisti, il grosso sarebbe ormai fatto, e resterebbe solo il problema di mettersi d’accordo su un po’ di nomi: sul nome, cioè, del futuro Presidente della Repubblica, su quello dell’uomo che dovrà guidare il prossimo governo e - addirittura sulla definizione con la quale battezzare l’esecutivo che verrà. Gli ottimisti, infatti, danno ormai per scontato che la linea indicata da Bersani dopo il voto (o un governo del cambiamento o meglio le elezioni) sia ormai minoranza nel Pd e che ora, dunque, si possa andare rapidamente verso un qualche governo (c’è però appunto il problema di dargli un nome...) sostenuto da democratici e Pdl assieme. L’elezione di un Presidente della Repubblica non “divisivo” sarebbe contemporaneamente - secondo i molti che cominciano a vedere vicina l’uscita dallo stallo la premessa e la conferma che l’intesa è ormai a un passo.
Ma in campo non ci sono solo gli ottimisti, perchè il fronte di quanti pensano che lo stallo sia tutt’altro che rimosso è ancora ampio. Questo fronte è animato soprattutto dai “fedelissimi” di Bersani: che continuano a ripetere che i voti del Pd non possono tornare a sommarsi a quelli del Pdl (come per il governo Monti) pena una sicura, nuova delusione elettorale. Il punto, però, è che il fronte dei sostenitori della linea del segretario sembra andare assottigliandosi ogni giorno di più: non ne fanno più parte leader del calibro di D’Alema, Veltroni, Bindi, Marini, Fioroni, Finocchiaro e - da ieri - Dario Franceschini. Matteo Renzi, naturalmente, non ne ha mai fatto parte, eppure non è granchè ottimista: «Non credo - confessava qualche giorno fa - che Bersani possa fallire, perchè immaginare una sua non riuscita nel tentativo di fare un governo significa immaginare la sua morte politica».
Ottimisti e pessimisti (il discrimine è la partenza della legislatura) continuano dunque a fronteggiarsi alla vigilia dell’avvio di una settimana nella quale tutti i nodi (o quasi tutti) dovranno esser sciolti, visto che a metà di quella successiva (il 18) il Parlamento comincerà a votare per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Entrambi i fronti, per altro, non hanno difficoltà ad individuare nell’annunciato faccia a faccia tra Bersani e Berlusconi il luogo e l’occasione per un chiarimento ed una decisione ormai non più rinviabili. La novità, rispetto ad ancora qualche giorno fa, è che il segretario del Pd sembra arrivare a quest’appuntamento notevolmente indebolito, per lo scarso successo raccolto sulla linea «o governo di cambiamento o elezioni» e per il lento ma progressivo sfarinamento dell’ampia maggioranza che lo ha fino ad ora sostenuto all’interno del Pd.
Quante possibilità ci sono che nell’atteso faccia a faccia la coppia Ber-Ber riesca a trovare un’intesa? A questo punto, non poche: elezioni anticipate già a giugno, infatti, sembrano sempre più una jattura per il Paese, e la forza delle cose insomma - sembra ormai spingere decisamente verso un accordo. Il patto che i due leader tenteranno di stringere - anche per stoppare l’irruzione in campo di Matteo Renzi, vista da entrambi come il fumo negli occhi - dovrà però esser tale da non mortificare né l’uno né l’altro. Si tratterà di individuare un Presidente della Repubblica il cui nome non costituisca una chiara sconfitta per alcuno dei due, e quindi un premier stavolta super partes davvero. Non sarà facile, ma non è certo impossibile.
Resterà, poi, la faccenda del nome del governo da varare: non potrà chiamarsi “governissimo”, perchè Bersani non potrebbe accettarlo; ma nemmeno “tecnico”, perchè Berlusconi ne reclama uno “politico”. Se nascerà, allora, si chiamerà di scopo, “del Presidente” oppure di “transizione”, come suggeriva ieri Dario Franceschini. Perchè la sostanza è certo la cosa più impo
La Stampa 7.4.13
Sale la voglia di intesa Pdl-Pd Bersani indebolito dai suoi
Al via la settimana decisiva: incontro tra i leader, e nome condiviso per il Colle
di Federico Geremicca
Secondo i più ottimisti, il grosso sarebbe ormai fatto, e resterebbe solo il problema di mettersi d’accordo su un po’ di nomi: sul nome, cioè, del futuro Presidente della Repubblica, su quello dell’uomo che dovrà guidare il prossimo governo e - addirittura sulla definizione con la quale battezzare l’esecutivo che verrà. Gli ottimisti, infatti, danno ormai per scontato che la linea indicata da Bersani dopo il voto (o un governo del cambiamento o meglio le elezioni) sia ormai minoranza nel Pd e che ora, dunque, si possa andare rapidamente verso un qualche governo (c’è però appunto il problema di dargli un nome...) sostenuto da democratici e Pdl assieme. L’elezione di un Presidente della Repubblica non “divisivo” sarebbe contemporaneamente - secondo i molti che cominciano a vedere vicina l’uscita dallo stallo la premessa e la conferma che l’intesa è ormai a un passo.
Ma in campo non ci sono solo gli ottimisti, perchè il fronte di quanti pensano che lo stallo sia tutt’altro che rimosso è ancora ampio. Questo fronte è animato soprattutto dai “fedelissimi” di Bersani: che continuano a ripetere che i voti del Pd non possono tornare a sommarsi a quelli del Pdl (come per il governo Monti) pena una sicura, nuova delusione elettorale. Il punto, però, è che il fronte dei sostenitori della linea del segretario sembra andare assottigliandosi ogni giorno di più: non ne fanno più parte leader del calibro di D’Alema, Veltroni, Bindi, Marini, Fioroni, Finocchiaro e - da ieri - Dario Franceschini. Matteo Renzi, naturalmente, non ne ha mai fatto parte, eppure non è granchè ottimista: «Non credo - confessava qualche giorno fa - che Bersani possa fallire, perchè immaginare una sua non riuscita nel tentativo di fare un governo significa immaginare la sua morte politica».
Ottimisti e pessimisti (il discrimine è la partenza della legislatura) continuano dunque a fronteggiarsi alla vigilia dell’avvio di una settimana nella quale tutti i nodi (o quasi tutti) dovranno esser sciolti, visto che a metà di quella successiva (il 18) il Parlamento comincerà a votare per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Entrambi i fronti, per altro, non hanno difficoltà ad individuare nell’annunciato faccia a faccia tra Bersani e Berlusconi il luogo e l’occasione per un chiarimento ed una decisione ormai non più rinviabili. La novità, rispetto ad ancora qualche giorno fa, è che il segretario del Pd sembra arrivare a quest’appuntamento notevolmente indebolito, per lo scarso successo raccolto sulla linea «o governo di cambiamento o elezioni» e per il lento ma progressivo sfarinamento dell’ampia maggioranza che lo ha fino ad ora sostenuto all’interno del Pd.
Quante possibilità ci sono che nell’atteso faccia a faccia la coppia Ber-Ber riesca a trovare un’intesa? A questo punto, non poche: elezioni anticipate già a giugno, infatti, sembrano sempre più una jattura per il Paese, e la forza delle cose insomma - sembra ormai spingere decisamente verso un accordo. Il patto che i due leader tenteranno di stringere - anche per stoppare l’irruzione in campo di Matteo Renzi, vista da entrambi come il fumo negli occhi - dovrà però esser tale da non mortificare né l’uno né l’altro. Si tratterà di individuare un Presidente della Repubblica il cui nome non costituisca una chiara sconfitta per alcuno dei due, e quindi un premier stavolta super partes davvero. Non sarà facile, ma non è certo impossibile.
Resterà, poi, la faccenda del nome del governo da varare: non potrà chiamarsi “governissimo”, perchè Bersani non potrebbe accettarlo; ma nemmeno “tecnico”, perchè Berlusconi ne reclama uno “politico”. Se nascerà, allora, si chiamerà di scopo, “del Presidente” oppure di “transizione”, come suggeriva ieri Dario Franceschini. Perchè la sostanza è certo la cosa più impo