L'Ultimo tango a Parigi - 16
Cause ed effetti - 14
Gli effetti del secondo tipo 13
In risposta ad Amà e mario.
Renzi ha incontrato 'sti signori incravattati in privato per tessere diabolici piani per fottere gli operai ? Renzi capo o pedina della Spectre? con quella faccia un pò così, quell'espressione un pò così? ....
Amadeus
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Ed oggi questi stessi personaggi, pur di rimanere in sella, dovrebbero spaventarmi con il bau-bau Renzi, amico dei finanzieri d'assalto e dei liberisti mangia-operai?
No grazie. Lo raccontassero a qualcun altro.
mariok
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Da:
Rossanda: «Qualcosa rinascerà
ma questa volta sarà diverso»
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 566#p12566
Ho detto a una giovane spagnola, a una indignata, che venivo a intervistarti. Le ho chiesto cosa le sarebbe piaciuto chiederti. Mi ha chiesto di domandarti come fa il 99% a sconfiggere l’1%.
***
La giovane indignata spagnola fa riferimento ad un dato planetario. Quel dato rapportato al Bel Paese, si traduce in:
Nel 10 % di italiani che detengono il 47 % della ricchezza privata nazionale
Nel 90 % di italiani che detengono il restante 53 % della ricchezza privata italiana.
(Fonte la Banca d'Italia)
La visione operaistica è un dato superato dagli inizi del 1980, quando le imprese ritengono esaurito il rapporto con il settore impiegatizio.
Il “divide et impera” che aveva caratterizzato le lotte del mondo del lavoro a partire dal 1948, in cui il padronato era riuscito a spaccare il fronte dei prestatori d’opera, manuale e intellettuale, cessa e i licenziamenti cadono a pioggia anche sul mondo impiegatizio. Da quel momento il fronte diventa unico.
Con l’avvento del secondo e del terzo governo Berlusconi, dal 11 giugno 2001 al 17 maggio 2006, si è verificata l’accentuazione della divaricazione tra il mondo dei ricchi e quello dei meno abbienti, producendo un iniziale sgretolamento della classe borghese intermedia.
Con la crisi del 2008, e i mancati interventi economici da parte del quarto governo Berlusconi, il processo di disgregazione della classe intermedia accelera vistosamente.
Piccole e medie aziende, oltre al settore dell’artigianato, del commercio ed alcune categorie professionali, entrano in una crisi profonda.
La conferma ulteriore di quanto sta accadendo al tessuto produttivo del Nord, l’ho avuta ieri mattina da un amico imprenditore nel settore dell’elettronica di potenza, che registra un fenomeno mai visto nei suoi 40 anni di attività.
Le imprese fuggono all’estero, soprattutto nel Veneto dove questo fenomeno continua inarrestabile da quando quell’area ha cessato di essere la Silicon valley italiana.
Le altre che rimangono sono alla canna del gas.
Nel mese di ottobre la CGIA di Mestre ha comunicato il dato che dall’inizio dell’anno stanno chiudendo in media 1.000 aziende al giorno. Ovviamente in alcuni casi si tratta di imprese o familiari da 1 / 2 persone addette o con 2 / 3 dipendenti.
E per non destare allarme sociale la CGIA ha comunicato che il saldo con le imprese che aprono è positivo.
Solo che si è guardata bene dal raccontare cosa comporta il saldo positivo. Non sono di certo le imprese che chiudono che riaprono, ma si sono registrate aperture da parte di 29.000 extracomunitari. Il che vuol dire che si tratta di imprese di pulizia o di servizi.
Se chiude un’impresa meccanica, elettromeccanica o elettronica, oppure edile, questa non riapre più, perché se no rimaneva aperta, anche perché per costruire il portafoglio clienti ci vogliono anni.
L’età e l’esperienza permette subito di comprendere se un’attività commerciale di un nuovo negozio potrà avere successo. Infatti, a ripetizione aprono negozi che durano al massimo 6 mesi. Segno della disperazione da occupazione che spinge a rischiare in questa direzione, però senza il minimo senso commerciale.
La fascia quindi in difficoltà non è solo quella operaia. Molte categorie sono accomunate dalle difficoltà del momento.
Quella in corso è un’accentuazione della lotta di classe. Il mondo della finanza ha in pugno la situazione perché ha disposizione una massa di denaro enorme e con quello detta i tempi della politica nazionale.
Da il Fatto 18.11.12
Cayman
Investimento ad alto rischio Renzi & Serra: quei 10 milioni da Firenze
L’Ente Cassa di Risparmio si affida all’Algebris CoCo Fund del finanziere amico del sindaco,
Prima della cena milanese di ottobre con la grande finanza la fondazione di riferimento della sua città ha investito in CoCo Bond del guru Davide Serra
di Giampiero Calapà e Stefano Caselli
Proprio ieri Nichi Vendola, candidato alle primarie per Sel, sparava ancora su Renzi: “Questa campagna elettorale è un’esperienza splendida per chi non ha amici alle Cayman”.
Ma adesso si scopre che, oltre a essere amico di Renzi, Davide Serra ha visto investire in CoCo bond del suo fondo Algebris una cifra di circa 10 milioni di euro proveniente dall’Ente Cassa di Risparmio, la fondazione di Firenze, in cui il sindaco nomina un membro del comitato d’indirizzo: Bruno Cavini, portavoce di Renzi.
Dieci milioni di euro, quindi.
Un investimento che non è neppure l’1% di quelli della fondazione: nel bilancio 2011 toccavano in tutto quota 1 miliardo e trecento milioni.
Ma una cifra che, comunque, è la metà dei 23 milioni di investimenti previsti per il territorio nel 2013.
L’operazione è recente, avvenuta poco prima della ormai nota cena milanese, a ottobre, di Renzi con la grande finanza italiana.
Il sindaco, chiusa la Leopolda, è all’ultima corsa, tanto che domenica 25 novembre, il giorno delle primarie, sarà impegnato nella maratona di Firenze.
Davide Serra, il suo alter ego della finanza internazionale, proprio dal palco della kermesse, ha mostrato ancora una volta il suo
lato pop, discettando di scout e solidarietà, altro che paradisi fiscali alle Cayman.
Ma il sindaco Renzi, tra una corsa e l’altra, si sarà sicuramente informato degli investimenti della fondazione di riferimento della sua città.
Perché il fatto riguarda, e beneficia, proprio Davide Serra.
E la fondazione in questione è l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, appunto, presieduta dal potentissimo Jacopo Mazzei, uomo che nella città gigliata fa il bello e il cattivo tempo, amico del sindaco, ma non solo.
Perché nel cda dell’Ente c’è anche la vera eminenza grigia di Renzi, l’imprenditore Marco Carrai, appartenente a una dinastia di “principi” di Greve in Chianti, legato all’Opus Dei e molto vicino, anche con altri incarichi (Firenze Parcheggi, Gabinetto Viesseux), ai vertici di Palazzo Vecchio.
NELL’ARTICOLO 1 dello Statuto della fondazione fiorentina si legge: l’Ente opera “nello spirito della cultura europea di progresso civile, con lo scopo di favorire il risparmio e la previdenza delle classi meno agiate, prevedendo la destinazione dei profitti esclusivamente a scopi di utilità sociale”, e non ci può essere alcun dubbio sull’importante funzione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, dal sostegno al soccorso clown per i bambini alla casa famiglia per giovani madri, per fare solo due lodevoli esempi.
Ma i CoCo bond, come spiegato nel sito ufficiale della Borsa italiana, “sono strumenti rischiosi che, in caso di conversione, potrebbero subire notevoli perdite” e ancora, “in cambio di questo maggiore rischio che viene addossato all’investitore sono previsti dei rendimenti più elevati”.
Proprio Carrai, invece, sostiene che “a fronte di un rendimento dell’11 per cento, il rischio per la fondazione è pari a zero”.
L’unica cosa che i mercati considerano a rischio zero, però, sono i bund tedeschi, che hanno rendimenti reali vicini allo zero.
Da regola base della finanza, infatti, più sale il rischio e più aumenta la possibilità di rendimento.
L’unica certezza è che, come riporta il Financial Times, l’Algebris CoCo Fund di Serra, che gestisce 900 milioni di dollari, sta
guadagnando nell’anno di grazia 2012 la bellezza del 45%.
In Italia è possibile investire in CoCo bond dal 21 maggio scorso.
Per Davide Serra è un elemento di prestigio avere un investitore italiano, a maggior ragione se questo investitore può vantare nel suo marchio la parola “Firenze”.
Eventuali benefici per la fondazione e di conseguenza per la comunità fiorentina si vedranno successivamente, anche se il margine di rischio dei CoCo bond, obbligazioni ibride convertibili, è talmente elevato che per alcuni analisti sarebbero addirittura i nuovi subprime, quelli della crisi dei mutui americani del 2007, all’origine di una catastrofe economica di proporzioni gigantesche.
Twitter @viabrancaleone @stefanocaselli