Re: quo vadis PD ????
Inviato: 10/04/2013, 13:23
La maionese impazzita chiamata Pd - 31
Le inutili guerre di potere che nulla hanno a che vedere con la realtà italiana, in attesa del crac finale. - 3
La nuova tegola del Piddì.
Una cosa è certa, che al di là del fatto che a livello popolare che boccia sonoramente il tentativo del duca conte di insediarsi al Quirinale, questa possibilità viene resa vana dalle notizie di cronaca di oggi comparse sul Corriere.
E dire che il duca conte ha speso una vita per coronare il sogno di ricoprire la più alta carica dello Stato.
Nel 2006 ha armeggiato in Vaticano per comprarsi il titolo di vice conte, ricevendo il titolo di Cavaliere di gran croce dell'Ordine Piano, che gli ha consentito di far parte della nobiltà romana addetta al Sacro Soglio.
http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-conte ... jpg?47e3a5
(NB. La conoscenza che il duca conte Max, sia conte e con accesso al Sacro Soglio, sta a zero nei compagneros piddini)
Un mezzo solido per avere buone carte per raggiungere l’Alto Colle.
Tanto che per raggiungere la meta, già nel febbraio del 2010, stringe un patto con Casini per un laboratorio Pd – Udc in Puglia per le regionali, da estendersi poi a livello nazionale.
In Puglia al duca conte Max andrà storta per due volte, perché Vendola si riconfermerà governatore.
Ma l’insuccesso non affonda il piano. La linea politica piddina vedrà fissata la barra in questa direzione fino a 4 ore prima della chiusura della campagna elettorale u.s.
Per quel sogno ambizioso, il duca conte ha mandato a sbattere irrimediabilmente il Piddì, in concorso con l’ala democristiana desiderosa di rifare la Dc ricongiungendosi con Casini e la destra berslusconiana di matrice ex dc.
Del duca conte amici e colleghi di partito, nonché avversari hanno sempre indicato che sia il più intelligente della compagnia. Ma nello stesso tempo, nello stivalone prevale la convinzione che il duca conte Max non ne abbia mai azzeccata una.
Questo fallimento piddino di fresca fattura ne è l’ennesima riprova.
Solo che questa volta compare un’aggravante non di poco conto. Perseguendo un obiettivo sbagliato ha fatto affondare, in concorso con altri per responsabilità diverse, un intero Paese ridotto alla paralisi coatta.
D’Alema smentisce le accuse dell’architetto Sarno. E in questi frangenti ci si chiede sempre quali sono i reconditi motivi per cui questa accusa esce proprio in questi giorni, se è vera, o se nasconde oscuri risvolti.
Lo sapremo nei prossimi giorni? Forse.
*****
I VERBALI DI RENATO SARNO, CONSIDERATO COLLETTORE DI TANGENTI
L'architetto di Penati chiama in causa
anche Massimo D'Alema sul caso Serravalle
L'ex presidente della Provincia lo smentisce
MILANO - Sull'elevato prezzo al quale la Provincia di Milano presieduta dal ds Filippo Penati acquistò nel 2005 dal costruttore Marcellino Gavio un pacchetto d'azioni della società autostradale Milano-Serravalle , «le esatte parole di Penati furono: "Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio. Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D'Alema"».
L'ARCHITETTO - Nel carcere di Monza, il 4 febbraio, a fare il nome di D'Alema è stato il 67enne Renato Sarno, cioè l'architetto già incriminato dai pm monzesi come «collettore di tangenti e uomo di fiducia di Penati nella gestione di Milano-Serravalle»: per l'accusa è anche il professionista che nel 2008 avrebbe trattato con l'imprenditore Piero Di Caterina e con un top manager del gruppo Gavio (Bruno Binasco) una finta caparra immobiliare da 2 milioni di euro come «restituzione dei finanziamenti erogati da Di Caterina a esponenti di sinistra» anni prima.
L'OPERAZIONE - Sarno asserisce dunque che fu Penati a indicare nell'allora presidente dei Ds, ex premier e poi ministro degli Esteri, colui che lo aveva politicamente spinto a un'operazione finanziaria controversa già da quel 29 luglio 2005: da quando cioè la Provincia di Milano con Penati comprò dal gruppo Gavio il 15% della Milano-Serravalle al prezzo di 8,9 euro per ciascuna di quelle azioni che Gavio aveva acquistato in precedenza a 2,9 euro. Gavio incassò 238 milioni, temporalmente in coincidenza con l'appoggio finanziario (50 milioni) fornito poi da Gavio alla «scalata» che l'Unipol di Giovanni Consorte (compagnia assicurativa nell'orbita della sinistra) stava dando alla Bnl prima di essere fermata per aggiotaggio dai pm milanesi.
LA PROVINCIA - Non è perciò un caso che questo nuovo interrogatorio di Sarno (ora agli arresti domiciliari per un'altra vicenda con l'accusa di concussione per induzione dell'imprenditore Edoardo Caltagirone nel 2009) figuri agli atti non solo dell'indagine penale monzese, ma anche del procedimento che la Procura regionale della Corte dei conti sta per completare sul possibile danno erariale arrecato alla Provincia di Milano dall'operazione di Penati.
«I miei rapporti con Milano-Serravalle - racconta l'architetto a proposito dell'incarico per una due diligence sulla parte tecnica - iniziarono nel gennaio 2005 in seguito ad una richiesta di Giordano Vimercati», ex braccio destro di Penati e oggi tra gli imputati del processo monzese che inizierà il 26 giugno anche per Binasco e Di Caterina, in attesa dell'udienza preliminare su Penati il 17 maggio.
«Dopo l'estate del 2005 incontrai Penati che non avevo più rivisto dal 2000, dall'epoca di Sesto San Giovanni», dove Penati era stato a lungo sindaco Pci.
«Mi disse che era sua intenzione quotare in Borsa la Serravalle, ma che prima era necessario valorizzarla dal punto di vista economico e di immagine».
IL PARTITO - Perché? «Dal punto di vista economico - risponde Sarno ai pm Franca Macchia e Walter Mapelli - era necessario rientrare dalle spese sostenute dall'acquisto delle azioni da Gavio»: Penati disse «che era stato molto oneroso, che gli era stato imposto dai vertici del partito (nell'occasione mi fece il nome di Massimo D'Alema), e che non aveva potuto sottrarsi a questa operazione».
Il punto è molto delicato, e a Sarno, difeso dagli avvocati Giovanni Briola e Salvatore Scuto, viene chiesto di assumersi con precisione la responsabilità di quello che sta dicendo: «Le esatte parole di Penati furono: "Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio.
Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D'Alema".
Io - aggiunge l'architetto indagato come "collettore" di finanziamenti illeciti di Penati - percepii che l'imposizione dei vertici riguardasse il momento e le condizioni dell'acquisto, anche perché lui non mi disse di aver mal valutato l'impegno di spesa».
PENATI SMENTISCE - Penati, però, interpellato dalCorriere , smentisce radicalmente Sarno: «Costretto da D'Alema a strapagare le azioni a Gavio? Non l'ho mai detto a Sarno, né avrei mai potuto dirglielo perché non è vero: difendo l'operazione Serravalle fatta nell'interesse della Provincia e destinata ancora oggi a procurarle una plusvalenza», risponde l'ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo che ha lasciato il Pd.
E se gli si chiede perché ritenga che Sarno prospetti un falso così dettagliato e pesante, Penati allarga le braccia:
«Non ne ho la più pallida idea. Continuo ad avere stima di Sarno come architetto, ma non c'era nessuna ragione per la quale io dovessi parlare con lui dell'acquisto dell'operazione Milano-Serravalle ».
Penati, stando invece a Sarno, gli fa il nome proprio dell'allora presidente ds D'Alema, che sinora nell'indagine non era mai comparso, e non quello dell'allora europarlamentare e poi ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, della cui segreteria politica era capo Penati e il cui nome nel fascicolo almeno esiste per due intercettazioni: quella del 30 giugno 2005, in cui Bersani diceva a Gavio che aveva parlato con Penati, e quella del 5 luglio 2005, in cui Penati diceva a Gavio di aver avuto il suo numero da Bersani.
SERRAVALLE - Ma Sarno, evidentemente in risposta a una sollecitazione dei pm, nell'interrogatorio esclude il coinvolgimento dell'attuale segretario del Pd: «In merito, Penati non mi fece mai il nome di Bersani.
Io non approfondii più di tanto questo aspetto, perché ciò che mi interessava era la valorizzazione della Serravalle come oggetto del mio incarico».
Del contesto di questo incarico a Sarno, anche Gavio avrebbe avuto consapevolezza: «Nel luglio 2007 incontrai a Tortona Marcellino Gavio, il quale mi disse che aveva saputo della mia attività professionale in Serravalle (...) e mi fece presente che sapeva che il lavoro era finalizzato alla valorizzazione di Serravalle in vista della quotazione in Borsa, anche a suo giudizio resa necessaria dall'elevato prezzo pagato dalla Provincia» proprio a lui.
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
Giuseppe Guastella
gguastella@corriere.it10 aprile 2013 | 9:37© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 3446.shtml
Le inutili guerre di potere che nulla hanno a che vedere con la realtà italiana, in attesa del crac finale. - 3
La nuova tegola del Piddì.
Una cosa è certa, che al di là del fatto che a livello popolare che boccia sonoramente il tentativo del duca conte di insediarsi al Quirinale, questa possibilità viene resa vana dalle notizie di cronaca di oggi comparse sul Corriere.
E dire che il duca conte ha speso una vita per coronare il sogno di ricoprire la più alta carica dello Stato.
Nel 2006 ha armeggiato in Vaticano per comprarsi il titolo di vice conte, ricevendo il titolo di Cavaliere di gran croce dell'Ordine Piano, che gli ha consentito di far parte della nobiltà romana addetta al Sacro Soglio.
http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-conte ... jpg?47e3a5
(NB. La conoscenza che il duca conte Max, sia conte e con accesso al Sacro Soglio, sta a zero nei compagneros piddini)
Un mezzo solido per avere buone carte per raggiungere l’Alto Colle.
Tanto che per raggiungere la meta, già nel febbraio del 2010, stringe un patto con Casini per un laboratorio Pd – Udc in Puglia per le regionali, da estendersi poi a livello nazionale.
In Puglia al duca conte Max andrà storta per due volte, perché Vendola si riconfermerà governatore.
Ma l’insuccesso non affonda il piano. La linea politica piddina vedrà fissata la barra in questa direzione fino a 4 ore prima della chiusura della campagna elettorale u.s.
Per quel sogno ambizioso, il duca conte ha mandato a sbattere irrimediabilmente il Piddì, in concorso con l’ala democristiana desiderosa di rifare la Dc ricongiungendosi con Casini e la destra berslusconiana di matrice ex dc.
Del duca conte amici e colleghi di partito, nonché avversari hanno sempre indicato che sia il più intelligente della compagnia. Ma nello stesso tempo, nello stivalone prevale la convinzione che il duca conte Max non ne abbia mai azzeccata una.
Questo fallimento piddino di fresca fattura ne è l’ennesima riprova.
Solo che questa volta compare un’aggravante non di poco conto. Perseguendo un obiettivo sbagliato ha fatto affondare, in concorso con altri per responsabilità diverse, un intero Paese ridotto alla paralisi coatta.
D’Alema smentisce le accuse dell’architetto Sarno. E in questi frangenti ci si chiede sempre quali sono i reconditi motivi per cui questa accusa esce proprio in questi giorni, se è vera, o se nasconde oscuri risvolti.
Lo sapremo nei prossimi giorni? Forse.
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I VERBALI DI RENATO SARNO, CONSIDERATO COLLETTORE DI TANGENTI
L'architetto di Penati chiama in causa
anche Massimo D'Alema sul caso Serravalle
L'ex presidente della Provincia lo smentisce
MILANO - Sull'elevato prezzo al quale la Provincia di Milano presieduta dal ds Filippo Penati acquistò nel 2005 dal costruttore Marcellino Gavio un pacchetto d'azioni della società autostradale Milano-Serravalle , «le esatte parole di Penati furono: "Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio. Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D'Alema"».
L'ARCHITETTO - Nel carcere di Monza, il 4 febbraio, a fare il nome di D'Alema è stato il 67enne Renato Sarno, cioè l'architetto già incriminato dai pm monzesi come «collettore di tangenti e uomo di fiducia di Penati nella gestione di Milano-Serravalle»: per l'accusa è anche il professionista che nel 2008 avrebbe trattato con l'imprenditore Piero Di Caterina e con un top manager del gruppo Gavio (Bruno Binasco) una finta caparra immobiliare da 2 milioni di euro come «restituzione dei finanziamenti erogati da Di Caterina a esponenti di sinistra» anni prima.
L'OPERAZIONE - Sarno asserisce dunque che fu Penati a indicare nell'allora presidente dei Ds, ex premier e poi ministro degli Esteri, colui che lo aveva politicamente spinto a un'operazione finanziaria controversa già da quel 29 luglio 2005: da quando cioè la Provincia di Milano con Penati comprò dal gruppo Gavio il 15% della Milano-Serravalle al prezzo di 8,9 euro per ciascuna di quelle azioni che Gavio aveva acquistato in precedenza a 2,9 euro. Gavio incassò 238 milioni, temporalmente in coincidenza con l'appoggio finanziario (50 milioni) fornito poi da Gavio alla «scalata» che l'Unipol di Giovanni Consorte (compagnia assicurativa nell'orbita della sinistra) stava dando alla Bnl prima di essere fermata per aggiotaggio dai pm milanesi.
LA PROVINCIA - Non è perciò un caso che questo nuovo interrogatorio di Sarno (ora agli arresti domiciliari per un'altra vicenda con l'accusa di concussione per induzione dell'imprenditore Edoardo Caltagirone nel 2009) figuri agli atti non solo dell'indagine penale monzese, ma anche del procedimento che la Procura regionale della Corte dei conti sta per completare sul possibile danno erariale arrecato alla Provincia di Milano dall'operazione di Penati.
«I miei rapporti con Milano-Serravalle - racconta l'architetto a proposito dell'incarico per una due diligence sulla parte tecnica - iniziarono nel gennaio 2005 in seguito ad una richiesta di Giordano Vimercati», ex braccio destro di Penati e oggi tra gli imputati del processo monzese che inizierà il 26 giugno anche per Binasco e Di Caterina, in attesa dell'udienza preliminare su Penati il 17 maggio.
«Dopo l'estate del 2005 incontrai Penati che non avevo più rivisto dal 2000, dall'epoca di Sesto San Giovanni», dove Penati era stato a lungo sindaco Pci.
«Mi disse che era sua intenzione quotare in Borsa la Serravalle, ma che prima era necessario valorizzarla dal punto di vista economico e di immagine».
IL PARTITO - Perché? «Dal punto di vista economico - risponde Sarno ai pm Franca Macchia e Walter Mapelli - era necessario rientrare dalle spese sostenute dall'acquisto delle azioni da Gavio»: Penati disse «che era stato molto oneroso, che gli era stato imposto dai vertici del partito (nell'occasione mi fece il nome di Massimo D'Alema), e che non aveva potuto sottrarsi a questa operazione».
Il punto è molto delicato, e a Sarno, difeso dagli avvocati Giovanni Briola e Salvatore Scuto, viene chiesto di assumersi con precisione la responsabilità di quello che sta dicendo: «Le esatte parole di Penati furono: "Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio.
Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D'Alema".
Io - aggiunge l'architetto indagato come "collettore" di finanziamenti illeciti di Penati - percepii che l'imposizione dei vertici riguardasse il momento e le condizioni dell'acquisto, anche perché lui non mi disse di aver mal valutato l'impegno di spesa».
PENATI SMENTISCE - Penati, però, interpellato dalCorriere , smentisce radicalmente Sarno: «Costretto da D'Alema a strapagare le azioni a Gavio? Non l'ho mai detto a Sarno, né avrei mai potuto dirglielo perché non è vero: difendo l'operazione Serravalle fatta nell'interesse della Provincia e destinata ancora oggi a procurarle una plusvalenza», risponde l'ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo che ha lasciato il Pd.
E se gli si chiede perché ritenga che Sarno prospetti un falso così dettagliato e pesante, Penati allarga le braccia:
«Non ne ho la più pallida idea. Continuo ad avere stima di Sarno come architetto, ma non c'era nessuna ragione per la quale io dovessi parlare con lui dell'acquisto dell'operazione Milano-Serravalle ».
Penati, stando invece a Sarno, gli fa il nome proprio dell'allora presidente ds D'Alema, che sinora nell'indagine non era mai comparso, e non quello dell'allora europarlamentare e poi ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, della cui segreteria politica era capo Penati e il cui nome nel fascicolo almeno esiste per due intercettazioni: quella del 30 giugno 2005, in cui Bersani diceva a Gavio che aveva parlato con Penati, e quella del 5 luglio 2005, in cui Penati diceva a Gavio di aver avuto il suo numero da Bersani.
SERRAVALLE - Ma Sarno, evidentemente in risposta a una sollecitazione dei pm, nell'interrogatorio esclude il coinvolgimento dell'attuale segretario del Pd: «In merito, Penati non mi fece mai il nome di Bersani.
Io non approfondii più di tanto questo aspetto, perché ciò che mi interessava era la valorizzazione della Serravalle come oggetto del mio incarico».
Del contesto di questo incarico a Sarno, anche Gavio avrebbe avuto consapevolezza: «Nel luglio 2007 incontrai a Tortona Marcellino Gavio, il quale mi disse che aveva saputo della mia attività professionale in Serravalle (...) e mi fece presente che sapeva che il lavoro era finalizzato alla valorizzazione di Serravalle in vista della quotazione in Borsa, anche a suo giudizio resa necessaria dall'elevato prezzo pagato dalla Provincia» proprio a lui.
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
Giuseppe Guastella
gguastella@corriere.it10 aprile 2013 | 9:37© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 3446.shtml