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Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
01 ago
La Diaspora: la classe operaia va in Movimento
Si conclude oggi la pubblicazione “vacanziera” di stralci da La Diaspora. Dov’è finita la sinistra italiana”. Questo brano è tratto dal capitolo 9, “Rivoluzionari tra le stelle
L’onorevole Davide Tripiedi, classe 1984, è nato a Desio ed è un operaio idraulico: fino al 2013 faceva impianti e sanitari nelle aziende e nelle case della Brianza. Ultima busta paga: 1.180 euro. Il padre è un ex operaio anche lui, alla Cooperativa Posatori e Selciatori di Milano; la madre infermiera all’ospedale San Gerardo di Monza; il fratello sindacalista alla Fillea Cgil. Tripiedi ha iniziato a lavorare subito dopo la terza media, come apprendista, nella stessa piccola azienda dove poi è stato assunto. «Non ho mai fatto attività politica, prima del Movimento, ma votavo Pd», racconta. «Oh: perfino alle primarie sono andato», aggiunge ridendo, come se rivelasse un buffo errore di gioventù.
«Dei Cinque stelle mi ha parlato per la prima volta un amico, raccontandomi i problemi del nostro comune: le possibili infiltrazioni mafiose, la questione dell’inceneritore, la pedemontana. Così ho iniziato ad avvicinarmi: riunioni, INCONTRI, iniziative sul territorio. Nel 2010 mi sono candidato al comune con la lista civica Beppegrillo.it: ho preso 19 preferenze. L’anno dopo a Desio si è rivotato e ne ho presi 99, ma sempre senza essere eletto. Ho continuato a lavorare con il meet-up, a battermi con gli altri contro lo svincolo della pedemontana, per la difesa del suolo, per la partecipazione dei cittadini, con il comitato per i Beni Comuni di Monza e Brianza, fino ai referendum per l’acqua pubblica: ero tra quelli che raccoglievano firme ai banchetti». E poi? «Poi Beppe Grillo ha scritto sul blog che chiunque avesse le carte in regola poteva proporre la sua candidatura al Parlamento. Io ce le avevo, ma ho aspettato fino all’ultimo giorno utile. Ero incerto, avevo paura. Mi chiedevo: ma davvero un semplice idraulico può pensare di fare il parlamentare? Credevo che questo fosse un mondo riservato agli intellettuali. Mi ha convinto mio padre, alla fine». Quinto arrivato alle Parlamentarie del M5S con un centinaio di voti, Tripiedi viene quindi eletto alla Camera, collegio Lombardia 1: «Quando sono andato a Montecitorio per la prima volta, sono scoppiato a piangere. Ho pensato: ma allora è possibile che grazie al Movimento una persona comune arrivi qui dentro! Gente che fino al giorno prima stava nel mondo reale, quello in cui si fatica ad andare avanti, all’improvviso entrava in Parlamento. Mi sembrava un miracolo».
L’onorevole-operaio Tripiedi, aldilà di ogni autodefinizione, sembra una persona limpidamente di sinistra: e non perché nel 2002, a 16 anni, era in piazza con il papà nella manifestazione dei tre milioni al Circo Massimo contro la modifica dell’articolo 18, ma perché vede la politica come «uno strumento di inclusione dei deboli», perché la sua critica al Pd si basa sul fatto «che ha tradito i suoi ideali, è ipocrita, ai suoi elettori dice una cosa e nei palazzi ne fa un’altra». E poi: «Ma come fanno in tanti a crederci ancora? Ma come fanno le persone di sinistra a votare ancora Pd dopo la legge Fornero, dopo il fiscal compact, dopo il decreto sul lavoro voluto da Renzi e dal ministro Poletti? Ma lo vedono cosa fanno i loro rappresentanti dentro il Parlamento? Capisco l’attaccamento affettivo, specie nei più anziani, ma basterebbe che vedessero cosa fanno e che ragionassero con il cervello. E la questione morale? Vogliamo parlare della questione morale? Ecco, la sinistra per me è morta con Enrico Berlinguer». Tripiedi si definisce «più un rivoluzionario che un riformista», però aggiunge che oggi gli obiettivi di emancipazione delle persone deboli «non passano più per la lotta di classe, ma attraverso l’informazione e la partecipazione dei cittadini, che venendo a sapere come stanno realmente le cose e impegnandosi direttamente possono cambiarle: ad esempio, sui profitti mostruosi dell’economia finanziaria, sulla redistribuzione delle ricchezze, sulla precarizzazione, sullo sfruttamento, sulle devastazioni ambientali». Del sindacato pensa che sia «indispensabile», purché «sia slegato dai partiti, altrimenti diventa ipocrita come il Pd». Tra le sue priorità politiche, Tripiedi considera fondamentali «il salario minimo e il reddito di cittadinanza, perché deve finire il ricatto del lavoro, dei licenziamenti, della precarietà: lo Stato dovrebbe essere come un padre che aiuta un figlio quando si trova in difficoltà». Obiettivi, dice, da finanziare «con i tagli alle spese militari e agli sprechi della politica, con una tassazione vera della finanza, con la lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, che ci costa miliardi». Alle Quirinarie del 2013 ha votato Gino Strada, perché «si impegna in cose meravigliose in giro per il mondo».
Anche Claudio Cominardi prima di diventare un onorevole pentastellato faceva l’operaio: in una officina meccanica di Castrezzato, provincia di Brescia, a pochi chilometri da Palazzolo sull’Oglio, dov’è nato nel 1981. E anche lui ha iniziato a lavorare a 15 anni, frequentando le scuole serali per arrivare al diploma: «Era durissima, ma mai fatta un’assenza, in due anni. Tornavo a casa a pezzi». Figlio di un muratore e di una casalinga, Cominardi ha iniziato a interessarsi di politica da ragazzino («mio fratello in tv guardava i cartoni animati, io i dibattiti»), avvicinandosi alle iniziative di Qui Milano Libera, l’associazione creata dal blogger Piero Ricca che invitava alle sue conferenze magistrati, giornalisti e intellettuali. Poi «un amico mi ha segnalato il blog di Grillo e ho scoperto che era una fonte di informazione inesauribile su tutto, dall’ambiente ai diritti. Nel 2007 mi sono iscritto al meet-up di Brescia». Ma, aggiunge, «non mi bastava, perché vedevo che la politica faceva troppe schifezze, bisognava impegnarsi direttamente. Allora ho iniziato a smanettare in rete per capire se vicino a casa mia c’era altra gente interessata a quello che diceva Beppe. L’ho trovata e abbiamo messo in piedi il primo meet-up a Palazzolo, poi la lista civica di cui sono stato il candidato sindaco: 463 voti, il 4,1 per cento. Un risultato eccellente, per quei tempi, per come eravamo sconosciuti. Il giorno dopo le elezioni ci siamo riuniti e ci siamo detti: bene, oggi si comincia davvero».
Prima battaglia, quella per modificare lo statuto comunale affinché l’acqua venisse definita un bene comune e inalienabile: «Grazie alle liberalizzazioni di Bersani, le bollette avevano iniziato a salire: noi andavamo di notte ad attaccare cartelli sulle fontanelle di Palazzolo con la scritta “in vendita”». E poi: «Iniziative contro il nucleare vestiti con false tute d’amianto; flash mob e sit-in per ottenere il wi-fi libero e gratuito nel parco comunale; video fatti con la telecamerina dei consigli comunali, fino a notte fonda: ovviamente dopo li mettevamo on line e il sindaco si è infuriato, mi ha chiamato perfino il maresciallo dei carabinieri per dirmi di smetterla». Infine, come per Tripiedi, sono arrivate le Parlamentarie del M5S e anche Cominardi è finito a Montecitorio. A Roma abita con altri due deputati, per dividere l’affitto; a volte nei week-end torna a Palazzolo, a volte resta nella capitale e continua a “smanettare” per informarsi sia sui temi di cui si occupa a Montecitorio (è nella Commissione lavoro con Tripiedi, da cui sembra inseparabile) sia sulla politica estera: è un fan del presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, così come gli piaceva quello venezuelano Hugo Chávez («uno che veniva dal popolo e che era vicino al popolo, nonostante quello che dice la campagna mediatica degli Stati Uniti») e continua a tifare per quello ecuadoriano Rafael Correa «che si è battuto contro le imposizioni del Fondo monetario e della Banca mondiale». Ma il vero mito per entrambi è Thomas Sankara, il “Che Guevara africano”, primo presidente del Burkina Faso ucciso nel 1987 perché si opponeva all’imperialismo americano e francese. «Io non sono contro l’economia di mercato, sono contro il neoliberismo avido che si mangia tutto, che divora la terra e le nostre vite», dice Cominardi. Per quanto riguarda il lavoro in fabbrica, pensa che il modello giusto sia quello di Adriano Olivetti, fondato sulla comunità e sull’equilibrio tra solidarietà e profitto («una cosa che la cosiddetta sinistra si è dimenticata», dice) mentre più in generale si considera un ammiratore di Serge Latouche e delle sue teorie sulla decrescita felice, perché «le risorse del pianeta non sono infinite e noi esseri umani non siamo soltanto macchine di produzione e consumo». Una battaglia mondiale di lungo termine, questa, per la quale Cominardi considera il M5S un’espressione politica simile «a Occupy Wall Street o agli Indignados spagnoli, ma con più continuità e con la presenza delle istituzioni».
Alle Quirinarie, prima di scegliere Gino Strada, Cominardi aveva proposto il nome di Silvano Agosti: regista, scrittore, autore tra l’altro di “Lettera dalla Kirgizia”: «Un libro che ho amato moltissimo», dice, perché «racconta il miracolo di un Paese a misura d’uomo, dove nessuno lavora più di tre-quattro ore al giorno, dove si è arrivati a riscoprire l’importanza del tempo dedicato alla creatività, agli affetti, insomma alla vita». Già, “liberarsi dal lavoro”: un vecchio slogan della sinistra rivoluzionaria – da Lafargue a Marcuse – che nel M5S sembra riaffiorare in una declinazione postindustriale.
Nelle parole di Davide Tripiedi così come in quelle di Claudio Cominardi è difficile non vedere un robusto e autentico idealismo. Che certamente non ha trovato risposte in quella che oggi in Italia si definisce “sinistra”, nei suoi partiti e nei suoi leader. Le ha trovate invece in Beppe Grillo, che «non ci aveva mai conosciuto eppure oggi ci ha permesso di essere qui, noi, semplici lavoratori, persone qualunque: cittadini veri che entrano in Parlamento», dice Tripiedi. «Il Pd o Sel invece portano gli operai nella politica solo quando gli servono per rastrellare voti dopo un fatto mediatico. Come Antonio Boccuzzi: un bravo collega, ma che è diventato deputato solo perché è scampato al rogo della Thyssen; o Giovanni Barozzino, che era famoso perché è stato licenziato dalla Fiat di Melfi, altrimenti adesso non sarebbe senatore. Noi invece prima non eravamo proprio nessuno». E dopo, giurano, torneranno a esserlo: «Sono solo in aspettativa», dice Tripiedi: «Finito qui, ricomincio a fare l’idraulico a Desio».
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