Articolo 4
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Re: Articolo 4
Regole perverse generano effetti perversi e quanto vediamo con le primarie campane e liguri ne è la riprova.
Il buon senso non è un dato oggettivabile, ma le conseguenze delle azioni di un gruppo sì, sono un dato oggettivabile e questo è il caso.
Tra l'altro se volessero davvero scimmiottare gli USA dovrebbero sapere che lì esistono liste di elettori democratici o repubblicani registrati a votare. Non è possibile votare per le primarie della formazione opposta, in questo modo.
Il buon senso non è un dato oggettivabile, ma le conseguenze delle azioni di un gruppo sì, sono un dato oggettivabile e questo è il caso.
Tra l'altro se volessero davvero scimmiottare gli USA dovrebbero sapere che lì esistono liste di elettori democratici o repubblicani registrati a votare. Non è possibile votare per le primarie della formazione opposta, in questo modo.
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: Articolo 4
L'anarchico non è romantico, anche se capisco il senso in cui l'hai detto.erding ha scritto:L'anarchico è una figura romantica ed affascinante che però deve convivere con tanti altri simili e diversi.
L'anarchia non è un mito utopico, ma fa parte della nostra vita: è libertà di pensiero, di azione, di scelta - ma soprattutto di pensiero, nel momento in cui si svincola dalle imposizioni della "necessità" ed è alla base della creazione della coscienza individuale.
Ho ancora la forza (la debolezza?) di meravigliarmi della traslazione di senso che ha subito il concetto della "regola" nell'immaginario intellettuale della sinistra, in questi ultimi vent'anni.
Capisco la contingenza di aver dovuto opporsi all'illegalismo berlusconiano, che ci ha portato a esaltare le manette e la figura del "giudice" come ultimo baluardo per affermare alcuni valori etici, di fronte a un degrado politico che ha favorito ogni genere di corruzione morale e materiale.
Ma c'è qualcosa di più, in questa traslazione, che si congiunge con un certa versione intellettuale del "riformismo", basato sull'assunzione ideologica del mito del "buon governo", della politica come amministrazione e manutenzione dell'esistente, secondo i valori piccolo borghesi di legge & ordine: subordinazione del concetto di "giusto" a quello del "corretto" o "legale", mettendo in secondo piano (dimenticando del tutto?) il tema dell'origine, del meccanismo di elaborazione e della finalità dell'ordinamento regolativo.
Significativa in questo senso la distinzione tra "temi etici" e "temi politici", che non solo circoscrive l'ambito dell'etica a un ristretto genere di argomenti, ma specularmente sancisce la definizione della politica come qualcosa che "non deve" avere riferimenti etici, cioè non si deve porre il problema di ciò che è giusto.
Nello stesso momento in cui la politica, poi, si identifica, in sostanza, con la gestione dell'economia, questo trasloco complessivo di senso spiana totalmente la strada al liberismo e a un sistema sociale dove vige la legge (la regola) del più forte: una Regola, che si traduce in una miriade di regole di dettaglio, naturalmente.
Contro tutto questo, già in origine, la sinistra è nata ed è esistita innanzi tutto come facoltà individuale di porre a se stessi e porre sul piano sociale delle "obiezioni di coscienza": non accettare le idee precostituite, le "verità dominanti", le persuasioni più o meno occulte, dirette e indirette, a cominciare dall'educazione familiare che tende a formare un "cittadino" conforme al sistema sociale.
Quindi, l'anarchismo è rivolto innanzi tutto contro se stessi, cioè contro la tendenza ad accontentarsi di ciò che viene proposto come "corretta visione della realtà" e contro l'autocensura, che induce a non dare ascolto alla propria coscienza, o perfino a non credere ai propri occhi.
Eravamo giovani, eravamo arroganti, eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati. Eravamo bandiere rosse. E avevamo ragione.
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Re: Articolo 4
Non c'è nemmeno più l'opposizione all'illegalismo berlusconiano: è stato messo nel calderone anche lui ed anzi Renzi si mena vanto di averlo sfruttato per "allargare" la maggioranza al momento del bisogn(in)o istituzionale (una nuova legge truffa: anche qui vediamo come i concetti di "truffa" e "regola" non vadano esattamente d'accordo).
Lo stesso ancora dicasi per le primarie: le regolette le hanno messe apposta per permettere di stravolgere il senso del tutto, e il bello è che se un boss locale regala due euro a testa a mille poveracci per votare come dice lui, magari con la promessa di un pacchetto di spaghetti come bonus, questi non sanno davvero a quale "regola" appigliarsi, perché è tutto - formalmente - regolarissimo.
Per cui quella pedanteria, che ci poteva distinguere nell'applicazione della norma, si è talmente svuotata di senso da rendere scalabile da destra un partito "che fu" di sinistra, e da diventare un incentivo a chi, nella sostanza, col rispetto delle regole ci si è sempre pulito il culo.
Lo stesso ancora dicasi per le primarie: le regolette le hanno messe apposta per permettere di stravolgere il senso del tutto, e il bello è che se un boss locale regala due euro a testa a mille poveracci per votare come dice lui, magari con la promessa di un pacchetto di spaghetti come bonus, questi non sanno davvero a quale "regola" appigliarsi, perché è tutto - formalmente - regolarissimo.
Per cui quella pedanteria, che ci poteva distinguere nell'applicazione della norma, si è talmente svuotata di senso da rendere scalabile da destra un partito "che fu" di sinistra, e da diventare un incentivo a chi, nella sostanza, col rispetto delle regole ci si è sempre pulito il culo.
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Re: Articolo 4
Ho letto l'argomento, come al solito con interesse, e l'ho trovato interesante.
Tra tante cose ho notato in particolare queste.
Rom ha scritto: "A proposito poi dell'abbondanza di post, non è certo seppellendo il dialogo sotto una montagna di citazioni che s'incentiva la voglia di intervenire."
A cui E.T. risponde: "Caro Rom, non ti sei posto il problema che una discussione originale è faticosa."
Camillobenso scrive: "Non possiamo però fare finta che il mondo esterno, e tutto quanto vi accade, non esiste."
Vedo in questo la differenza di impostazione e, di conseguenza, di forme espressive:
preferenza per una discussione di approfondimento, fino a scavare in modo anche 'faticoso' nei meandri del pensiero, come concatenazione e confronto di idee; un approfondimento anche puntiglioso, da ricercatore, non di qualcosa ma del raggiungimento di una conoscenza più profonda del tema trattato;
preferenza per la comunicazione delle idee finalizzata più alla divulgazione che all'analisi critica; la conoscenza posta come primo passo verso il discernimento.
Non vedo un contrasto per le due posizioni.
Al di là delle regole, non sempre e non tutte rispettate, l'importante è che nessuno, rivolto ad un altro, scriva: "ma per piacere!!!"
cardif
Tra tante cose ho notato in particolare queste.
Rom ha scritto: "A proposito poi dell'abbondanza di post, non è certo seppellendo il dialogo sotto una montagna di citazioni che s'incentiva la voglia di intervenire."
A cui E.T. risponde: "Caro Rom, non ti sei posto il problema che una discussione originale è faticosa."
Camillobenso scrive: "Non possiamo però fare finta che il mondo esterno, e tutto quanto vi accade, non esiste."
Vedo in questo la differenza di impostazione e, di conseguenza, di forme espressive:
preferenza per una discussione di approfondimento, fino a scavare in modo anche 'faticoso' nei meandri del pensiero, come concatenazione e confronto di idee; un approfondimento anche puntiglioso, da ricercatore, non di qualcosa ma del raggiungimento di una conoscenza più profonda del tema trattato;
preferenza per la comunicazione delle idee finalizzata più alla divulgazione che all'analisi critica; la conoscenza posta come primo passo verso il discernimento.
Non vedo un contrasto per le due posizioni.
Al di là delle regole, non sempre e non tutte rispettate, l'importante è che nessuno, rivolto ad un altro, scriva: "ma per piacere!!!"
cardif
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Re: Articolo 4
Hai ragione: non c'è un contrasto tra le due "preferenze".cardif ha scritto: Camillobenso scrive: "Non possiamo però fare finta che il mondo esterno, e tutto quanto vi accade, non esiste."
Vedo in questo la differenza di impostazione e, di conseguenza, di forme espressive:
preferenza per una discussione di approfondimento...
preferenza per la comunicazione delle idee finalizzata più alla divulgazione ...
Non vedo un contrasto per le due posizioni.
Non ci sarebbe contrasto nemmeno se le preferenze fossero tre, quattro, dieci o venti: penso, per esempio, a chi in un forum ci vede l'occasione per divertirsi con vignette e caricature, o a chi lo vede come una comunità di consultazione, in cui chiedere consigli utili, e così via.
In pratica, il contrasto nasce quando una di queste preferenze diventa dilagante, fino a sommergere le altre, o a renderle marginali come se fossero eccezioni. Insomma, c'è un contrasto di fatto quando le "preferenze" diventano "situazioni", o meglio, quando una delle due prevarica sull'altra e viene indicata come "essenza" del forum - come fa Camillo, citando un intervento di aaa42, il quale per altro non fa che nominare un bell'articolo della Urbinati.
Tu hai citato Camillo e la sua frase sul "mondo esterno".
Io l'ho trovata piuttosto strana: strana nel contenuto e strana nella piega che intende dare a questo contenuto.
Il "mondo esterno" qual è? Quello del Fatto? L'esistenza di Nadia Urbinati? La Gabbia?
E chi è che "farebbe finta" che il mondo esterno non esiste? E poi, "esterno" a cosa?
Noi, qui, a quale mondo apparteniamo? Per il fatto stesso che formiamo un gruppo siamo "interni"?
Io non voglio nemmeno fare il discorso - che a questo punto sarebbe inevitabile - per cui nel "mondo esterno" noi ci viviamo, anzi il mondo esterno siamo noi. Anzi, evito di fare qualunque discorso. Mi limito a farne uno solo, che riguarda molto modestamente la misura.
Come dicevo sopra, tutte le preferenze sono buone, belle e compatibili, a patto che nessuna pretenda di essere una "essenza" e nessuna diventi prevaricante al punto da far sembrare "fuori posto" le altre.
In particolare, la mia "preferenza" - una "discussione di approfondimento", come l'hai definita - lascia lo spazio a qualunque altra preferenza, compresa quella di citare articoli, saggi, libri, poesie, documenti d'ogni genere, oltre ai pensieri personali, racconti, ricordi, vignette, barzellette e foto di paesaggi, se qualcuno li ritiene utili o interessanti.
E' una questione di misura.
Un bell'articolo della Urbinati può fare benissimo da apertura di un argomento, e fare da punto di riferimento per i nostri commenti, per una, due, dieci, cento pagine. UN articolo, non cinque o dieci, uno che si accavalla sull'altro.
Lo stesso vale per un brano tratto da un romanzo di Tolstoj o di Faulkner, o per una poesia di Baudelaire, o un aforisma di Nietzsche, o una vignetta di Forattini, o una canzone di De Gregori o di Orietta Berti.
E lo stesso vale anche per un racconto di Flavio sulla sua esperienza di volontariato, o per le vicende di lavoro di Erding o di Luca, o per i ricordi di viaggio di E.T.
Se sotto un titolo (alias argomento, alias thread) si succedono cinque, dieci, cento "cose" uguali, il therad diventa una raffica di mitragliatrice, nella quale nulla si approfondisce, ossia nulla ha significato: a un ricordo di viaggio di ET succedono dieci raccont di viaggio di altri, o a un'esperienza di Flavio succedono dieci racconti di dieci esperienze, o a un articolo altri dieci o cento articoli, ogni argomento diventa una rassegna, un'esposizione - con una differenza, che una rassegna di esperienze personali o di racconti o ricordi ha comunque un senso, ossia giustifica l'esistenza di una comunità nella quale si mettono a confronto pensieri ed esperienze che possono incontrarsi solo in questo modo, mentre la lettura integrale e sistematica di una serie di articoli si può effettuare tranquillamente anche da soli, collegandosi coi siti web dai quali sono tratti, se è la lettura in se stessa che conta.
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Re: Articolo 4
Questo è il frutto del cosiddetto "tramonto delle ideologie" (il "mondo esterno", Rom?), la grande stronzata proposta da coloro che un'idea propria ce l'avevano, che coltivavano il progetto di arrivare alla stanza dei bottoni o per megalomania o per risanare le proprie casse o per tutelarsi dalle inchieste giudiziarie: insomma per fare quel che si voleva in un'Italia che, se non poteva competere in importanza con le altre Nazioni, poteva, invece, diventare un bell'orticello da sfruttare personalmente (e si sa che "in un paese di ciechi, chi ha un occhio diventa re" e fa le regole per il suo tornaconto).flaviomob ha scritto:Lo stesso ancora dicasi per le primarie: le regolette le hanno messe apposta per permettere di stravolgere il senso del tutto, e il bello è che se un boss locale regala due euro a testa a mille poveracci per votare come dice lui, magari con la promessa di un pacchetto di spaghetti come bonus, questi non sanno davvero a quale "regola" appigliarsi, perché è tutto - formalmente - regolarissimo.
Per cui quella pedanteria, che ci poteva distinguere nell'applicazione della norma, si è talmente svuotata di senso da rendere scalabile da destra un partito "che fu" di sinistra, e da diventare un incentivo a chi, nella sostanza, col rispetto delle regole ci si è sempre pulito il culo.
Per puntare e per educare alla figura del leader si sono rinnegate le ideologie e con essi, i partiti, dal momento che molti ci hanno pure creduto. Senza i partiti non avevano senso le sezioni, che venivano sostituite dalle case-segreterie (o dalle Fondazioni, l'ultima trovata dei "geni in politica") frequentate da dipendenti, galoppini o da affiliati, con il fine ultimo di procacciare i consensi dei cittadini-elettori-pecora verso il capo (e la relativa squadra, confezionata su misura).
"Solo gli stupidi non cambiano mai opinione" è stato il nuovo mantra da sbandierare ai quattro venti e molti ... ne sono andati anche fieri.
Come possono le primarie ritenersi uno strumento democratico se sorgono dubbi giganteschi sulla regolarità delle stesse elezioni politiche (delle amministrative, poi, non ne parliamo)?
La convinzione dei cittadini di recarsi alle urne è ridotta al lumicino o ancorata a qualche promessa ... di favore.
L'aumento delle astensioni, però, non può preoccupare più di tanto una classe di governanti che ha per motto elitario "meno sono (gli elettori) meglio stiamo".
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Re: Articolo 4
Si potrebbe dire che in un paese di furbi, Berlusconi (o quella lenza di Renzi) diventa Re. Le ideologie sono tramontate e morte, tranne una: quella del Dio denaro. Per avere denaro occorre potere e viceversa: per cui lo "strumento" democratico diventa il fine, la manipolazione diventa il mezzo e tutto viene giustificato in nome del fine ultimo. Che, per il "popolino" si deve identificare con la "stabilità".
L'alternativa è invece la partecipazione, che è cosa diversa dal muovere il culo ogni due o tre anni per fare una X alle primarie o alle elezioni.
Partecipare vuol dire comunicare, condividere delle esperienze e delle idee, discutere. Ovviamente una pioggia incessante di articoli riportati integralmente non significa affatto partecipare, ma esercitarsi nel taglia - incolla. Nulla vieta a chi lo desidera di continuare a farlo, in completa libertà, ma bisognerebbe interrogarsi su:
1-A che pro?
2-Costituisce di fatto una rassegna stampa? Se è così, chiamiamola rassegna stampa.
L'alternativa è invece la partecipazione, che è cosa diversa dal muovere il culo ogni due o tre anni per fare una X alle primarie o alle elezioni.
Partecipare vuol dire comunicare, condividere delle esperienze e delle idee, discutere. Ovviamente una pioggia incessante di articoli riportati integralmente non significa affatto partecipare, ma esercitarsi nel taglia - incolla. Nulla vieta a chi lo desidera di continuare a farlo, in completa libertà, ma bisognerebbe interrogarsi su:
1-A che pro?
2-Costituisce di fatto una rassegna stampa? Se è così, chiamiamola rassegna stampa.
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Re: Articolo 4
flaviomob ha scritto:Si potrebbe dire che in un paese di furbi, Berlusconi (o quella lenza di Renzi) diventa Re. Le ideologie sono tramontate e morte, tranne una: quella del Dio denaro. Per avere denaro occorre potere e viceversa: per cui lo "strumento" democratico diventa il fine, la manipolazione diventa il mezzo e tutto viene giustificato in nome del fine ultimo. Che, per il "popolino" si deve identificare con la "stabilità".
L'alternativa è invece la partecipazione, che è cosa diversa dal muovere il culo ogni due o tre anni per fare una X alle primarie o alle elezioni.
Partecipare vuol dire comunicare, condividere delle esperienze e delle idee, discutere. Ovviamente una pioggia incessante di articoli riportati integralmente non significa affatto partecipare, ma esercitarsi nel taglia - incolla. Nulla vieta a chi lo desidera di continuare a farlo, in completa libertà, ma bisognerebbe interrogarsi su:
1-A che pro?
2-Costituisce di fatto una rassegna stampa? Se è così, chiamiamola rassegna stampa.
Cosa rappresenta per te questo articolo??? Qual'è la sua essenza???
il Fatto 5.3.15
Il blob di Renzi sulla scuola: dodici mesi di slogan e fumo
Tempi sempre certi e mai rispettati
di Marco Palombi
Nel caso di Matteo Renzi quello che segue rischia di essere un esercizio stancante e ripetitivo. Il premier ha infatti il vizio di parlare spesso e farlo per slogan molto netti che poi provvede a smentire con grande serenità: se qualcuno glielo fa notare, però, lui nega di essersi smentito e dice che l’invidia è una brutta cosa. Come litigare con uno al bar, insomma.
Siccome, però, sulla scuola Renzi ha puntato molto (“ci ho messo la faccia”, direbbe lui), un piccolo riassunto di dichiarazioni serve a fare il punto sulla bolla d’aria in cui vive la Repubblica. Conviene, prima di iniziare, tenere a mente un paio di cose: la prossima settimana il governo approverà un ddl delega con la riforma e assumerà – se tutto va bene – qualche decina di migliaia di precari. Tutto comincia il 19 agosto: “Il 29 linee guida sulla scuola perché tra 10 anni l’Italia sarà come la fanno oggi gli insegnanti. Noi lavoriamo su questo in #agosto”, comunicava via Twitter da Forte dei Marmi. Le linee guida, poi, arrivavano il 3 settembre con la pubblicazione del documento La buona scuola. Renzi, stentoreo: “Tutti coloro che stanno dentro alle graduatorie a esaurimento devono essere assunti dalla scuola, perché hanno un diritto nei confronti dello Stato”; “noi diciamo basta ai precari e alla supplentite”. Tempi? “Una consultazione popolare dal 15 settembre al 15 novembre”, poi, nella legge di Stabilità, “le prime risorse e da gennaio gli atti normativi”.
Ma quanti sono i precari da assumere e quando? Renzi risponde da Palermo il 15 settembre: “Nella scuola ci sono 149 mila persone che hanno l’obbligo di essere assunte” (più o meno la cifra indicata da La buona scuola) ; “tutti coloro verso i quali lo Stato ha un’obbligazione saranno assunti a settembre del 2015, col nuovo anno scolastico”.
Finita la consultazione pubblica, Renzi torna a parlare: “È tempo di passare dalle parole ai fatti”. Siamo al 1 dicembre e la Corte Ue ha appena dato ragione ai precari non assunti nonostante avessero oltre 36 mesi di docenza consecutivi: “Dobbiamo recuperare problemi aperti da anni”.
E ancora il 18 dicembre: “Nel 2015 agiremo perché la buona scuola non sia più solo uno slogan ma divenga un dato di fatto”. Intanto nella legge di Stabilità, approvata il 22 dicembre, l’esecutivo da un lato stanziava un miliardo nel 2015 per la scuola e dall’altro cancellava gli esoneri dei vicari dei presidi, le supplenze brevi, 2mila unità di personale Ata, 30 milioni dal Fondo per l’offerta formativa e 100 da quello per le non autosufficienze. Nel frattempo i 3 miliardi e mezzo promessi per l’edilizia scolastica il 12 marzo 2014 sono diventati uno solo: ad oggi ne ha speso circa un terzo.
Il 5 gennaio, comunque, il premier era di nuovo sul pezzo: “Siamo al lavoro sulla riforma più importante per il futuro: da qui al 28 febbraio scriveremo i testi”. Sicuro? Sicuro. Il 23 gennaio: “Da qui a un mese è tutto pronto”. Il 22 febbraio era fatta: “La prossima settimana ci sarà un doppio atto normativo”.
Lunedì 2 marzo i giornali descrivevano il decreto con dovizia di particolari. L’altroieri, 3 marzo, niente decreto, tutto rinviato, ma Renzi è incrollabile nella fede: “Non c’è alcun rischio di slittamento delle assunzioni” (ma esperti e ministero dicono il contrario). Ma quanti sono alla fine? “Per noi è fondamentale assumere oltre 100mila insegnanti”. Non più 149mila allora e neppure per decreto.
Martedì 10 marzo in Consiglio dei ministri arriverà infine un ddl delega: “Sono basita”, direbbe il ministro Giannini.
^^^^^^^^
Un aiutino.
Come scrivere un articolo di giornale
La prima caratteristica che contraddistingue un articolo di giornale da qualsiasi altro tipo di testo scritto è lo stile, chiamato appunto giornalistico, che, oltre ad essere impersonale (ad eccezione di recensioni e articoli di opinione), segue precise regole. Numerose sono le tipologie di articolo, in base alle quali variano anche lo stile e il linguaggio adottato: cronaca, intervista, articolo culturale, resoconto ecc.
L’articolo deve comunque essere piacevole sia per chi lo legge, sia per chi lo scrive.
A differenza di un romanzo, un articolo si consuma in pochi minuti, ma non per questo può permettersi di essere inconcludente, poco interessante o trattato con superficialità.
Molti articoli di grandi giornalisti sono passati alla storia.
Se non ci si appassiona alla notizia di cui si sta rendendo conto, è molto probabile che anche l’articolo non incuriosirà il lettore.
Ecco alcuni consigli generali su come preparare un buon articolo di giornale.
+ tutto il resto >>> http://www.marcotogni.it/scrivere-articolo-giornale/
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Re: Articolo 4
oppure quest'altro????
da " L'Altra Europa..
LA FABBRICA DEL CAMBIAMENTO: INSIEME PER UN NUOVO INIZIO
di Marco Revelli, 28 febbraio 2015
Lunedì a Torino, nella grande sala della “Fabbrica delle E” del gruppo Abele, si svolgerà l’assemblea Atene – Torino. La sinistra riparte dalle lotte sociali. La convocazione arriva da persone delle variegate realtà, sociali e politiche, che condividono l’esigenza di una risposta adeguata alle sfide di questo delicatissimo, drammatico ma anche entusiasmante, momento. Un incontro con lavoratori delle fabbriche in crisi, giovani precari, militanti della Fiom e della Cgil, de L’Altra Europa e delle forze politiche che la sostennero europee, del Movimento No TaV e del volontariato contro le povertà.
Sarà una prima occasione, pubblica e di massa, per verificare la possibilità che abbia inizio una vera fase costituente di quello che Airaudo e Marcon, sul manifesto di martedì scorso, hanno definito come «un nuovo modello di aggregazione politica e sociale». E che noi dell’Altra Europa con Tsipras abbiamo chiamato la «casa comune della sinistra e dei democratici». Insomma, di quella «forza che unifichi protesta sociale e azione politica con un’agenda di cambiamento» richiamata ieri, su questo giornale, da Gallegati, Pianta, Notarianni e Stramaccioni.
Quanto quell’esigenza – potremmo anche dire quella possibilità – sia sentita, e quanto sia cresciuta negli ultimi mesi e nelle ultime settimane, è dimostrato dal grado di affollamento del dibattito pubblico, da parte di voci spesso diverse (apparentemente anche molto diverse) e tuttavia convergenti su quel problema: sull’insufficienza di ciò che è. Sulla necessità di ciò che deve venire. E sulla comune certezza che questo dovrà essere grande, tanto grande da apparire credibile nel reggere la portata della sfida. E “inedito”: tanto innovativo nel linguaggio, nelle pratiche, nelle modalità organizzative, nelle stesse persone che ne interpretano il messaggio, da vincere la consolidata diffidenza e la disillusione di una parte sempre più ampia di società e di elettorato.
Penso alle recenti prese di posizione di Maurizio Landini, di Stefano Rodotà, dello stesso Sergio Cofferati. Penso al dibattito, anche aspro, dell’assemblea bolognese de L’Altra Europa o al messaggio uscito dalla tre giorni di Human Factor. Un caleidoscopio di posizioni che possono apparire eterogenee, ma che in realtà dimostrano l’alto grado di urgenza e di maturità della questione, lungo vettori diversi: la coscienza da parte del mondo del lavoro della caduta “storica” di quello che era stato, per un lunghissimo ciclo, il suo riferimento politico.
La verifica, da parte della parte più consapevole e sensibile dell’ “intellettualità” democratica, del livello di degrado delle nostre istituzioni rappresentative, fino a configurare, sotto la spinta dell’accelerazione autoritaria renziana, un’emergenza democratica tanto profonda da veder compromessa la stessa forma partito, tradizionale strumento di partecipazione.
L’autocoscienza, da parte di ciò che resta della estrema sinistra politica, della propria insufficienza, e della necessità di un “nuovo inizio”.
In questo quadro sarebbe tragico se ci si dividesse sull’antitesi (fittizia) tra coalizione sociale e coalizione politica. O, peggio, tra costruzione dall’alto e costruzione dal basso, senza riflettere sull’esperienza del passato che dimostra, con un’evidenza luciferina, come ogni tentativo di rendere autonomi i due aspetti si sia rivelato disastroso, con i “movimenti” inchiodati a terra dalla propria mancanza di sponda nelle sedi decisionali, e le organizzazioni politiche troppo spesso isterilite in pratiche burocratiche e drammaticamente minoritarie. O comunque esposte all’assimilazione populista con tutto ciò che sta in alto e che sa di estraneità e privilegio.
Per contrasto, le vicende che stanno “riaprendo il tempo” in Grecia come in Spagna — Syriza e Podemos pur nelle loro differenze -, dimostrano come la chiave del successo sia, oggi, la capacità di innestare, sull’orizzontalità del conflitto sociale, l’asse verticale della rappresentanza, mettendo in connessione basso e alto. Trasferendo anche dentro il cuore delle sedi decisionali – quelle vere, quelle che operano nello spazio politico contemporaneo, la “fortezza-Europa” — la forza dirompente della rivolta e della resistenza sociale.
Quelle stesse vicende, d’altra parte, tendono a favorire – per chi ne vuole capire il messaggio — i processi di possibile ricomposizione politica, affermando, con la perentorietà dei fatti storici, che il tempo è ora. E mostrando come il superamento della frammentazione e delle fratture è la precondizione di un processo costituente credibile e vincente, non il suo esito finale.
Per questo un processo che lavori “per campagne”, come suggerito negli interventi precedenti, e non per negoziazioni o proclami, e che sulla capacità di ripresa di parola da parte dei soggetti reali fondi la riattivazione dell’iniziativa politica su scala ampia, trans-nazionale, perché transnazionale è il comando, può permetterci di uscire dalla gabbia incapacitante della comunicazione virtuale.
E di tentare la grande scommessa di ridare rappresentanza e visibilità all’area sconfinata che le oligarchie del potere lasciano sotto le loro rovine.
Di questo si parlerà a Torino. Con l’obiettivo di non fare solo un bell’evento, ma di dare origine a una serie di interventi sul territorio, radicati nelle pieghe sell’emergenza sociale, impegnativi per tutti.
da " L'Altra Europa..
LA FABBRICA DEL CAMBIAMENTO: INSIEME PER UN NUOVO INIZIO
di Marco Revelli, 28 febbraio 2015
Lunedì a Torino, nella grande sala della “Fabbrica delle E” del gruppo Abele, si svolgerà l’assemblea Atene – Torino. La sinistra riparte dalle lotte sociali. La convocazione arriva da persone delle variegate realtà, sociali e politiche, che condividono l’esigenza di una risposta adeguata alle sfide di questo delicatissimo, drammatico ma anche entusiasmante, momento. Un incontro con lavoratori delle fabbriche in crisi, giovani precari, militanti della Fiom e della Cgil, de L’Altra Europa e delle forze politiche che la sostennero europee, del Movimento No TaV e del volontariato contro le povertà.
Sarà una prima occasione, pubblica e di massa, per verificare la possibilità che abbia inizio una vera fase costituente di quello che Airaudo e Marcon, sul manifesto di martedì scorso, hanno definito come «un nuovo modello di aggregazione politica e sociale». E che noi dell’Altra Europa con Tsipras abbiamo chiamato la «casa comune della sinistra e dei democratici». Insomma, di quella «forza che unifichi protesta sociale e azione politica con un’agenda di cambiamento» richiamata ieri, su questo giornale, da Gallegati, Pianta, Notarianni e Stramaccioni.
Quanto quell’esigenza – potremmo anche dire quella possibilità – sia sentita, e quanto sia cresciuta negli ultimi mesi e nelle ultime settimane, è dimostrato dal grado di affollamento del dibattito pubblico, da parte di voci spesso diverse (apparentemente anche molto diverse) e tuttavia convergenti su quel problema: sull’insufficienza di ciò che è. Sulla necessità di ciò che deve venire. E sulla comune certezza che questo dovrà essere grande, tanto grande da apparire credibile nel reggere la portata della sfida. E “inedito”: tanto innovativo nel linguaggio, nelle pratiche, nelle modalità organizzative, nelle stesse persone che ne interpretano il messaggio, da vincere la consolidata diffidenza e la disillusione di una parte sempre più ampia di società e di elettorato.
Penso alle recenti prese di posizione di Maurizio Landini, di Stefano Rodotà, dello stesso Sergio Cofferati. Penso al dibattito, anche aspro, dell’assemblea bolognese de L’Altra Europa o al messaggio uscito dalla tre giorni di Human Factor. Un caleidoscopio di posizioni che possono apparire eterogenee, ma che in realtà dimostrano l’alto grado di urgenza e di maturità della questione, lungo vettori diversi: la coscienza da parte del mondo del lavoro della caduta “storica” di quello che era stato, per un lunghissimo ciclo, il suo riferimento politico.
La verifica, da parte della parte più consapevole e sensibile dell’ “intellettualità” democratica, del livello di degrado delle nostre istituzioni rappresentative, fino a configurare, sotto la spinta dell’accelerazione autoritaria renziana, un’emergenza democratica tanto profonda da veder compromessa la stessa forma partito, tradizionale strumento di partecipazione.
L’autocoscienza, da parte di ciò che resta della estrema sinistra politica, della propria insufficienza, e della necessità di un “nuovo inizio”.
In questo quadro sarebbe tragico se ci si dividesse sull’antitesi (fittizia) tra coalizione sociale e coalizione politica. O, peggio, tra costruzione dall’alto e costruzione dal basso, senza riflettere sull’esperienza del passato che dimostra, con un’evidenza luciferina, come ogni tentativo di rendere autonomi i due aspetti si sia rivelato disastroso, con i “movimenti” inchiodati a terra dalla propria mancanza di sponda nelle sedi decisionali, e le organizzazioni politiche troppo spesso isterilite in pratiche burocratiche e drammaticamente minoritarie. O comunque esposte all’assimilazione populista con tutto ciò che sta in alto e che sa di estraneità e privilegio.
Per contrasto, le vicende che stanno “riaprendo il tempo” in Grecia come in Spagna — Syriza e Podemos pur nelle loro differenze -, dimostrano come la chiave del successo sia, oggi, la capacità di innestare, sull’orizzontalità del conflitto sociale, l’asse verticale della rappresentanza, mettendo in connessione basso e alto. Trasferendo anche dentro il cuore delle sedi decisionali – quelle vere, quelle che operano nello spazio politico contemporaneo, la “fortezza-Europa” — la forza dirompente della rivolta e della resistenza sociale.
Quelle stesse vicende, d’altra parte, tendono a favorire – per chi ne vuole capire il messaggio — i processi di possibile ricomposizione politica, affermando, con la perentorietà dei fatti storici, che il tempo è ora. E mostrando come il superamento della frammentazione e delle fratture è la precondizione di un processo costituente credibile e vincente, non il suo esito finale.
Per questo un processo che lavori “per campagne”, come suggerito negli interventi precedenti, e non per negoziazioni o proclami, e che sulla capacità di ripresa di parola da parte dei soggetti reali fondi la riattivazione dell’iniziativa politica su scala ampia, trans-nazionale, perché transnazionale è il comando, può permetterci di uscire dalla gabbia incapacitante della comunicazione virtuale.
E di tentare la grande scommessa di ridare rappresentanza e visibilità all’area sconfinata che le oligarchie del potere lasciano sotto le loro rovine.
Di questo si parlerà a Torino. Con l’obiettivo di non fare solo un bell’evento, ma di dare origine a una serie di interventi sul territorio, radicati nelle pieghe sell’emergenza sociale, impegnativi per tutti.
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Re: Articolo 4
oppure questo?????
IL “FRONTE POP” PROPOSTA INCLUSIVA PER 5 OBIETTIVI
di Gallegati, Pianta, Notarianni, Stramaccioni, 26 febbraio 2015
L’articolo di Giorgio Airaudo e Giulio Marcon “Un Fronte Pop” (martedì su manifesto e sbilanciamoci.info) si pone le domande giuste: come possiamo costruire in Italia una forza politica analoga a Syriza e Podemos?
Come può nascere una forza che riunifichi protesta sociale e azione politica con un’agenda di cambiamento? Sono domande non nuove, i tentativi di risposta in questi anni sono stati diversi e mai risolutivi – l’ultimo è stata la Lista “Un’altra Europa con Tsipras” alle elezioni europee, che ha avuto il merito di allargare l’orizzonte all’alternativa rappresentata da Syriza.
L’urgenza di una risposta risolutiva è accentuata oggi da tre novità.
La prima è la continua accelerazione del “renzismo”. In pochi giorni, ha introdotto nuovi decreti del Jobs Act che sono particolarmente punitivi per i lavoratori (e ha attaccato personalmente Maurizio Landini e la Fiom). Ha colpito i magistrati in un modo pesante. Ha affrontato la questione delle televisioni non per affrontare il conflitto d’interessi di Berlusconi, ma per rafforzare il potere di Mediaset con la cessione di Raiways. E sta per invadere la scuola con un nuovo decreto.
La seconda novità è nella reazione sociale che inizia a mostrarsi – dopo lo sciopero generale di Cgil e Uil – con il sindacato di Susanna Camusso che si prepara allo scontro frontale sul Jobs Act e la Fiom di Maurizio Landini che apre oggi l’assemblea dei delegati a Cervia con un’agenda di mobilitazioni sociali.
La terza novità è la tenuta del governo di Alexis Tsipras nel suo scontro con i poteri europei. Pur con un negoziato difficilissimo, con molte concessioni e destinato a durare a lungo, la Grecia di Syriza ha messo all’ordine del giorno il superamento dell’austerità in Europa. Ha aperto uno spazio politico anche per noi: la Commissione europea non a caso ha dato il via libera l’altroieri ai conti di Italia, Francia e altri paesi senza interferire ulteriormente. Ma questo spazio ha bisogno di sviluppi politici che cambino i rapporti di forza in tutti i paesi: con le prossime elezioni in Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e con un allontanamento dei governi di Parigi e Roma dalle posizioni di Berlino: senza di questo, la stessa Grecia non potrà farcela.
Airaudo e Marcon scrivono che ci sono «segni di risveglio sociale, che tuttavia sono ancora frammentati, senza una cornice che trasformi le mobilitazioni in risposta politica». Anche noi pensiamo che la costruzione di una cornice politica e sociale forte, di una convergenza organizzativa, sia oggi essenziale. Le disponibilità e le iniziative di tanti, espresse in queste settimane, sono pezzi importanti, ma nessuno è risolutivo. Siamo chiamati a un “salto di scala”, a un nuovo modo di pensare l’azione collettiva, fuori dai perimetri che sono fin qui costruiti, nei partiti, nei sindacati e nei movimenti.
Il “Fronte Pop” proposto da Airaudo e Marcon è la proposta più inclusiva che sia emersa finora. Chiede a tutti un passo indietro e offre un balzo in avanti. Potrebbe far cessare l’entropia di iniziative che vanno in direzioni diverse, strumentalizzate dai giornali. Il nome non piacerà a chi ricorda la sconfitta del Fronte democratico popolare di socialisti e comunisti nel 1948. Ma è un nome che definisce una convergenza tra soggetti diversi – un Fronte, non un partito – e che ci richiama alle radici popolari che il nostro lavoro deve avere: mobilitazioni dal basso, auto-organizzazione sociale, difesa dei più deboli, dei precari, dei giovani, delle vittime della crisi. E’ solo così che potremo sottrarre consenso ai populismi contrapposti di Beppe Grillo e Matteo Salvini. Sono le cose che hanno fatto Syriza e Podemos.
I nomi possono cambiare, ma questa ci sembra la strada giusta. E le cinque campagne indicate da Airaudo e Marcon sono quelle essenziali: l’Europa da cambiare, il lavoro da difendere, l’ambiente da salvare, i diritti civili e il welfare da affermare, la pace da costruire. Con in più l’affermazione della legalità: un contrasto vero a mafie e corruzione. Le mille iniziative che già esistono su questi temi hanno bisogno di una cornice più forte, di “sfondare” nella politica, di cambiare le decisioni di Palazzo Chigi e di Bruxelles.
L’assemblea Fiom di questi giorni è un passaggio importante, a cui far seguire una fase costituente che definisca come realizzare questa convergenza politica e sociale. Il difficile, lo sappiamo già, è nei modi che tengano insieme tutti: la pratica di una nuova politica insieme alle mobilitazioni sociali e sindacali; le forme di organizzazione collettiva con le motivazioni e l’impegno delle persone che vogliono, finalmente, contare.
Proviamoci.
da il manifesto 27 febbraio 2015
IL “FRONTE POP” PROPOSTA INCLUSIVA PER 5 OBIETTIVI
di Gallegati, Pianta, Notarianni, Stramaccioni, 26 febbraio 2015
L’articolo di Giorgio Airaudo e Giulio Marcon “Un Fronte Pop” (martedì su manifesto e sbilanciamoci.info) si pone le domande giuste: come possiamo costruire in Italia una forza politica analoga a Syriza e Podemos?
Come può nascere una forza che riunifichi protesta sociale e azione politica con un’agenda di cambiamento? Sono domande non nuove, i tentativi di risposta in questi anni sono stati diversi e mai risolutivi – l’ultimo è stata la Lista “Un’altra Europa con Tsipras” alle elezioni europee, che ha avuto il merito di allargare l’orizzonte all’alternativa rappresentata da Syriza.
L’urgenza di una risposta risolutiva è accentuata oggi da tre novità.
La prima è la continua accelerazione del “renzismo”. In pochi giorni, ha introdotto nuovi decreti del Jobs Act che sono particolarmente punitivi per i lavoratori (e ha attaccato personalmente Maurizio Landini e la Fiom). Ha colpito i magistrati in un modo pesante. Ha affrontato la questione delle televisioni non per affrontare il conflitto d’interessi di Berlusconi, ma per rafforzare il potere di Mediaset con la cessione di Raiways. E sta per invadere la scuola con un nuovo decreto.
La seconda novità è nella reazione sociale che inizia a mostrarsi – dopo lo sciopero generale di Cgil e Uil – con il sindacato di Susanna Camusso che si prepara allo scontro frontale sul Jobs Act e la Fiom di Maurizio Landini che apre oggi l’assemblea dei delegati a Cervia con un’agenda di mobilitazioni sociali.
La terza novità è la tenuta del governo di Alexis Tsipras nel suo scontro con i poteri europei. Pur con un negoziato difficilissimo, con molte concessioni e destinato a durare a lungo, la Grecia di Syriza ha messo all’ordine del giorno il superamento dell’austerità in Europa. Ha aperto uno spazio politico anche per noi: la Commissione europea non a caso ha dato il via libera l’altroieri ai conti di Italia, Francia e altri paesi senza interferire ulteriormente. Ma questo spazio ha bisogno di sviluppi politici che cambino i rapporti di forza in tutti i paesi: con le prossime elezioni in Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e con un allontanamento dei governi di Parigi e Roma dalle posizioni di Berlino: senza di questo, la stessa Grecia non potrà farcela.
Airaudo e Marcon scrivono che ci sono «segni di risveglio sociale, che tuttavia sono ancora frammentati, senza una cornice che trasformi le mobilitazioni in risposta politica». Anche noi pensiamo che la costruzione di una cornice politica e sociale forte, di una convergenza organizzativa, sia oggi essenziale. Le disponibilità e le iniziative di tanti, espresse in queste settimane, sono pezzi importanti, ma nessuno è risolutivo. Siamo chiamati a un “salto di scala”, a un nuovo modo di pensare l’azione collettiva, fuori dai perimetri che sono fin qui costruiti, nei partiti, nei sindacati e nei movimenti.
Il “Fronte Pop” proposto da Airaudo e Marcon è la proposta più inclusiva che sia emersa finora. Chiede a tutti un passo indietro e offre un balzo in avanti. Potrebbe far cessare l’entropia di iniziative che vanno in direzioni diverse, strumentalizzate dai giornali. Il nome non piacerà a chi ricorda la sconfitta del Fronte democratico popolare di socialisti e comunisti nel 1948. Ma è un nome che definisce una convergenza tra soggetti diversi – un Fronte, non un partito – e che ci richiama alle radici popolari che il nostro lavoro deve avere: mobilitazioni dal basso, auto-organizzazione sociale, difesa dei più deboli, dei precari, dei giovani, delle vittime della crisi. E’ solo così che potremo sottrarre consenso ai populismi contrapposti di Beppe Grillo e Matteo Salvini. Sono le cose che hanno fatto Syriza e Podemos.
I nomi possono cambiare, ma questa ci sembra la strada giusta. E le cinque campagne indicate da Airaudo e Marcon sono quelle essenziali: l’Europa da cambiare, il lavoro da difendere, l’ambiente da salvare, i diritti civili e il welfare da affermare, la pace da costruire. Con in più l’affermazione della legalità: un contrasto vero a mafie e corruzione. Le mille iniziative che già esistono su questi temi hanno bisogno di una cornice più forte, di “sfondare” nella politica, di cambiare le decisioni di Palazzo Chigi e di Bruxelles.
L’assemblea Fiom di questi giorni è un passaggio importante, a cui far seguire una fase costituente che definisca come realizzare questa convergenza politica e sociale. Il difficile, lo sappiamo già, è nei modi che tengano insieme tutti: la pratica di una nuova politica insieme alle mobilitazioni sociali e sindacali; le forme di organizzazione collettiva con le motivazioni e l’impegno delle persone che vogliono, finalmente, contare.
Proviamoci.
da il manifesto 27 febbraio 2015
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