Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
L'ISIS continua a uccidere donne e bambini mentre l'Europa sta allegramente in vacanza...
Cos'altro deve ancora accadere perché ci si accorga del pericolo e si prendano le dovute contromisure anche e soprattutto verso chi foraggia l'ISIS?
Cos'altro deve ancora accadere perché ci si accorga del pericolo e si prendano le dovute contromisure anche e soprattutto verso chi foraggia l'ISIS?
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Maucat ha scritto:L'ISIS continua a uccidere donne e bambini mentre l'Europa sta allegramente in vacanza...
Cos'altro deve ancora accadere perché ci si accorga del pericolo e si prendano le dovute contromisure anche e soprattutto verso chi foraggia l'ISIS?
Di persone che nel 1939 avessero almeno 30 anni, per capire cosa stesse succedendo, credo che non ce ne sia più in giro per chiedere cosa dicevano gli italiani dopo il 1° settembre 1939, quando il pazzo imbianchino di Berlino aveva invaso la Polonia.
Gli italiani di oggi, come d'altra parte anche gli europei, SE NE SBATTONO.
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Così l’Isis governa e uccide
Pizzo sui commerci e schiave, ma i jihadisti si occupano pure di scuole e raccolta rifiuti
di Guido Olimpio
Prima ha lanciato la campagna di conquista, quindi ha consolidato il terreno strappato al nemico, poi ha rafforzato le strutture per comportarsi e governare come uno Stato. Islamico.
Non più solo una sigla, ma un vero apparato. Capillare, burocratico, inflessibile ma anche pratico.
La vita sotto il Califfo non è uguale per tutti. I muhajireen, i volontari arrivati dall’estero se la passano meglio. Pagati e «coperti» per le spese. Le minoranze soffrono, costrette ad andarsene oppure a pagare per essere risparmiate. Chi agli occhi dei jihadisti è «diverso», viola la legge islamica, commette dei «peccati» conosce l’Inferno. Le lapidazioni, gli omosessuali gettati dai palazzi, il taglio della mano, la morte in piazza davanti alla folla. La struttura è guidata da Abu Bakr al Baghdadi, assistito dai luogotenenti. L’amministrazione è gestita localmente dai governatori - circa una dozzina - e dai dipartimenti, noti come «diwan». Di fatto i ministeri dello Stato Islamico.
Le basi del potere sono state create per tappe, un lavoro che ha accompagnato l’espansione militare e geografica del movimento.
Come ha rilevato in un interessante studio il ricercatore Aymenn Jawad Al Tamimi, l’anno chiave è il 2013. Da quel momento Daesh (nome arabo dell’ Isis) dedica molte risorse alla creazione di un network semplice anche in zone dove è la forza egemone.
Di solito il primo passo è l’apertura dell’ufficio per la Dawa: ha compiti sociali, in quanto crea legami con la popolazione e cerca di assisterla; ha un ruolo di intelligence poiché è usato per raccogliere informazioni e tenere d’occhio l’ambiente. Il secondo passo è l’arrivo delle corti islamiche, incaricate di amministrare la giustizia; a seguire l’Istituto per la Sharia. Insieme a queste presenze pubbliche opera un apparato clandestino. Potremmo definirli i servizi speciali dell’Isis: sono loro ad eliminare eventuali rivali in quelle località dove c’è magari la presenza di altri «partiti». Sono sempre loro a indebolire dall’interno i futuri obiettivi, con rapimenti, minacce, attentati.
Una volta che il Califfato ha spazzato via tutti, subentra la rete amministrativa. I seguaci di al Baghdadi si occupano di ogni settore: scuola, sanità, raccolta dell’immondizia, polizia locale, asili, panificazione, elettricità. Forniscono servizi e incassano denaro.
Raro che usino la parola tassa, preferiscono ricorrere alla formula dell’offerta religiosa. In realtà i jihadisti impongono il pizzo su commerci, transito di camion, merci, locali. Sulle cifre bisogna andar cauti. Spesso girano numeri non sempre attendibili.
Una recente inchiesta del New York Times ha sostenuto che il movimento ricaverebbe un milione di dollari al giorno solo di tasse e tra gli 8 e i 10 milioni di dollari al mese grazie alla vendita del greggio.
Altre stime parlano di 40. Più confuso il quadro degli stipendi. Per una bizzarra situazione, una parte dei dipendenti statali iracheni continua a ricevere il soldo da Bagdad pur vivendo nelle zone occupate. E Daesh screma una parte della somma. Fonti statunitensi affermano che lo Stato Islamico sborsa ogni mese dai 3 ai 10 milioni di dollari in salari. Altro dato da prendere con le molle. Come quelli degli stipendi dei militanti. Re Abdallah di Giordania ha parlato di mille dollari al mese per gli stranieri, ricostruzioni dei media ribassano a 400, alcuni esperti scendono ancora, tra i 50 e i 100. Somme alle quali bisogna però aggiungere in qualche caso i bonus, comprese le schiave portate via, comprate, rivendute. Prede umane che non mancano mai nel teatro siro-iracheno.
Da un anno a questa parte si è a lungo speculato se gli eccessi dei militanti «neri» avrebbero provocato reazioni tra gli abitanti. Molto di loro sopportano, qualcuno ammette che vi sarebbe meno corruzione rispetto al passato e di sicuro più ordine. Opinabile quanto siano sinceri i commenti visti la facilità con la quale si finisce sul patibolo improvvisato. Per ora sono stati segnalati episodi sporadici di attacchi anti-Isis.
Un’organizzazione di ex militari baathisti avrebbe colpito dirigenti del Califfato a Mosul, altri agguati si sono verificati - e da tempo - a Deir Ez Zour e Raqqa dove opererebbero nuclei di resistenza. Di certo qualche elemento ha pagato con la vita, ma è arduo verificare la profondità e il seguito. Poi, alla fine di luglio, c’è stato un attentato a Falluja, gesto attribuito ad una fantomatica kamikaze di trent’anni che si sarebbe vendicata facendosi esplodere tra i mujaheddin.
Verità o leggenda propagandistica? Non c’è risposta sicura mentre è certa la determinazione del movimento nel reagire, prevenire e sorvegliare. Lo Stato Islamico sa bene, per aver usato queste tecniche, che il pericolo può venire dall’interno, dunque non concede spazi. Quando può offre condizioni migliori, altrimenti taglia la testa. Il presidente del Parlamento iracheno ha sostenuto ieri che nella sola Mosul nell’ultimo anno sono state uccise oltre 2.000 persone.
8 agosto 2015 (modifica il 8 agosto 2015 | 13:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/15_agosto ... 6db0.shtml
Pizzo sui commerci e schiave, ma i jihadisti si occupano pure di scuole e raccolta rifiuti
di Guido Olimpio
Prima ha lanciato la campagna di conquista, quindi ha consolidato il terreno strappato al nemico, poi ha rafforzato le strutture per comportarsi e governare come uno Stato. Islamico.
Non più solo una sigla, ma un vero apparato. Capillare, burocratico, inflessibile ma anche pratico.
La vita sotto il Califfo non è uguale per tutti. I muhajireen, i volontari arrivati dall’estero se la passano meglio. Pagati e «coperti» per le spese. Le minoranze soffrono, costrette ad andarsene oppure a pagare per essere risparmiate. Chi agli occhi dei jihadisti è «diverso», viola la legge islamica, commette dei «peccati» conosce l’Inferno. Le lapidazioni, gli omosessuali gettati dai palazzi, il taglio della mano, la morte in piazza davanti alla folla. La struttura è guidata da Abu Bakr al Baghdadi, assistito dai luogotenenti. L’amministrazione è gestita localmente dai governatori - circa una dozzina - e dai dipartimenti, noti come «diwan». Di fatto i ministeri dello Stato Islamico.
Le basi del potere sono state create per tappe, un lavoro che ha accompagnato l’espansione militare e geografica del movimento.
Come ha rilevato in un interessante studio il ricercatore Aymenn Jawad Al Tamimi, l’anno chiave è il 2013. Da quel momento Daesh (nome arabo dell’ Isis) dedica molte risorse alla creazione di un network semplice anche in zone dove è la forza egemone.
Di solito il primo passo è l’apertura dell’ufficio per la Dawa: ha compiti sociali, in quanto crea legami con la popolazione e cerca di assisterla; ha un ruolo di intelligence poiché è usato per raccogliere informazioni e tenere d’occhio l’ambiente. Il secondo passo è l’arrivo delle corti islamiche, incaricate di amministrare la giustizia; a seguire l’Istituto per la Sharia. Insieme a queste presenze pubbliche opera un apparato clandestino. Potremmo definirli i servizi speciali dell’Isis: sono loro ad eliminare eventuali rivali in quelle località dove c’è magari la presenza di altri «partiti». Sono sempre loro a indebolire dall’interno i futuri obiettivi, con rapimenti, minacce, attentati.
Una volta che il Califfato ha spazzato via tutti, subentra la rete amministrativa. I seguaci di al Baghdadi si occupano di ogni settore: scuola, sanità, raccolta dell’immondizia, polizia locale, asili, panificazione, elettricità. Forniscono servizi e incassano denaro.
Raro che usino la parola tassa, preferiscono ricorrere alla formula dell’offerta religiosa. In realtà i jihadisti impongono il pizzo su commerci, transito di camion, merci, locali. Sulle cifre bisogna andar cauti. Spesso girano numeri non sempre attendibili.
Una recente inchiesta del New York Times ha sostenuto che il movimento ricaverebbe un milione di dollari al giorno solo di tasse e tra gli 8 e i 10 milioni di dollari al mese grazie alla vendita del greggio.
Altre stime parlano di 40. Più confuso il quadro degli stipendi. Per una bizzarra situazione, una parte dei dipendenti statali iracheni continua a ricevere il soldo da Bagdad pur vivendo nelle zone occupate. E Daesh screma una parte della somma. Fonti statunitensi affermano che lo Stato Islamico sborsa ogni mese dai 3 ai 10 milioni di dollari in salari. Altro dato da prendere con le molle. Come quelli degli stipendi dei militanti. Re Abdallah di Giordania ha parlato di mille dollari al mese per gli stranieri, ricostruzioni dei media ribassano a 400, alcuni esperti scendono ancora, tra i 50 e i 100. Somme alle quali bisogna però aggiungere in qualche caso i bonus, comprese le schiave portate via, comprate, rivendute. Prede umane che non mancano mai nel teatro siro-iracheno.
Da un anno a questa parte si è a lungo speculato se gli eccessi dei militanti «neri» avrebbero provocato reazioni tra gli abitanti. Molto di loro sopportano, qualcuno ammette che vi sarebbe meno corruzione rispetto al passato e di sicuro più ordine. Opinabile quanto siano sinceri i commenti visti la facilità con la quale si finisce sul patibolo improvvisato. Per ora sono stati segnalati episodi sporadici di attacchi anti-Isis.
Un’organizzazione di ex militari baathisti avrebbe colpito dirigenti del Califfato a Mosul, altri agguati si sono verificati - e da tempo - a Deir Ez Zour e Raqqa dove opererebbero nuclei di resistenza. Di certo qualche elemento ha pagato con la vita, ma è arduo verificare la profondità e il seguito. Poi, alla fine di luglio, c’è stato un attentato a Falluja, gesto attribuito ad una fantomatica kamikaze di trent’anni che si sarebbe vendicata facendosi esplodere tra i mujaheddin.
Verità o leggenda propagandistica? Non c’è risposta sicura mentre è certa la determinazione del movimento nel reagire, prevenire e sorvegliare. Lo Stato Islamico sa bene, per aver usato queste tecniche, che il pericolo può venire dall’interno, dunque non concede spazi. Quando può offre condizioni migliori, altrimenti taglia la testa. Il presidente del Parlamento iracheno ha sostenuto ieri che nella sola Mosul nell’ultimo anno sono state uccise oltre 2.000 persone.
8 agosto 2015 (modifica il 8 agosto 2015 | 13:25)
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Come mai l'ISIS non attacca Israele? E come mai la Turchia (membro NATO) attacca i Kurdi che combattono l'ISIS?
http://nena-news.it/fiamma-nirenstein-da-silvio-a-bibi/
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Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Per capirlo basterebbe seguire i flussi di denaro che alimentano l'ISIS...
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Ieri Il Giornale pubblica tramite un giornalista SLURP – SLURP, la performance del suo direttore sul palco di R- Incontra a Riccione.
http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2015 ... ultandomi/
Mi hanno colpito le due ammissioni del direttore pseudo cattolico. Certamente un uomo di fede della destra contemporanea che ha sempre avuto un filing con l’Oltre Tevere. Non con Francesco.
1) Con Don Giussani sulla spider rossa. Considerazioni sulla fede.
«Ho cominciato all’Ordine, che era il giornale più scalcagnato di Como, legato alla Curia, che dopo poco, in effetti, chiuse. Fui dirottato a Il Sabato, dove ero noto più che altro perché andavo in redazione con la spider rossa. Così un giorno Don Giussani viene a far visita alla nostra redazione e mi pretende. “Mi porti a fare un giro sulla tua spider rossa?”. Certo, dico io. In macchina, però, per vincere il mio imbarazzo, dico a Giussani che non sono di Comunione e Liberazione. Lui scoppia a ridere, “ma cosa vuoi che mi importi, io non so neanche se credo in Dio!”. Giussani era davvero un uomo straordinario. Mi ritengo un cattolico. Ma non sono un uomo baciato dalla vera fede»
2) Ersilio Tonini e l’esistenza di Dio.
«Quando diventai caporedattore di Avvenire fui convocato a Ravenna dall’allora presidente del giornale, il Cardinale Ersilio Tonini. Di fronte a una minestrina – è sempre stato secco, magrissimo – mi disse, “il suo è un compito difficile perché dovrà mediare tra centinaia di Vescovi che la pensano diversamente su tutto. Anche sull’esistenza di Dio”».
Questa premessa filosofico-religiosa, è dovuta al fatto che Vittorio Feltri nel suo libro “Non abbiamo paura dell’Islam”, chiede in modo perentorio di combattere l’Isis perché siamo in forte ritardo.
Feltri nella sua Oriana-fobia, cita cose vere ma è anche ossessionato dall’odio che Oriana Fallaci nutriva per l’Islam.
Feltri sostiene di avere una fifa matta dell’Isis, il che potrebbe avere anche qualche fondamento.
Ma quello che lui chiede è il solito ARMIAMOCI E PARTITE.
Il che non mi trova d’accordo proprio su riflessioni sul senso della vita.
Sono in contestazione da tempo sulla Resistenza e non riesco a vedere chi debba sacrificare il bene più prezioso a sua disposizione sacrificandolo per gli altri.
Chi dovrebbe andare a morire ( come nel ’39, morire per Danzica) per questo tipo di società?
I giovani dovrebbero andare a morire per Brunetta, Salvini, Renzi, Borghi-Aquilini, Tonini, Alfano, Azzollini, Berlusconi, D’Alema, Santanché, i Romani di Fi e Pd, per la Biancofiore, per Antonio Razzi, Vittorio Feltri, il Trota, Rosato, Ermini, Boschi, Madia, Serracchiani, Guerini, Matteo Ricci, e compagnia cantante?
http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2015 ... ultandomi/
Mi hanno colpito le due ammissioni del direttore pseudo cattolico. Certamente un uomo di fede della destra contemporanea che ha sempre avuto un filing con l’Oltre Tevere. Non con Francesco.
1) Con Don Giussani sulla spider rossa. Considerazioni sulla fede.
«Ho cominciato all’Ordine, che era il giornale più scalcagnato di Como, legato alla Curia, che dopo poco, in effetti, chiuse. Fui dirottato a Il Sabato, dove ero noto più che altro perché andavo in redazione con la spider rossa. Così un giorno Don Giussani viene a far visita alla nostra redazione e mi pretende. “Mi porti a fare un giro sulla tua spider rossa?”. Certo, dico io. In macchina, però, per vincere il mio imbarazzo, dico a Giussani che non sono di Comunione e Liberazione. Lui scoppia a ridere, “ma cosa vuoi che mi importi, io non so neanche se credo in Dio!”. Giussani era davvero un uomo straordinario. Mi ritengo un cattolico. Ma non sono un uomo baciato dalla vera fede»
2) Ersilio Tonini e l’esistenza di Dio.
«Quando diventai caporedattore di Avvenire fui convocato a Ravenna dall’allora presidente del giornale, il Cardinale Ersilio Tonini. Di fronte a una minestrina – è sempre stato secco, magrissimo – mi disse, “il suo è un compito difficile perché dovrà mediare tra centinaia di Vescovi che la pensano diversamente su tutto. Anche sull’esistenza di Dio”».
Questa premessa filosofico-religiosa, è dovuta al fatto che Vittorio Feltri nel suo libro “Non abbiamo paura dell’Islam”, chiede in modo perentorio di combattere l’Isis perché siamo in forte ritardo.
Feltri nella sua Oriana-fobia, cita cose vere ma è anche ossessionato dall’odio che Oriana Fallaci nutriva per l’Islam.
Feltri sostiene di avere una fifa matta dell’Isis, il che potrebbe avere anche qualche fondamento.
Ma quello che lui chiede è il solito ARMIAMOCI E PARTITE.
Il che non mi trova d’accordo proprio su riflessioni sul senso della vita.
Sono in contestazione da tempo sulla Resistenza e non riesco a vedere chi debba sacrificare il bene più prezioso a sua disposizione sacrificandolo per gli altri.
Chi dovrebbe andare a morire ( come nel ’39, morire per Danzica) per questo tipo di società?
I giovani dovrebbero andare a morire per Brunetta, Salvini, Renzi, Borghi-Aquilini, Tonini, Alfano, Azzollini, Berlusconi, D’Alema, Santanché, i Romani di Fi e Pd, per la Biancofiore, per Antonio Razzi, Vittorio Feltri, il Trota, Rosato, Ermini, Boschi, Madia, Serracchiani, Guerini, Matteo Ricci, e compagnia cantante?
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Libia, la coalizione anti-Isis
condanna gli attacchi a Sirte
La condanna dei governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti. Secondo le associazioni i civili morti nell’ultima settimana di scontri a Sirte e dintorni sono già oltre 200
di Redazione Online
http://www.corriere.it/esteri/15_agosto ... ab6d.shtml
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
Quei “lupi solitari” pronti a colpire l’Europa destinata a vivere nella paura
(BERNARDO VALLI)
23/08/2015 di triskel182
L’analisi.
Almeno un migliaio di jihadisti solo a Parigi. E difendersi diventa sempre più difficile.
PARIGI – SCONVOLTI ma soprattutto confusi. Questo è il nostro stato d’animo quando accadono episodi come quello di venerdì pomeriggio, sul Thalys, il treno tra Amsterdam e Parigi. Un giovanotto di ventisei anni, carico d’ armi (AK47, pistola automatica, caricatori, pugnale), a un certo punto del tragitto estrae il suo arsenale da un sacco e si accinge a sparare sulle centinaia di viaggiatori. Il massacro non gli riesce perché viene immobilizzato da alcuni passeggeri insospettiti dal suo comportamento. La presenza casuale di una manciata di uomini coraggiosi, di varie nazionalità, tre americani, un britannico, già giustamente definiti eroi nelle loro rispettive capitali, supplisce l’inefficienza dei servizi di sicurezza mobilitati da anni. È senz’altro sciocco accusare di un fallimento l’intelligence. È confusa come noi, di fronte ai fenomeni di terrorismo individuale difficili o impossibili da prevenire. In Francia ci sarebbero circa mille salafisti, su sei milioni di musulmani, con tendenza jihadiste (in termini più brutali fedeli al Corano ma tentati dal mitra) e nella Parigi socialista si parla di creare un campo dove metterli per tenerli d’occhio.
Una Guantanamo francese? Una nazione laica indaga sull’identità religiosa? Avviene già, ma non lo si riconosce. La sicurezza minaccia i principi. Rischia di diventare un’inquisizione. La disordinata offensiva jihadista in Occidente ha come obiettivo una società, ne decapita gli esponenti quando capitano a tiro, ma in realtà mette a dura prova la democrazia che non conosce e di cui detesta i principi.
Come difendersi dai terroristi solitari? Come prevenire gli attentati di Charlie Hebdo o della Porte de Vincennes? O dell’operaio che taglia la testa al padrone, l’ appende a un cancello, e tenta di far esplodere una fabbrica nei pressi di Lione? I terroristi solitari spuntano all’improvviso, sfuggendo alla sorveglianza dell’intelligence, che a fatti avvenuti, riconosce di avere i loro nomi negli archivi e di essere a conoscenza dei loro spostamenti in Medio Oriente. Il giovane marocchino del tremo Amsterdam-Parigi è stato in Siria. Come uno degli assassini di gennaio, a Parigi, era stato nello Yemen. E chi li ha armati di kalashnikov?
Ad ogni attentato si aumentano gli uomini dell’intelligence e si moltiplicano i controlli. Dopo il mancato massacro del Thalys si pensa di estendere alle stazioni ferroviarie le visite dei bagagli, come negli areoporti. Ma i terroristi individuali, spesso spontanei, benché ispirati dal Califfato, possono trovare tanti altri campi d’ azione. E possono emergere in qualsiasi momento, poiché spesso hanno una cittadinanza europea. E non sono impigliati in organizzazioni. In realtà il pericolo non va affrontato come capita in una guerra, anche asimmetrica. Il jihadismo, come si esprime da quando esiste il Califfato, ci sconvolge e confonde.
È evidente che non conoscendo, non capendo, il fenomeno riesce difficile combatterlo o predirne il futuro. Abu Musab al-Zarqawi l’ispiratore del jihadismo che adesso imperversa in Iraq e in Siria, che ha gettato le basi in Libia, che ispira i rapitori di donne in Nigeria, e che ha buone radici nello Yemen, e in tante altre contrade del Medio Oriente, e che puntualmente esplode in Europa, quando era in vita veniva descritto come uno spaccone e un delinquente. Un bevitore e un ignorante. Ma il suo prestigio era grande dopo il lungo soggiorno in Afghanistan e nelle prigioni giordane. Era un combattente audace e spietato. Qualità che gli valsero la stima dei partigiani di Saddam Hussein dispersi e datisi alla macchia dopo l’invasione americana del 2003. Zarqawi diventò uno dei capi della guerriglia contro gli sciiti e gli americani e si rese subito famoso per le pubbliche esecuzioni degli ostaggi occidentali. Ucciso da un bombardamento americano nel 2006 Zarqawi è diventato un mito. Ed anche un esempio. Lo resta ancora oggi per il Califfato di cui è stato il precursore. Anche per quel riguarda la ferocia. Il marocchino del treno Amsterdam- Parigi ne venera senz’altro il nome. Ahmed el-Tayeb, il grande imam di Al Azhar, una delle più rispettate autorità intellettuali e spirituali dell’ Islam sunnita, ha definito Zarqawi e i suoi discendenti “ un gruppo satanico, ai seguaci del quale dovrebbero essere amputati gli arti o essere crocifissi”. Neppure Al Qaeda sopportava la pubblicità data dal Califfato alle esecuzioni e alle stragi. Né riusciva comprensibile la sua teologia. Anche perché non era decifrabile l’ alleanza creatasi tra gli ex rappresentanti del Baas, il partito laico di Saddam Hussein, gli ufficiali dell’esercito iracheno sconfitto dagli americani, e il movimento sufi tradizionalmente rifiutato dai salafiti. Non erano insomma credibili i principi religiosi sbandierati dal Califfato, apparivano improvvisati, spudorati, non difendibili dagli studiosi dell’Islam.
Articolo intero su la Repubblica del 23/08/2015.
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Re: Non abbiamo abbastanza paura: Noi e l'islam
EFFETTI COLLATERALI
Sempre presenti. Ma in questo caso mancava l'intelligence. I servizi segreti sul terreno che guidavano l'operazione.
Morire per caso non piace a nessuno. Soprattutto se non sei cattolico, mussulmano, o ebreo.
Ma anche a loro, o ai congiunti più stretti, legati da affetto, la dipartita anticipata da questo stramaledetto pianeta che assomiglia sempre di più all'inferno cattolico.
Soprattutto quando si tratta di un errore.
^^^^^^^
NEL WAHAT
Egitto, i soldati fanno blitz anti-Isis:
uccisi per errore dodici turisti
L'operazione antiterrorismo in una zona proibita. Il Messico chiede chiarimenti
di Redazione Online
Le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso per errore dodici persone, tra cui alcuni turisti messicani e loro guide, durante una operazione antiterrorismo. Lo riferisce la Bbc, citando il ministero dell’Interno egiziano. I turisti, tra cui ci sarebbero anche dei cileni, stavano viaggiando su quattro autobus entrati nella «zona proibita» del Wahat, nel deserto occidentale.
La condanna del presidente messicano
Il ministero degli esteri messicano ha confermato l’attacco, condannato dal presidente Enrique Peña Nieto che chiede su Twitter un’esaustiva indagine del governo egiziano. Il capo dello Stato ha inoltre riferito di aver aumentato il personale diplomatico al Cairo per assistere i feriti e i familiari delle vittime.
Enrique Peña Nieto
✔
@EPN
México condena estos hechos en contra de nuestros ciudadanos y ha exigido al gobierno de Egipto una exhaustiva investigación de lo ocurrido.
3:58 AM - 14 Sep 2015
1,657 1,657 Retweets
991
Le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso per errore dodici persone, tra cui alcuni turisti messicani e loro guide, durante una operazione antiterrorismo. Lo riferisce la Bbc, citando il ministero dell’Interno egiziano. I turisti, tra cui ci sarebbero anche dei cileni, stavano viaggiando su quattro autobus entrati nella «zona proibita» del Wahat, nel deserto occidentale.
La condanna del presidente messicano
Il ministero degli esteri messicano ha confermato l’attacco, condannato dal presidente Enrique Peña Nieto che chiede su Twitter un’esaustiva indagine del governo egiziano. Il capo dello Stato ha inoltre riferito di aver aumentato il personale diplomatico al Cairo per assistere i feriti e i familiari delle vittime.
«Non dovevano essere lì»
L’agenzia turistica che aveva organizzato il tour - ha riferito poi una portavoce del ministero egiziano del turismo all’ Associated press, «non aveva permessi e non aveva informato le autorità», mentre per ogni escursione alla zona di Farafra è richiesta una specifica autorizzazione. «Non dovevano essere lì» - ha aggiunto la fonte - senza fornire ulteriori dettagli sulle circostanze dell’attacco.
Il ministro degli Esteri messicano, Claudia Ruiz Massieu, ha avuto contatti con l’ambasciatore egiziano in Messico e ha chiesto per suo tramite una approfondita inchiesta sull’accaduto. Ha anche chiesto - si precisa in una nota - il sostegno delle autorità egiziane per il rimpatrio dei messicani coinvolti. Jorge Alvarez Fuentes, ambasciatore messicano in Egitto, e rappresentanti consolari si sono recati all’ospedale Dar el-Fouad, alla periferia del Cairo.
L'attacco durante la cena dei turisti
Secondo la testata El Mundo, che cita una fonte del tour operator, «mentre (i turisti, ndr) stavano cenando, tre aerei da combattimento dell'esercito hanno cominciato a sparare e lanciare missili sui veicoli. Erano completamente carbonizzati. Alcuni hanno cercato di scappare ma i militari li hanno inseguiti [Esplora il significato del termine: aprendo il fuoco su chiunque fuggisse». Secondo il dipendente della società organizzatrice, che ha richiesto l’anonimato, la maggioranza dei turisti proveniva dal Cile. Il gruppo «stava viaggiando seguendo un consueto itinerario che va dal Cairo all’oasi di Bahariya (a 350 km a sudest della capitale egiziana). Dovevano passare la notte in un hotel di Bahariya, ma si sono fermati 100 km prima dell’oasi». Durante la sosta, spiega ancora la fonte al sito del quotidiano spagnolo, i turisti sono scesi dai 4 suv per la cena. La società nega che si trattasse di una zona proibita ai civili e che si trovassero in un’area di attività terroristiche. «È l’area dove spesso facciamo brevi soste prima di andare a Bahariya. Non è vietata come è stato detto», ha aggiunto la fonte, secondo la quale solo due degli autisti e guide egiziani sono sopravvissuti all’attacco, uno dei quali è in condizioni critiche. 14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 09:37) © RIPRODUZIONE RISERVATA] aprendo il fuoco su chiunque fuggisse». Secondo il dipendente della società organizzatrice, che ha richiesto l'anonimato, la maggioranza dei turisti proveniva dal Cile. Il gruppo «stava viaggiando seguendo un consueto itinerario che va dal Cairo all'oasi di Bahariya (a 350 km a sudest della capitale egiziana). Dovevano passare la notte in un hotel di Bahariya, ma si sono fermati 100 km prima dell'oasi». Durante la sosta, spiega ancora la fonte al sito del quotidiano spagnolo, i turisti sono scesi dai 4 suv per la cena. La società nega che si trattasse di una zona proibita ai civili e che si trovassero in un'area di attività terroristiche. «È l'area dove spesso facciamo brevi soste prima di andare a Bahariya. Non è vietata come è stato detto», ha aggiunto la fonte, secondo la quale solo due degli autisti e guide egiziani sono sopravvissuti all'attacco, uno dei quali è in condizioni critiche.
14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 09:37)
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http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... 55ef.shtml
Sempre presenti. Ma in questo caso mancava l'intelligence. I servizi segreti sul terreno che guidavano l'operazione.
Morire per caso non piace a nessuno. Soprattutto se non sei cattolico, mussulmano, o ebreo.
Ma anche a loro, o ai congiunti più stretti, legati da affetto, la dipartita anticipata da questo stramaledetto pianeta che assomiglia sempre di più all'inferno cattolico.
Soprattutto quando si tratta di un errore.
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NEL WAHAT
Egitto, i soldati fanno blitz anti-Isis:
uccisi per errore dodici turisti
L'operazione antiterrorismo in una zona proibita. Il Messico chiede chiarimenti
di Redazione Online
Le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso per errore dodici persone, tra cui alcuni turisti messicani e loro guide, durante una operazione antiterrorismo. Lo riferisce la Bbc, citando il ministero dell’Interno egiziano. I turisti, tra cui ci sarebbero anche dei cileni, stavano viaggiando su quattro autobus entrati nella «zona proibita» del Wahat, nel deserto occidentale.
La condanna del presidente messicano
Il ministero degli esteri messicano ha confermato l’attacco, condannato dal presidente Enrique Peña Nieto che chiede su Twitter un’esaustiva indagine del governo egiziano. Il capo dello Stato ha inoltre riferito di aver aumentato il personale diplomatico al Cairo per assistere i feriti e i familiari delle vittime.
Enrique Peña Nieto
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@EPN
México condena estos hechos en contra de nuestros ciudadanos y ha exigido al gobierno de Egipto una exhaustiva investigación de lo ocurrido.
3:58 AM - 14 Sep 2015
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Le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso per errore dodici persone, tra cui alcuni turisti messicani e loro guide, durante una operazione antiterrorismo. Lo riferisce la Bbc, citando il ministero dell’Interno egiziano. I turisti, tra cui ci sarebbero anche dei cileni, stavano viaggiando su quattro autobus entrati nella «zona proibita» del Wahat, nel deserto occidentale.
La condanna del presidente messicano
Il ministero degli esteri messicano ha confermato l’attacco, condannato dal presidente Enrique Peña Nieto che chiede su Twitter un’esaustiva indagine del governo egiziano. Il capo dello Stato ha inoltre riferito di aver aumentato il personale diplomatico al Cairo per assistere i feriti e i familiari delle vittime.
«Non dovevano essere lì»
L’agenzia turistica che aveva organizzato il tour - ha riferito poi una portavoce del ministero egiziano del turismo all’ Associated press, «non aveva permessi e non aveva informato le autorità», mentre per ogni escursione alla zona di Farafra è richiesta una specifica autorizzazione. «Non dovevano essere lì» - ha aggiunto la fonte - senza fornire ulteriori dettagli sulle circostanze dell’attacco.
Il ministro degli Esteri messicano, Claudia Ruiz Massieu, ha avuto contatti con l’ambasciatore egiziano in Messico e ha chiesto per suo tramite una approfondita inchiesta sull’accaduto. Ha anche chiesto - si precisa in una nota - il sostegno delle autorità egiziane per il rimpatrio dei messicani coinvolti. Jorge Alvarez Fuentes, ambasciatore messicano in Egitto, e rappresentanti consolari si sono recati all’ospedale Dar el-Fouad, alla periferia del Cairo.
L'attacco durante la cena dei turisti
Secondo la testata El Mundo, che cita una fonte del tour operator, «mentre (i turisti, ndr) stavano cenando, tre aerei da combattimento dell'esercito hanno cominciato a sparare e lanciare missili sui veicoli. Erano completamente carbonizzati. Alcuni hanno cercato di scappare ma i militari li hanno inseguiti [Esplora il significato del termine: aprendo il fuoco su chiunque fuggisse». Secondo il dipendente della società organizzatrice, che ha richiesto l’anonimato, la maggioranza dei turisti proveniva dal Cile. Il gruppo «stava viaggiando seguendo un consueto itinerario che va dal Cairo all’oasi di Bahariya (a 350 km a sudest della capitale egiziana). Dovevano passare la notte in un hotel di Bahariya, ma si sono fermati 100 km prima dell’oasi». Durante la sosta, spiega ancora la fonte al sito del quotidiano spagnolo, i turisti sono scesi dai 4 suv per la cena. La società nega che si trattasse di una zona proibita ai civili e che si trovassero in un’area di attività terroristiche. «È l’area dove spesso facciamo brevi soste prima di andare a Bahariya. Non è vietata come è stato detto», ha aggiunto la fonte, secondo la quale solo due degli autisti e guide egiziani sono sopravvissuti all’attacco, uno dei quali è in condizioni critiche. 14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 09:37) © RIPRODUZIONE RISERVATA] aprendo il fuoco su chiunque fuggisse». Secondo il dipendente della società organizzatrice, che ha richiesto l'anonimato, la maggioranza dei turisti proveniva dal Cile. Il gruppo «stava viaggiando seguendo un consueto itinerario che va dal Cairo all'oasi di Bahariya (a 350 km a sudest della capitale egiziana). Dovevano passare la notte in un hotel di Bahariya, ma si sono fermati 100 km prima dell'oasi». Durante la sosta, spiega ancora la fonte al sito del quotidiano spagnolo, i turisti sono scesi dai 4 suv per la cena. La società nega che si trattasse di una zona proibita ai civili e che si trovassero in un'area di attività terroristiche. «È l'area dove spesso facciamo brevi soste prima di andare a Bahariya. Non è vietata come è stato detto», ha aggiunto la fonte, secondo la quale solo due degli autisti e guide egiziani sono sopravvissuti all'attacco, uno dei quali è in condizioni critiche.
14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 09:37)
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http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... 55ef.shtml
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