Non è cosa vostra
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Re: Non è cosa vostra
Un Paese allo sbando - 3
l’Unità 7.6.13
Carlo Smuraglia: non stravolgere la Costituzione
Il presidente dell’Anpi: «Il semi-presidenzialismo nega lo spirito della Carta»
di Bruno Gravagnuolo
Concentriamoci sugli aspetti non più sostenibili come il bicameralismo perfetto e il numero dei parlamentari
ROMA «Il semipresidenzialismo fa saltare tutta la nostra Costiuzione. Implica la riscrittura ex novo della Carta e un ritorno all’anno zero..». Allarme preciso quello di Carlo Smuraglia, giurista, ex membro del Csm, senatore Pds e Ds, ex partigiano e oggi presidente dell’Anpi. Con Rodotà e Zagrebelsky ha animatodomenica a Bologna una grande iniziativa sul tema. E ora rilancia in una pospettiva più ampia il filo della sua denuncia. Professore, la convince l’iter di revisione costituzionale con comitato di esperti e commissione dei 42?
«Sono contrario a questa procedura. Perché la Costituzione parla chiaro con l’articolo 138. Esso riguarda singole leggi da cambiare e non un intero processo costituente come quello che si vuole avviare. E per le singole leggi ci sono le apposite commissioni. Il rischio è quello di mettere in mora l’intera Carta, con una deroga all’articolo 138, che prevede ampie maggioranze, referendum e doppia lettura: vera e propria clausola di salvaguardia concepita dai Costituenti. Che va rafforzata prevedendo il referendum anche in caso di maggioranze non dei due terzi».
Si dice: si tratta di mutare solo la seconda parte della Carta, non i principi fondamentali. Il semipresidenzialismo mette a rischio anche i princìpi base?
«Certo, si aprirebbe un cantiere che finirebbe per investire anche la prima parte della Carta, perché tutto si tiene in essa. E una repubblica non più parlamentare mette in questione la lettera e lo spirito di questa Costituzione. Generando così forti incoerenze tra prima e seconda parte di essa. Altro è la giusta manutenzione di aspetti non più sostenibili. Penso al bicameralismo perfetto, da sostituire con la specializzazione dei compiti o con la creazione di un Senato federale. E alla riduzione del numero dei parlamentari».
C’è stata un’ «accelerazione» sul tema semipresidenziale e la destra festeggia... «Accelerazione che non comprendo. Le priorità sono altre a cominciare dalla legge elettorale e dalla grave crisi economica. Il semipresidenzialismo non è il diavolo, ma torno a dire: andrebbe riscritto tutto l’ordinamento costituzionale. Oggi il Presidente in quanto figura di garanzia presiede il Csm ed è l’apice delle forze armate. Con il nuovo sistema dovremmo lasciare queste funzioni a un Presidente di parte eletto solo da una parte? In realtà siamo dinanzi a una sindrome: i torti della politica vengono scaricati sulle istituzioni, con il miraggio di esecutivi forti. Ma è la politica che va riformata. Ciò che è accaduto alle elezioni è dipeso dalla frammentazione e dalla crisi di identità dei partiti, non dalle istituzioni».
Cosa teme con l’elezione diretta di un Presidente che presiede il Consiglio dei Ministri?
«I poteri di un uomo solo al comando. E la diffusione di uno stile di governo che ha già dato cattiva prova con i cosiddetti governatori regionali, talora fonte di sprechi e arbitrii e soprattutto causa di svilimento del ruolo dei Consigli regionali. Inoltre c’è il punto del conflitto di interessi. Non possiamo rischiare di consegnare il Quirinale a qualcuno in posizione dominante nei media o in altri rami dell’economia. E non possiamo rinunciare, nella gravissima crisi che schiaccia il paese, al ruolo di salvaguardia e di controllo del Parlamento».
I partiti possono ancora esercitare un ruolo creativo e di argine?
«Sì, purché si autoriformino. Essi concorrono al bene pubblico ed è giusto finanziarli, in misura adeguata e senza eccessi. È dirimente che abbiano statuti democratici e siano sottoposti a controlli stringenti su regole e bilanci». Torniamo al Presidente eletto. Alle varie obiezioni non si può aggiungere quella di essere un sistema scisso tra due possibili diverse maggioranze, oppure di risultare troppo coeso e con maggioranze totalizzanti?
«Sono problemi innegabili e che andrebbero visti caso per caso e nei singoli contesti storici. In Francia il sistema ha prevalso per la dirompente crisi algerina, che ha spinto la Francia sull’orlo della guerra civile, e per il ruolo carismatico di De Gaulle. Ma non possiamo dire che abbia sempre funzionato e al punto tale da doverlo imitare e trapiantare in Italia. Al contrario, proprio l’indebolimento dei poteri di controllo e delle garanzie potrebbe renderci inermi dinanzi alla criminalità organizzata e alle lobby. Né si può dire che una spinta presidenziale potrebbe migliorare la burocrazia. La macchina pubblica va riformata con semplificazioni e controlli di efficienza. Non con impulsi carismatici dall’alto. Ma a questo punto però faccio io una domanda: che fine ha fatto la legge elettorale? Era stato detto che era quella la priorità. Poi si è fatto il contrario e la si è messa in coda all’agenda».
Lei come spiega questo capovolgimento?
«Forse pensano di allungare la vita al governo e cosi di rafforzarlo. Invece potrebbe essere il contrario. Un’intera riforma Costituzionale, oltre che non corretta per ciò che abbiamo detto rischia di essere una mina in quest’emergenza sociale».
E al Pd, che ha reincluso il semipresidenzialismo nella sua discussione, cosa consiglia?
«Non voglio intromettermi nella vita del Pd. Però la questione è molto seria e la responsabilità dei pericoli che corriamo è un po’ di tutti. Al Pd direi: pensate bene a quel che fate e a quali sono le vere priorità del paese. E soprattutto, cercate di coinvolgere il maggior numero di persone in questa discussione».
l’Unità 7.6.13
Non c’è bisogno del presidenzialismo
di Danilo Barbi
Segretario confederale Cgil
LA CGIL CON IL DOCUMENTO «SEMPLIFICARE PER RAFFORZARE. PROPOSTA PER UNA MODIFICA ORGANICA DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE», approvato dal direttivo, avanza una proposta di riqualificazione delle funzioni pubbliche che rafforzi il ruolo delle istituzioni democratiche nel Paese, portando così a sintesi un lavoro da tempo avviato dall'organizzazione sui temi istituzionali.
La crisi di legittimità che negli ultimi anni ha colpito i partiti e la «politica» in generale si è, infatti, traslata su tutte le istituzioni di cui si percepisce con fatica il senso e l'utilità. In questo quadro ha preso corpo un disegno che mira a smantellare le istituzioni democratiche, svilendo i luoghi della rappresentanza, cancellando i corpi intermedi, ridimensionando le istituzioni locali, riducendo i servizi pubblici a favore di quelli privati.
La Cgil è convinta che per restituire legittimità alle istituzioni sia necessario un disegno opposto che porti alla loro riqualificazione e per questo avanza una proposta di semplificazione che mira al rafforzamento delle istituzioni pubbliche e della loro azione, al potenziamento degli spazi della rappresentanza e della partecipazione.
Per l'analisi svolta dalla Cgil, appare, innanzitutto, improrogabile il completamento del processo di integrazione europea: solo un'Unione politica e sociale più forte, democraticamente legittimata, può dare risposte alle sfide che il XXI secolo pone. La risposta a questa grave crisi politico-istituzionale, a livello comunitario come a livello nazionale è, infatti, da trovare nel rafforzamento delle istituzioni pubbliche, nella maggiore partecipazione dei cittadini e nel potenziamento della rappresentanza democratica.
In questi anni, e ancor più in questi giorni, si discute di riforma della Costituzione, ma non è pensabile rompere l'equilibrio di poteri tra governo e Parlamento, con grandi opere di ingegneria costituzionale, in nome di una maggiore governabilità. La governabilità può essere garantita solo da attori politici consapevoli della loro missione e da un'effettiva rappresentanza politica esercitata nel Parlamento cui va restituita centralità e non da uno stravolgimento dell’ordinamento repubblicano come avverrebbe con l'introduzione del (semi)presidenzialismo.
Il rilancio delle istituzioni può realizzarsi attraverso interventi mirati che portino alla nascita della Camera della Regioni e delle Autonomie locali; alla realizzazione di un disegno organico che possa realizzare quel sistema integrato di livelli istituzionali capace di governare e indirizzare i processi sociali ed economici mettendo al centro la cittadinanza e il territorio; alla promozione della rappresentanza democratica e della partecipazione dei cittadini attraverso una regolamentazione dei partiti politici e una nuova disciplina dell'istituto referendario; e al superamento del finanziamento pubblico diretto sostituibile con la fornitura di servizi gratuiti per l'attività politica, accompagnata da una disciplina adeguata del conflitto di interesse.
In questo quadro, infine, va rovesciato l'approccio fin qui adottato per la riorganizzazione della Pubblica amministrazione: basta tagli lineari che minano la funzione stessa delle istituzioni pubbliche, riducendo drasticamente i servizi alla persona. È necessario potenziare e qualificare l'azione delle amministrazioni pubbliche, partendo dai bisogni dei cittadini e delle imprese, e non da meri calcoli statistici, e stabilire nuove regole per il lavoro pubblico, aprendo una nuova stagione contrattuale che elimini il precariato nella pubblica amministrazione e riapra in modo mirato il problema occupazionale.
l’Unità 7.6.13
Carlo Smuraglia: non stravolgere la Costituzione
Il presidente dell’Anpi: «Il semi-presidenzialismo nega lo spirito della Carta»
di Bruno Gravagnuolo
Concentriamoci sugli aspetti non più sostenibili come il bicameralismo perfetto e il numero dei parlamentari
ROMA «Il semipresidenzialismo fa saltare tutta la nostra Costiuzione. Implica la riscrittura ex novo della Carta e un ritorno all’anno zero..». Allarme preciso quello di Carlo Smuraglia, giurista, ex membro del Csm, senatore Pds e Ds, ex partigiano e oggi presidente dell’Anpi. Con Rodotà e Zagrebelsky ha animatodomenica a Bologna una grande iniziativa sul tema. E ora rilancia in una pospettiva più ampia il filo della sua denuncia. Professore, la convince l’iter di revisione costituzionale con comitato di esperti e commissione dei 42?
«Sono contrario a questa procedura. Perché la Costituzione parla chiaro con l’articolo 138. Esso riguarda singole leggi da cambiare e non un intero processo costituente come quello che si vuole avviare. E per le singole leggi ci sono le apposite commissioni. Il rischio è quello di mettere in mora l’intera Carta, con una deroga all’articolo 138, che prevede ampie maggioranze, referendum e doppia lettura: vera e propria clausola di salvaguardia concepita dai Costituenti. Che va rafforzata prevedendo il referendum anche in caso di maggioranze non dei due terzi».
Si dice: si tratta di mutare solo la seconda parte della Carta, non i principi fondamentali. Il semipresidenzialismo mette a rischio anche i princìpi base?
«Certo, si aprirebbe un cantiere che finirebbe per investire anche la prima parte della Carta, perché tutto si tiene in essa. E una repubblica non più parlamentare mette in questione la lettera e lo spirito di questa Costituzione. Generando così forti incoerenze tra prima e seconda parte di essa. Altro è la giusta manutenzione di aspetti non più sostenibili. Penso al bicameralismo perfetto, da sostituire con la specializzazione dei compiti o con la creazione di un Senato federale. E alla riduzione del numero dei parlamentari».
C’è stata un’ «accelerazione» sul tema semipresidenziale e la destra festeggia... «Accelerazione che non comprendo. Le priorità sono altre a cominciare dalla legge elettorale e dalla grave crisi economica. Il semipresidenzialismo non è il diavolo, ma torno a dire: andrebbe riscritto tutto l’ordinamento costituzionale. Oggi il Presidente in quanto figura di garanzia presiede il Csm ed è l’apice delle forze armate. Con il nuovo sistema dovremmo lasciare queste funzioni a un Presidente di parte eletto solo da una parte? In realtà siamo dinanzi a una sindrome: i torti della politica vengono scaricati sulle istituzioni, con il miraggio di esecutivi forti. Ma è la politica che va riformata. Ciò che è accaduto alle elezioni è dipeso dalla frammentazione e dalla crisi di identità dei partiti, non dalle istituzioni».
Cosa teme con l’elezione diretta di un Presidente che presiede il Consiglio dei Ministri?
«I poteri di un uomo solo al comando. E la diffusione di uno stile di governo che ha già dato cattiva prova con i cosiddetti governatori regionali, talora fonte di sprechi e arbitrii e soprattutto causa di svilimento del ruolo dei Consigli regionali. Inoltre c’è il punto del conflitto di interessi. Non possiamo rischiare di consegnare il Quirinale a qualcuno in posizione dominante nei media o in altri rami dell’economia. E non possiamo rinunciare, nella gravissima crisi che schiaccia il paese, al ruolo di salvaguardia e di controllo del Parlamento».
I partiti possono ancora esercitare un ruolo creativo e di argine?
«Sì, purché si autoriformino. Essi concorrono al bene pubblico ed è giusto finanziarli, in misura adeguata e senza eccessi. È dirimente che abbiano statuti democratici e siano sottoposti a controlli stringenti su regole e bilanci». Torniamo al Presidente eletto. Alle varie obiezioni non si può aggiungere quella di essere un sistema scisso tra due possibili diverse maggioranze, oppure di risultare troppo coeso e con maggioranze totalizzanti?
«Sono problemi innegabili e che andrebbero visti caso per caso e nei singoli contesti storici. In Francia il sistema ha prevalso per la dirompente crisi algerina, che ha spinto la Francia sull’orlo della guerra civile, e per il ruolo carismatico di De Gaulle. Ma non possiamo dire che abbia sempre funzionato e al punto tale da doverlo imitare e trapiantare in Italia. Al contrario, proprio l’indebolimento dei poteri di controllo e delle garanzie potrebbe renderci inermi dinanzi alla criminalità organizzata e alle lobby. Né si può dire che una spinta presidenziale potrebbe migliorare la burocrazia. La macchina pubblica va riformata con semplificazioni e controlli di efficienza. Non con impulsi carismatici dall’alto. Ma a questo punto però faccio io una domanda: che fine ha fatto la legge elettorale? Era stato detto che era quella la priorità. Poi si è fatto il contrario e la si è messa in coda all’agenda».
Lei come spiega questo capovolgimento?
«Forse pensano di allungare la vita al governo e cosi di rafforzarlo. Invece potrebbe essere il contrario. Un’intera riforma Costituzionale, oltre che non corretta per ciò che abbiamo detto rischia di essere una mina in quest’emergenza sociale».
E al Pd, che ha reincluso il semipresidenzialismo nella sua discussione, cosa consiglia?
«Non voglio intromettermi nella vita del Pd. Però la questione è molto seria e la responsabilità dei pericoli che corriamo è un po’ di tutti. Al Pd direi: pensate bene a quel che fate e a quali sono le vere priorità del paese. E soprattutto, cercate di coinvolgere il maggior numero di persone in questa discussione».
l’Unità 7.6.13
Non c’è bisogno del presidenzialismo
di Danilo Barbi
Segretario confederale Cgil
LA CGIL CON IL DOCUMENTO «SEMPLIFICARE PER RAFFORZARE. PROPOSTA PER UNA MODIFICA ORGANICA DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE», approvato dal direttivo, avanza una proposta di riqualificazione delle funzioni pubbliche che rafforzi il ruolo delle istituzioni democratiche nel Paese, portando così a sintesi un lavoro da tempo avviato dall'organizzazione sui temi istituzionali.
La crisi di legittimità che negli ultimi anni ha colpito i partiti e la «politica» in generale si è, infatti, traslata su tutte le istituzioni di cui si percepisce con fatica il senso e l'utilità. In questo quadro ha preso corpo un disegno che mira a smantellare le istituzioni democratiche, svilendo i luoghi della rappresentanza, cancellando i corpi intermedi, ridimensionando le istituzioni locali, riducendo i servizi pubblici a favore di quelli privati.
La Cgil è convinta che per restituire legittimità alle istituzioni sia necessario un disegno opposto che porti alla loro riqualificazione e per questo avanza una proposta di semplificazione che mira al rafforzamento delle istituzioni pubbliche e della loro azione, al potenziamento degli spazi della rappresentanza e della partecipazione.
Per l'analisi svolta dalla Cgil, appare, innanzitutto, improrogabile il completamento del processo di integrazione europea: solo un'Unione politica e sociale più forte, democraticamente legittimata, può dare risposte alle sfide che il XXI secolo pone. La risposta a questa grave crisi politico-istituzionale, a livello comunitario come a livello nazionale è, infatti, da trovare nel rafforzamento delle istituzioni pubbliche, nella maggiore partecipazione dei cittadini e nel potenziamento della rappresentanza democratica.
In questi anni, e ancor più in questi giorni, si discute di riforma della Costituzione, ma non è pensabile rompere l'equilibrio di poteri tra governo e Parlamento, con grandi opere di ingegneria costituzionale, in nome di una maggiore governabilità. La governabilità può essere garantita solo da attori politici consapevoli della loro missione e da un'effettiva rappresentanza politica esercitata nel Parlamento cui va restituita centralità e non da uno stravolgimento dell’ordinamento repubblicano come avverrebbe con l'introduzione del (semi)presidenzialismo.
Il rilancio delle istituzioni può realizzarsi attraverso interventi mirati che portino alla nascita della Camera della Regioni e delle Autonomie locali; alla realizzazione di un disegno organico che possa realizzare quel sistema integrato di livelli istituzionali capace di governare e indirizzare i processi sociali ed economici mettendo al centro la cittadinanza e il territorio; alla promozione della rappresentanza democratica e della partecipazione dei cittadini attraverso una regolamentazione dei partiti politici e una nuova disciplina dell'istituto referendario; e al superamento del finanziamento pubblico diretto sostituibile con la fornitura di servizi gratuiti per l'attività politica, accompagnata da una disciplina adeguata del conflitto di interesse.
In questo quadro, infine, va rovesciato l'approccio fin qui adottato per la riorganizzazione della Pubblica amministrazione: basta tagli lineari che minano la funzione stessa delle istituzioni pubbliche, riducendo drasticamente i servizi alla persona. È necessario potenziare e qualificare l'azione delle amministrazioni pubbliche, partendo dai bisogni dei cittadini e delle imprese, e non da meri calcoli statistici, e stabilire nuove regole per il lavoro pubblico, aprendo una nuova stagione contrattuale che elimini il precariato nella pubblica amministrazione e riapra in modo mirato il problema occupazionale.
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Re: Non è cosa vostra
il Fatto 7.6.13
Spinelli: “Siamo già in una Repubblica presidenziale”
IL CAPO DELLO STATO ha messo una data di scadenza al governo, una cosa mai vista. Grillo ha obiettato: “A che titolo dice queste cose?”. Lei che ne pensa? “Grillo ha perfettamente ragione: dove sta scritto che il presidente determina in anticipo, ignorando le Camere, la durata dei governi? Perfino a Parigi, dove tale prerogativa esiste – ed è grave che esista – l’Eliseo si guarda da dichiarazioni simili . In Francia il presidente è contemporaneamente presidente del Consiglio dei ministri. La stessa cosa ormai avviene in Italia: il presidenzialismo nei fatti c’è già. Questo governo è un Monti bis, con i politici dentro. E alla presidenza c’è Napolitano. Intendo presidenza del Consiglio, non della Repubblica”. Questo il passaggio (domanda della giornalista Silvia Truzzi, risposta di Barbara Spinelli) su cui il Quirinale ieri ha emesso vibrante protesta per mezzo di nota ufficiale. Ma non per quanto dichiarato da Spinelli (l’intervistata) ma per la domanda della giornalista. Diceva ancora Spinelli: “Esiste dunque un potere che ha speciali prerogative e immunità, senza essere controllabile. La democrazia è governo e controllo. Perché Grillo dà fastidio? Perché è sul controllo che insiste”.
il Fatto 7.6.13
Camilleri al Fatto: ”La Costituzione? mandata in vacca”
“LA COSTITUZIONE? Mandata in vacca”. “Dal Colle invasione di campo non da Repubblica parlamentare”. Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri, intervistato sempre da Silvia Truzzi il 2 giugno scorso, ha anticipato i temi e gli argomenti poi affrontati anche nell’intervista concessa da Barbara Spinelli che ieri il Quirinale ha dimostrato di non aver gradito. Camilleri ha spiegato che, a suo avviso, la “rielezione di Napolitano non era cosa”. E ha aggiunto: “Da quel momento tutto il fatto costituzionale è andato a vacca. C’è stato un allentamento delle briglie costituzionali, tanto valeva – a lume di logica e di naso e di buon senso – fare un governo del Presidente. È stato più grave l’intervento sui partiti del capo dello Stato. Una sorta d’invasione di campo, un fatto non da Repubblica parlamentare”. Per Camilleri il rispetto della Costituzione è sacro. “Non devo essere io a dirlo - continua - dovrebbe essere il presidente Napolitano. Il secondo mandato non è proibito, ma non è un caso che non sia mai successo. Di solito, poi, uno non arriva a fare il capo dello Stato a 40 anni: due mandati fanno 14 anni e te ne vai a 54. Qui te ne vai a 95”.
Spinelli: “Siamo già in una Repubblica presidenziale”
IL CAPO DELLO STATO ha messo una data di scadenza al governo, una cosa mai vista. Grillo ha obiettato: “A che titolo dice queste cose?”. Lei che ne pensa? “Grillo ha perfettamente ragione: dove sta scritto che il presidente determina in anticipo, ignorando le Camere, la durata dei governi? Perfino a Parigi, dove tale prerogativa esiste – ed è grave che esista – l’Eliseo si guarda da dichiarazioni simili . In Francia il presidente è contemporaneamente presidente del Consiglio dei ministri. La stessa cosa ormai avviene in Italia: il presidenzialismo nei fatti c’è già. Questo governo è un Monti bis, con i politici dentro. E alla presidenza c’è Napolitano. Intendo presidenza del Consiglio, non della Repubblica”. Questo il passaggio (domanda della giornalista Silvia Truzzi, risposta di Barbara Spinelli) su cui il Quirinale ieri ha emesso vibrante protesta per mezzo di nota ufficiale. Ma non per quanto dichiarato da Spinelli (l’intervistata) ma per la domanda della giornalista. Diceva ancora Spinelli: “Esiste dunque un potere che ha speciali prerogative e immunità, senza essere controllabile. La democrazia è governo e controllo. Perché Grillo dà fastidio? Perché è sul controllo che insiste”.
il Fatto 7.6.13
Camilleri al Fatto: ”La Costituzione? mandata in vacca”
“LA COSTITUZIONE? Mandata in vacca”. “Dal Colle invasione di campo non da Repubblica parlamentare”. Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri, intervistato sempre da Silvia Truzzi il 2 giugno scorso, ha anticipato i temi e gli argomenti poi affrontati anche nell’intervista concessa da Barbara Spinelli che ieri il Quirinale ha dimostrato di non aver gradito. Camilleri ha spiegato che, a suo avviso, la “rielezione di Napolitano non era cosa”. E ha aggiunto: “Da quel momento tutto il fatto costituzionale è andato a vacca. C’è stato un allentamento delle briglie costituzionali, tanto valeva – a lume di logica e di naso e di buon senso – fare un governo del Presidente. È stato più grave l’intervento sui partiti del capo dello Stato. Una sorta d’invasione di campo, un fatto non da Repubblica parlamentare”. Per Camilleri il rispetto della Costituzione è sacro. “Non devo essere io a dirlo - continua - dovrebbe essere il presidente Napolitano. Il secondo mandato non è proibito, ma non è un caso che non sia mai successo. Di solito, poi, uno non arriva a fare il capo dello Stato a 40 anni: due mandati fanno 14 anni e te ne vai a 54. Qui te ne vai a 95”.
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Re: Non è cosa vostra
Né con Grillo, né con il Parlamento. Con la Costituzione
di Pierfranco Pellizzetti
| 8 giugno 2013Commenti (92)
Giovedì scorso – con benedizione urbi et orbi di sua maestà Giorgio Napolitano – sono stati insediate le trentacinque facce da regime, denominate “sagge”, con il mandato di manomettere la nostra carta costituzionale.
O meglio, più che “sagge”, saggiamente posizionate nel tuorlo bipartisan del regime. Quel regime che i notisti sintonici di Corriere della sera e Repubblica continuano a presentarci come “bipolare”, quando è intimamente e collusivamente consociativo; secondo derive sottotraccia ventennali che i successivi smascheramenti hanno costretto a venire alla luce soltanto con gli ultimi due governi, retti da maggioranze ufficialmente trasversali (Monti e Letta jr.). Spiace che nella combriccola dei trentacinque sfasciacostituzioni trovi posto pure l’amica Nadia Urbinati. Anche se questa presenza potrebbe rivelarsi una nemesi inintenzionale, un’imprevista bomba a orologeria, visto che la docente di Columbia University (e opinionista alla corte di Scalfari) era già stata chiamata a consulenza da Pierluigi Bersani, con i ben noti risultati…
Sia come sia, il progetto a lungo coltivato di asfaltare la legalità democratica in Italia sta entrando in un’accelerata fase realizzativa. Per cui ci si chiede al proposito: davanti alla minaccia alle porte, che fa l’unica forza consistente di opposizione ancora in campo, il M5S? Presto detto si nasconde nel sospensorio del proprio conducador, impegnato nelle sue sempre più autoreferenziali invettive di bottega e cortile; che quando per un attimo rinserra le fauci ululanti contro qualche opportunista venuto da Taranto (ma qualcuno li aveva selezionati e messi in lista garantendocene l’assoluta affidabilità) si scaglia contro l’istituzione parlamentare, rea di essere “una tomba maleodorante”. Bella scoperta.
Che da tempo il nostro Parlamento si fosse trasformato in “timbrificio” lo dicevamo un po’ tutti (anche in questo blog); e da lunga pezza. D’altro canto cosa aspettarsi da una rappresentanza composta non più di eletti, bensì di “designati” da parte dei manovratori di vertice. Fermo restando che analoga è la composizione della pattuglia di cittadini senatori e deputati con bollino M5S…
Comunque è proprio per questo che in molti avevamo votato grillino, per la promessa di aprire le stanze blindate del potere (si disse, “come una scatoletta di tonno”). E ora cosa ci viene comunicato? Che il Parlamento è quella cosa lì e che il Capo si imbufalisce proprio perché è quella cosa lì. Insomma, pura impotenza ruggente. Difatti, se il voto M5S è per metà di appartenenza e per metà d’opinione, quest’ultimo sta migrando altrove; insieme con una parte in crescita dei parlamentari di una rivoluzione abortita sul nascere. Certo, le capacità anestetiche e manipolatorie dei corridoi “dei passi perduti” romani sono terribilmente efficaci. Però tutto è avvenuto nello spazio di solo qualche mese. Segno che quanti presumevano di circondare la partitocrazia non avevano la ben che minima idea del come farlo. Millantavano. Sicché – a questo punto, mentre dilagano polemiche del tutto pretestuose – viene da dire “né con Grillo, né con questo Parlamento”. Piuttosto sarebbe doveroso affermare che si è “dalla parte della Costituzione”; che i partitocratrici, rassicurati dall’inconsistenza dell’opposizione a cinquestelle, si preparano a stracciare.
Se non è giunto ancora il momento di costruire una fantomatica democrazia internetcentrica, forse varrebbe la pena di mobilitarsi per salvare la legalità del quadro costituzionale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... ne/620111/
di Pierfranco Pellizzetti
| 8 giugno 2013Commenti (92)
Giovedì scorso – con benedizione urbi et orbi di sua maestà Giorgio Napolitano – sono stati insediate le trentacinque facce da regime, denominate “sagge”, con il mandato di manomettere la nostra carta costituzionale.
O meglio, più che “sagge”, saggiamente posizionate nel tuorlo bipartisan del regime. Quel regime che i notisti sintonici di Corriere della sera e Repubblica continuano a presentarci come “bipolare”, quando è intimamente e collusivamente consociativo; secondo derive sottotraccia ventennali che i successivi smascheramenti hanno costretto a venire alla luce soltanto con gli ultimi due governi, retti da maggioranze ufficialmente trasversali (Monti e Letta jr.). Spiace che nella combriccola dei trentacinque sfasciacostituzioni trovi posto pure l’amica Nadia Urbinati. Anche se questa presenza potrebbe rivelarsi una nemesi inintenzionale, un’imprevista bomba a orologeria, visto che la docente di Columbia University (e opinionista alla corte di Scalfari) era già stata chiamata a consulenza da Pierluigi Bersani, con i ben noti risultati…
Sia come sia, il progetto a lungo coltivato di asfaltare la legalità democratica in Italia sta entrando in un’accelerata fase realizzativa. Per cui ci si chiede al proposito: davanti alla minaccia alle porte, che fa l’unica forza consistente di opposizione ancora in campo, il M5S? Presto detto si nasconde nel sospensorio del proprio conducador, impegnato nelle sue sempre più autoreferenziali invettive di bottega e cortile; che quando per un attimo rinserra le fauci ululanti contro qualche opportunista venuto da Taranto (ma qualcuno li aveva selezionati e messi in lista garantendocene l’assoluta affidabilità) si scaglia contro l’istituzione parlamentare, rea di essere “una tomba maleodorante”. Bella scoperta.
Che da tempo il nostro Parlamento si fosse trasformato in “timbrificio” lo dicevamo un po’ tutti (anche in questo blog); e da lunga pezza. D’altro canto cosa aspettarsi da una rappresentanza composta non più di eletti, bensì di “designati” da parte dei manovratori di vertice. Fermo restando che analoga è la composizione della pattuglia di cittadini senatori e deputati con bollino M5S…
Comunque è proprio per questo che in molti avevamo votato grillino, per la promessa di aprire le stanze blindate del potere (si disse, “come una scatoletta di tonno”). E ora cosa ci viene comunicato? Che il Parlamento è quella cosa lì e che il Capo si imbufalisce proprio perché è quella cosa lì. Insomma, pura impotenza ruggente. Difatti, se il voto M5S è per metà di appartenenza e per metà d’opinione, quest’ultimo sta migrando altrove; insieme con una parte in crescita dei parlamentari di una rivoluzione abortita sul nascere. Certo, le capacità anestetiche e manipolatorie dei corridoi “dei passi perduti” romani sono terribilmente efficaci. Però tutto è avvenuto nello spazio di solo qualche mese. Segno che quanti presumevano di circondare la partitocrazia non avevano la ben che minima idea del come farlo. Millantavano. Sicché – a questo punto, mentre dilagano polemiche del tutto pretestuose – viene da dire “né con Grillo, né con questo Parlamento”. Piuttosto sarebbe doveroso affermare che si è “dalla parte della Costituzione”; che i partitocratrici, rassicurati dall’inconsistenza dell’opposizione a cinquestelle, si preparano a stracciare.
Se non è giunto ancora il momento di costruire una fantomatica democrazia internetcentrica, forse varrebbe la pena di mobilitarsi per salvare la legalità del quadro costituzionale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... ne/620111/
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Re: Non è cosa vostra
La Costituzione della Repubblica Italiana
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
Obiezioni
Suggerimenti
Re: Non è cosa vostra
Superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, abolizione delle province, nuova legge elettorale, punti ben precisi fattibili anche se impegnativi.
E' stata invece scelta la strada più ambiziosa di una "grande riforma" che coinvolga addirittura la forma di stato e di governo, cioè le fondamenta della carta costituzionale e dell'architettura istituzionale.
Le probabilità che ancora una volta non se ne faccia niente sono molto alte. Anzi, credo sia quasi una certezza.
Ma forse è proprio questo il vero obbiettivo.
Non serve un re all'Italia che cambia
di EUGENIO SCALFARI
Ci sono almeno tre questioni che hanno assunto in questi giorni grande attualità. Quella che più interessa i cittadini e le imprese riguarda il rilancio dei consumi e degli investimenti. Per ottenere in un tempo breve - diciamo entro un anno - questi risultati sono necessari i seguenti interventi: un'iniezione di liquidità di almeno 50 miliardi, un aumento consistente del credito bancario alle imprese, incentivi fiscali alle aziende che assumono lavoratori, diminuzione di almeno 5 punti di cuneo fiscale, potenziamento del contratto di apprendistato, nessun aumento della pressione fiscale. Il tutto nel rispetto degli impegni assunti con l'Europa.
Per ottenere risorse a copertura dei suddetti interventi è necessaria una politica fiscale decisamente progressiva nei confronti delle rendite, dei consumi voluttuari, dei patrimoni esorbitanti, dell'evasione e del riciclaggio organizzato dalla criminalità mafiosa.
Ma ci vuole contemporaneamente un'autorevole politica europea che imprima uno slancio dell'Unione e dell'Eurozona verso la crescita e l'equità.
Il cittadino italiano, come quello di qualunque altro Paese, non ha né il tempo né il modo di seguire questo complesso di obiettivi che costituiscono un ingranaggio intricato e delicato che dev'essere affrontato nei modi e nei tempi appropriati. Pensare che un governo che si sia posto questi obiettivi possa realizzarli in pochi mesi significa non aver capito niente.
La spinta al cambiamento dev'essere intensa e tenace ma gli effetti non possono che prodursi gradualmente realizzando opportune alleanze con altri Stati e altre istituzioni dell'Unione europea, a cominciare dalla Bce.
Berlusconi e il Pdl hanno dichiarato nei giorni scorsi che il governo Letta (del quale sono tra i sostenitori) deve "piegare la Merkel oppure uscire dall'euro". Posta la questione in questi termini, essa significa una cosa sola: il Pdl vuole l'uscita dell'Italia dall'euro. Grillo dice da tempo e ripete sistematicamente la medesima cosa. I populismi, anche se collocati in parti diverse dello schieramento politico, nella sostanza coincidono: cercano di reclutare consensi attraverso la demagogia.
L'Italia fuori dall'euro non avrebbe altra possibilità che trasformare la moneta nazionale, il risparmio, il valore dei patrimoni, i tassi di interesse, i profitti, l'occupazione, e insomma l'intera nostra vita materiale in un pascolo della speculazione mondiale, in una terra di nessuno dove i più forti dettano la legge.
Basterebbero queste considerazioni per togliere ogni credito ai populismi e agli intellettuali che li sostengono. Se ciò non avviene lo si deve al fatto che la storia dell'Italia è stata per secoli una storia di predatori, spesso provenienti da oltre frontiera ma coadiuvati dall'interno, "Franza o Spagna purché se magna": tra gli altri guai ci fu anche quello che non si mangiava affatto o assai poco; mangiavano semmai i furbi che davano una mano o a Franza o a Spagna. Andate a rileggerla la storia del nostro Paese: è fatta da grandi eccellenze e da un popolo che non ha coscienza di esserlo. Quando la ebbe fu un popolo eroico, ma accadde purtroppo assai di rado, ridotto com'era ad una moltitudine di poveracci che lavoravano la terra per dodici ore al giorno per una minestra di fagioli o una fetta di polenta. E nel frattempo credeva a chi gli prometteva la luna.
Vogliamo tornare a questo?
* * *
Ho scritto all'inizio che questi sono i temi che più interessano o dovrebbero interessare i cittadini. Ma ce ne sono altri due, strettamente connessi tra loro, che hanno natura politico-istituzionale. I cittadini di solito li trascurano, presi come sono dalla vita di tutti i giorni e dalle innumerevoli difficoltà che essa comporta. Se ne occupano le minoranze impegnate nella vita politica; questo non toglie tuttavia che quelle questioni non provochino conseguenze anche sulla nostra vita quotidiana sebbene non sia facile rendersene conto.
Sono infatti numerosi i pareri di chi le giudica questioni superflue di fronte alla drammaticità dei sacrifici reali. In realtà la differenza non è nella sostanza ma nella percezione: i sacrifici bruciano sulla pelle, i mutamenti istituzionali cambiano il metabolismo, sono mutamenti silenziosi e non percepibili se non a media distanza; quando infine si manifestano è troppo tardi per intervenire, la nascita e la crescita del nostro enorme debito pubblico che cominciò trent'anni fa ne sono una delle più clamorose conferme.
I due temi di cui ho accennato prima sono: i mutamenti costituzionali e i modi con cui farli da un lato, la legge elettorale dall'altro. Vediamo il primo.
Il governo ha nominato 35 saggi. Hanno un breve arco di giorni per discutere tra loro i vari problemi e redigere un parere consultivo da trasmettere alla Commissione di 40 membri che comprende deputati e senatori delle Commissioni per gli Affari costituzionali delle due Camere i quali, valendosi o non valendosi del parere dei 35 consulenti, proporranno le loro conclusioni al dibattito dell'aula. Il Parlamento formulerà il testo definitivo delle leggi di modifica costituzionale seguendo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione.
Non starò a ripetere il dettato del predetto articolo. Ricordo soltanto che esso prevede modifiche costituzionali che siano molto dettagliate, indicando i singoli articoli da modificare e perfino i commi che debbono essere letteralmente trascritti affinché risulti ben chiaro quali siano le previste modifiche. In prima votazione occorre una maggioranza del 75 per cento degli aventi diritto in due successive letture. Se quella maggioranza non viene raggiunta sarà sufficiente una maggioranza del 50 per cento più uno che deve però essere confermata da referendum popolare. La novità è che un referendum popolare sarà previsto anche qualora le modifiche passino con la maggioranza del 75 per cento.
Ci sono state molte critiche a questa impostazione, si è parlato di stravolgimento della Costituzione esistente. Francamente non vedo in che cosa consista lo stravolgimento: il 138 resta invariato, la sua procedura non è minimamente scavalcata.
Le modifiche costituzionali riguardano la fine del bicameralismo perfetto, che non esiste in nessun paese europeo; il taglio del numero dei parlamentari e dei senatori, l'abolizione delle Province. Sono mutamenti indispensabili e addirittura tardivi rispetto agli inconvenienti che hanno finora arrecato al normale svolgimento della vita pubblica.
C'è poi la questione principale, la forma di governo e l'eventuale introduzione del presidenzialismo o semi-presidenzialismo. Quest'ultimo però è un tema che va ben oltre i casi previsti dall'articolo 138; investe infatti la struttura stessa della Costituzione e richiederebbe la elezione d'una vera e propria Assemblea Costituente. Questo sì sarebbe uno stravolgimento che aprirebbe la strada ad una probabile crisi dello Stato di diritto e del rapporto tra i vari poteri istituzionali.
Il tema del presidenzialismo e del semi-presidenzialismo è una sorta di passaggio verso forme para-monarchiche che sono esplicitamente escluse dalla vigente Costituzione e francamente non si sente il bisogno ma se ne avvertono semmai i possibili e gravi rischi.
Diverso è il tema della forma di governo. Un rafforzamento dell'Esecutivo, per esempio un'ipotesi di Cancellierato alla tedesca, può essere ritenuto utile sempre che a quel rafforzamento ne faccia riscontro uno analogo che riguardi i poteri di controllo del Parlamento. E qui viene il tema della riforma elettorale che dovrà abolire la legge vigente sostituendola con altri modelli che possono prevedere collegi a doppio turno o l'adozione di criteri proporzionali mitigati da norme in favore della governabilità.
I 35 consulenti hanno il compito di approfondire lo studio di questi complessi problemi; la Commissione parlamentare dei 40 servirà a dar forma a un disegno di legge con le varie modifiche previste; le Aule discuteranno e approveranno il testo definitivo. I tempi sono stati stabiliti da Enrico Letta in 18 mesi per queste riforme, senza le quali il governo si dimetterà. Se invece saranno realizzate continuerà fin quando la maggioranza che lo sostiene lo riterrà necessario per il risanamento dell'economia. Poi la stessa maggioranza si scioglierà e la sinistra democratica tornerà ad opporsi ad una destra democratica che ancora non c'è perché al suo posto c'è soltanto populismo contro il quale non si combatte certo una guerra civile ma un'opposizione dura e tenace.
Per quanto riguarda la sinistra democratica non si può certo dire che essa sia pronta ad adempiere ai compiti che le spettano per definizione. Deve ancora risollevarsi dallo stato di confusione e di prostrazione in cui versa da tempo; deve risolvere la questione morale liberando le istituzioni dalle interferenze dei partiti; deve mettersi al servizio della società civile sempre che la società civile a sua volta dimostri di non essere succube della demagogia, del populismo e delle velleità utopiche. Classe dirigente e società civile non debbono mai dimenticare che l'Italia è una costola dell'Europa e l'Europa è una costola del mondo globale.
Siamo in una fase di passaggio d'epoca, non stancatevi di ricordarlo. I passaggi d'epoca sono fasi emozionanti, avventurose, drammatiche ed entusiasmanti, una sorta di parto collettivo che non dimentica i progenitori ma costruisce il futuro.
I valori che presiedono a questa meravigliosa avventura sono la giustizia e la libertà ma non ci può essere l'una senza l'altra e tutte e due senza la fraternità. La bandiera dei tre colori rappresenta l'immagine valoriale di questo passaggio d'epoca. Nascono nuovi diritti, ciascuno dei quali porta con sé nuovi doveri. Spetta ai giovani realizzarli. I padri possono soltanto testimoniare; ai giovani spetta di agire con responsabilità e purezza di cuore.
Post scriptum.
Domani la Corte costituzionale tedesca darà inizio con pubbliche udienze ad un processo che ha come oggetto il trattato di Maastricht che secondo alcuni ricorsi presentati da vari soggetti e associazioni tra i quali spunta la Bundesbank, sarebbe stato violato da una politica "spendacciona" adottata da alcuni governi di paesi membri e perfino da alcune istituzioni europee tra cui la Banca centrale. Si tratta di un'iniziativa di cui, dal punto di vista europeo, è assai dubbia la costituzionalità e che può determinare - qualora quei ricorsi fossero accolti - un drammatico conflitto di competenze tra la Corte tedesca e la Corte di giustizia europea di Strasburgo. Sarà quindi opportuno che la pubblica opinione e tutte le istituzioni europee seguano con estrema attenzione quanto accadrà nelle prossime settimane a Karlsruhe e preparino le eventuali contromosse da prendere. Ieri, parlando a Firenze alla festa della "Repubblica delle Idee" il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è soffermato su questa questione ipotizzando che cosa accadrebbe se la Costituzione degli Stati Uniti prevedesse ancora approvazioni riservate ai Parlamenti degli Stati federati e alle rispettive Corti costituzionali. Per superare questo stato di cose ci volle a metà dell'Ottocento nientemeno che la guerra di secessione. In Europa di guerre per fortuna non si parla più perché ne abbiamo avute per almeno un millennio, ma la situazione è ancora quella di governi nazionali, Parlamenti nazionali e Corti di giustizia nazionali, senza un reale potere unificato. Questo è un tema di fondo sul quale Enrico Letta ha richiamato l'attenzione di tutti e che merita una scelta dei cittadini e delle forze politiche che li rappresentano.
(09 giugno 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ref=HREA-1
E' stata invece scelta la strada più ambiziosa di una "grande riforma" che coinvolga addirittura la forma di stato e di governo, cioè le fondamenta della carta costituzionale e dell'architettura istituzionale.
Le probabilità che ancora una volta non se ne faccia niente sono molto alte. Anzi, credo sia quasi una certezza.
Ma forse è proprio questo il vero obbiettivo.
Non serve un re all'Italia che cambia
di EUGENIO SCALFARI
Ci sono almeno tre questioni che hanno assunto in questi giorni grande attualità. Quella che più interessa i cittadini e le imprese riguarda il rilancio dei consumi e degli investimenti. Per ottenere in un tempo breve - diciamo entro un anno - questi risultati sono necessari i seguenti interventi: un'iniezione di liquidità di almeno 50 miliardi, un aumento consistente del credito bancario alle imprese, incentivi fiscali alle aziende che assumono lavoratori, diminuzione di almeno 5 punti di cuneo fiscale, potenziamento del contratto di apprendistato, nessun aumento della pressione fiscale. Il tutto nel rispetto degli impegni assunti con l'Europa.
Per ottenere risorse a copertura dei suddetti interventi è necessaria una politica fiscale decisamente progressiva nei confronti delle rendite, dei consumi voluttuari, dei patrimoni esorbitanti, dell'evasione e del riciclaggio organizzato dalla criminalità mafiosa.
Ma ci vuole contemporaneamente un'autorevole politica europea che imprima uno slancio dell'Unione e dell'Eurozona verso la crescita e l'equità.
Il cittadino italiano, come quello di qualunque altro Paese, non ha né il tempo né il modo di seguire questo complesso di obiettivi che costituiscono un ingranaggio intricato e delicato che dev'essere affrontato nei modi e nei tempi appropriati. Pensare che un governo che si sia posto questi obiettivi possa realizzarli in pochi mesi significa non aver capito niente.
La spinta al cambiamento dev'essere intensa e tenace ma gli effetti non possono che prodursi gradualmente realizzando opportune alleanze con altri Stati e altre istituzioni dell'Unione europea, a cominciare dalla Bce.
Berlusconi e il Pdl hanno dichiarato nei giorni scorsi che il governo Letta (del quale sono tra i sostenitori) deve "piegare la Merkel oppure uscire dall'euro". Posta la questione in questi termini, essa significa una cosa sola: il Pdl vuole l'uscita dell'Italia dall'euro. Grillo dice da tempo e ripete sistematicamente la medesima cosa. I populismi, anche se collocati in parti diverse dello schieramento politico, nella sostanza coincidono: cercano di reclutare consensi attraverso la demagogia.
L'Italia fuori dall'euro non avrebbe altra possibilità che trasformare la moneta nazionale, il risparmio, il valore dei patrimoni, i tassi di interesse, i profitti, l'occupazione, e insomma l'intera nostra vita materiale in un pascolo della speculazione mondiale, in una terra di nessuno dove i più forti dettano la legge.
Basterebbero queste considerazioni per togliere ogni credito ai populismi e agli intellettuali che li sostengono. Se ciò non avviene lo si deve al fatto che la storia dell'Italia è stata per secoli una storia di predatori, spesso provenienti da oltre frontiera ma coadiuvati dall'interno, "Franza o Spagna purché se magna": tra gli altri guai ci fu anche quello che non si mangiava affatto o assai poco; mangiavano semmai i furbi che davano una mano o a Franza o a Spagna. Andate a rileggerla la storia del nostro Paese: è fatta da grandi eccellenze e da un popolo che non ha coscienza di esserlo. Quando la ebbe fu un popolo eroico, ma accadde purtroppo assai di rado, ridotto com'era ad una moltitudine di poveracci che lavoravano la terra per dodici ore al giorno per una minestra di fagioli o una fetta di polenta. E nel frattempo credeva a chi gli prometteva la luna.
Vogliamo tornare a questo?
* * *
Ho scritto all'inizio che questi sono i temi che più interessano o dovrebbero interessare i cittadini. Ma ce ne sono altri due, strettamente connessi tra loro, che hanno natura politico-istituzionale. I cittadini di solito li trascurano, presi come sono dalla vita di tutti i giorni e dalle innumerevoli difficoltà che essa comporta. Se ne occupano le minoranze impegnate nella vita politica; questo non toglie tuttavia che quelle questioni non provochino conseguenze anche sulla nostra vita quotidiana sebbene non sia facile rendersene conto.
Sono infatti numerosi i pareri di chi le giudica questioni superflue di fronte alla drammaticità dei sacrifici reali. In realtà la differenza non è nella sostanza ma nella percezione: i sacrifici bruciano sulla pelle, i mutamenti istituzionali cambiano il metabolismo, sono mutamenti silenziosi e non percepibili se non a media distanza; quando infine si manifestano è troppo tardi per intervenire, la nascita e la crescita del nostro enorme debito pubblico che cominciò trent'anni fa ne sono una delle più clamorose conferme.
I due temi di cui ho accennato prima sono: i mutamenti costituzionali e i modi con cui farli da un lato, la legge elettorale dall'altro. Vediamo il primo.
Il governo ha nominato 35 saggi. Hanno un breve arco di giorni per discutere tra loro i vari problemi e redigere un parere consultivo da trasmettere alla Commissione di 40 membri che comprende deputati e senatori delle Commissioni per gli Affari costituzionali delle due Camere i quali, valendosi o non valendosi del parere dei 35 consulenti, proporranno le loro conclusioni al dibattito dell'aula. Il Parlamento formulerà il testo definitivo delle leggi di modifica costituzionale seguendo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione.
Non starò a ripetere il dettato del predetto articolo. Ricordo soltanto che esso prevede modifiche costituzionali che siano molto dettagliate, indicando i singoli articoli da modificare e perfino i commi che debbono essere letteralmente trascritti affinché risulti ben chiaro quali siano le previste modifiche. In prima votazione occorre una maggioranza del 75 per cento degli aventi diritto in due successive letture. Se quella maggioranza non viene raggiunta sarà sufficiente una maggioranza del 50 per cento più uno che deve però essere confermata da referendum popolare. La novità è che un referendum popolare sarà previsto anche qualora le modifiche passino con la maggioranza del 75 per cento.
Ci sono state molte critiche a questa impostazione, si è parlato di stravolgimento della Costituzione esistente. Francamente non vedo in che cosa consista lo stravolgimento: il 138 resta invariato, la sua procedura non è minimamente scavalcata.
Le modifiche costituzionali riguardano la fine del bicameralismo perfetto, che non esiste in nessun paese europeo; il taglio del numero dei parlamentari e dei senatori, l'abolizione delle Province. Sono mutamenti indispensabili e addirittura tardivi rispetto agli inconvenienti che hanno finora arrecato al normale svolgimento della vita pubblica.
C'è poi la questione principale, la forma di governo e l'eventuale introduzione del presidenzialismo o semi-presidenzialismo. Quest'ultimo però è un tema che va ben oltre i casi previsti dall'articolo 138; investe infatti la struttura stessa della Costituzione e richiederebbe la elezione d'una vera e propria Assemblea Costituente. Questo sì sarebbe uno stravolgimento che aprirebbe la strada ad una probabile crisi dello Stato di diritto e del rapporto tra i vari poteri istituzionali.
Il tema del presidenzialismo e del semi-presidenzialismo è una sorta di passaggio verso forme para-monarchiche che sono esplicitamente escluse dalla vigente Costituzione e francamente non si sente il bisogno ma se ne avvertono semmai i possibili e gravi rischi.
Diverso è il tema della forma di governo. Un rafforzamento dell'Esecutivo, per esempio un'ipotesi di Cancellierato alla tedesca, può essere ritenuto utile sempre che a quel rafforzamento ne faccia riscontro uno analogo che riguardi i poteri di controllo del Parlamento. E qui viene il tema della riforma elettorale che dovrà abolire la legge vigente sostituendola con altri modelli che possono prevedere collegi a doppio turno o l'adozione di criteri proporzionali mitigati da norme in favore della governabilità.
I 35 consulenti hanno il compito di approfondire lo studio di questi complessi problemi; la Commissione parlamentare dei 40 servirà a dar forma a un disegno di legge con le varie modifiche previste; le Aule discuteranno e approveranno il testo definitivo. I tempi sono stati stabiliti da Enrico Letta in 18 mesi per queste riforme, senza le quali il governo si dimetterà. Se invece saranno realizzate continuerà fin quando la maggioranza che lo sostiene lo riterrà necessario per il risanamento dell'economia. Poi la stessa maggioranza si scioglierà e la sinistra democratica tornerà ad opporsi ad una destra democratica che ancora non c'è perché al suo posto c'è soltanto populismo contro il quale non si combatte certo una guerra civile ma un'opposizione dura e tenace.
Per quanto riguarda la sinistra democratica non si può certo dire che essa sia pronta ad adempiere ai compiti che le spettano per definizione. Deve ancora risollevarsi dallo stato di confusione e di prostrazione in cui versa da tempo; deve risolvere la questione morale liberando le istituzioni dalle interferenze dei partiti; deve mettersi al servizio della società civile sempre che la società civile a sua volta dimostri di non essere succube della demagogia, del populismo e delle velleità utopiche. Classe dirigente e società civile non debbono mai dimenticare che l'Italia è una costola dell'Europa e l'Europa è una costola del mondo globale.
Siamo in una fase di passaggio d'epoca, non stancatevi di ricordarlo. I passaggi d'epoca sono fasi emozionanti, avventurose, drammatiche ed entusiasmanti, una sorta di parto collettivo che non dimentica i progenitori ma costruisce il futuro.
I valori che presiedono a questa meravigliosa avventura sono la giustizia e la libertà ma non ci può essere l'una senza l'altra e tutte e due senza la fraternità. La bandiera dei tre colori rappresenta l'immagine valoriale di questo passaggio d'epoca. Nascono nuovi diritti, ciascuno dei quali porta con sé nuovi doveri. Spetta ai giovani realizzarli. I padri possono soltanto testimoniare; ai giovani spetta di agire con responsabilità e purezza di cuore.
Post scriptum.
Domani la Corte costituzionale tedesca darà inizio con pubbliche udienze ad un processo che ha come oggetto il trattato di Maastricht che secondo alcuni ricorsi presentati da vari soggetti e associazioni tra i quali spunta la Bundesbank, sarebbe stato violato da una politica "spendacciona" adottata da alcuni governi di paesi membri e perfino da alcune istituzioni europee tra cui la Banca centrale. Si tratta di un'iniziativa di cui, dal punto di vista europeo, è assai dubbia la costituzionalità e che può determinare - qualora quei ricorsi fossero accolti - un drammatico conflitto di competenze tra la Corte tedesca e la Corte di giustizia europea di Strasburgo. Sarà quindi opportuno che la pubblica opinione e tutte le istituzioni europee seguano con estrema attenzione quanto accadrà nelle prossime settimane a Karlsruhe e preparino le eventuali contromosse da prendere. Ieri, parlando a Firenze alla festa della "Repubblica delle Idee" il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è soffermato su questa questione ipotizzando che cosa accadrebbe se la Costituzione degli Stati Uniti prevedesse ancora approvazioni riservate ai Parlamenti degli Stati federati e alle rispettive Corti costituzionali. Per superare questo stato di cose ci volle a metà dell'Ottocento nientemeno che la guerra di secessione. In Europa di guerre per fortuna non si parla più perché ne abbiamo avute per almeno un millennio, ma la situazione è ancora quella di governi nazionali, Parlamenti nazionali e Corti di giustizia nazionali, senza un reale potere unificato. Questo è un tema di fondo sul quale Enrico Letta ha richiamato l'attenzione di tutti e che merita una scelta dei cittadini e delle forze politiche che li rappresentano.
(09 giugno 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ref=HREA-1
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Re: Non è cosa vostra
In questo Scalfari ha perfettamente ragione:
L'Italia "è fatta da grandi eccellenze e da un popolo che non ha coscienza di esserlo."
Tanti piccoli miopi furbastri, che pensando al loro particolare interesse, hanno impedito da sempre all'Italia di essere una nazione,
il nostro egoistico individualismo ha creato oligarchie e caste a discapito del bene comune e creando fasce sempre più larghe di poveri e disadattati.
L'Italia "è fatta da grandi eccellenze e da un popolo che non ha coscienza di esserlo."
Tanti piccoli miopi furbastri, che pensando al loro particolare interesse, hanno impedito da sempre all'Italia di essere una nazione,
il nostro egoistico individualismo ha creato oligarchie e caste a discapito del bene comune e creando fasce sempre più larghe di poveri e disadattati.
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Re: Non è cosa vostra
Coi voti di Pd, Pdl e Scelta civica
il Fatto 14.6.13
Golpetto al Senato: più facile cambiare la Costituzione
Approvata la procedura d’urgenza: 18 mesi per la riforma
di Fabrizio d’Esposito
Applausi fuori dalla norma, tra parentesi. Come in ogni resoconto stenografico dei lavori parlamentari. Palazzo Madama, ieri mattina: (Applausi dai Gruppi Pdl, M5S e Misto-Sel). A parlare è Renato Schifani, capogruppo della falange berlusconiana al Senato. Si vota l’incredibile: cambiare la Costituzione con la procedura d’urgenza prevista dal regolamento. Dice Schifani: “Vedo questa richiesta di procedura d’urgenza come del tutto inopportuna. Il Parlamento desidera rispetto, lo avrà sicuramente da parte del governo, ma cerchiamo di partire con il piede giusto. Dobbiamo lavorare assieme, ma dobbiamo lavorare assieme in quest’aula. E ascoltare, leggere sui quotidiani che persone fuori da quest’aula discutano di quello che sarà il futuro Senato, di quello che sarà il nuovo sistema parlamentare, di quella che sarà la futura forma di governo non ci entusiasma. Se approveremo questo testo con un termine di 18 mesi, creiamo un precedente che sa quasi di commissariamento, di pseudocommissariamento del Parlamento. E questo non mi piace”.
FINO a un certo punto, però, non piace a Schifani. Perché poi il Pdl e gli altri partiti delle larghe intese hanno votato la “richiesta di dichiarazione urgente” per il disegno di legge costituzionale numero 813, che istituisce il comitato parlamentare per le riforme costituzionali. Venti deputati e venti senatori che dovranno cambiare la forma di Stato, quella di governo e il meccanismo del bicameralismo perfetto. Questo con un procedimento legislativo speciale per fare tutto in 18 mesi, grazie alla procedura d’urgenza dell’articolo 77 del regolamento. In pratica, tra una votazione e l’altra l’intervallo si riduce dai tre mesi previsti dall’articolo 138 della Costituzione a uno. Poi, per emendamenti e subemendamenti varranno le restrizioni in vigore per i ddl collegati alle finanziarie.
È il golpetto dell’inciucio del governo Letta-Napolitano. O il commissariamento del Parlamento, per usare le parole di Schifani. E che ha infiammato l’aula del Senato ieri mattina, dopo l’illustrazione fatta dal ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello che ha specificato: “La richiesta d’urgenza dà attuazione agli indirizzi contenuti nelle mozioni approvate il 29 maggio che evidenziavano la necessità di definire una procedura straordinaria e urgente che potesse dare tempi certi e idonei alla riforma della seconda parte della Costituzione”. Dall’intervento di Loredana De Petris di Sel, il partito di Vendola: “L’abbreviazione dei tempi contenuta nel disegno di legge è una violazione dello spirito e della lettera dell’articolo 138 della Costituzione. Tale abbreviazione viene ancor più accelerata con questa richiesta, che stiamo discutendo oggi, ai sensi dell’articolo 77 del regolamento. Trovo un fatto molto grave limitare la libertà dei singoli senatori. Il ministro sa che un punto per noi assolutamente dirimente riguardava il fatto che i singoli senatori o i singoli deputati potessero avere la possibilità di emendare e di intervenire. Nel testo del ddl si limita tale possibilità a un presidente di gruppo o a dieci senatori”. A Vito Crimi, capogruppo uscente dei grillini, è toccato sviscerare altri due “buchi” nella blindatura delle riforme. Il primo: l’attuale Parlamento è eletto con una legge costituzionalmente viziata, il Porcellum.
IL SECONDO: un contrasto sostanziale anche con l’articolo 72 della Costituzione che prevede “sempre” una procedura normale per i ddl costituzionali. Per la cronaca, il golpetto è passato coi voti di Pd, Pdl e Scelta civica.
il Fatto 14.6.13
Golpetto al Senato: più facile cambiare la Costituzione
Approvata la procedura d’urgenza: 18 mesi per la riforma
di Fabrizio d’Esposito
Applausi fuori dalla norma, tra parentesi. Come in ogni resoconto stenografico dei lavori parlamentari. Palazzo Madama, ieri mattina: (Applausi dai Gruppi Pdl, M5S e Misto-Sel). A parlare è Renato Schifani, capogruppo della falange berlusconiana al Senato. Si vota l’incredibile: cambiare la Costituzione con la procedura d’urgenza prevista dal regolamento. Dice Schifani: “Vedo questa richiesta di procedura d’urgenza come del tutto inopportuna. Il Parlamento desidera rispetto, lo avrà sicuramente da parte del governo, ma cerchiamo di partire con il piede giusto. Dobbiamo lavorare assieme, ma dobbiamo lavorare assieme in quest’aula. E ascoltare, leggere sui quotidiani che persone fuori da quest’aula discutano di quello che sarà il futuro Senato, di quello che sarà il nuovo sistema parlamentare, di quella che sarà la futura forma di governo non ci entusiasma. Se approveremo questo testo con un termine di 18 mesi, creiamo un precedente che sa quasi di commissariamento, di pseudocommissariamento del Parlamento. E questo non mi piace”.
FINO a un certo punto, però, non piace a Schifani. Perché poi il Pdl e gli altri partiti delle larghe intese hanno votato la “richiesta di dichiarazione urgente” per il disegno di legge costituzionale numero 813, che istituisce il comitato parlamentare per le riforme costituzionali. Venti deputati e venti senatori che dovranno cambiare la forma di Stato, quella di governo e il meccanismo del bicameralismo perfetto. Questo con un procedimento legislativo speciale per fare tutto in 18 mesi, grazie alla procedura d’urgenza dell’articolo 77 del regolamento. In pratica, tra una votazione e l’altra l’intervallo si riduce dai tre mesi previsti dall’articolo 138 della Costituzione a uno. Poi, per emendamenti e subemendamenti varranno le restrizioni in vigore per i ddl collegati alle finanziarie.
È il golpetto dell’inciucio del governo Letta-Napolitano. O il commissariamento del Parlamento, per usare le parole di Schifani. E che ha infiammato l’aula del Senato ieri mattina, dopo l’illustrazione fatta dal ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello che ha specificato: “La richiesta d’urgenza dà attuazione agli indirizzi contenuti nelle mozioni approvate il 29 maggio che evidenziavano la necessità di definire una procedura straordinaria e urgente che potesse dare tempi certi e idonei alla riforma della seconda parte della Costituzione”. Dall’intervento di Loredana De Petris di Sel, il partito di Vendola: “L’abbreviazione dei tempi contenuta nel disegno di legge è una violazione dello spirito e della lettera dell’articolo 138 della Costituzione. Tale abbreviazione viene ancor più accelerata con questa richiesta, che stiamo discutendo oggi, ai sensi dell’articolo 77 del regolamento. Trovo un fatto molto grave limitare la libertà dei singoli senatori. Il ministro sa che un punto per noi assolutamente dirimente riguardava il fatto che i singoli senatori o i singoli deputati potessero avere la possibilità di emendare e di intervenire. Nel testo del ddl si limita tale possibilità a un presidente di gruppo o a dieci senatori”. A Vito Crimi, capogruppo uscente dei grillini, è toccato sviscerare altri due “buchi” nella blindatura delle riforme. Il primo: l’attuale Parlamento è eletto con una legge costituzionalmente viziata, il Porcellum.
IL SECONDO: un contrasto sostanziale anche con l’articolo 72 della Costituzione che prevede “sempre” una procedura normale per i ddl costituzionali. Per la cronaca, il golpetto è passato coi voti di Pd, Pdl e Scelta civica.
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Re: Non è cosa vostra
il Fatto 15.6.13
Libertà e Giustizia organizza la difesa della Costituzione
È ORA DI RACCOGLIERE attorno a un unico obiettivo tutte le forze, le associazioni, i movimenti che scelgono di opporsi allo scardinamento della Repubblica parlamentare”. Così, in una nota, Libertà e Giustizia, associazione politica che – attorno a Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Gaetano Azzariti e Carlo Smuraglia – sta radunando i Comitati Dossetti, la Convenzione per la legalità costituzionale, Salviamo la costituzione, l’Anpi nazionale e quella parte di sindacati che ha partecipato alla manifestazione del 2 giugno scorso a Bologna, al fine di una mobilitazione come prossimo “punto di riferimento per il referendum che inevitabilmente si prospetta”. Un incontro organizzativo iniziale si terrà, a questo proposito, prima di luglio. I nodi critici e di forte allarme democratico sono almeno tre, secondo Libertà e Giustizia: al primo punto, il metodo scelto dal governo e dalle forze politiche che lo sostengono, metodo che “non rispetta l’articolo 138 della Costituzione”. Al secondo punto, c’è il semi-presidenzialismo o il presidenzialismo, che “molti, anche fra i cosiddetti saggi, cercano di imporre ”. Al terzo punto la legge elettorale, non più considerata priorità.
il Fatto 15.6.13
Un appello per salvare la Costituzione
di Alessandra Rocca
È possibile che dobbiamo assistere inerti al saccheggio della nostra Costituzione ad opera di una settantina di pseudo-saggi e con il beneplacito di tutte le istituzioni? Davvero ormai in Italia si è creata una situazione per cui una ristretta cerchia di persone, ormai totalmente lontana dalla realtà, dalla volontà e dalle esigenze del Paese, governa a suo piacimento? Sarebbe il caso di cominciare a pensare di organizzare qualcosa: una grande manifestazione a Roma o tante manifestazioni nelle principali città o sommergere di fax il Parlamento o altre istituzioni.
Libertà e Giustizia organizza la difesa della Costituzione
È ORA DI RACCOGLIERE attorno a un unico obiettivo tutte le forze, le associazioni, i movimenti che scelgono di opporsi allo scardinamento della Repubblica parlamentare”. Così, in una nota, Libertà e Giustizia, associazione politica che – attorno a Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Gaetano Azzariti e Carlo Smuraglia – sta radunando i Comitati Dossetti, la Convenzione per la legalità costituzionale, Salviamo la costituzione, l’Anpi nazionale e quella parte di sindacati che ha partecipato alla manifestazione del 2 giugno scorso a Bologna, al fine di una mobilitazione come prossimo “punto di riferimento per il referendum che inevitabilmente si prospetta”. Un incontro organizzativo iniziale si terrà, a questo proposito, prima di luglio. I nodi critici e di forte allarme democratico sono almeno tre, secondo Libertà e Giustizia: al primo punto, il metodo scelto dal governo e dalle forze politiche che lo sostengono, metodo che “non rispetta l’articolo 138 della Costituzione”. Al secondo punto, c’è il semi-presidenzialismo o il presidenzialismo, che “molti, anche fra i cosiddetti saggi, cercano di imporre ”. Al terzo punto la legge elettorale, non più considerata priorità.
il Fatto 15.6.13
Un appello per salvare la Costituzione
di Alessandra Rocca
È possibile che dobbiamo assistere inerti al saccheggio della nostra Costituzione ad opera di una settantina di pseudo-saggi e con il beneplacito di tutte le istituzioni? Davvero ormai in Italia si è creata una situazione per cui una ristretta cerchia di persone, ormai totalmente lontana dalla realtà, dalla volontà e dalle esigenze del Paese, governa a suo piacimento? Sarebbe il caso di cominciare a pensare di organizzare qualcosa: una grande manifestazione a Roma o tante manifestazioni nelle principali città o sommergere di fax il Parlamento o altre istituzioni.
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Re: Non è cosa vostra
La Banda Larga - 1
Legge elettorale, Quagliariello: “Prima dobbiamo scegliere la forma di governo”
Dopo l’invito del presidente del Consiglio Enrico Letta affinché la riforma costituzionale dia “risultati in tempi certi” e il diktat di Napolitano ai partiti, è il ministro Gaetano Quagliariello ad avvertire la classe politica: “Nessuno ha interesse a utilizzare l’alibi del tempo per non fare nulla. Se questo accadrà, il mio primo dovere da ministro è dirlo al Paese”. Un rimprovero che non è piaciuto ai colleghi di partito: dal Pdl, che ha già messo a verbale numerose critiche, Sandro Bondi replica: ’Quagliariello finirà per irritare tutti’. Il rischio, se la maggioranza davvero si spaccherà, è che il ddl del governo sull’iter delle riforme venga varato senza la maggioranza dei due terzi necessaria a evitare un referendum confermativo che finirebbe per allungare i tempi. Il ministro ostenta sicurezza e consiglia di intervenire prima sul presidenzialismo, e poi sulla legge delle riforma elettorale intervenendo alla convention delle “Giornate Tricolore“, organizzata da Fratelli d’Italia a Milano, alla quale hanno preso parte anche Raffaele Fitto (deputato Pdl), Mario Mantovani (coordinatore lombardo Pdl) e Francesco Boccia (deputato pd)
di Francesca Martelli
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/ ... no/236697/
Legge elettorale, Quagliariello: “Prima dobbiamo scegliere la forma di governo”
Dopo l’invito del presidente del Consiglio Enrico Letta affinché la riforma costituzionale dia “risultati in tempi certi” e il diktat di Napolitano ai partiti, è il ministro Gaetano Quagliariello ad avvertire la classe politica: “Nessuno ha interesse a utilizzare l’alibi del tempo per non fare nulla. Se questo accadrà, il mio primo dovere da ministro è dirlo al Paese”. Un rimprovero che non è piaciuto ai colleghi di partito: dal Pdl, che ha già messo a verbale numerose critiche, Sandro Bondi replica: ’Quagliariello finirà per irritare tutti’. Il rischio, se la maggioranza davvero si spaccherà, è che il ddl del governo sull’iter delle riforme venga varato senza la maggioranza dei due terzi necessaria a evitare un referendum confermativo che finirebbe per allungare i tempi. Il ministro ostenta sicurezza e consiglia di intervenire prima sul presidenzialismo, e poi sulla legge delle riforma elettorale intervenendo alla convention delle “Giornate Tricolore“, organizzata da Fratelli d’Italia a Milano, alla quale hanno preso parte anche Raffaele Fitto (deputato Pdl), Mario Mantovani (coordinatore lombardo Pdl) e Francesco Boccia (deputato pd)
di Francesca Martelli
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/ ... no/236697/
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