Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

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mariok

Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da mariok »

Siamo di fronte ad un nuovo pensiero unico?
Eugenio Scalfari ha scritto:Poi tutti e due si dichiararono in favore di Renzi che aveva aperto a Landini, discuteva positivamente con Vendola, voleva abolire la Bossi-Fini e reclamava le coppie di fatto legalizzate. Per di più, dissero tutti e due, ha capito che sui grillini con prudenza si può puntare.
Eugenio Scalfari ha scritto:Da questa trasmissione ho capito bene la forza di Renzi. Mieli e Rodotà non sono persone da poco, uno è un giurista di valore, l'altro uno storico molto serio di storia moderna e da qualche anno anche di storia antica.
Stefano Rodotà e Paolo Mieli a Otto e mezzo.
http://www.la7.tv/richplayer/index.html ... d=50385797

Se vuol ballare signor Contino

di EUGENIO SCALFARI

SE VUOL ballare/ signor Contino/ il chitarrino/ le suonerò/: così canta uno dei protagonisti delle "Nozze di Figaro" mozartiane e così sembra atteggiarsi la politica italiana nei rapporti tra le varie forze (o debolezze) che si confrontano e si scontrano in un clima di crescente tensione economica e sociale.

Ne esamineremo alcune spassionatamente, senza dimenticare un'altra versione di quella illuminante cantata che così conclude: Se vuol venire/ alla mia scuola/ la capriola/ le insegnerò.

La capriola: questo è il rischio (o l'intenzione) che alimenta le tensioni e può creare una situazione che sfugga ad ogni controllo precipitando il Paese in un marasma dal quale sarà molto difficile uscire.

Comincerò dal mio articolo di domenica scorsa dove ricordavo che cosa era la questione morale concepita da Enrico Berlinguer agli inizi degli anni Ottanta. La questione morale, per lui, era l'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti, una prassi che a suo giudizio doveva immediatamente cessare.

Le istituzioni (così pensava e diceva) ciascuna nel suo campo sono titolari dell'interesse generale; i partiti sono invece portatori di una visione del bene comune, visione che differisce da partito a partito, si confronta con le altre e riscuote il consenso degli elettori. Chi vince quella competizione ha il diritto di influire sulla composizione del governo sapendo però che quel governo nel momento stesso in cui si insedia deve perseguire l'interesse generale sia pure tenendo presente la visione del bene comune prevalente nel Parlamento.

Questa era la concezione di Berlinguer e questo è scritto nella Costituzione la quale attribuisce al Capo dello Stato il potere di nomina del presidente del Consiglio e dei ministri che quest'ultimo gli propone.

La tesi di Berlinguer era sottile ma logica. Purtroppo nessuno ne ha mai tenuto conto nei fatti anche se le ha reso omaggio a parole. Il governo è certamente un "governo amico" della maggioranza parlamentare la quale però non può considerarlo uno strumento nelle sue mani. Sono due poteri distinti, il Legislativo e l'Esecutivo. Il primo approva o modifica o respinge i disegni di legge del secondo e controlla con attenzione i comportamenti della pubblica amministrazione. Può anche abbattere il governo ritirandogli la fiducia.

È evidente che si tratta di equilibri assai delicati e continuamente a rischio ma questo schema, quando viene rispettato, fa il bene del Paese; quando viene invece manomesso quella che Berlinguer chiamava la questione morale si ripropone in tutta la sua gravità e sconvolge la vita politica.

***

Ho ricordato questo dibattito, che ebbe luogo nei primi anni Ottanta del secolo scorso, perché mai come ora dovrebbe valere la distinzione tra l'interesse generale affidato alle istituzioni e la visione del bene comune in base alla quale i vari partiti cercano il consenso degli elettori.

Il partito che nell'attuale legislatura ha il maggior numero di seggi in Parlamento è il Pd, rappresentato dal neo-segretario Matteo Renzi. La visione del bene comune del Pd dopo le primarie dello scorso dicembre è sempre quella di un "riformismo radicale", come lo definì Veltroni nel discorso di fondazione al Lingotto di Torino, ma il significato è profondamente diverso. Il cambiamento riguarda al tempo stesso la società e il partito, i suoi obiettivi e soprattutto la sua classe dirigente. È nata una nuova leadership, quella appunto del sindaco di Firenze; cambiano i dirigenti centrali e locali, cambiano gli obiettivi, cambia il rapporto tra il partito di maggioranza relativa e il governo in carica.

Il presidente del Consiglio si è incontrato ufficialmente col neo-segretario venerdì mattina alle 8 e, almeno in apparenza, il colloquio è andato bene: sono stati delimitati i rispettivi campi d'azione e si è parlato anche, "sobriamente" dei contenuti. Letta avrà il compito di governare e Renzi di portare avanti tutte le iniziative di spettanza del partito, a cominciare dalla legge elettorale.

In apparenza è tutto condiviso e regolare, ma c'è un aspetto della situazione che sembra sfuggire all'attenzione del sindaco di Firenze: il governo Letta non è sorretto soltanto dal Pd, ma da una coalizione di varie forze tra le quali la principale è il Nuovo centrodestra di Alfano. Una riforma delle legge elettorale che penalizzasse alcuni dei partiti della coalizione potrebbe portare alla crisi di governo. Al di là delle apparenze questo è dunque il punto sensibile che alimenta la tensione tra Letta e Renzi.

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Queste difficoltà e pericoli i protagonisti li conoscono bene. Per superarli è necessario un compromesso che non dovrebbe essere difficile da raggiungere se non ci fosse un altro aspetto della situazione: la nascita di una nuova leadership che è appunto rappresentata da Renzi.

I sondaggi di vari specialisti confermano che il solo e vero legame che tiene unito il Pd e ne rafforza la crescita è la nuova leadership la quale però deve dimostrare la sua presenza per essere realmente avvertita dagli elettori effettivi e potenziali. Il compromesso non soddisfa queste aspettative, il "riformismo radicale" d'un nuovo leader deve puntare su una rapida fine del governo e della legislatura. E se, per ottenere questo risultato, Renzi deve intendersi con Vendola, con Landini, con il Movimento 5 Stelle e perfino (perfino) con Berlusconi, lo faccia. Se adotta una politica economica che metta in discussione le coperture finanziarie previste dagli impegni di Bruxelles lo faccia. Se il "Jobs Act" rischia di diventare uno strumento esplosivo, tanto meglio: l'Europa subirà.

Questa è la spinta che arriva dal basso e che per certi aspetti sembra paradossale perché è proprio da sinistra che viene questo tipo di consenso.

Da questo punto di vista è stato di notevole interesse il dibattito avvenuto venerdì' scorso nella trasmissione "Otto e mezzo" diretta da Lilli Gruber, tra Stefano Rodotà e Paolo Mieli. L'ho seguita con molta attenzione e credo valga la pena di darne un sommario racconto.

***

I due invitati mi avevano incuriosito. Li conosco entrambi da molti anni, Rodotà cominciò a collaborare a "Repubblica" fin dai primi numeri, Mieli fu assunto all'Espresso nel 1966, e se ben ricordo aveva 18 anni o poco più. Immaginavo, conoscendoli, che Rodotà avrebbe puntato sul "mantra" dei diritti e della Costituzione e Mieli avrebbe trovato i modi per contraddirlo opponendogli la realtà dei fatti che impone altri e più pragmatici percorsi. Invece sbagliavo e lo si è capito fin dalle prime battute. Per 35 minuti i due hanno danzato un minuetto dove Mieli conduceva e Rodotà completava e infiocchettava. Perfino la Gruber era stupita o almeno così m'è sembrato. I due interlocutori erano d'accordo su tutto e di volta in volta si felicitavano reciprocamente di quell'accordo. E non erano questioni da poco quelle che venivano affrontate.

Mieli aprì con un attacco agli intellettuali che non avevano trovato il coraggio di opporsi alla decadenza del Paese dagli anni Settanta in poi. Rodotà assentì portando l'esempio deludente del Pds che, dapprima battagliero, poi si ritirò rientrando in buon ordine sotto le ali della vecchia nomenclatura occhettiana.

Poi tutti e due si dichiararono in favore di Renzi che aveva aperto a Landini, discuteva positivamente con Vendola, voleva abolire la Bossi-Fini e reclamava le coppie di fatto legalizzate. Per di più, dissero tutti e due, ha capito che sui grillini con prudenza si può puntare.

La conduttrice chiese giudizi su Letta. Tutti e due riconobbero che è una brava e onesta persona, ma politicamente mediocre; prima se ne andrà meglio sarà.

Un giudizio su Napolitano? Sta modificando la sua posizione su Letta. Comunque è bene che rimanga al Quirinale fino a quando non ci sarà più bisogno di lui. Un giudizio sull'ipotesi che Berlusconi si ripresenti alle elezioni? Questione da approfondire.

L'affondo finale di Mieli è stato contro la politica che avrebbe dovuto provvedere da sola a costruire e ricostruire il Paese e invece ha chiamato in supplenza la magistratura. Lo fece per combattere il terrorismo e lo rifece per combattere Berlusconi. Rodotà ha dato beneplacito, Gruber ha ringraziato.

Da questa trasmissione ho capito bene la forza di Renzi. Mieli e Rodotà non sono persone da poco, uno è un giurista di valore, l'altro uno storico molto serio di storia moderna e da qualche anno anche di storia antica.

Una sola cosa mi ha lasciato perplesso: come poteva la politica combattere il terrorismo senza che la magistratura intervenisse? Era gente che ammazzava innocenti per ammazzare i simboli dello Stato che essi rappresentavano. E come poteva la politica impedire la supplenza della magistratura nel caso Berlusconi? Ha commesso reati, c'è una condanna definitiva della Cassazione (ancora non eseguita). Sono reati. La politica è sicuramente impigrita e castale, ma sia per il terrorismo e sia per Berlusconi la magistratura non gioca in supplenza; gioca in prima persona e su questo non c'è proprio altro da aggiungere.
erding
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Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da erding »

Letta e Renzi, due politici diventati piccoli piccoli

di Furio Colombo | 12 gennaio 2014


Non so se avete avuto anche voi questa impressione, ma all’improvviso i personaggi della scena politica hanno cominciato a rimpicciolirsi, come negli effetti speciali di un film.

Prendiamone due, Letta e Renzi, per restare vicini alla ossessiva cronaca quotidiana. La cronaca si specializza nel misurarli a confronto: oggi è più grande Renzi o troneggia Letta? Vi sarete accorti che non è il punto. Il punto è che, dai tempi del miracoloso governo che compare all’improvviso sulla scena, dal momento magico in cui i cavaliere bianco Enrico Letta attraversa la scena e viene indicato e, anzi, nominato, “l’unico” senza spiegazioni ma con persuasione assoluta, capace di governare in pace (sia pure con l’espediente traumatico delle “larghe intese”) qualcosa è clamorosamente cambiato. L’uomo alto dai gesti impeccabili e dalla voce gentile e inflessibile appare indeciso, impacciato e molto più piccolo della scena che dava l’impressione di dominare.

Adesso seguiamo Renzi. Da candidato a tutto che conosce tutto perché è ovviamente capace di fare tutto (sindaco di grande città, segretario del partito di maggioranza, primo ministro, protagonista europeo, modello della vita da giovane) appare alle prese con un groviglio, che riguarda il partito, riguarda il governo, riguarda il parlamento e riguarda il mondo. E di quel groviglio non scioglie nulla. Rimane fermo, benché loquace, in una zona di sosta, fermo per un giro, per due (poi vedremo) come in certi giochi da tavolo.

Vi chiedo di voltarvi indietro a guardarli, Letta e Renzi, giovani e nuovi e pronti, distinti solo dal grado di impazienza. Guardateli in quel loro incontro a Palazzo Chigi, con foto da telefonino e frasi gentili ma ambigue. Non vi sembrano improvvisamente rimpiccioliti rispetto alle immagini che ci avevano offerto al debutto? Potrete dire che i problemi sono diventati, nella lunga attesa di non risolverli, sempre più grandi e questo fa apparire così piccoli coloro che devono agire in una scena che adesso appare gigantesca. Però, se ci pensate, i problemi sono gli stessi del mondo. No, c’è qualcosa di diverso e di nuovo nel personale dirigente di questo Paese. Così come non si può vivere senza speranza, non si può governare senza progetto. È come costruire muri a casaccio, senza uno straccio di disegno del geometra. Questa clamorosa inadeguatezza diventa anche fisica. Voi vedete due leader piccoli su due poltrone troppo grandi scambiarsi complimenti e minacce (nello strano gergo della “larghe intese”) e intanto non hanno assolutamente nulla da proporre o da dire che non sia tenersi a bada a vicenda.

L’evidenza del rimpicciolimento è data da tre fatti: sembrava che contassero molto e contano poco. Sembrava che avrebbero fatto qualcosa invece del vuoto, e ma resta il vuoto. Sembrava che si sarebbero rivolti per prima cosa ai cittadini (che il governo Berlusconi aveva trasformato in audience, il governo Monti in severo campeggio scout, il primo Letta in una corsia da visitare in occasione di feste e ricorrenze). Invece non è avvenuto. Sembrava che avrebbero visto (o ammesso di vedere) il grave stato delle cose, e invece la grande finzione della crisi che sta per finire continua. Al punto che la più grande impresa industriale italiana può cambiare patria e missione, e non solo nessuno fa una piega, ma piovono elogi per il clamoroso trasferimento che, si sa, porta via tutto, e lascia indietro solo i lavoratori.

Volete due piccole prove del nulla che sta accadendo? Una è il Jobs Act di Matteo Renzi, ottima idea di prodotto: prima cosa, trovare il nome. Ma non c’è altro. Come tutti gli accenni precedenti, mai diventati progetti, il lavoro viene visto dal punto di vista del che fare con chi lavora, una volta che abbia ottenuto il famoso posto. Ma niente ci dice come, lungo il percorso economico, quello organizzativo e quello politico, si arriva a quel punto, come si crea il posto di lavoro. L’altra è in questa descrizione (citazione letterale) del “programma Garanzia Giovani” che sembra scritto da Michele Serra in un giorno di astuta e comica cattiveria, e invece è di pugno di Enrico Giovannini, ministro del Lavoro. “Il programma Garanzia Giovani si basa sui numerosi provvedimenti adottati in questi mesi, tra cui l’alternanza scuola-lavoro, gli incentivi alla assunzione, la semplificazione normativa, il finanziamento di tirocini e di fondi per l’autoimprenditorialità, per un investimento che supera il miliardo di euro. Una sorta di prova generale di una svolta che stiamo imprimendo alle politiche ‘attive’ per l’occupazione e il reinserimento, dopo tanti anni di dibattiti nei quali si sono privilegiate le politiche ‘passive’ basate sugli ammortizzatori sociali”. (cito Enrico Giovannini da Il Corriere della Sera, 11 gennaio).

Qualcuno ricorda quali ammortizzatori sociali sono previsti per i giovani che non hanno mai lavorato? Come vedete, la sproporzione tra il paesaggio infestato di impedimenti al futuro e le dimensioni dei leader è paurosa. Due soli personaggi appaiono al momento in proporzioni normali: Pierluigi Bersani, che è riuscito a non morire (e a cui va ovviamente un carico di auguri) e Silvio Berlusconi, che è riuscito a non andare in prigione. Se ne va, libero e pieno di progetti, in giro per l’Italia con donna e cagnolino, mentre da mesi dovrebbe essere in cella, secondo sentenza. Sono due diverse misure, d’accordo, ma, per l’Italia di oggi, è tutto. Per questo stringe il cuore sentire il piccolo Letta che, dalla sua immensa poltrona, dice al piccolo Renzi, chiacchierone, festoso ma anche lui un po’ imbarazzato per la vastità della scena: “Serve un cambio di passo”.

il Fatto Quotidiano, 12 Gennaio 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01 ... li/839991/
camillobenso
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Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da camillobenso »

E chi se lo ricordava più IL MONELLO e Superbone.............!!!!!!!!


Immagine


3 GEN 2014 14:38
1. BENVENUTI NE “LA REPUBBLICA” DI RENZI-SUPERBONE DOVE OGNI GIORNO SI RACCONTANO LE GESTA DEL NUOVO SANTINO GIGLIATO CHIAMATO A FARE MIRACOLI (FUTURI) –

2. MA NEL QUOTIDIANO DIRETTO DA EZIO MAURO SONO IN TANTI A MASTICARE AMARO (A COMINCIARE DAL FONDATORE EUGENIO SCALFARI) PER LE “OLA” DA STADIO CHE ACCOMPAGNANO LE GESTA (E LE GAFFE) DEL MONELLO VIOLA ANCHE QUANDO ATTACCA IL PROPRIO PARTITO (PD), IL GOVERNO AMICO (LETTA) E IL PRESIDENTE ROSA (NAPOLITANO) –

3. E NELLE EDICOLE IL FEDELE POPOLO DI SINISTRA SEMBRA PRENDERE LE DISTANZE, DISERTANDO LE EDICOLE, DALLA LINEA IMPRESSA AL GIORNALE DALL’EDITORE DE BENEDETTI -



DAGOREPORT
Diceva Honorè de Balzac che una delle malattie del suo tempo era la "superiorità" di certi uomini.
Tant'è, conveniva lo scrittore francese, alla fine in circolazione ci sono "più santi che nicchie".

Ma l'ultimo beato sceso in politica per annunciare nuovi miracoli al Paese in declino, Matteuccio Renzi, è riuscito invece nell'impresa diabolica di occupare ogni giorno le prime pagine dei giornaloni dei Poteri marci.

Quelle che sono ormai le edicole-nicchia di carta che da vent'anni a questa parte vanno alla ricerca (vana) di un "peccatore morto" da esporre al culto pubblico per poi cavarne, ahimè, l'ennesimo santo da venerare.

Da Mario Segni a Mario Monti, passando per le anime pie di Antonio Di Pietro e Carlo Azelio Ciampi, i media hanno sparso incenso sull'aureolato super-leader del momento che - almeno a dare ascolto ai loro politologi a la carte -, avrebbero dovuto cambiare i destini della Patria.

Con risultati, in realtà, davvero modesti se non pessimi.

Così, nella lunga processione intrapresa per celebrare la fine della prima Repubblica, i giornaloni si sono persi lungo il cammino milioni di lettori-fedeli, stanchi delle litanie padronali sui sacrifici necessari (per gli altri) e delle botte in testa alle Caste (altrui).

E se il Corrierone di Flebuccio de Bortoli sembra marciare a zig-zag nell'inseguire le gesta di Renzi-Superbone lasciandosi aperta una porticina aperta sul Quirinale e una finestrella accesa su palazzo Chigi occupato dal premier in carica Enrico Letta, il suo concorrente, "la Repubblica", non passa giorno che non benedica il "corsaro"

()Anche se in redazione sono in tanti a masticare amaro, a cominciare dal suo fondatore Eugenio Scalfari, nel vedere il proprio quotidiano trasformato nel vecchio e caro giornaletto a fumetti "il Monello" che dava conto, appunto, delle avventure dello spavaldo e intrepido Superbone.

Neppure l'articolessa di Francesco Merlo, volato a beccare nei giorni scorsi le vanità-velleità del segretario-sindaco del Pd, ha frenato però la libidine dei repubblichini di Mauro nel celebrare ogni giorno nei titoli di prima pagina le imprese (ardite) del santino gigliato.

E il popolo di sinistra, che sin dalla sua nascita si è sempre riconosciuto nel quotidiano-partito creato dal sommo Scalfari, sembra gradire poco le "ola" di giubilo con cui "la Repubblica" accompagna le eroiche gesta di Renzi-Superbone.

Anche quando Renzuccio, tra una gaffe e l'altra, va contro il proprio partito (Pd), il governo amico (Letta) e il presidente-rosso (pallido), Giorgio Napolitano.

Una piaggeria che comincia ad avere effetti sulle stesse vendite del quotidiano di Mauro, precipitato paurosamente sotto le trecentomila copie vendute.
aaaa42
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Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da aaaa42 »

in questo post è stato ripreso il problema : MATTEO RENZI E LA PENSIONE.

rimandiamo al post.

Si dice che il problema pensione di Renzi sia uguale alla ministra che si dimise.

Sembra che questa affermazione sia falsa.

La ministra sembra , sembra che sia stata assunta dal marito.

Queste sono le fonti giornalistiche.

Se cosi è il marito persona fisica ditta individuale non poteva assumere la moglie.

Nel caso di Matteo Renzi l' assunzione come dirigente è stata eseguita non dalla madre ma da una società giuridica srl .

In questo caso l' assunzione è formalmente valida.

Il problema è un altro la EFFETTIVITA' del rapporto di lavoro.
La presunzione di un rapporto di lavoro a titolo gratuito o retribuito non secondo le disposizione previste dal contratto di lavoro subordinato.

Come è possibile verificare se il rapporto di lavoro di Matteo Renzi con la società SRL amministrata dalla mamma era genuino o no ?
Ultima modifica di aaaa42 il 21/03/2014, 14:37, modificato 1 volta in totale.
paolo11
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Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da paolo11 »

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/03/ ... zi/270998/
Bel Pietro a Servizio Pubblico.
Bella azione che ha fatto Renzi.
Uguale agli altri?
Ciao
Paolo11
aaaa42
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Re: Matteo Renzi è il sindaco più assenteista d'Italia

Messaggio da aaaa42 »

sembra che matteo cervello fino voglia mettere la marcegaglia a capo di una azienda pubblica.
matteo dice che marcegaglia è una femmina.
anche la moglie di renzi è una femmina e da insegnante ragiona meglio della marcegaglia.

quindi prepariamo l' insegnante donna con un corso full immersion di 3 settimane e la nominiamo presidente dell' eni cosi non assassiniamo enrico mattei due volte.
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