Anch'io, anche perché per associazione di idee mi sono ricordato di chi in altra sede parlava dei "nostri lettori" che erano altrettanto eventuali.Amadeus ha scritto:mariok ha scritto:Monti risponde a La Padania e ai suoi "eventuali" lettori
L'ironica risposta del presidente del Consiglio all'articolo con cui oggi La Padania si occupa di una sua casa fantasma in Svizzera
"Pur non essendo ovviamente tenuto a fornire informazioni di questa natura - nello spirito di reciproca e crescente fiducia che avverto nei rapporti con i cittadini del Nord - intendo informare gli eventuali lettori de La Padania che una delle affermazioni figuranti nell'articolo ("non risulterebbero dichiarazioni di Monti per proprietà in Svizzera") è corretta. Infatti né io, né i miei familiari possediamo proprietà in Svizzera".
Fonte: Ansa
non so voi....ma io appena ho letto EVENTUALI mi sono sbellicata .
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Dopo le parole di Alfano, sulla «sinistra che porterà le nozze gay», e la dura replica di Vendola («Parole volgari»), la polemica sul tema dei diritti degli omosessuali è riesplosa dentro il Pd. «Il matrimonio però è solo eterosessuale, è un punto molto fermo», ha detto Rosy Bindi. «Il Pd non ignorerà i diritti di tutti, ma per le unioni gay non userei mai la parola matrimonio».
Parole che sono andate di traverso a Paola Concia, deputata Pd e omosessuale, che si è sposata la scorsa estate in Germania: «Bindi, sei ossessionata dal fatto di dover parlare alle gerarchie cattoliche anziché a tutti i cittadini». «Cadi - dice ancora Concia - nel trappolone becero di quelli come Alfano che sanno che tanti dirigenti del Pd e di tutta la sinistra non hanno il coraggio di difendere i diritti di chi diritti non ha. Di dire parole chiare».
«Sai Bindi - conclude Concia - non sei una buona cristiana se non metti al centro la dignità umana, il rispetto di tutti, la felicità di tutti. Il mio sogno è sentir dire da dirigenti del mio partito con coraggio “sì, noi difendiamo i diritti degli omosessuali con orgoglio”. Se non ne siete in grado lasciate il passo, perché i cittadini senza diritti sono stanchi».
Molto critiche con Bindi anche le associazioni gay: «Dal Pd sempre dei no, quando arrivano le vostre proposte?». Controreplica di Bindi: «Credo di aver dimostrato in diverse occasioni di saper praticare l’autonomia della politica e la distinzione tra l’esercizio di una responsabilità pubblica e le mie convinzioni religiose. Né credo di dover dare prove, né a Paola Concia né ad altri, di avere a cuore la dignità e i diritti delle persone, senza distinzioni». «Se vogliamo colmare in modo laico e serio una lacuna reale, è bene riconoscere le differenze, per tutelare meglio la specificità delle relazioni affettive tra persone omosessuali. Quando andremo al governo regoleremo questa materia».
«Mi auguro che il Pd non si divida ma sia netto e determinato sui diritti delle coppie omosessuali», dice Ignazio Marino. Alfano, intanto, fa una mezza retromarcia: «le mie parole sono state strumentalizzate in modo doloso». E Vendola: «Ad Alfano dico: la politica, prima di parlare della vita delle persone, impari il rispetto e l’ascolto».
http://www.unita.it/italia/nozze-gay-ro ... a-1.390536
leggete anche i commenti
Parole che sono andate di traverso a Paola Concia, deputata Pd e omosessuale, che si è sposata la scorsa estate in Germania: «Bindi, sei ossessionata dal fatto di dover parlare alle gerarchie cattoliche anziché a tutti i cittadini». «Cadi - dice ancora Concia - nel trappolone becero di quelli come Alfano che sanno che tanti dirigenti del Pd e di tutta la sinistra non hanno il coraggio di difendere i diritti di chi diritti non ha. Di dire parole chiare».
«Sai Bindi - conclude Concia - non sei una buona cristiana se non metti al centro la dignità umana, il rispetto di tutti, la felicità di tutti. Il mio sogno è sentir dire da dirigenti del mio partito con coraggio “sì, noi difendiamo i diritti degli omosessuali con orgoglio”. Se non ne siete in grado lasciate il passo, perché i cittadini senza diritti sono stanchi».
Molto critiche con Bindi anche le associazioni gay: «Dal Pd sempre dei no, quando arrivano le vostre proposte?». Controreplica di Bindi: «Credo di aver dimostrato in diverse occasioni di saper praticare l’autonomia della politica e la distinzione tra l’esercizio di una responsabilità pubblica e le mie convinzioni religiose. Né credo di dover dare prove, né a Paola Concia né ad altri, di avere a cuore la dignità e i diritti delle persone, senza distinzioni». «Se vogliamo colmare in modo laico e serio una lacuna reale, è bene riconoscere le differenze, per tutelare meglio la specificità delle relazioni affettive tra persone omosessuali. Quando andremo al governo regoleremo questa materia».
«Mi auguro che il Pd non si divida ma sia netto e determinato sui diritti delle coppie omosessuali», dice Ignazio Marino. Alfano, intanto, fa una mezza retromarcia: «le mie parole sono state strumentalizzate in modo doloso». E Vendola: «Ad Alfano dico: la politica, prima di parlare della vita delle persone, impari il rispetto e l’ascolto».
http://www.unita.it/italia/nozze-gay-ro ... a-1.390536
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MEDIA & REGIME | di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 marzo 2012 Commenti (37)
Rai, rigettato il ricorso d’urgenza di Augusto Minzolini per il reintegro al Tg1
L'ex direttore è stato rimosso lo scorso dicembre dopo il rinvio a giudizio per peculato in relazione all'utilizzo della carta di credito aziendale
Il giudice del lavoro del tribunale di Roma ha rigettato il ricorso d’urgenza di Augusto Minzolini per ottenere il reintegro alla direzione del Tg1, da dove è stato rimosso lo scorso dicembre dopo il rinvio a giudizio per peculato in relazione all’utilizzo della carta di credito aziendale.
I legali di Minzolini, il professor Federico Tedeschini e l’avvocato Nicola Petracca, attendono ora di conoscere il contenuto dell’ordinanza del giudice Giovanni Mimmo per presentare l’eventuale reclamo. Le motivazioni dovrebbero essere disponibili tra oggi pomeriggio e domattina.
Alla direzione del Tg1 resta, quindi, Alberto Maccari e si conferma, almeno in questa istanza, l’esattezza dell’interpretazione della legge n. 97/2001 sulle società a prevalenza di capitale pubblico da parte della Rai in relazione a dipendenti per i quali è in atto un procedimento penale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... ro/196697/
Giustizia è (quasi) fatta
Rai, rigettato il ricorso d’urgenza di Augusto Minzolini per il reintegro al Tg1
L'ex direttore è stato rimosso lo scorso dicembre dopo il rinvio a giudizio per peculato in relazione all'utilizzo della carta di credito aziendale
Il giudice del lavoro del tribunale di Roma ha rigettato il ricorso d’urgenza di Augusto Minzolini per ottenere il reintegro alla direzione del Tg1, da dove è stato rimosso lo scorso dicembre dopo il rinvio a giudizio per peculato in relazione all’utilizzo della carta di credito aziendale.
I legali di Minzolini, il professor Federico Tedeschini e l’avvocato Nicola Petracca, attendono ora di conoscere il contenuto dell’ordinanza del giudice Giovanni Mimmo per presentare l’eventuale reclamo. Le motivazioni dovrebbero essere disponibili tra oggi pomeriggio e domattina.
Alla direzione del Tg1 resta, quindi, Alberto Maccari e si conferma, almeno in questa istanza, l’esattezza dell’interpretazione della legge n. 97/2001 sulle società a prevalenza di capitale pubblico da parte della Rai in relazione a dipendenti per i quali è in atto un procedimento penale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... ro/196697/
Giustizia è (quasi) fatta
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Homepage > BLOG di Marco Travaglio
di Marco Travaglio | 13 marzo 2012 Commenti (284)
Fate schifo
Ma interessa ancora a qualcuno sapere perché vent’anni fa è morto Paolo Borsellino con gli uomini di scorta? Sapere perché l’anno seguente sono morte 5 persone e 29 sono rimaste ferite nell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, altre 5 sono morte e altre 10 sono rimaste ferite in via Palestro a Milano, altre 17 sono rimaste ferite a Roma davanti alle basiliche? Interessa a qualcuno tutto ciò, a parte un pugno di pm, giornalisti e cittadini irriducibili? Oppure la verità su quell’orrendo biennio è una questione privata fra la mafia e i parenti dei morti ammazzati?
È questa, al di là delle dotte e tartufesche disquisizioni sul concorso esterno in associazione mafiosa, la domanda che non trova risposta nel dibattito (si fa per dire) seguìto alla sentenza di Cassazione su Marcello Dell’Utri e alle parole a vanvera di un sostituto Pg. O meglio, una risposta la trova: non interessa a nessuno. A parte i soliti Di Pietro e Vendola, famigerati protagonisti della “foto di Vasto” che va cancellata o ritoccata come ai tempi di Stalin, magari col photoshop, non c’è leader politico che dica: “Voglio sapere”. Anzi, dalle dichiarazioni dei politici che danno aria alla bocca senza sapere neppure di cosa parlano, traspare un corale “non vogliamo sapere”.
Forse perché sanno bene quel che emergerebbe, a lasciar fare i magistrati che vogliono sapere: il segreto che accomuna pezzi di Prima e Seconda Repubblica, ministri e alti ufficiali bugiardi e smemorati, politici, istituzioni, apparati, forze dell’ordine, servizi di sicurezza. Quel segreto che viene violato solo quando proprio non se ne può fare a meno perché mafiosi e figli di mafiosi han cominciato a svelarlo. Quel segreto che ha garantito carriere ai depositari e ai loro complici. Già quel poco che si sa – che poi poco non è – è insopportabile per un sistema che si ostina a raccontarci la favoletta dello Stato da una parte e dell’Antistato dall’altra, l’un contro l’altro armati. La leggenda del “mai abbassare la guardia”, delle “centinaia di arresti e sequestri”, “della linea della fermezza”, del “tutti uniti contro la mafia”, mentre dietro le quinte si tresca con quella per venire a patti, avere voti, usarla come braccio armato e regolare i conti sporchi della politica, rimuovendo un ostacolo dopo l’altro: da Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, giù giù fino a Falcone e Borsellino.
Ora, nel ventennale di Capaci e via D’Amelio, prepariamoci a un surplus di retorica, nastri tagliati, cippi, busti e monumenti equestri, moniti quirinalizi, lacrime tecniche e sobrie, corone di fiori delle alte cariche dello Stato (anche del presidente del Senato indagato per concorso esterno che spiega all’Annunziata la sua teoria di giurista super partes sul concorso esterno senza neppure arrossire). Sfileranno in corteo trasversale quelli che -come da papello – han chiuso Pianosa e Asinara, svuotato il 41-bis facendo finta di stabilizzarlo come da papello, abolito i pentiti per legge, tentato di abolire pure l’ergastolo, regalato ai riciclatori mafiosi tre scudi fiscali.
Quelli che han detto “con la mafia bisogna convivere” e ci sono riusciti benissimo. Casomai interessasse a qualcuno, i disturbatori della quiete pubblica riuniti nell’Associazione vittime di via dei Georgofili, guidata da una donna eccezionale, Giovanna Maggiani Chelli, hanno appena reso noto la sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha mandato all’ergastolo l’ultimo boss stragista, Francesco Tagliavia. “Una trattativa – scrivono i giudici – indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Dopo il concorso esterno, se ci fosse un po’ di giustizia, la Cassazione dovrebbe abolire anche la strage. Oppure unificare i due reati in uno solo, chiamato “schifo”.
Il Fatto Quotidiano, 13 Marzo 2012
di Marco Travaglio | 13 marzo 2012 Commenti (284)
Fate schifo
Ma interessa ancora a qualcuno sapere perché vent’anni fa è morto Paolo Borsellino con gli uomini di scorta? Sapere perché l’anno seguente sono morte 5 persone e 29 sono rimaste ferite nell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, altre 5 sono morte e altre 10 sono rimaste ferite in via Palestro a Milano, altre 17 sono rimaste ferite a Roma davanti alle basiliche? Interessa a qualcuno tutto ciò, a parte un pugno di pm, giornalisti e cittadini irriducibili? Oppure la verità su quell’orrendo biennio è una questione privata fra la mafia e i parenti dei morti ammazzati?
È questa, al di là delle dotte e tartufesche disquisizioni sul concorso esterno in associazione mafiosa, la domanda che non trova risposta nel dibattito (si fa per dire) seguìto alla sentenza di Cassazione su Marcello Dell’Utri e alle parole a vanvera di un sostituto Pg. O meglio, una risposta la trova: non interessa a nessuno. A parte i soliti Di Pietro e Vendola, famigerati protagonisti della “foto di Vasto” che va cancellata o ritoccata come ai tempi di Stalin, magari col photoshop, non c’è leader politico che dica: “Voglio sapere”. Anzi, dalle dichiarazioni dei politici che danno aria alla bocca senza sapere neppure di cosa parlano, traspare un corale “non vogliamo sapere”.
Forse perché sanno bene quel che emergerebbe, a lasciar fare i magistrati che vogliono sapere: il segreto che accomuna pezzi di Prima e Seconda Repubblica, ministri e alti ufficiali bugiardi e smemorati, politici, istituzioni, apparati, forze dell’ordine, servizi di sicurezza. Quel segreto che viene violato solo quando proprio non se ne può fare a meno perché mafiosi e figli di mafiosi han cominciato a svelarlo. Quel segreto che ha garantito carriere ai depositari e ai loro complici. Già quel poco che si sa – che poi poco non è – è insopportabile per un sistema che si ostina a raccontarci la favoletta dello Stato da una parte e dell’Antistato dall’altra, l’un contro l’altro armati. La leggenda del “mai abbassare la guardia”, delle “centinaia di arresti e sequestri”, “della linea della fermezza”, del “tutti uniti contro la mafia”, mentre dietro le quinte si tresca con quella per venire a patti, avere voti, usarla come braccio armato e regolare i conti sporchi della politica, rimuovendo un ostacolo dopo l’altro: da Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, giù giù fino a Falcone e Borsellino.
Ora, nel ventennale di Capaci e via D’Amelio, prepariamoci a un surplus di retorica, nastri tagliati, cippi, busti e monumenti equestri, moniti quirinalizi, lacrime tecniche e sobrie, corone di fiori delle alte cariche dello Stato (anche del presidente del Senato indagato per concorso esterno che spiega all’Annunziata la sua teoria di giurista super partes sul concorso esterno senza neppure arrossire). Sfileranno in corteo trasversale quelli che -come da papello – han chiuso Pianosa e Asinara, svuotato il 41-bis facendo finta di stabilizzarlo come da papello, abolito i pentiti per legge, tentato di abolire pure l’ergastolo, regalato ai riciclatori mafiosi tre scudi fiscali.
Quelli che han detto “con la mafia bisogna convivere” e ci sono riusciti benissimo. Casomai interessasse a qualcuno, i disturbatori della quiete pubblica riuniti nell’Associazione vittime di via dei Georgofili, guidata da una donna eccezionale, Giovanna Maggiani Chelli, hanno appena reso noto la sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha mandato all’ergastolo l’ultimo boss stragista, Francesco Tagliavia. “Una trattativa – scrivono i giudici – indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Dopo il concorso esterno, se ci fosse un po’ di giustizia, la Cassazione dovrebbe abolire anche la strage. Oppure unificare i due reati in uno solo, chiamato “schifo”.
Il Fatto Quotidiano, 13 Marzo 2012
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GIUSTIZIA & IMPUNITÀ | di Gianni Barbacetto | 14 marzo 2012 Commenti (14)
L’ultimo corriere delle tangenti: “Quando Letta mi portava le mazzette di B. al Psdi”
Nel 1993 di Mani pulite è dovuto fuggire in Francia per evitare l’arresto: "Già allora con i pm avevo accennato a Berlusconi, ma nessuno mi ha chiesto di approfondire. Era diventato grande fan di Mani pulite ed è stato salvato da Di Pietro, almeno fino al 1994"
Per trovare l’ultimo, dimenticato corriere delle tangenti della Prima Repubblica bisogna arrivare fin quassù, in Alta Savoia, panorama mozzafiato, con una corona di monti a fare la guardia alla valle che si apre in territorio francese, appena sbucati dal tunnel del Monte Bianco. Roberto Buzio, 63 anni, dal 2004 è cittadino francese. Molti quassù lo ricordano come il gestore di “Les Dômes de Miage”, un delizioso ristorante di Saint Gervais les Bains specializzato nei risotti italiani. Ma ora ha riposto il cappello da chef e si occupa di compravendite immobiliari, insieme con la giovane moglie, che negli anni Ottanta in Italia partecipò come cantante a un’edizione del festival di Sanremo.
Tangenti pagate fino al 1992 ai partiti della Prima Repubblica da Silvio Berlusconi, attraverso Gianni Letta. È questo che racconta, pur con mille cautele. Perché nella sua vita precedente, che non ha mai dimenticato, Buzio era – ripete con orgoglio – “un uomo politico” nell’Italia dei partiti: “Sì, sono stato per quindici anni il segretario di Giuseppe Saragat. E poi, dopo la sua morte, ho continuato a fare politica per il Psdi, il partito socialdemocratico”. Nel 1993 di Mani pulite ha dovuto scappare dall’Italia, per evitare l’arresto. Ha cominciato la sua nuova vita in Francia. Ma prima che tutto crollasse, ha fatto in tempo a sapere e vedere molte cose. “Antonio Cariglia, ultimo presidente del Psdi, mi chiese di andare da alcuni imprenditori a raccogliere contributi per il partito. Tra questi, c’era anche Berlusconi, che fino al 1992 ha sostenuto i partiti della Prima Repubblica. Ho ricevuto diversi contributi di Berlusconi dalle mani di Gianni Letta. L’ultimo, a ridosso delle elezioni dell’aprile 1992: avevamo capito che erano l’ultima spiaggia. Lo andai a ritirare in un ufficio nel centro di Milano. Quella volta non c’era Letta, ma un altro personaggio”.
Negli archivi di Mani pulite c’è la traccia di una tangente pagata da Letta a Buzio: 70 milioni di lire, versati nel 1989. Anche Letta l’ha ammessa, in un interrogatorio ad Antonio Di Pietro. Ma tutto è coperto dalla provvidenziale amnistia che arrivò quell’anno. “Intanto non erano 70, bensì 200 milioni”, racconta oggi Buzio. “E poi rivelammo solo quella, d’accordo con i nostri avvocati, perché sapevamo che era annullata dall’amnistia. Ma i pagamenti continuarono fino al 1992. Erano parecchie centinaia di milioni. Non solo, nell’ambiente sapevamo che a riscuotere non era soltanto il Psdi: Berlusconi sosteneva tutto il pentapartito”.
Di più non vuol dire. Buzio anzi s’arrabbia se gli si chiede di specificare fatti, nomi, luoghi, cifre. “Siete come Di Pietro. Ma Di Pietro ha distrutto l’Italia, ha preso solo i ladri di polli, ha provocato la morte civile di migliaia di persone, ha rovinato la vita a quelli come me. Sì, ho ritirato contributi per il partito. L’ho fatto e lo rifarei: era una giusta ridistribuzione del reddito, erano soldi che gli imprenditori restituivano ai cittadini . Noi li abbiamo usati per fare politica”.
Non è un “pentito”, dunque, Roberto Buzio. Anzi. Continua a essere orgoglioso del ruolo che ha avuto, a fianco di Saragat. Ed è rimasto un implacabile nemico dei magistrati: “I pm di Milano hanno compiuto ingiustizie gravissime. E il gip Italo Ghitti ha disposto il mio arresto, il 26 febbraio 1993, senza uno straccio di prova, solo la parola di Enzo Papi, l’amministratore delegato di Cogefar Impresit, gruppo Fiat, che non conosceva neppure il mio nome: nei verbali mi chiama Burzio, invece che Buzio. Sosteneva di avermi consegnato 300 milioni per un appalto Enel. Macché appalti Enel! Era il sostegno della Fiat al partito. Si può arrestare un uomo solo sulla base di chiacchiere? Io ho una storia, mio padre Luigi Buzio, prima di me, è stato senatore del Psdi. E io non sono finito a San Vittore soltanto perché ero già qui in Francia”.
Poi gli avvisi di garanzia si moltiplicarono, Buzio trattò “la resa” tramite i suoi avvocati (“Chissà chi li ha pagati? Io ho dato loro solo qualche milione, chi avrà versato il resto?”), evitò il carcere. Fu interrogato dai magistrati, poi vennero i patteggiamenti e le assoluzioni. “Sono stato interrogato più volte, da Antonio Di Pietro e da Gherardo Colombo. E ho capito questo: delle tante cose che noi indagati dicevamo, solo alcune venivano sviluppate, altre erano invece lasciate cadere. Io già allora avevo accennato a Berlusconi, ma nessuno mi ha chiesto di approfondire. Berlusconi, diventato grande fan di Mani pulite, è stato salvato da Di Pietro, almeno fino al 1994. Se lo avessero indagato seriamente già nel 1992, la storia d’Italia sarebbe stata diversa. Ai pm ho riferito anche di un contributo promesso dal segretario di Gianni Agnelli a Roma: Di Pietro si segnò il nome su un foglietto, poi non ne fece niente. Ecco la mia rabbia: alcuni sono stati perseguitati, altri sono stati salvati”.
Buzio guarda fuori dalla finestra i monti, la valle, le luci che si accendono. “Se la sono presa con Domenico Modugno, a cui il mio partito aveva dato 500 milioni di lire per fare dei concerti durante la campagna elettorale. E hanno distrutto in un attimo chi come me aveva fatto politica tutta la vita. Non hanno invece perseguito i furbi che sono ancora oggi in azione. Cosa crede? Che non sarei potuto andare anch’io da Berlusconi, negli anni scorsi? Ora sarei deputato. Ma a me interessa ristabilire la verità storica. Lo farò, a ogni costo. Ho preferito fare il cuoco: Saragat, che conosceva bene la Francia, mi diceva: ‘In Francia rispettano due figure: il sindaco e lo chef’. Io ho fatto lo chef. Adesso non voglio vendetta, ma giustizia. Avrei tante cose da raccontare, sui furbi e sui riciclati”. Così parla Roberto Buzio, irriducibile della Prima Repubblica. Poi si richiude nel suo silenzio, mentre in Alta Savoia cade la notte.
da Il Fatto Quotidiano del 14 marzo 2012
L’ultimo corriere delle tangenti: “Quando Letta mi portava le mazzette di B. al Psdi”
Nel 1993 di Mani pulite è dovuto fuggire in Francia per evitare l’arresto: "Già allora con i pm avevo accennato a Berlusconi, ma nessuno mi ha chiesto di approfondire. Era diventato grande fan di Mani pulite ed è stato salvato da Di Pietro, almeno fino al 1994"
Per trovare l’ultimo, dimenticato corriere delle tangenti della Prima Repubblica bisogna arrivare fin quassù, in Alta Savoia, panorama mozzafiato, con una corona di monti a fare la guardia alla valle che si apre in territorio francese, appena sbucati dal tunnel del Monte Bianco. Roberto Buzio, 63 anni, dal 2004 è cittadino francese. Molti quassù lo ricordano come il gestore di “Les Dômes de Miage”, un delizioso ristorante di Saint Gervais les Bains specializzato nei risotti italiani. Ma ora ha riposto il cappello da chef e si occupa di compravendite immobiliari, insieme con la giovane moglie, che negli anni Ottanta in Italia partecipò come cantante a un’edizione del festival di Sanremo.
Tangenti pagate fino al 1992 ai partiti della Prima Repubblica da Silvio Berlusconi, attraverso Gianni Letta. È questo che racconta, pur con mille cautele. Perché nella sua vita precedente, che non ha mai dimenticato, Buzio era – ripete con orgoglio – “un uomo politico” nell’Italia dei partiti: “Sì, sono stato per quindici anni il segretario di Giuseppe Saragat. E poi, dopo la sua morte, ho continuato a fare politica per il Psdi, il partito socialdemocratico”. Nel 1993 di Mani pulite ha dovuto scappare dall’Italia, per evitare l’arresto. Ha cominciato la sua nuova vita in Francia. Ma prima che tutto crollasse, ha fatto in tempo a sapere e vedere molte cose. “Antonio Cariglia, ultimo presidente del Psdi, mi chiese di andare da alcuni imprenditori a raccogliere contributi per il partito. Tra questi, c’era anche Berlusconi, che fino al 1992 ha sostenuto i partiti della Prima Repubblica. Ho ricevuto diversi contributi di Berlusconi dalle mani di Gianni Letta. L’ultimo, a ridosso delle elezioni dell’aprile 1992: avevamo capito che erano l’ultima spiaggia. Lo andai a ritirare in un ufficio nel centro di Milano. Quella volta non c’era Letta, ma un altro personaggio”.
Negli archivi di Mani pulite c’è la traccia di una tangente pagata da Letta a Buzio: 70 milioni di lire, versati nel 1989. Anche Letta l’ha ammessa, in un interrogatorio ad Antonio Di Pietro. Ma tutto è coperto dalla provvidenziale amnistia che arrivò quell’anno. “Intanto non erano 70, bensì 200 milioni”, racconta oggi Buzio. “E poi rivelammo solo quella, d’accordo con i nostri avvocati, perché sapevamo che era annullata dall’amnistia. Ma i pagamenti continuarono fino al 1992. Erano parecchie centinaia di milioni. Non solo, nell’ambiente sapevamo che a riscuotere non era soltanto il Psdi: Berlusconi sosteneva tutto il pentapartito”.
Di più non vuol dire. Buzio anzi s’arrabbia se gli si chiede di specificare fatti, nomi, luoghi, cifre. “Siete come Di Pietro. Ma Di Pietro ha distrutto l’Italia, ha preso solo i ladri di polli, ha provocato la morte civile di migliaia di persone, ha rovinato la vita a quelli come me. Sì, ho ritirato contributi per il partito. L’ho fatto e lo rifarei: era una giusta ridistribuzione del reddito, erano soldi che gli imprenditori restituivano ai cittadini . Noi li abbiamo usati per fare politica”.
Non è un “pentito”, dunque, Roberto Buzio. Anzi. Continua a essere orgoglioso del ruolo che ha avuto, a fianco di Saragat. Ed è rimasto un implacabile nemico dei magistrati: “I pm di Milano hanno compiuto ingiustizie gravissime. E il gip Italo Ghitti ha disposto il mio arresto, il 26 febbraio 1993, senza uno straccio di prova, solo la parola di Enzo Papi, l’amministratore delegato di Cogefar Impresit, gruppo Fiat, che non conosceva neppure il mio nome: nei verbali mi chiama Burzio, invece che Buzio. Sosteneva di avermi consegnato 300 milioni per un appalto Enel. Macché appalti Enel! Era il sostegno della Fiat al partito. Si può arrestare un uomo solo sulla base di chiacchiere? Io ho una storia, mio padre Luigi Buzio, prima di me, è stato senatore del Psdi. E io non sono finito a San Vittore soltanto perché ero già qui in Francia”.
Poi gli avvisi di garanzia si moltiplicarono, Buzio trattò “la resa” tramite i suoi avvocati (“Chissà chi li ha pagati? Io ho dato loro solo qualche milione, chi avrà versato il resto?”), evitò il carcere. Fu interrogato dai magistrati, poi vennero i patteggiamenti e le assoluzioni. “Sono stato interrogato più volte, da Antonio Di Pietro e da Gherardo Colombo. E ho capito questo: delle tante cose che noi indagati dicevamo, solo alcune venivano sviluppate, altre erano invece lasciate cadere. Io già allora avevo accennato a Berlusconi, ma nessuno mi ha chiesto di approfondire. Berlusconi, diventato grande fan di Mani pulite, è stato salvato da Di Pietro, almeno fino al 1994. Se lo avessero indagato seriamente già nel 1992, la storia d’Italia sarebbe stata diversa. Ai pm ho riferito anche di un contributo promesso dal segretario di Gianni Agnelli a Roma: Di Pietro si segnò il nome su un foglietto, poi non ne fece niente. Ecco la mia rabbia: alcuni sono stati perseguitati, altri sono stati salvati”.
Buzio guarda fuori dalla finestra i monti, la valle, le luci che si accendono. “Se la sono presa con Domenico Modugno, a cui il mio partito aveva dato 500 milioni di lire per fare dei concerti durante la campagna elettorale. E hanno distrutto in un attimo chi come me aveva fatto politica tutta la vita. Non hanno invece perseguito i furbi che sono ancora oggi in azione. Cosa crede? Che non sarei potuto andare anch’io da Berlusconi, negli anni scorsi? Ora sarei deputato. Ma a me interessa ristabilire la verità storica. Lo farò, a ogni costo. Ho preferito fare il cuoco: Saragat, che conosceva bene la Francia, mi diceva: ‘In Francia rispettano due figure: il sindaco e lo chef’. Io ho fatto lo chef. Adesso non voglio vendetta, ma giustizia. Avrei tante cose da raccontare, sui furbi e sui riciclati”. Così parla Roberto Buzio, irriducibile della Prima Repubblica. Poi si richiude nel suo silenzio, mentre in Alta Savoia cade la notte.
da Il Fatto Quotidiano del 14 marzo 2012
Re: Top News
POLITICA & PALAZZO | di Mario Portanova | 15 marzo 2012
I bilanci della Margherita sono ancora “segreti”, ora la parola passa agli avvocati
A un mese e mezzo dall'esplosione del caso Lusi, Rutelli e Bianco rifiutano di mostrare i documenti contabili dell'ex partito ai componenti dell'Assemblea federale. Così il "dissidente" Luciano Neri, oggi dirigente del Pd, ha deciso di imboccare le vie legali per poter controllare di persona dove sono finiti i soldiFrancesco Rutelli In quello che resta della Margherita comincia la battaglia per carte bollate. Perché a un mese e mezzo dall’esplosione del caso Lusi, i bilanci dell’ex partito sono ancora chiusi in cassaforte. I vertici dell’ex partito – a cominciare dal presidente Enzo Bianco – rispondono con il silenzio alle richieste di visione che arrivano dai membri dell’assemblea federale, l’organo sopravvissuto allo scioglimento nel Pd deliberato nel 2007. Così, per iniziativa di uno di loro, Luciano Neri, oggi responsabile della Consulta italiani del Mondo dei democratici, ora la parola passa agli avvocati.
“Insieme ad altri membri dell’assemblea ho dato mandato a un gruppo di legali di inviare un’istanza ai dirigenti, per diffidarli dal prendere qualsiasi decisione gestionale e, appunto, perché mettano a nostra disposizione i bilanci degli ultimi cinque anni, con i relativi documenti contabili”, spiega Neri al ilfattoquotidiano.it. Destinatari dell’ingiunzione, il presidente dell’assemblea federale Enzo Bianco, il presidente del partito Francesco Rutelli, il presidente del Comitato di tesoreria Gianpiero Bocci.
Già un mese fa Neri, in veste di membro dell’Assemblea federale, che tra l’altro è l’organo che quei bilanci ha approvato, aveva inviato una richiesta formale a Bianco per poter visionare i conti, diventati oggetto dell’inchiesta della Procura di Roma contro l’ex tesoriere Luigi Lusi. “Bianco non mi ha neppure risposto”, afferma Neri, che così ha deciso di imboccare la via dell’azione legale.
Il paradosso è che mentre le ricevute delle “spese folli” del senatore Lusi – tra acquisti di immobili e vacanze extralusso in giro per il mondo – filtrano dall’inchiesta giudiziaria e finiscono sui giornali, “noi ‘azionisti’ del partito siamo ancora tenuti all’oscuro di tutto”, commenta Neri. “La mia sensazione è che l’attuale gruppo dirigente voglia scaricare tutte le responsabilità sull’ex tesoriere ormai ‘bruciato’ dall’inchiesta e arrivare a una rapida liquidazione di ciò che rimane del partito”.
Invece ci sarebbero tante vicende ancora da chiarire. Nel 2007, la Margherita vota per la confluenza nel Pd insieme ai Ds. Ma Rutelli, in disaccordo con quella scelta politica, fonda l’Api, un partito centrista concorrente del Pd, e ne diventa presidente. Ma non molla la poltrona di numero uno della Margherita. “E’ incredibile”, continua Neri, “è come se il presidente della Fiat diventasse il numero uno della Volkswagen, ma allo stesso tempo mantenesse il controllo del gruppo torinese e dei suoi bilanci. Una cosa assurda. Ci sono le inchieste giudiziarie, ma ci sono anche le responsabilità politiche”.
Ai microfoni di Radio 24, Bianco promette di convocare l’Assemblea federale nei prossimi giorni. “Proporrò che le risorse non spese siano destinate a iniziative di carattere sociale pubblico, in modo da restituirle allo Stato”. Si tratta infatti di fondi ottenuti esclusivamente a titolo di rimborsi elettorali. L’identica soluzione era stata proposta da Neri l’anno scorso, all’assemblea federale del 20 giugno (e Rutelli si arrabbiò molto, guarda il video), con tanto di indicazione dei possibili beneficiari: Emergency, Medici senza frontiere, Caritas… Ma all’epoca il caso Lusi era di là da venire e l’idea cadde nel vuoto. Oggi l’ammanco nelle casse della Margherita è valutato in 20 milioni di euro.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... ti/197350/
I bilanci della Margherita sono ancora “segreti”, ora la parola passa agli avvocati
A un mese e mezzo dall'esplosione del caso Lusi, Rutelli e Bianco rifiutano di mostrare i documenti contabili dell'ex partito ai componenti dell'Assemblea federale. Così il "dissidente" Luciano Neri, oggi dirigente del Pd, ha deciso di imboccare le vie legali per poter controllare di persona dove sono finiti i soldiFrancesco Rutelli In quello che resta della Margherita comincia la battaglia per carte bollate. Perché a un mese e mezzo dall’esplosione del caso Lusi, i bilanci dell’ex partito sono ancora chiusi in cassaforte. I vertici dell’ex partito – a cominciare dal presidente Enzo Bianco – rispondono con il silenzio alle richieste di visione che arrivano dai membri dell’assemblea federale, l’organo sopravvissuto allo scioglimento nel Pd deliberato nel 2007. Così, per iniziativa di uno di loro, Luciano Neri, oggi responsabile della Consulta italiani del Mondo dei democratici, ora la parola passa agli avvocati.
“Insieme ad altri membri dell’assemblea ho dato mandato a un gruppo di legali di inviare un’istanza ai dirigenti, per diffidarli dal prendere qualsiasi decisione gestionale e, appunto, perché mettano a nostra disposizione i bilanci degli ultimi cinque anni, con i relativi documenti contabili”, spiega Neri al ilfattoquotidiano.it. Destinatari dell’ingiunzione, il presidente dell’assemblea federale Enzo Bianco, il presidente del partito Francesco Rutelli, il presidente del Comitato di tesoreria Gianpiero Bocci.
Già un mese fa Neri, in veste di membro dell’Assemblea federale, che tra l’altro è l’organo che quei bilanci ha approvato, aveva inviato una richiesta formale a Bianco per poter visionare i conti, diventati oggetto dell’inchiesta della Procura di Roma contro l’ex tesoriere Luigi Lusi. “Bianco non mi ha neppure risposto”, afferma Neri, che così ha deciso di imboccare la via dell’azione legale.
Il paradosso è che mentre le ricevute delle “spese folli” del senatore Lusi – tra acquisti di immobili e vacanze extralusso in giro per il mondo – filtrano dall’inchiesta giudiziaria e finiscono sui giornali, “noi ‘azionisti’ del partito siamo ancora tenuti all’oscuro di tutto”, commenta Neri. “La mia sensazione è che l’attuale gruppo dirigente voglia scaricare tutte le responsabilità sull’ex tesoriere ormai ‘bruciato’ dall’inchiesta e arrivare a una rapida liquidazione di ciò che rimane del partito”.
Invece ci sarebbero tante vicende ancora da chiarire. Nel 2007, la Margherita vota per la confluenza nel Pd insieme ai Ds. Ma Rutelli, in disaccordo con quella scelta politica, fonda l’Api, un partito centrista concorrente del Pd, e ne diventa presidente. Ma non molla la poltrona di numero uno della Margherita. “E’ incredibile”, continua Neri, “è come se il presidente della Fiat diventasse il numero uno della Volkswagen, ma allo stesso tempo mantenesse il controllo del gruppo torinese e dei suoi bilanci. Una cosa assurda. Ci sono le inchieste giudiziarie, ma ci sono anche le responsabilità politiche”.
Ai microfoni di Radio 24, Bianco promette di convocare l’Assemblea federale nei prossimi giorni. “Proporrò che le risorse non spese siano destinate a iniziative di carattere sociale pubblico, in modo da restituirle allo Stato”. Si tratta infatti di fondi ottenuti esclusivamente a titolo di rimborsi elettorali. L’identica soluzione era stata proposta da Neri l’anno scorso, all’assemblea federale del 20 giugno (e Rutelli si arrabbiò molto, guarda il video), con tanto di indicazione dei possibili beneficiari: Emergency, Medici senza frontiere, Caritas… Ma all’epoca il caso Lusi era di là da venire e l’idea cadde nel vuoto. Oggi l’ammanco nelle casse della Margherita è valutato in 20 milioni di euro.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... ti/197350/
Re: Top News
POLITICA ED ETICA
Voti contesi e tessere fantasma
È l'Italia dei brogli (bipartisan)
Da Palermo a Varese, epidemia di urne «col trucco»
Il 17 ottobre 2011 il signor Ampelio Ercolano Pizzato, di Bassano del Grappa, quantunque defunto da tempo, lasciò la sua dimora eterna per iscriversi al Pdl. Prova provata che, come Lui sostiene da anni, la sola evocazione di San Silvio da Arcore fa miracoli. Va però detto che, di prodigi simili, la politica trabocca. A destra, a sinistra, al centro...
L'ultimo caso è la decisione della Lega Nord di annullare le «primarie» di Varese che dovevano eleggere i delegati al congresso della Lombardia: alla conta c'erano 332 voti contro 329 votanti effettivi. Quanto bastava perché l'ex segretario Stefano Candiani, nella culla del Carroccio scossa dalle risse fratricide, dicesse: «Anche un solo voto fuori posto è una circostanza sgradevole. Non vedo alternative alla ripetizione del voto».
Il partito di Bossi, del resto, la «verginità» l'aveva già persa anni fa. Quando il presidente del movimento in Toscana, Vincenzo Soldati, era stato condannato con altri tre militanti per aver taroccato le firme necessarie a presentare la lista alle elezioni.
Varie inchieste giudiziarie, tuttavia, hanno dimostrato che non un partito, manco uno, è riuscito negli anni a rimanere del tutto estraneo a queste faccende. Basti ricordare, tra gli altri, il processo che a Udine, per le provinciali e le comunali del 1995, vide 12 persone finire in manette e 71 a giudizio appartenenti un po' a tutti i partiti, da An al Ccd, da Forza Italia al Pds, dai Verdi alla Lega Friuli e al Ppi. Furono coinvolti perfino, sia pure di striscio, i radicali, che storicamente hanno combattuto le battaglie più dure sul fronte della legalità nella raccolta delle firme, fino alla denuncia per brogli del governatore Roberto Formigoni.
E come dimenticare l'inchiesta genovese di qualche anno fa nella quale restarono inguaiati 49 esponenti di un po' tutti i partiti? Erano false 187 firme su 1.183 dell'asse Pri-Socialisti, 388 su 1.351 del Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, 310 su 1.148 del Msi-Fiamma tricolore, 314 su 1.261 delle Liste civiche associate, 53 su 1.133 del Ppi, 161 su 1.141 dei Verdi...
Per non dire delle inchieste aperte a Monza, Trento, Bologna, Rossano, Campobasso, dove la Digos indagando sulle regionali si spinse a denunciare 16 segretari provinciali di diversi partiti... Insomma, le cose avevano preso una piega tale che a metà luglio 2003, mentre la gente boccheggiava nell'estate più calda da decenni, il centrodestra decise di metterci una pezza varando (270 sì, 154 no, 5 astenuti) la depenalizzazione: basta con le manette, basta con la galera. Solo una multa. Il relatore Michele Saponara rassicurò che in fondo, queste truffe sulle firme, «non sono reati pericolosi socialmente».
Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Era da tempo, tuttavia, che non si accavallavano tanti imbrogli. Ancora trasversali. Ed ecco a sinistra lo scandalo delle primarie del Pd per le comunali 2011 a Napoli, dove la vittoria di Andrea Cozzolino è contestata dal segretario provinciale del partito Nicola Tremante: «In molti seggi ci sono stati consiglieri di municipalità ed esponenti dei partiti di centrodestra che hanno portato centinaia di persone a votare. Ne abbiamo le prove». E mostra foto scattate da un militante: «Qui siamo al seggio di San Carlo all'Arena dove si vede la presenza di un consigliere municipale del Pdl». Peggio: a Miano, a nord di Capodimonte, «hanno votato 1.606 persone in 8 ore: 200 l'ora. Tre al minuto. Tecnicamente impossibile».
Un trauma. Ripetuto giorni fa a Palermo. Dove Maurizio Sulli e la sua compagna Francesca Trapani (già indagata per favoreggiamento perché ospitava in casa sua Michele Catalano, arrestato con l'accusa di essere vicino al clan mafioso dei Lo Piccolo) sono indagati, ricorda l'Ansa, «per presunti illeciti nel voto alle primarie del centrosinistra, in vista dell'elezione del sindaco di Palermo, nel seggio allo Zen. Secondo testimonianze la donna e l'uomo avevano decine di certificati elettorali nella propria auto». Una brutta storia. Che ha portato all'annullamento dei voti in quel seggio e spinto il presidente della Toscana Enrico Rossi a sfogarsi su Facebook e Twitter: «Credo occorra trovare delle regole. Se in Internet si digita la parola "brogli", purtroppo viene fuori "brogli Palermo Pd" e "brogli Putin". Io sono un po' stufo di questo».
Imbarazzante. Unica consolazione, in base all'adagio «mal comune, mezzo gaudio», lo scandalo dei falsi iscritti al Popolo della libertà. Ricordate le dichiarazioni trionfali di Angelino Alfano ai primi di novembre? «Oltre un milione di italiani hanno deciso di iscriversi al Pdl. Molti più della somma degli iscritti ai partiti che l'hanno fondato». Giuseppe Castiglione gli fece coro: «Abbiamo doppiato anche le più rosee previsioni: il vero Big Bang siamo noi».
Non l'avesse mai detto! Poche settimane ed ecco il Big Bang vero. Ecco i dubbi nella Regione più grande, quella più amata dal Cavaliere, sintetizzati sul Corriere così: «Mai così tanti iscritti, mai così in basso nei sondaggi. Serve un matematico di quelli tosti per risolvere l'equazione a più incognite del Pdl in Lombardia». Ecco la denuncia sugli iscritti di Modena da parte di una berlusconiana Doc come Isabella Bertolini: «Scorrendo l'elenco dei nuovi tesserati, quasi 6 mila, ho notato un impetuoso aumento degli iscritti in alcuni Comuni a forte rischio di infiltrazioni... I sospetti sono aumentati quando ho verificato che molte iscrizioni erano in blocco, a famiglia, e che si trattava di persone provenienti da Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d'Aversa...»
Ecco la rivelazione, sul Fatto Quotidiano , di Gianni Barbacetto, che racconta come un dipendente del Cepu avesse «trovato sulla sua scrivania il modulo per l'iscrizione al Popolo della libertà. Con un ordine secco scritto a mano su un post-it : "Da consegnare firmato"». Ecco la militante antiberlusconiana del Pd che si ritrova iscritta al Pdl di Brescia con la tessera numero 158.378. Il cabarettista vicentino Dario Grendele, membro del gruppo «Risi & Bisi» che nega di aver mai dato il suo consenso e dice di essere stato imbarcato a sua insaputa esattamente come i sindaci vicentini di Brendola e Zanè e il segretario udc di Schio.
Seccante. Tanto più per il partito di Silvio Berlusconi, che aveva per anni rovesciato sospetti sugli avversari arrivando a invocare «osservatori dell'Onu» e a tuonare, dopo la sconfitta alle politiche 2006: «Secondo mie informazioni i professionisti della sinistra ci hanno sottratto circa un milione e settecentomila voti». Informazioni di chi? Sue.
Particolarmente sgradevole il caso della provincia berica, storica roccaforte del centrodestra. Dove sarebbe più o meno taroccata la metà delle 16 mila tessere d'iscrizione raccolte dall'eurodeputato Sergio Berlato, che fiero del suo bottino si era fatto fotografare con due valigie extralarge stracolme di adesioni. E dove Il Giornale di Vicenza ha via via raccolto testimonianze strepitose. Come quella di alcuni carabinieri imbarazzatissimi perché mai e poi mai (lo dice la legge) avrebbero potuto iscriversi a un partito. O quella di Marco Berlato, 21 anni, iscritto a Rifondazione. Irresistibile il commento ironico di Giuliano Ezzelini Storti, coordinatore provinciale comunista: «Se il Pdl era così disperato poteva chiederci un piacere, no? Noi stiamo sempre dalla parte dei deboli».
Gian Antonio Stella
15 marzo 2012 | 7:46
http://www.corriere.it/politica/12_marz ... 1954.shtml
Voti contesi e tessere fantasma
È l'Italia dei brogli (bipartisan)
Da Palermo a Varese, epidemia di urne «col trucco»
Il 17 ottobre 2011 il signor Ampelio Ercolano Pizzato, di Bassano del Grappa, quantunque defunto da tempo, lasciò la sua dimora eterna per iscriversi al Pdl. Prova provata che, come Lui sostiene da anni, la sola evocazione di San Silvio da Arcore fa miracoli. Va però detto che, di prodigi simili, la politica trabocca. A destra, a sinistra, al centro...
L'ultimo caso è la decisione della Lega Nord di annullare le «primarie» di Varese che dovevano eleggere i delegati al congresso della Lombardia: alla conta c'erano 332 voti contro 329 votanti effettivi. Quanto bastava perché l'ex segretario Stefano Candiani, nella culla del Carroccio scossa dalle risse fratricide, dicesse: «Anche un solo voto fuori posto è una circostanza sgradevole. Non vedo alternative alla ripetizione del voto».
Il partito di Bossi, del resto, la «verginità» l'aveva già persa anni fa. Quando il presidente del movimento in Toscana, Vincenzo Soldati, era stato condannato con altri tre militanti per aver taroccato le firme necessarie a presentare la lista alle elezioni.
Varie inchieste giudiziarie, tuttavia, hanno dimostrato che non un partito, manco uno, è riuscito negli anni a rimanere del tutto estraneo a queste faccende. Basti ricordare, tra gli altri, il processo che a Udine, per le provinciali e le comunali del 1995, vide 12 persone finire in manette e 71 a giudizio appartenenti un po' a tutti i partiti, da An al Ccd, da Forza Italia al Pds, dai Verdi alla Lega Friuli e al Ppi. Furono coinvolti perfino, sia pure di striscio, i radicali, che storicamente hanno combattuto le battaglie più dure sul fronte della legalità nella raccolta delle firme, fino alla denuncia per brogli del governatore Roberto Formigoni.
E come dimenticare l'inchiesta genovese di qualche anno fa nella quale restarono inguaiati 49 esponenti di un po' tutti i partiti? Erano false 187 firme su 1.183 dell'asse Pri-Socialisti, 388 su 1.351 del Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, 310 su 1.148 del Msi-Fiamma tricolore, 314 su 1.261 delle Liste civiche associate, 53 su 1.133 del Ppi, 161 su 1.141 dei Verdi...
Per non dire delle inchieste aperte a Monza, Trento, Bologna, Rossano, Campobasso, dove la Digos indagando sulle regionali si spinse a denunciare 16 segretari provinciali di diversi partiti... Insomma, le cose avevano preso una piega tale che a metà luglio 2003, mentre la gente boccheggiava nell'estate più calda da decenni, il centrodestra decise di metterci una pezza varando (270 sì, 154 no, 5 astenuti) la depenalizzazione: basta con le manette, basta con la galera. Solo una multa. Il relatore Michele Saponara rassicurò che in fondo, queste truffe sulle firme, «non sono reati pericolosi socialmente».
Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Era da tempo, tuttavia, che non si accavallavano tanti imbrogli. Ancora trasversali. Ed ecco a sinistra lo scandalo delle primarie del Pd per le comunali 2011 a Napoli, dove la vittoria di Andrea Cozzolino è contestata dal segretario provinciale del partito Nicola Tremante: «In molti seggi ci sono stati consiglieri di municipalità ed esponenti dei partiti di centrodestra che hanno portato centinaia di persone a votare. Ne abbiamo le prove». E mostra foto scattate da un militante: «Qui siamo al seggio di San Carlo all'Arena dove si vede la presenza di un consigliere municipale del Pdl». Peggio: a Miano, a nord di Capodimonte, «hanno votato 1.606 persone in 8 ore: 200 l'ora. Tre al minuto. Tecnicamente impossibile».
Un trauma. Ripetuto giorni fa a Palermo. Dove Maurizio Sulli e la sua compagna Francesca Trapani (già indagata per favoreggiamento perché ospitava in casa sua Michele Catalano, arrestato con l'accusa di essere vicino al clan mafioso dei Lo Piccolo) sono indagati, ricorda l'Ansa, «per presunti illeciti nel voto alle primarie del centrosinistra, in vista dell'elezione del sindaco di Palermo, nel seggio allo Zen. Secondo testimonianze la donna e l'uomo avevano decine di certificati elettorali nella propria auto». Una brutta storia. Che ha portato all'annullamento dei voti in quel seggio e spinto il presidente della Toscana Enrico Rossi a sfogarsi su Facebook e Twitter: «Credo occorra trovare delle regole. Se in Internet si digita la parola "brogli", purtroppo viene fuori "brogli Palermo Pd" e "brogli Putin". Io sono un po' stufo di questo».
Imbarazzante. Unica consolazione, in base all'adagio «mal comune, mezzo gaudio», lo scandalo dei falsi iscritti al Popolo della libertà. Ricordate le dichiarazioni trionfali di Angelino Alfano ai primi di novembre? «Oltre un milione di italiani hanno deciso di iscriversi al Pdl. Molti più della somma degli iscritti ai partiti che l'hanno fondato». Giuseppe Castiglione gli fece coro: «Abbiamo doppiato anche le più rosee previsioni: il vero Big Bang siamo noi».
Non l'avesse mai detto! Poche settimane ed ecco il Big Bang vero. Ecco i dubbi nella Regione più grande, quella più amata dal Cavaliere, sintetizzati sul Corriere così: «Mai così tanti iscritti, mai così in basso nei sondaggi. Serve un matematico di quelli tosti per risolvere l'equazione a più incognite del Pdl in Lombardia». Ecco la denuncia sugli iscritti di Modena da parte di una berlusconiana Doc come Isabella Bertolini: «Scorrendo l'elenco dei nuovi tesserati, quasi 6 mila, ho notato un impetuoso aumento degli iscritti in alcuni Comuni a forte rischio di infiltrazioni... I sospetti sono aumentati quando ho verificato che molte iscrizioni erano in blocco, a famiglia, e che si trattava di persone provenienti da Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d'Aversa...»
Ecco la rivelazione, sul Fatto Quotidiano , di Gianni Barbacetto, che racconta come un dipendente del Cepu avesse «trovato sulla sua scrivania il modulo per l'iscrizione al Popolo della libertà. Con un ordine secco scritto a mano su un post-it : "Da consegnare firmato"». Ecco la militante antiberlusconiana del Pd che si ritrova iscritta al Pdl di Brescia con la tessera numero 158.378. Il cabarettista vicentino Dario Grendele, membro del gruppo «Risi & Bisi» che nega di aver mai dato il suo consenso e dice di essere stato imbarcato a sua insaputa esattamente come i sindaci vicentini di Brendola e Zanè e il segretario udc di Schio.
Seccante. Tanto più per il partito di Silvio Berlusconi, che aveva per anni rovesciato sospetti sugli avversari arrivando a invocare «osservatori dell'Onu» e a tuonare, dopo la sconfitta alle politiche 2006: «Secondo mie informazioni i professionisti della sinistra ci hanno sottratto circa un milione e settecentomila voti». Informazioni di chi? Sue.
Particolarmente sgradevole il caso della provincia berica, storica roccaforte del centrodestra. Dove sarebbe più o meno taroccata la metà delle 16 mila tessere d'iscrizione raccolte dall'eurodeputato Sergio Berlato, che fiero del suo bottino si era fatto fotografare con due valigie extralarge stracolme di adesioni. E dove Il Giornale di Vicenza ha via via raccolto testimonianze strepitose. Come quella di alcuni carabinieri imbarazzatissimi perché mai e poi mai (lo dice la legge) avrebbero potuto iscriversi a un partito. O quella di Marco Berlato, 21 anni, iscritto a Rifondazione. Irresistibile il commento ironico di Giuliano Ezzelini Storti, coordinatore provinciale comunista: «Se il Pdl era così disperato poteva chiederci un piacere, no? Noi stiamo sempre dalla parte dei deboli».
Gian Antonio Stella
15 marzo 2012 | 7:46
http://www.corriere.it/politica/12_marz ... 1954.shtml
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Re: Top News
Rizzotto, il governo: sì ai funerali di Stato.
Il consiglio dei ministri deciderà questa mattina a favore dei funerali di Stato per Placido Rizzotto.
La richiesta è stata formalizzata ieri dai familiari davanti al prefetto di Palermo, che l’ha subito trasmessa a Palazzo Chigi.
Poi sarà questione di un paio di giorni per completare la procedura: il tempo che il magistrato consegni ai familiari l’atto giudiziario, con il quale sarà certificato il riconoscimento che quelle poche ossa tirate fuori dalle foibe di Rocca Busambra a Corleone il 7 novembre 2009 sono di Placido Rizzotto.
Il sindacalista socialista rapito e ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 avrà quindi il riconoscimento delle esequie solenni.
http://www.unita.it/italia/rizzotto-il- ... o-1.392006
Il consiglio dei ministri deciderà questa mattina a favore dei funerali di Stato per Placido Rizzotto.
La richiesta è stata formalizzata ieri dai familiari davanti al prefetto di Palermo, che l’ha subito trasmessa a Palazzo Chigi.
Poi sarà questione di un paio di giorni per completare la procedura: il tempo che il magistrato consegni ai familiari l’atto giudiziario, con il quale sarà certificato il riconoscimento che quelle poche ossa tirate fuori dalle foibe di Rocca Busambra a Corleone il 7 novembre 2009 sono di Placido Rizzotto.
Il sindacalista socialista rapito e ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 avrà quindi il riconoscimento delle esequie solenni.
http://www.unita.it/italia/rizzotto-il- ... o-1.392006
Re: Top News
Una buona notizia. Archiviata la querela per diffamazione del poliziotto Paolo Forlani contro Patrizia Moretti la mamma di Federico Aldrovandi che nel suo blog lo aveva definito assassino. Secondo il gup di Ferrara, infatti, definire assassino chi le ha ucciso il figlio non è reato
http://www.facebook.com/popviola
http://www.facebook.com/popviola
Re: Top News
di Nando dalla Chiesa | 18 marzo 2012
Genova, dalla speranza alla saggezza
Il fiume colorato di Libera a Genova? Raccontiamolo con le “s”. Successo, certo. In un momento di vuoto della politica, di sbandamenti e frustrazioni, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha raccolto intorno a sé a Genova più di centomila persone provenienti da tutta Italia. Per dire no alla mafia e per lanciare le sue proposte. Nessuna bandiera di partito, moltissimi striscioni di scuole, dal Piemonte alla Sicilia. Ai livelli alti del paese sembrano indaffarati a smontare leggi e processi e pubblica moralità. Il paese più moderno e vitale raccoglie invece le forze per decollare.
Libera come speranza, dunque, perché il colpo d’occhio sull’immensa distesa del Porto antico dava ieri il segno di un popolo dalle grandi radici. Di un popolo in cammino.
Libera come sentimento. Perché poi le radici stanno lì. In quelle centinaia e centinaia di familiari i cui sentimenti sono stati colpiti dalla violenza mafiosa. Sta lì la forza irriducibile, nella memoria del dolore, nella richiesta di verità e giustizia che passa come in una staffetta omerica di generazione in generazione. Ci sono i nipoti, ora, con le foto dei propri cari, tanti nipoti. Familiari che accolgono altri familiari. Quelli delle nuove vittime di mafia o quelli che per la prima volta trovano la forza di venire. Ma anche quelli di vittime delle violenze dello Stato, perché nell’incontro di venerdì pomeriggio grande è stata la commozione per la testimonianza di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, il giovane che incontrò uno Stato inconciliabile con quello di Paolo Borsellino o di Roberto Antiochia. Familiari che scoprono nelle parole di chi parla per la prima volta una verità in più.
Com’è avvenuto con Giovanni Gabriele, il giovane padre di Dodò, il bambino di undici anni che venne ucciso durante una sparatoria tra clan avversi su un campetto di calcio di Contorato, in provincia di Crotone. Era il 25 giugno del 2009. “Non ne posso più”, si è sfogato Giovanni, “di sentir dire che mio figlio è morto perché si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Perché questo vorrebbe dire che è colpa mia, che ho sbagliato io a portarlo al campetto di calcio. Ma dove deve andare a giocare un bambino? Dodò non era nel posto sbagliato. Nel posto sbagliato c’erano gli assassini”.
Libera come solidarietà. La voglia di non guardare solo a se stessi. L’incontro del venerdì si è aperto alle parole da brivido di un giovane uomo messicano e di una giovane donna guatemalteca. Il primo, Carlos Cruz, un gigante, ha raccontato di sé che da bimbo iniziò a spacciare in cambio di una bicicletta, della banda da lui fondata e guidata da adolescente per poi accorgersi, dopo alcuni anni, che dei 26 di partenza ne erano rimasti vivi tre. La scelta di cambiar vita, di educare per strada, il pianto non trattenuto davanti al ricordo di un bambino a cui i nuovi trafficanti hanno tagliato la lingua. Lei, Claudia Carrera, avviata alla prostituzione da ragazza e ora, in lotta con la memoria di lutti e di violenze, impegnata in percorsi formativi nelle scuole. Libera, pure, come sindacalisti contadini. È stata una festa vera intorno a Placido Rizzotto, nipote del dirigente contadino corleonese, di cui sono stati trovati i resti dopo 64 anni e per il quale proprio l’altro ieri il governo ha deciso i funerali di Stato.
Già, perché questo popolo conosce anche la gioia di ritrovare i resti, come era capitato d’altronde anche a Ninetta Burgio di Niscemi: suo figlio Pietrantonio, cercato invano per 14 anni, venne alla fine ritrovato. Lo avevano ucciso innocente, solo perché “sapeva”. Ninetta se ne è andata pochi mesi fa e gli altri familiari in questi giorni l’hanno voluta ricordare con gli applausi che si riservano ai vincitori.
E anche Libera come saggezza. Quando durante la discesa verso il Porto Antico un gruppetto di No Tav ha srotolato uno striscione enorme accusando i manifestanti per “la vostra legalità assassina”, nessuno ha fischiato. Certo, quello striscione buttato in faccia ai familiari di gente assassinata, al figlio di Pio La Torre, al nipote di Rizzotto, ai figli di Accursio Miraglia e di Nicola Azoti (altri sindacalisti contadini), o al fratello di Peppino Impastato, era una bestemmia da delirio. Ma la testa del corteo, fatta proprio dai familiari, lo ha applaudito come a porgere l’altra guancia. Finché dal gruppetto sono arrivati applausi.
E infine Libera come scandalo. Se quei familiari sono la storia insanguinata del nostro paese, ebbene, la politica ancora una volta ha detto forte e chiaro ai centomila che di quella storia non gliene frega niente. Che il sangue versato è affare di chi è caduto. Ieri a Genova, a Parlamento chiuso, c’erano tre o quattro parlamentari e nessun membro di governo. Nessun leader politico né di primo né di secondo livello. Solo Romano Prodi è giunto venerdì sera alla messa in cattedrale. Per il resto spalle voltate. Poi, per riprendere quel che don Ciotti ha urlato dal palco, ci si chiede perché la mafia esista da 150’anni…
Il Fatto Quotidiano, 18 Marzo 2012
Genova, dalla speranza alla saggezza
Il fiume colorato di Libera a Genova? Raccontiamolo con le “s”. Successo, certo. In un momento di vuoto della politica, di sbandamenti e frustrazioni, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha raccolto intorno a sé a Genova più di centomila persone provenienti da tutta Italia. Per dire no alla mafia e per lanciare le sue proposte. Nessuna bandiera di partito, moltissimi striscioni di scuole, dal Piemonte alla Sicilia. Ai livelli alti del paese sembrano indaffarati a smontare leggi e processi e pubblica moralità. Il paese più moderno e vitale raccoglie invece le forze per decollare.
Libera come speranza, dunque, perché il colpo d’occhio sull’immensa distesa del Porto antico dava ieri il segno di un popolo dalle grandi radici. Di un popolo in cammino.
Libera come sentimento. Perché poi le radici stanno lì. In quelle centinaia e centinaia di familiari i cui sentimenti sono stati colpiti dalla violenza mafiosa. Sta lì la forza irriducibile, nella memoria del dolore, nella richiesta di verità e giustizia che passa come in una staffetta omerica di generazione in generazione. Ci sono i nipoti, ora, con le foto dei propri cari, tanti nipoti. Familiari che accolgono altri familiari. Quelli delle nuove vittime di mafia o quelli che per la prima volta trovano la forza di venire. Ma anche quelli di vittime delle violenze dello Stato, perché nell’incontro di venerdì pomeriggio grande è stata la commozione per la testimonianza di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, il giovane che incontrò uno Stato inconciliabile con quello di Paolo Borsellino o di Roberto Antiochia. Familiari che scoprono nelle parole di chi parla per la prima volta una verità in più.
Com’è avvenuto con Giovanni Gabriele, il giovane padre di Dodò, il bambino di undici anni che venne ucciso durante una sparatoria tra clan avversi su un campetto di calcio di Contorato, in provincia di Crotone. Era il 25 giugno del 2009. “Non ne posso più”, si è sfogato Giovanni, “di sentir dire che mio figlio è morto perché si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Perché questo vorrebbe dire che è colpa mia, che ho sbagliato io a portarlo al campetto di calcio. Ma dove deve andare a giocare un bambino? Dodò non era nel posto sbagliato. Nel posto sbagliato c’erano gli assassini”.
Libera come solidarietà. La voglia di non guardare solo a se stessi. L’incontro del venerdì si è aperto alle parole da brivido di un giovane uomo messicano e di una giovane donna guatemalteca. Il primo, Carlos Cruz, un gigante, ha raccontato di sé che da bimbo iniziò a spacciare in cambio di una bicicletta, della banda da lui fondata e guidata da adolescente per poi accorgersi, dopo alcuni anni, che dei 26 di partenza ne erano rimasti vivi tre. La scelta di cambiar vita, di educare per strada, il pianto non trattenuto davanti al ricordo di un bambino a cui i nuovi trafficanti hanno tagliato la lingua. Lei, Claudia Carrera, avviata alla prostituzione da ragazza e ora, in lotta con la memoria di lutti e di violenze, impegnata in percorsi formativi nelle scuole. Libera, pure, come sindacalisti contadini. È stata una festa vera intorno a Placido Rizzotto, nipote del dirigente contadino corleonese, di cui sono stati trovati i resti dopo 64 anni e per il quale proprio l’altro ieri il governo ha deciso i funerali di Stato.
Già, perché questo popolo conosce anche la gioia di ritrovare i resti, come era capitato d’altronde anche a Ninetta Burgio di Niscemi: suo figlio Pietrantonio, cercato invano per 14 anni, venne alla fine ritrovato. Lo avevano ucciso innocente, solo perché “sapeva”. Ninetta se ne è andata pochi mesi fa e gli altri familiari in questi giorni l’hanno voluta ricordare con gli applausi che si riservano ai vincitori.
E anche Libera come saggezza. Quando durante la discesa verso il Porto Antico un gruppetto di No Tav ha srotolato uno striscione enorme accusando i manifestanti per “la vostra legalità assassina”, nessuno ha fischiato. Certo, quello striscione buttato in faccia ai familiari di gente assassinata, al figlio di Pio La Torre, al nipote di Rizzotto, ai figli di Accursio Miraglia e di Nicola Azoti (altri sindacalisti contadini), o al fratello di Peppino Impastato, era una bestemmia da delirio. Ma la testa del corteo, fatta proprio dai familiari, lo ha applaudito come a porgere l’altra guancia. Finché dal gruppetto sono arrivati applausi.
E infine Libera come scandalo. Se quei familiari sono la storia insanguinata del nostro paese, ebbene, la politica ancora una volta ha detto forte e chiaro ai centomila che di quella storia non gliene frega niente. Che il sangue versato è affare di chi è caduto. Ieri a Genova, a Parlamento chiuso, c’erano tre o quattro parlamentari e nessun membro di governo. Nessun leader politico né di primo né di secondo livello. Solo Romano Prodi è giunto venerdì sera alla messa in cattedrale. Per il resto spalle voltate. Poi, per riprendere quel che don Ciotti ha urlato dal palco, ci si chiede perché la mafia esista da 150’anni…
Il Fatto Quotidiano, 18 Marzo 2012
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