IL LAVORO
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Re: IL LAVORO
....A CHE SERVE RACCONTARE GLI SBRODOLAMENTI DELL'ISTAT E DEL GOVERNO SE POI SUCCEDONO QUESTE COSE???????
Roma, donna si lancia dalla finestra dell'hotel: «Sono stanca di non avere un lavoro»
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Quotidiano di Puglia
Marco De Risi
3 ore fa
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© Internet (altro)
Una donna romana di 50 anni si è tolta la vita gettandosi dai piani alti di un hotel del centro: è morta sul colpo dopo un volo finito su un tratto di via Rasella. La donna aveva preso una camera dell’albergo da dove poi si è lanciata nel vuoto alle tre di notte. Sul posto sono intervenuti la polizia e l’ambulanza. Inutile ogni tentativo di salvarla. Gli investigatori hanno rinvenuto un biglietto. Con bella calligrafia, la donna ha scritto di essere stanca di non trovare un lavoro dopo tanti anni di precariato. Poi ha ringraziato un sacerdote che l’ha aiutata e ha chiesto scusa al personale dell’hotel: «Spero che ilmio gesto non porti problemi al vostro lavoro». Sono gli agenti del commissariato di zona ad indagare. Almeno durante il primo sopralluogo non ci sarebbero dubbi che si tratti di suicidio. La porta d’ingresso della camera è stata trovata chiusa dall’interno. Nessun segno di effrazione o colluttazione. Erano due giorni che la donna aveva preso la stanza. «Sembrava una normale cliente» dice un dipendente.
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
Roma, donna si lancia dalla finestra dell'hotel: «Sono stanca di non avere un lavoro»
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Quotidiano di Puglia
Marco De Risi
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Una donna romana di 50 anni si è tolta la vita gettandosi dai piani alti di un hotel del centro: è morta sul colpo dopo un volo finito su un tratto di via Rasella. La donna aveva preso una camera dell’albergo da dove poi si è lanciata nel vuoto alle tre di notte. Sul posto sono intervenuti la polizia e l’ambulanza. Inutile ogni tentativo di salvarla. Gli investigatori hanno rinvenuto un biglietto. Con bella calligrafia, la donna ha scritto di essere stanca di non trovare un lavoro dopo tanti anni di precariato. Poi ha ringraziato un sacerdote che l’ha aiutata e ha chiesto scusa al personale dell’hotel: «Spero che ilmio gesto non porti problemi al vostro lavoro». Sono gli agenti del commissariato di zona ad indagare. Almeno durante il primo sopralluogo non ci sarebbero dubbi che si tratti di suicidio. La porta d’ingresso della camera è stata trovata chiusa dall’interno. Nessun segno di effrazione o colluttazione. Erano due giorni che la donna aveva preso la stanza. «Sembrava una normale cliente» dice un dipendente.
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
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Re: IL LAVORO
Roma, concordato preventivo per salvare Atac
Sindacati sul piede di guerra: “Settembre nero”
Ok del cda: l’impresa presenta richiesta di ristrutturazione del debito, si redige il piano industriale e si
stabilisce la percentuale di risarcimento ai creditori. Lavoratori: ‘A rischio salario accessorio per 300 euro’
Cronaca
Adesso è ufficiale. Il cda di Atac, “ha individuato nella procedura di concordato preventivo in continuità la migliore soluzione alla crisi della Società”. Così, la municipalizzata capitolina dei trasporti ufficializza quanto anticipato da IlFattoQuotidiano.it il 9 agosto scorso, ovvero che l’azienda ricorrerà al giudice fallimentare per abbattere, in accordo con i creditori, il debito monstre da 1,3 miliardi, situazione che la tiene da anni sull’orlo del baratro. Anche se non specificato nel comunicato, il concordato sarà “in bianco”
di Vincenzo Bisbiglia
Sindacati sul piede di guerra: “Settembre nero”
Ok del cda: l’impresa presenta richiesta di ristrutturazione del debito, si redige il piano industriale e si
stabilisce la percentuale di risarcimento ai creditori. Lavoratori: ‘A rischio salario accessorio per 300 euro’
Cronaca
Adesso è ufficiale. Il cda di Atac, “ha individuato nella procedura di concordato preventivo in continuità la migliore soluzione alla crisi della Società”. Così, la municipalizzata capitolina dei trasporti ufficializza quanto anticipato da IlFattoQuotidiano.it il 9 agosto scorso, ovvero che l’azienda ricorrerà al giudice fallimentare per abbattere, in accordo con i creditori, il debito monstre da 1,3 miliardi, situazione che la tiene da anni sull’orlo del baratro. Anche se non specificato nel comunicato, il concordato sarà “in bianco”
di Vincenzo Bisbiglia
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Re: IL LAVORO
………..CARO LEI,……….QUANDO C’ERA LUI………………..
Queste cose non succedevano!!!!!!!!!!!!!!...........................
L'Atac è in fallimento Gli autisti al dopolavoro a giocare a tennis
Il Cda avvia il concordato. Via agli scioperi Intanto il personale fa festa e va in spiaggia
Francesco Paglia - Sab, 02/09/2017 - 08:20
commenta
Era prevedibile: Atac ha chiesto il concordato preventivo. In poche parole la più grande partecipata di trasporti d'Italia, da ieri, ha avviato una procedura che la porterà a depositare i libri contabili in tribunale mentre il Cda ha deliberato che a seguire l'azienda in questo «fallimento soft» ci penserà la società Ernst&Young.
E mentre si facevano i conti col buco da 1,4 miliardi e si decidevano le sorti di 12 mila dipendenti, lungo le sponde del Tevere in ballo c'era ben altra partita. «Punto tuo», grida un dipendente al suo compagno di gioco sul campo da tennis numero 2 del Dopolavoro Atac. «Non siamo preoccupati, noi non ci possiamo fare nulla, sono i dirigenti che decidono. Per noi la vita va avanti», dice Massimo, ispettore Atac. Panta rei dunque sulle sponde del fiume dove oltre al tennis si può praticare anche canottaggio. «Non lo so se Atac ha chiesto il concordato e manco so cos'è. So solo che qui tutti abbiamo un mutuo da pagare». Le poche parole spese da Massimo vengono interrotte da una imprecazione: «Ma porcami sono scordato le scarpe di ricambio per giocare a tennis».
Intanto l'attesa cresce: a Ostia presso lo stabilimento balneare del DopoLavoro di Atac c'era chi pregava. «Speriamo che domani sia una giornata di sole perché oggi abbiamo preso solo una secchiata d'acqua». E si perché nella località marittima a due passi da Roma i dipendenti e gli ex hanno la possibilità di rilassarsi sotto l'ombrellone o con una partita a beach volley. Un clima sereno e disteso che, ieri più che mai, sembrava un insulto ai 12 mila posti di lavoro in ballo. Ma se il Dopolavoro è un diritto per tutti quegli onesti dipendenti che si guadagnano il pane non lo è certamente per quel 12 per cento che pecca di assenteismo.
E a prendersela con i dipendenti dell'Atac sono in primis i cittadini di Roma che come Giancarlo o Luca commentano sulle pagine social del Dopolavoro Atac: «Andate a lavorare
parassiti della società», oppure «Per avere un dopolavoro bisognerebbe lavorare». Parole dettate dalla rabbia certo, un'antipatia che però rischia di aumentare se, come fa il segretario regionale FaisaCcnfail, Claudio Di Francesco, si annuncia che «il 7 settembre scenderemo in piazza del Campidoglio e il 12 sciopereremo, sarà un autunno caldo». Uno sciopero, l'ennesimo, indetto proprio nei giorni a ridosso della riapertura delle scuole capitoline potrebbe paralizzare la città.
Eppure il dg Atac Paolo Simioni trova di che gioire: «Oggi abbiamo compiuto il primo passo concreto per il risanamento e rilancio della Società». In comune si attende il passaggio formale della procedura di concordato e dopo l'ok dell'assemblea capitolina Atac potrebbe «congelare» i debiti con i creditori in attesa di un piano di azione salva azienda. In Campidoglio la sindaca Raggi è trionfale: «Atac deve rimanere pubblica, deve rimanere di noi tutti. Finalmente, inizia una nuova vita per l'azienda». In realtà la giunta si è spaccata a lungo sul concordato e dietro l'accelerazione c'è la minaccia del fallimento chiesto da uno dei creditori, un fornitore di carburante. E in ogni caso il futuro è incerto. L'ex assessore Leo paventa il «rischio default per il Comune se fossero ridotti i crediti nei confronti di Atac».
Intanto sul Tevere il match di tennis al DopoLavoro Atac è terminato, ora tocca a Massimo. A proposito: qui le mense hanno definitivamente chiuso. Perché? Per «anomalie» che hanno portato a iscrivere nel registro degli indagati 17 vertici Atac per abuso d'ufficio in una gara a evidenza pubblica delle mense aziendali. «Noi viviamo alla giornata», chiosa uno dei dipendenti del dopolavoro. E domani allora è un altro giorno, però se il tempo allo stabilimento Atac di Ostia fosse brutto c'è pur sempre l'hotel di Roccaraso (con 80 dipendenti), inutile dirlo, anche questo di Atac.
Queste cose non succedevano!!!!!!!!!!!!!!...........................
L'Atac è in fallimento Gli autisti al dopolavoro a giocare a tennis
Il Cda avvia il concordato. Via agli scioperi Intanto il personale fa festa e va in spiaggia
Francesco Paglia - Sab, 02/09/2017 - 08:20
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Era prevedibile: Atac ha chiesto il concordato preventivo. In poche parole la più grande partecipata di trasporti d'Italia, da ieri, ha avviato una procedura che la porterà a depositare i libri contabili in tribunale mentre il Cda ha deliberato che a seguire l'azienda in questo «fallimento soft» ci penserà la società Ernst&Young.
E mentre si facevano i conti col buco da 1,4 miliardi e si decidevano le sorti di 12 mila dipendenti, lungo le sponde del Tevere in ballo c'era ben altra partita. «Punto tuo», grida un dipendente al suo compagno di gioco sul campo da tennis numero 2 del Dopolavoro Atac. «Non siamo preoccupati, noi non ci possiamo fare nulla, sono i dirigenti che decidono. Per noi la vita va avanti», dice Massimo, ispettore Atac. Panta rei dunque sulle sponde del fiume dove oltre al tennis si può praticare anche canottaggio. «Non lo so se Atac ha chiesto il concordato e manco so cos'è. So solo che qui tutti abbiamo un mutuo da pagare». Le poche parole spese da Massimo vengono interrotte da una imprecazione: «Ma porcami sono scordato le scarpe di ricambio per giocare a tennis».
Intanto l'attesa cresce: a Ostia presso lo stabilimento balneare del DopoLavoro di Atac c'era chi pregava. «Speriamo che domani sia una giornata di sole perché oggi abbiamo preso solo una secchiata d'acqua». E si perché nella località marittima a due passi da Roma i dipendenti e gli ex hanno la possibilità di rilassarsi sotto l'ombrellone o con una partita a beach volley. Un clima sereno e disteso che, ieri più che mai, sembrava un insulto ai 12 mila posti di lavoro in ballo. Ma se il Dopolavoro è un diritto per tutti quegli onesti dipendenti che si guadagnano il pane non lo è certamente per quel 12 per cento che pecca di assenteismo.
E a prendersela con i dipendenti dell'Atac sono in primis i cittadini di Roma che come Giancarlo o Luca commentano sulle pagine social del Dopolavoro Atac: «Andate a lavorare
parassiti della società», oppure «Per avere un dopolavoro bisognerebbe lavorare». Parole dettate dalla rabbia certo, un'antipatia che però rischia di aumentare se, come fa il segretario regionale FaisaCcnfail, Claudio Di Francesco, si annuncia che «il 7 settembre scenderemo in piazza del Campidoglio e il 12 sciopereremo, sarà un autunno caldo». Uno sciopero, l'ennesimo, indetto proprio nei giorni a ridosso della riapertura delle scuole capitoline potrebbe paralizzare la città.
Eppure il dg Atac Paolo Simioni trova di che gioire: «Oggi abbiamo compiuto il primo passo concreto per il risanamento e rilancio della Società». In comune si attende il passaggio formale della procedura di concordato e dopo l'ok dell'assemblea capitolina Atac potrebbe «congelare» i debiti con i creditori in attesa di un piano di azione salva azienda. In Campidoglio la sindaca Raggi è trionfale: «Atac deve rimanere pubblica, deve rimanere di noi tutti. Finalmente, inizia una nuova vita per l'azienda». In realtà la giunta si è spaccata a lungo sul concordato e dietro l'accelerazione c'è la minaccia del fallimento chiesto da uno dei creditori, un fornitore di carburante. E in ogni caso il futuro è incerto. L'ex assessore Leo paventa il «rischio default per il Comune se fossero ridotti i crediti nei confronti di Atac».
Intanto sul Tevere il match di tennis al DopoLavoro Atac è terminato, ora tocca a Massimo. A proposito: qui le mense hanno definitivamente chiuso. Perché? Per «anomalie» che hanno portato a iscrivere nel registro degli indagati 17 vertici Atac per abuso d'ufficio in una gara a evidenza pubblica delle mense aziendali. «Noi viviamo alla giornata», chiosa uno dei dipendenti del dopolavoro. E domani allora è un altro giorno, però se il tempo allo stabilimento Atac di Ostia fosse brutto c'è pur sempre l'hotel di Roccaraso (con 80 dipendenti), inutile dirlo, anche questo di Atac.
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Re: IL LAVORO
IlFattoQuotidiano.it / Lavoro & Precari
McDonald’s, Burger King e gli altri fast food: lavoratori in piazza per protestare contro salari bassi e mancanza di diritti
Lavoro & Precari
Indonesia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Italia e molti altri Paesi del mondo: i dipendenti delle più importanti catene alimentari incrociano le braccia in occasione della Giornata internazionale a loro dedicata. “Protestiamo contro scarso numero di ore, salari non adeguati, part-time forzato e l’utilizzo sempre più importante dei voucher” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca De Zolt, della segreteria nazionale Filcams Cgil
di Luisiana Gaita | 4 settembre 2017
commenti (8)
168
Più informazioni su: Burger King, Fast Food, Hamburger, Mc Donald's, Milano
Contratti nazionali scaduti e mai rinnovati, salari bassi e, in alcuni casi, senza diritti. I lavoratori dei fast food tornano a riunirsi in occasione della Giornata internazionale a loro dedicata, il 4 settembre. Una protesta a suon di presidi e volantinaggi all’esterno dei ristoranti fast food di moltissime catene in Italia, Indonesia, Regno Unito, Germania e in molti altri Paesi. Negli Stati Uniti d’America è previsto uno sciopero nazionale per la campagna “FightFor15” (quella per i 15 dollari l’ora di salario minimo garantito) con azioni in tutte le principali città della Confederazione. In Italia la Filcams Cgil (affiliata all’International Union of Food) ha organizzato una protesta all’esterno dei fast food delle principali catene. “Protestiamo contro scarso numero di ore, salari non adeguati, part-time forzato e l’utilizzo sempre più importante dei voucher, tutti fattori che fanno aumentare il livello di precarietà” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca De Zolt, della segreteria nazionale Filcams Cgil. A Milano, in programma dalle 9.30 un flash mob nel piazzale antistante la Camera del Lavoro Cgil e, contemporaneamente, a Roma, si farà volantinaggio alla Stazione Termini. Ma sono diversi i Paesi che parteciperanno alla mobilitazione.
Tra questi anche la Germania, dove è passato alla storia lo scandalo che ha travolto Burger King nel maggio del 2014, quando i giornalisti della trasmissione “Team Wallraff – Reporter Undercover” trasmisero sul canale RTL un servizio sulle condizioni igieniche e lavorative di alcuni Burger King in Germania. Furono intervistati dipendenti che dicevano di non essere pagati né per le ore di straordinario, né per le ferie. E il giornalista investigativo Günter Wallraff ha raccontato di aver condotto la stessa indagine anni prima anche per McDonald’s e che solo tempo dopo si ottenne un miglioramento di diritti e delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Di fatto nel 2014 la sede centrale di Burger King annunciò provvedimenti contro la società Yi-Ko, che dall’anno prima gestiva una novantina delle circa 700 filiali di Burger King in Germania.
I PRIMI EFFETTI DELLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE – Proprio da quell’anno i lavoratori dei fast food di tutto il mondo hanno unito le forze in una crescente campagna internazionale. Sono coinvolti i sindacati nazionali affiliati a Iuf (l’associazione internazionale dei sindacati dei settori ristorazione, alberghi, catering e agricoltura), che si occupano di questioni quali il diritto di aderire o di formare un sindacato, il pagamento di salari bassi e inadeguati al lavoro svolto, ma anche i contratti applicati unilateralmente senza orari minimi garantiti e occupazione precaria. Ma già da qualche anno prima, ogni anno, i dipendenti delle più famose catene di fast food negli Usa scendono in piazza per scioperare. È accaduto a novembre 2012 e nel dicembre 2013 quando in cento città americane incrociarono le braccia i dipendenti di aziende come McDonald’s, Burger King, Kentucky Fried Chicken, Pizza Hut. A guidare la lotta due associazioni: Fast Food Forward e Flight for 15, un nome che fa riferimento ai 15 dollari l’ora di salario minimo garantito. Obiettivo raggiunto ad oggi solo in alcuni Stati.
In questi anni qualcosa in alcuni Paesi si è già mosso. “Recentemente – spiega la Filcams Cgil nazionale – nel Regno Unito, una lunga campagna del sindacato Bfawu (The Bakers and Allied Food Workers Union) contro i ‘contratti a zero ore’ ha portato McDonald’s a stipulare contratti fissi con un numero minimo di ore garantite”. In Germania, il sindacato Ngg è tuttora in conflitto con i datori di lavoro sulla giusta remunerazione e sul salario per i lavoratori dei fast food. “In Indonesia – aggiunge il sindacato – Fspm è impegnato a far rispettare i diritti fondamentali per i lavoratori della catena dei fast food locali di Champ Resto, mentre in Nuova Zelanda, Unite Union ha raggiunto un accordo con McDonald’s che prevede aumenti salariali rispetto al salario minimo orario.
LA MOBILITAZIONE IN ITALIA – Proprio a sostegno di queste campagne i sindacati affiliati all’International Union of Food, in particolare quelli con iscritti del settore ristorazione, si sono organizzati per attirare l’attenzione sulle condizioni di lavoro, generalmente povere, nei fast food. “La situazione complessiva dei lavoratori italiani – spiega la Filcams Cgil – non è certo più rosea che altrove: il contratto collettivo nazionale è scaduto da più di 4 anni e Fipe Confcommercio, fino ad oggi, ha sempre vincolato l’eventuale raggiungimento di un accordo a un netto taglio del costo del lavoro da ottenere peggiorando le condizioni normative e salariali di quasi un milione di addetti che operano nel settore ristorativo”. Ad oggi in Italia i lavoratori impiegati nei fast food sono circa 20mila. La precarietà riguarda soprattutto quelli impiegati nei franchising, gli indiretti, che sono circa il 70 per cento. “Sono quelli gestiti da altre società che non sempre rispettano le regole” aggiunge De Zolt. Si lavora dalle 8 alle 24 ore a settimana, ma la media è inferiore alle 20 ore. “La retribuzione mensile del part-time 20 ore – spiega – va dai 550 ai 650 euro. In busta al lavoratore arrivano mediamente 8,5 euro all’ora, mentre con l’aumento che chiediamo si arriverebbe almeno a 9”. Non certo una rivoluzione, ma un passo necessario considerando che i minimi tabellari sono fermi al 2013
McDonald’s, Burger King e gli altri fast food: lavoratori in piazza per protestare contro salari bassi e mancanza di diritti
Lavoro & Precari
Indonesia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Italia e molti altri Paesi del mondo: i dipendenti delle più importanti catene alimentari incrociano le braccia in occasione della Giornata internazionale a loro dedicata. “Protestiamo contro scarso numero di ore, salari non adeguati, part-time forzato e l’utilizzo sempre più importante dei voucher” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca De Zolt, della segreteria nazionale Filcams Cgil
di Luisiana Gaita | 4 settembre 2017
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Contratti nazionali scaduti e mai rinnovati, salari bassi e, in alcuni casi, senza diritti. I lavoratori dei fast food tornano a riunirsi in occasione della Giornata internazionale a loro dedicata, il 4 settembre. Una protesta a suon di presidi e volantinaggi all’esterno dei ristoranti fast food di moltissime catene in Italia, Indonesia, Regno Unito, Germania e in molti altri Paesi. Negli Stati Uniti d’America è previsto uno sciopero nazionale per la campagna “FightFor15” (quella per i 15 dollari l’ora di salario minimo garantito) con azioni in tutte le principali città della Confederazione. In Italia la Filcams Cgil (affiliata all’International Union of Food) ha organizzato una protesta all’esterno dei fast food delle principali catene. “Protestiamo contro scarso numero di ore, salari non adeguati, part-time forzato e l’utilizzo sempre più importante dei voucher, tutti fattori che fanno aumentare il livello di precarietà” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca De Zolt, della segreteria nazionale Filcams Cgil. A Milano, in programma dalle 9.30 un flash mob nel piazzale antistante la Camera del Lavoro Cgil e, contemporaneamente, a Roma, si farà volantinaggio alla Stazione Termini. Ma sono diversi i Paesi che parteciperanno alla mobilitazione.
Tra questi anche la Germania, dove è passato alla storia lo scandalo che ha travolto Burger King nel maggio del 2014, quando i giornalisti della trasmissione “Team Wallraff – Reporter Undercover” trasmisero sul canale RTL un servizio sulle condizioni igieniche e lavorative di alcuni Burger King in Germania. Furono intervistati dipendenti che dicevano di non essere pagati né per le ore di straordinario, né per le ferie. E il giornalista investigativo Günter Wallraff ha raccontato di aver condotto la stessa indagine anni prima anche per McDonald’s e che solo tempo dopo si ottenne un miglioramento di diritti e delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Di fatto nel 2014 la sede centrale di Burger King annunciò provvedimenti contro la società Yi-Ko, che dall’anno prima gestiva una novantina delle circa 700 filiali di Burger King in Germania.
I PRIMI EFFETTI DELLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE – Proprio da quell’anno i lavoratori dei fast food di tutto il mondo hanno unito le forze in una crescente campagna internazionale. Sono coinvolti i sindacati nazionali affiliati a Iuf (l’associazione internazionale dei sindacati dei settori ristorazione, alberghi, catering e agricoltura), che si occupano di questioni quali il diritto di aderire o di formare un sindacato, il pagamento di salari bassi e inadeguati al lavoro svolto, ma anche i contratti applicati unilateralmente senza orari minimi garantiti e occupazione precaria. Ma già da qualche anno prima, ogni anno, i dipendenti delle più famose catene di fast food negli Usa scendono in piazza per scioperare. È accaduto a novembre 2012 e nel dicembre 2013 quando in cento città americane incrociarono le braccia i dipendenti di aziende come McDonald’s, Burger King, Kentucky Fried Chicken, Pizza Hut. A guidare la lotta due associazioni: Fast Food Forward e Flight for 15, un nome che fa riferimento ai 15 dollari l’ora di salario minimo garantito. Obiettivo raggiunto ad oggi solo in alcuni Stati.
In questi anni qualcosa in alcuni Paesi si è già mosso. “Recentemente – spiega la Filcams Cgil nazionale – nel Regno Unito, una lunga campagna del sindacato Bfawu (The Bakers and Allied Food Workers Union) contro i ‘contratti a zero ore’ ha portato McDonald’s a stipulare contratti fissi con un numero minimo di ore garantite”. In Germania, il sindacato Ngg è tuttora in conflitto con i datori di lavoro sulla giusta remunerazione e sul salario per i lavoratori dei fast food. “In Indonesia – aggiunge il sindacato – Fspm è impegnato a far rispettare i diritti fondamentali per i lavoratori della catena dei fast food locali di Champ Resto, mentre in Nuova Zelanda, Unite Union ha raggiunto un accordo con McDonald’s che prevede aumenti salariali rispetto al salario minimo orario.
LA MOBILITAZIONE IN ITALIA – Proprio a sostegno di queste campagne i sindacati affiliati all’International Union of Food, in particolare quelli con iscritti del settore ristorazione, si sono organizzati per attirare l’attenzione sulle condizioni di lavoro, generalmente povere, nei fast food. “La situazione complessiva dei lavoratori italiani – spiega la Filcams Cgil – non è certo più rosea che altrove: il contratto collettivo nazionale è scaduto da più di 4 anni e Fipe Confcommercio, fino ad oggi, ha sempre vincolato l’eventuale raggiungimento di un accordo a un netto taglio del costo del lavoro da ottenere peggiorando le condizioni normative e salariali di quasi un milione di addetti che operano nel settore ristorativo”. Ad oggi in Italia i lavoratori impiegati nei fast food sono circa 20mila. La precarietà riguarda soprattutto quelli impiegati nei franchising, gli indiretti, che sono circa il 70 per cento. “Sono quelli gestiti da altre società che non sempre rispettano le regole” aggiunge De Zolt. Si lavora dalle 8 alle 24 ore a settimana, ma la media è inferiore alle 20 ore. “La retribuzione mensile del part-time 20 ore – spiega – va dai 550 ai 650 euro. In busta al lavoratore arrivano mediamente 8,5 euro all’ora, mentre con l’aumento che chiediamo si arriverebbe almeno a 9”. Non certo una rivoluzione, ma un passo necessario considerando che i minimi tabellari sono fermi al 2013
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Re: IL LAVORO
Pensioni (future) dei giovani, facciamole pagare ai padri
di Lavoce.info | 9 settembre 2017
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Molti giovani di oggi avranno una pensione bassa, a causa di carriere discontinue e redditi incerti. La soluzione potrebbe essere l’introduzione di uno sgravio fiscale per le famiglie disposte a versare i contributi per i figli inoccupati e non laureati.
di Raffaele Lungarella (Fonte: lavoce.info)
Un futuro di pensioni basse
I giovani nati negli anni Ottanta e Novanta trovano una sistemazione lavorativa in età mediamente più avanzata di quelli della generazione precedente. In più, la loro carriera lavorativa sarà, verosimilmente, più traballante e l’andamento dei loro salari non avrà una progressione certa nel tempo. Ci saranno inevitabili conseguenze negative anche sul piano previdenziale. Per una parte non trascurabile di loro è probabile che, a una condizione lavorativa di precariato e di redditi bassi e discontinui, farà seguito una vita da pensionati con vitalizi proporzionati ai non abbondanti contributi versati, insufficienti a garantire un accettabile tenore di vita.
Il montante contributivo individuale dipende dall’ammontare dei versamenti periodici e dal numero di anni per i quali lo si è fatto. Tanto più tardi un giovane inizia ad avere una posizione previdenziale, tanto più tardi potrà ritirarsi dal lavoro, senza aspettare la pensione di vecchiaia; meno contributi versa e più basso sarà l’importo della pensione a cui avrà diritto.
Per migliorare le sue prospettive da pensionato occorrerebbe dargli la possibilità di anticipare l’iscrizione a una gestione previdenziale obbligatoria già prima di trovare un impiego.
Dai padri ai figli
Un giovane inoccupato che non percepisce alcun reddito non ha, ovviamente, la possibilità di versare alcun contributo previdenziale. Ma potrebbero essere forse disposti a versarlo i suoi genitori, almeno quelli con un buon reddito, se fosse data loro una “spinta gentile”. Non sarebbe una novità assoluta, ma l’estensione della possibilità offerta ai laureati inoccupati.
Un giovane laureato, non ancora iscritto ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, ha infatti la possibilità di versare all’Inps i contributi previdenziali relativi a un numero massimo di anni pari a quello della durata legale del corso di laurea che ha frequentato e dell’eventuale corso di specializzazione universitaria se almeno biennale.
La somma da versare all’Inps per ogni anno da riscattare è pari al 33 per cento del reddito minimo preso a riferimento per il calcolo del contributo dovuto dagli artigiani e dai commercianti, che per il 2017 è di 15.548 euro. La spesa complessiva da sostenere per il riscatto dei cinque anni di una laurea magistrale è pertanto di 25.645 euro (15.548×0,33×5), che può essere diluita in 120 rate mensili, senza interesse. Il pagamento rateale comporta il versamento di 2.565 euro all’anno per un decennio, cioè 214 euro al mese.
Se il laureato fosse in grado di versare all’Inps questa cifra, potrebbe portarne il 19 per cento in detrazione dall’Irpef, ma essendo inoccupato privo di reddito difficilmente potrà avvalersi dello sgravio. Lo stesso beneficio fiscale è riconosciuto anche al genitore (a entrambi o a un altro familiare), di cui il laureato inoccupato è fiscalmente a carico, che versa all’Inps i contribuiti dovuti. Al netto della detrazione, il costo effettivo per la famiglia è di 173 euro ogni mese, circa 2.075 l’anno. Le stesse condizioni di cui beneficiano i padri dei laureati inoccupati potrebbero essere applicate a quelli dei giovani inoccupati senza laurea, per iniziare a pagare le pensioni dei loro figli.
Tra costo per l’erario ed equità
L’applicazione di una simile ipotesi sarebbe di beneficio per il bilancio dell’Inps, che per ogni nuovo giovane preso in carico incasserebbe 2.565 euro per dieci anni, ma costosa per le casse statali, che accuserebbero un minor gettito Irpef di 485 euro per lo stesso numero di anni. Il costo complessivo per lo stato dipenderebbe dai criteri di selezione dei giovani e dal numero massimo di anni che sarebbe consentito “riscattare”. Potrebbero beneficiarne, per esempio, i giovani intorno ai 24-26 anni (all’incirca l’età della laurea), per un numero massimo di cinque anni di inoccupazione. A parità del numero dei beneficiari, questa soluzione sarebbe comunque meno onerosa per la finanza pubblica dell’ipotesi di una pensione di garanzia per i giovani con la fiscalizzazione dei contributi.
Ad ogni modo, l’applicazione dello stesso regime fiscale ai contributi versati dai genitori di tutti i giovani inoccupati soddisferebbe anche un criterio di equità: perché negare alle famiglie di giovani inoccupati senza laurea uno sconto sull’Irpef di cui possono invece beneficiare quelle dei laureati, che pure hanno potuto frequentare l’università pagando tasse di iscrizione che coprono solo una quota minoritario dei costi, sostenuti con la fiscalità generale. E negare questa possibilità sarebbe ancora più stridente se dovesse andare in porto l’ipotesi del riscatto gratuito della laurea.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... i/3845306/
di Lavoce.info | 9 settembre 2017
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Molti giovani di oggi avranno una pensione bassa, a causa di carriere discontinue e redditi incerti. La soluzione potrebbe essere l’introduzione di uno sgravio fiscale per le famiglie disposte a versare i contributi per i figli inoccupati e non laureati.
di Raffaele Lungarella (Fonte: lavoce.info)
Un futuro di pensioni basse
I giovani nati negli anni Ottanta e Novanta trovano una sistemazione lavorativa in età mediamente più avanzata di quelli della generazione precedente. In più, la loro carriera lavorativa sarà, verosimilmente, più traballante e l’andamento dei loro salari non avrà una progressione certa nel tempo. Ci saranno inevitabili conseguenze negative anche sul piano previdenziale. Per una parte non trascurabile di loro è probabile che, a una condizione lavorativa di precariato e di redditi bassi e discontinui, farà seguito una vita da pensionati con vitalizi proporzionati ai non abbondanti contributi versati, insufficienti a garantire un accettabile tenore di vita.
Il montante contributivo individuale dipende dall’ammontare dei versamenti periodici e dal numero di anni per i quali lo si è fatto. Tanto più tardi un giovane inizia ad avere una posizione previdenziale, tanto più tardi potrà ritirarsi dal lavoro, senza aspettare la pensione di vecchiaia; meno contributi versa e più basso sarà l’importo della pensione a cui avrà diritto.
Per migliorare le sue prospettive da pensionato occorrerebbe dargli la possibilità di anticipare l’iscrizione a una gestione previdenziale obbligatoria già prima di trovare un impiego.
Dai padri ai figli
Un giovane inoccupato che non percepisce alcun reddito non ha, ovviamente, la possibilità di versare alcun contributo previdenziale. Ma potrebbero essere forse disposti a versarlo i suoi genitori, almeno quelli con un buon reddito, se fosse data loro una “spinta gentile”. Non sarebbe una novità assoluta, ma l’estensione della possibilità offerta ai laureati inoccupati.
Un giovane laureato, non ancora iscritto ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, ha infatti la possibilità di versare all’Inps i contributi previdenziali relativi a un numero massimo di anni pari a quello della durata legale del corso di laurea che ha frequentato e dell’eventuale corso di specializzazione universitaria se almeno biennale.
La somma da versare all’Inps per ogni anno da riscattare è pari al 33 per cento del reddito minimo preso a riferimento per il calcolo del contributo dovuto dagli artigiani e dai commercianti, che per il 2017 è di 15.548 euro. La spesa complessiva da sostenere per il riscatto dei cinque anni di una laurea magistrale è pertanto di 25.645 euro (15.548×0,33×5), che può essere diluita in 120 rate mensili, senza interesse. Il pagamento rateale comporta il versamento di 2.565 euro all’anno per un decennio, cioè 214 euro al mese.
Se il laureato fosse in grado di versare all’Inps questa cifra, potrebbe portarne il 19 per cento in detrazione dall’Irpef, ma essendo inoccupato privo di reddito difficilmente potrà avvalersi dello sgravio. Lo stesso beneficio fiscale è riconosciuto anche al genitore (a entrambi o a un altro familiare), di cui il laureato inoccupato è fiscalmente a carico, che versa all’Inps i contribuiti dovuti. Al netto della detrazione, il costo effettivo per la famiglia è di 173 euro ogni mese, circa 2.075 l’anno. Le stesse condizioni di cui beneficiano i padri dei laureati inoccupati potrebbero essere applicate a quelli dei giovani inoccupati senza laurea, per iniziare a pagare le pensioni dei loro figli.
Tra costo per l’erario ed equità
L’applicazione di una simile ipotesi sarebbe di beneficio per il bilancio dell’Inps, che per ogni nuovo giovane preso in carico incasserebbe 2.565 euro per dieci anni, ma costosa per le casse statali, che accuserebbero un minor gettito Irpef di 485 euro per lo stesso numero di anni. Il costo complessivo per lo stato dipenderebbe dai criteri di selezione dei giovani e dal numero massimo di anni che sarebbe consentito “riscattare”. Potrebbero beneficiarne, per esempio, i giovani intorno ai 24-26 anni (all’incirca l’età della laurea), per un numero massimo di cinque anni di inoccupazione. A parità del numero dei beneficiari, questa soluzione sarebbe comunque meno onerosa per la finanza pubblica dell’ipotesi di una pensione di garanzia per i giovani con la fiscalizzazione dei contributi.
Ad ogni modo, l’applicazione dello stesso regime fiscale ai contributi versati dai genitori di tutti i giovani inoccupati soddisferebbe anche un criterio di equità: perché negare alle famiglie di giovani inoccupati senza laurea uno sconto sull’Irpef di cui possono invece beneficiare quelle dei laureati, che pure hanno potuto frequentare l’università pagando tasse di iscrizione che coprono solo una quota minoritario dei costi, sostenuti con la fiscalità generale. E negare questa possibilità sarebbe ancora più stridente se dovesse andare in porto l’ipotesi del riscatto gratuito della laurea.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... i/3845306/
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Re: IL LAVORO
Non hanno delle proposte migliori da fare?
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Re: IL LAVORO
un minim wage previdenziale per i giovani volendo non costerebbe niente basterebbe che ai contributi assicurativi che finanziano l'assegno di disoccupazione si aggiungesse una piccola cifra che finanzia i contributi figurativi e questa piccola cifra sarebbe compensata dal cuneo fiscale in modo da avere una retribuzione invariata.La migliore cosa sarebbe passare al sistema a capitalizzazione perche non ha il problema dell'aumento dell'età pensionale difetto presente in quello attuale intergenerazionale.Però non è facile passare da quello intergenerazionale a quello a capitalizzazione
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Re: IL LAVORO
Lavoro e nuovi contratti, più di tre su quattro sono precari
12/27
Corriere della Sera
Redazione Economia
20 ore fa
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Nuovi contratti? Meno di uno su quattro è a tempo determinato. In Italia «si registra un’ulteriore compressione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni: 24,2% nei primi sette mesi del 2017». Così scrive l’Inps nell’Osservatorio sul precariato. Nel 2015, invece, «quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato, era stato - ricorda l’Inps - raggiunto il picco del 38,8%».
« Nei primi sette mesi del 2017, nel settore privato, si registra un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +1.073.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 che del 2015». Tra gennaio e luglio sono quindi stati “accesi” più rapporti di lavoro di quelli che invece si sono “spenti”, analizzando sempre le dinamiche del mercato del lavoro nel settore privato. All’aumento delle assunzioni, sottolinea l’Inps, «il maggior contributo è dato dalle assunzioni a tempo determinato (+25,9%) e dall’apprendistato (+25,9%) mentre sono diminuite quelle a tempo indeterminato (-4,6%: questo calo rispetto al 2016 è interamente imputabile alle assunzioni part time)».
© Fornito da RCS MediaGroup S.p.A.
Nei primi sette mesi dell’anno «il numero complessivo dei licenziamenti risulta pari a 340.000, in riduzione rispetto a gennaio-luglio 2016 (-4,4%)», considerando i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Lo rileva sempre l’Inps, registrando però, per lo stesso periodo, un aumento delle dimissioni (+4,3%). Quanto alle trasformazioni, da tempo determinato a indeterminato, «sono risultate 215.000, con un lieve incremento rispetto allo stesso periodo del 2016 (+0,7%)».
L’Inps accende un faro anche sul rapporto tra nuove posizioni lavorative e retribuzioni mensili, registrando, «per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute a gennaio-luglio 2017, una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro (54,8% contro 57,8% di gennaio-luglio 2016)». Insomma le buste paga si fanno un po’ più pesanti.
12/27
Corriere della Sera
Redazione Economia
20 ore fa
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Nuovi contratti? Meno di uno su quattro è a tempo determinato. In Italia «si registra un’ulteriore compressione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni: 24,2% nei primi sette mesi del 2017». Così scrive l’Inps nell’Osservatorio sul precariato. Nel 2015, invece, «quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato, era stato - ricorda l’Inps - raggiunto il picco del 38,8%».
« Nei primi sette mesi del 2017, nel settore privato, si registra un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +1.073.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 che del 2015». Tra gennaio e luglio sono quindi stati “accesi” più rapporti di lavoro di quelli che invece si sono “spenti”, analizzando sempre le dinamiche del mercato del lavoro nel settore privato. All’aumento delle assunzioni, sottolinea l’Inps, «il maggior contributo è dato dalle assunzioni a tempo determinato (+25,9%) e dall’apprendistato (+25,9%) mentre sono diminuite quelle a tempo indeterminato (-4,6%: questo calo rispetto al 2016 è interamente imputabile alle assunzioni part time)».
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Nei primi sette mesi dell’anno «il numero complessivo dei licenziamenti risulta pari a 340.000, in riduzione rispetto a gennaio-luglio 2016 (-4,4%)», considerando i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Lo rileva sempre l’Inps, registrando però, per lo stesso periodo, un aumento delle dimissioni (+4,3%). Quanto alle trasformazioni, da tempo determinato a indeterminato, «sono risultate 215.000, con un lieve incremento rispetto allo stesso periodo del 2016 (+0,7%)».
L’Inps accende un faro anche sul rapporto tra nuove posizioni lavorative e retribuzioni mensili, registrando, «per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute a gennaio-luglio 2017, una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro (54,8% contro 57,8% di gennaio-luglio 2016)». Insomma le buste paga si fanno un po’ più pesanti.
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Re: IL LAVORO
........................UOMINI CONTRO.............................
Il cerchio si stringe.
IlFattoQuotidiano.it / Lavoro & Precari
Genova trema, tute blu in marcia contro gli esuberi Ilva. L’abbraccio solidale del vigile del fuoco: “Dovrebbe esserci tutta la città”
Video:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10 ... a/3903375/
Non solo operai dell’Ilva, questa mattina in piazza a Genova sono scesi anche portuali, vigili del fuoco, delegazioni di diverse fabbriche cittadine (da Leonardo ad Ansaldo Energia, da Siemens a Esaote) e militanti dell’assemblea permanente antifascista di Genova. Così circa duemila persone hanno attraversato la città, dalla fabbrica di Cornigliano fino alla Prefettura. I lavoratori contestano il piano di Mittal che, acquisendo la fabbrica, prevede 599 esuberi tra i 1499 operai genovesi. “Siamo stati traditi due volte”, chiariscono i lavoratori, che nel 2005 avevano firmato un accordo di programma che, nonostante la chiusura della lavorazione “a caldo”, avrebbe dovuto tutelare l’occupazione. “Lo sciopero ha vinto – ha dichiarato il segretario Film Cgil Bruno Manganaro all’uscita dall’incontro in prefettura – Il governo ha chiesto a Mittal di riscrivere la lettera con la procedura e gli esuberi, per il momento ci fidiamo come abbiamo sempre fatto ma siamo all’inizio della partita. Se qualcuno cerca nei prossimi giorni di fregarci torniamo qui più arrabbiati”. Presenti all’incontro in prefettura anche il Sindaco di Genova Marco Bucci e il presidente della Regione Giovanni Toti, che con le organizzazioni sindacali hanno firmato una lettera in cui chiedono al Governo un incontro e il rispetto dell’accordo di programma
di Pietro Barabino | 9 ottobre 2017
Il cerchio si stringe.
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Genova trema, tute blu in marcia contro gli esuberi Ilva. L’abbraccio solidale del vigile del fuoco: “Dovrebbe esserci tutta la città”
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Non solo operai dell’Ilva, questa mattina in piazza a Genova sono scesi anche portuali, vigili del fuoco, delegazioni di diverse fabbriche cittadine (da Leonardo ad Ansaldo Energia, da Siemens a Esaote) e militanti dell’assemblea permanente antifascista di Genova. Così circa duemila persone hanno attraversato la città, dalla fabbrica di Cornigliano fino alla Prefettura. I lavoratori contestano il piano di Mittal che, acquisendo la fabbrica, prevede 599 esuberi tra i 1499 operai genovesi. “Siamo stati traditi due volte”, chiariscono i lavoratori, che nel 2005 avevano firmato un accordo di programma che, nonostante la chiusura della lavorazione “a caldo”, avrebbe dovuto tutelare l’occupazione. “Lo sciopero ha vinto – ha dichiarato il segretario Film Cgil Bruno Manganaro all’uscita dall’incontro in prefettura – Il governo ha chiesto a Mittal di riscrivere la lettera con la procedura e gli esuberi, per il momento ci fidiamo come abbiamo sempre fatto ma siamo all’inizio della partita. Se qualcuno cerca nei prossimi giorni di fregarci torniamo qui più arrabbiati”. Presenti all’incontro in prefettura anche il Sindaco di Genova Marco Bucci e il presidente della Regione Giovanni Toti, che con le organizzazioni sindacali hanno firmato una lettera in cui chiedono al Governo un incontro e il rispetto dell’accordo di programma
di Pietro Barabino | 9 ottobre 2017
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Re: IL LAVORO
………………………………INDIETRO TUTTA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Manco mia nonna, quando lavorava alla Pirelli settant’anni fa, o prima sotto il fascio…….
30 nov 2017 15:36
"LA MIA VITA A 100 PACCHI ALL'ORA E IL CRONOMETRO PER IL BAGNO"
- IL RACCONTO DI UN DIPENDENTE AMAZON A PIACENZA: RITMI LOGORANTI, STRESS PSICOFISICO, ZERO PREMI E RENDIMENTO IN TEMPO REALE
- “UNA VOLTA SONO STATO MALE ED È ARRIVATO IL RICHIAMO. COME SI ACCORGONO CHE CI METTI QUALCHE MINUTO IN PIÙ VENGONO A CERCARTI”
Franco Giubilei per la Stampa
Lavorare in Amazon, una corsa quotidiana contro il tempo fatta di target produttivi da raggiungere, di minuti contati per andare in bagno o in mensa, di uno stress psicofisico che si accumula ogni giorno fin spesso a sfociare in problemi di salute veri e propri.
La descrizione della giornata di lavoro nel grande stabilimento di Castel San Giovanni somiglia alla vecchia catena di montaggio, solo molto più sofisticata, perché il mancato rispetto di tempi e tabelle viene immediatamente rilevato da un sistema elettronico che invia un manager a riportare l' addetto ai ritmi del colosso americano della distribuzione.
A raccontarlo è un dipendente di 33 anni assunto tre anni fa con contratto a tempo indeterminato grazie al Jobs Act, che impacchetta gli articoli perché possano essere spediti alla clientela. Lavora su due turni, dalle 6 alle 14 e dalle 14,30 alle 22,30: «Sono turni pesanti per la mole di lavoro.
Ogni dipendente segue un target, una media produttiva stabilita sulla base dell' esperienza del personale con maggiore anzianità di servizio, nel mio caso è un numero di articoli che devo imballare. Ho iniziato con target 90, dopo i record che sono stati ottenuti sono arrivato a 100 all' ora».
All' interno della mega struttura, gli addetti Amazon sono divisi in venti mansioni diverse per ognuna «il target è aumentato ogni anno». Faticoso, con «venti chilometri al giorno percorsi col "passo Amazon" fra gli scaffali» lungo gli interminabili corridoi dei capannoni, ma soprattutto stressante, come riportano molti colleghi che di notte sognano di fare dei pacchi, e fisicamente logorante.
«Ho avuto le mani atrofizzate, artrite a mani e piedi e mal di schiena, una volta tornato a casa facevo fatica a stringere gli oggetti fra le mani». Ma è sul posto di lavoro che la pressione è più forte: «Ognuno di noi è collegato tramite login al computer, per cui i manager sanno quanto produci e in quanto tempo.
Quando vai in bagno ti stacchi dal computer e cominciano a contare i minuti di assenza. Una volta sono stato male e ci sono rimasto un quarto d' ora, perché ho avuto attacchi di vomito, ed è arrivato il richiamo. Come si accorgono che ci metti qualche minuto in più vengono a cercarti».
Anche la pausa pranzo è una corsa contro il tempo: mezz' ora di sospensione dove vanno a finire i minuti per andare e tornare dalla mensa, oltre alla coda per arrivare al cibo. Alla fine, «restano sei minuti per mangiare. Ho fatto tanti lavori stressanti, ma questo psicologicamente è il peggiore, perché entro 10 minuti da un ritardo nell' attività lavorativa che non rispetti il target arriva qualcuno a riprenderti».
Lo stipendio oscilla fra 1100 e 1250 euro, ma considerato lo spirito molto americano che permea tutta l' attività ci si aspetterebbe premi legati alla produzione, invece no: «Non abbiamo premi di produttività, e questo a fronte di un aumento del fatturato del 500% in cinque anni, di record su record, invece tutto questo ai dipendenti non ha dato un euro in più. Non ci danno neanche più il panettone a Natale, solo una lettera di ringraziamento».
Qualcuno se ne va, la maggior parte resta, complice la crisi degli ultimi anni, le assunzioni però vedono aumentare il numero dei giovani e degli stranieri, «persone che danno meno problemi, non si iscrivono al sindacato e lavorano come dei matti».
Il malcontento cresce ed è sfociato nel primo sciopero venerdì scorso, proprio per il Black Friday, una di quelle scadenze che, come il Natale, segnano la frenesia massima all' interno dei capannoni di Castel San Giovanni, dove i periodi dei regali coincidono col ricorso più massiccio alla manodopera a tempo determinato, rinforzo indispensabile per i lavoratori con contratto definitivo.
«La partecipazione allo sciopero è stata buona, non me l' aspettavo». L' azienda non ha fatto una piega e nel braccio di ferro coi sindacati ha preso tempo, annullando l' incontro di lunedì scorso per rimandarlo al 18 gennaio, ben oltre le festività natalizie, quando un eventuale sciopero avrebbe un impatto minore rispetto a un' agitazione che blocchi lo stabilimento in queste settimane. I sindacati premono perché il confronto si tenga entro una decina di giorni, in tempo utile per una nuova, molto possibile agitazione.
VEDI:
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 161975.htm
Manco mia nonna, quando lavorava alla Pirelli settant’anni fa, o prima sotto il fascio…….
30 nov 2017 15:36
"LA MIA VITA A 100 PACCHI ALL'ORA E IL CRONOMETRO PER IL BAGNO"
- IL RACCONTO DI UN DIPENDENTE AMAZON A PIACENZA: RITMI LOGORANTI, STRESS PSICOFISICO, ZERO PREMI E RENDIMENTO IN TEMPO REALE
- “UNA VOLTA SONO STATO MALE ED È ARRIVATO IL RICHIAMO. COME SI ACCORGONO CHE CI METTI QUALCHE MINUTO IN PIÙ VENGONO A CERCARTI”
Franco Giubilei per la Stampa
Lavorare in Amazon, una corsa quotidiana contro il tempo fatta di target produttivi da raggiungere, di minuti contati per andare in bagno o in mensa, di uno stress psicofisico che si accumula ogni giorno fin spesso a sfociare in problemi di salute veri e propri.
La descrizione della giornata di lavoro nel grande stabilimento di Castel San Giovanni somiglia alla vecchia catena di montaggio, solo molto più sofisticata, perché il mancato rispetto di tempi e tabelle viene immediatamente rilevato da un sistema elettronico che invia un manager a riportare l' addetto ai ritmi del colosso americano della distribuzione.
A raccontarlo è un dipendente di 33 anni assunto tre anni fa con contratto a tempo indeterminato grazie al Jobs Act, che impacchetta gli articoli perché possano essere spediti alla clientela. Lavora su due turni, dalle 6 alle 14 e dalle 14,30 alle 22,30: «Sono turni pesanti per la mole di lavoro.
Ogni dipendente segue un target, una media produttiva stabilita sulla base dell' esperienza del personale con maggiore anzianità di servizio, nel mio caso è un numero di articoli che devo imballare. Ho iniziato con target 90, dopo i record che sono stati ottenuti sono arrivato a 100 all' ora».
All' interno della mega struttura, gli addetti Amazon sono divisi in venti mansioni diverse per ognuna «il target è aumentato ogni anno». Faticoso, con «venti chilometri al giorno percorsi col "passo Amazon" fra gli scaffali» lungo gli interminabili corridoi dei capannoni, ma soprattutto stressante, come riportano molti colleghi che di notte sognano di fare dei pacchi, e fisicamente logorante.
«Ho avuto le mani atrofizzate, artrite a mani e piedi e mal di schiena, una volta tornato a casa facevo fatica a stringere gli oggetti fra le mani». Ma è sul posto di lavoro che la pressione è più forte: «Ognuno di noi è collegato tramite login al computer, per cui i manager sanno quanto produci e in quanto tempo.
Quando vai in bagno ti stacchi dal computer e cominciano a contare i minuti di assenza. Una volta sono stato male e ci sono rimasto un quarto d' ora, perché ho avuto attacchi di vomito, ed è arrivato il richiamo. Come si accorgono che ci metti qualche minuto in più vengono a cercarti».
Anche la pausa pranzo è una corsa contro il tempo: mezz' ora di sospensione dove vanno a finire i minuti per andare e tornare dalla mensa, oltre alla coda per arrivare al cibo. Alla fine, «restano sei minuti per mangiare. Ho fatto tanti lavori stressanti, ma questo psicologicamente è il peggiore, perché entro 10 minuti da un ritardo nell' attività lavorativa che non rispetti il target arriva qualcuno a riprenderti».
Lo stipendio oscilla fra 1100 e 1250 euro, ma considerato lo spirito molto americano che permea tutta l' attività ci si aspetterebbe premi legati alla produzione, invece no: «Non abbiamo premi di produttività, e questo a fronte di un aumento del fatturato del 500% in cinque anni, di record su record, invece tutto questo ai dipendenti non ha dato un euro in più. Non ci danno neanche più il panettone a Natale, solo una lettera di ringraziamento».
Qualcuno se ne va, la maggior parte resta, complice la crisi degli ultimi anni, le assunzioni però vedono aumentare il numero dei giovani e degli stranieri, «persone che danno meno problemi, non si iscrivono al sindacato e lavorano come dei matti».
Il malcontento cresce ed è sfociato nel primo sciopero venerdì scorso, proprio per il Black Friday, una di quelle scadenze che, come il Natale, segnano la frenesia massima all' interno dei capannoni di Castel San Giovanni, dove i periodi dei regali coincidono col ricorso più massiccio alla manodopera a tempo determinato, rinforzo indispensabile per i lavoratori con contratto definitivo.
«La partecipazione allo sciopero è stata buona, non me l' aspettavo». L' azienda non ha fatto una piega e nel braccio di ferro coi sindacati ha preso tempo, annullando l' incontro di lunedì scorso per rimandarlo al 18 gennaio, ben oltre le festività natalizie, quando un eventuale sciopero avrebbe un impatto minore rispetto a un' agitazione che blocchi lo stabilimento in queste settimane. I sindacati premono perché il confronto si tenga entro una decina di giorni, in tempo utile per una nuova, molto possibile agitazione.
VEDI:
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 161975.htm
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