Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
IN FONDO AL POZZO SEMPRE PIU’ NERO,…..A DESTRA,…..SOTTO LE MACERIE…..
IL SENADUR
CARROCCIO CATORCIO
- UMBERTO BOSSI RANDELLA SALVINI: “STANNO NASCENDO MOLTI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI, LA LEGA SI PUO’ ANCHE CHIUDERE. LA STELLA POLARE DEL NORD E’ LA PADANIA, IL PARTITO E’ SOLO UNO STRUMENTO…”
27 mag 2017 17:24
1 - BOSSI, SE NON SERVE PIÙ SI PUÒ ANCHE CHIUDERE
(ANSA) - "Stanno nascendo molti altri movimenti indipendentisti, puoi anche chiudere la Lega", se non serve più agli interessi del Nord. Lo ha sostenuto il presidente del partito, Umberto Bossi, portando un saluto alla nascita del movimento 'Grande Nord' promosso da ex leghisti delusi. "La stella polare del Nord è la Padania, non la Lega - ha detto il fondatore -. La Lega è uno strumento, e se uno strumento non serve lo puoi anche fare sparire". Sapendo, ha aggiunto Bossi, che "il vuoto in politica non esiste". "Non sono importanti i voti - ha concluso l'ex leader leghista seduto in prima fila, senza salire sul palco -: i voti o li conti o li pesi. Io li ho sempre fatti pesare".
2 - BOSSI, NON LASCIO IL PARTITO? PER ADESSO...
(ANSA) - "Non lascio la Lega? Per adesso. Sono qui per ascoltare". Così Umberto Bossi ha risposto ai giornalisti al suo arrivo alla presentazione del movimento 'Grande Nord' di Roberto Bernardelli, con molti ex leghisti. "La Lega così com'è non serve più al Nord, Salvini vuole andare al Sud", ha ribadito il presidente del Carroccio.
"Voglio vedere i programmi, sono qui per ascoltare e capire, poi vediamo", ha detto Bossi sedendosi in prima fila nella sala dell'hotel dei Cavalieri di Milano, di proprietà dello stesso Bernardelli. Del resto, ha osservato Bossi, "questo non è un partito ma un'associazione". Ai giornalisti che gli hanno chiesto se la proposta del segretario della Lega, Matteo Salvini, di porre un tetto ai mandati elettivi lo riguarderà, ha quindi risposto: "Sono messaggi che manda in giro, lui non parla chiaro...".
IL SENADUR
CARROCCIO CATORCIO
- UMBERTO BOSSI RANDELLA SALVINI: “STANNO NASCENDO MOLTI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI, LA LEGA SI PUO’ ANCHE CHIUDERE. LA STELLA POLARE DEL NORD E’ LA PADANIA, IL PARTITO E’ SOLO UNO STRUMENTO…”
27 mag 2017 17:24
1 - BOSSI, SE NON SERVE PIÙ SI PUÒ ANCHE CHIUDERE
(ANSA) - "Stanno nascendo molti altri movimenti indipendentisti, puoi anche chiudere la Lega", se non serve più agli interessi del Nord. Lo ha sostenuto il presidente del partito, Umberto Bossi, portando un saluto alla nascita del movimento 'Grande Nord' promosso da ex leghisti delusi. "La stella polare del Nord è la Padania, non la Lega - ha detto il fondatore -. La Lega è uno strumento, e se uno strumento non serve lo puoi anche fare sparire". Sapendo, ha aggiunto Bossi, che "il vuoto in politica non esiste". "Non sono importanti i voti - ha concluso l'ex leader leghista seduto in prima fila, senza salire sul palco -: i voti o li conti o li pesi. Io li ho sempre fatti pesare".
2 - BOSSI, NON LASCIO IL PARTITO? PER ADESSO...
(ANSA) - "Non lascio la Lega? Per adesso. Sono qui per ascoltare". Così Umberto Bossi ha risposto ai giornalisti al suo arrivo alla presentazione del movimento 'Grande Nord' di Roberto Bernardelli, con molti ex leghisti. "La Lega così com'è non serve più al Nord, Salvini vuole andare al Sud", ha ribadito il presidente del Carroccio.
"Voglio vedere i programmi, sono qui per ascoltare e capire, poi vediamo", ha detto Bossi sedendosi in prima fila nella sala dell'hotel dei Cavalieri di Milano, di proprietà dello stesso Bernardelli. Del resto, ha osservato Bossi, "questo non è un partito ma un'associazione". Ai giornalisti che gli hanno chiesto se la proposta del segretario della Lega, Matteo Salvini, di porre un tetto ai mandati elettivi lo riguarderà, ha quindi risposto: "Sono messaggi che manda in giro, lui non parla chiaro...".
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Re: Diario della caduta di un regime.
27 mag 2017 16:37
DECAMINADA DE’ SALUTE
- PER LA BANCAROTTA DELL’ISTITUTO DERMOPATICO DELL’IMMACOLATA FINISCONO IN 24 SUL BANCO DEGLI IMPUTATI - TRA LORO ANCHE PADRE FRANCO DECAMINADA, EX CONSIGLIERE E RESPONSABILE DELLA GESTIONE FINANZIARIA
- PER I PM, LE CASSE SONO STATE SACCHEGGIATE TRA IL 2007 E IL 2012
- ECCO LA VICENDA
Michela Allegri per “il Messaggero”
Un dissesto milionario e un maxiprocesso alle battute iniziali. Per il buco a sei zeri nelle casse dell'Idi, l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata, sono finiti sul banco degli imputati in 24. Lo ha stabilito il gup Fabio Mostarda, accogliendo le richieste del pubblico ministero Giuseppe Cascini.
Il giudice ha anche disposto la condanna in abbreviato di due imputati e ha accettato la richiesta di patteggiamento avanzata da altre 10 persone. A giudizio il prossimo 16 novembre, di fronte ai giudici della nona sezione penale, anche padre Franco Decaminada, ex consigliere delegato dell'Idi e fino al dicembre 2011 incaricato della gestione finanziaria del comparto relativo alla sanità. Per l'accusa, le casse dell'Istituto sarebbero state letteralmente saccheggiate, tra il 2007 e il 2012.
LE ACCUSE
Il pm Cascini contesta, a seconda delle posizioni, la bancarotta fraudolenta, l'emissione e utilizzo di fatture false, l'occultamento di scritture contabili, l'appropriazione indebita e il riciclaggio. È finito sotto processo anche Domenico Temperini, l'ex amministratore di Idi-Farmaceutici e direttore generale pro-tempore di Idi-Sanità.
La lista degli imputati è lunga, comprende anche Antonio Nicolella, ex membro del Cda del Consorzio Servizi Ospedalieri. Decaminada, Tamperini e Nicolella erano stati arrestati nel 2013, dopo che i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria avevano depositato in procura l'informativa conclusiva sulla vicenda. I militari avevano conteggiato nelle casse dell'ente religioso un passivo patrimoniale pari a circa 845 milioni, distrazioni di disponibilità per oltre 82 milioni, un indebito utilizzo di fondi pubblici per oltre 6 milioni e un'evasione fiscale di oltre 450 milioni di euro.
LE SENTENZE
Ieri, il gup ha anche disposto un'assoluzione e alcuni proscioglimenti per prescrizione. Al termine di un procedimento condotto con rito abbreviato, i rappresentanti legali di una società, Pio Bastoni e Carmelina Santagati, sono stati condannati rispettivamente a 3 anni e 4 mesi e un anno e 8 mesi per bancarotta.
È stato invece assolto Mario Russo, amministratore unico di un'altra azienda, finito sotto inchiesta per reati tributari. L'inchiesta era scattata nel 2012 dopo un esposto presentato dai dipendenti dell'Idi, che lamentavano il mancato versamento degli ultimi stipendi e segnalavano una serie di incongruenze nella gestione amministrativa della struttura. Dalle indagini era poi emerso che dalle casse dell'ente erano stati sottratti milioni.
IL MECCANISMO
Le distrazioni sarebbero state effettuate con prelevamenti in contanti, effettuati soprattutto da Decaminada e Temperini, e anche con il pagamento di fatture per operazioni inesistenti, emesse da professionisti e società compiacenti. Attraverso un meccanismo studiato nei dettagli, con una fitta interposizione di schemi societari, i soldi dell'ente religioso sarebbero stati dirottati sul conto di Decaminada e di altri imputati. Nel maggio 2013, subito dopo gli arresti, gli inquirenti avevano sequestrato a Decaminada e Temperini beni per sei milioni di euro. Nella perizia contabile redatta da un consulente della procura si legge che «l'Idi si trovava in stato di insolvenza almeno dal 2008». In questo modo, nascondendo il passivo nei conti scavato a suon di distrazioni, sarebbe stata generata «una maggiore perdita a danno dei creditori».
DECAMINADA DE’ SALUTE
- PER LA BANCAROTTA DELL’ISTITUTO DERMOPATICO DELL’IMMACOLATA FINISCONO IN 24 SUL BANCO DEGLI IMPUTATI - TRA LORO ANCHE PADRE FRANCO DECAMINADA, EX CONSIGLIERE E RESPONSABILE DELLA GESTIONE FINANZIARIA
- PER I PM, LE CASSE SONO STATE SACCHEGGIATE TRA IL 2007 E IL 2012
- ECCO LA VICENDA
Michela Allegri per “il Messaggero”
Un dissesto milionario e un maxiprocesso alle battute iniziali. Per il buco a sei zeri nelle casse dell'Idi, l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata, sono finiti sul banco degli imputati in 24. Lo ha stabilito il gup Fabio Mostarda, accogliendo le richieste del pubblico ministero Giuseppe Cascini.
Il giudice ha anche disposto la condanna in abbreviato di due imputati e ha accettato la richiesta di patteggiamento avanzata da altre 10 persone. A giudizio il prossimo 16 novembre, di fronte ai giudici della nona sezione penale, anche padre Franco Decaminada, ex consigliere delegato dell'Idi e fino al dicembre 2011 incaricato della gestione finanziaria del comparto relativo alla sanità. Per l'accusa, le casse dell'Istituto sarebbero state letteralmente saccheggiate, tra il 2007 e il 2012.
LE ACCUSE
Il pm Cascini contesta, a seconda delle posizioni, la bancarotta fraudolenta, l'emissione e utilizzo di fatture false, l'occultamento di scritture contabili, l'appropriazione indebita e il riciclaggio. È finito sotto processo anche Domenico Temperini, l'ex amministratore di Idi-Farmaceutici e direttore generale pro-tempore di Idi-Sanità.
La lista degli imputati è lunga, comprende anche Antonio Nicolella, ex membro del Cda del Consorzio Servizi Ospedalieri. Decaminada, Tamperini e Nicolella erano stati arrestati nel 2013, dopo che i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria avevano depositato in procura l'informativa conclusiva sulla vicenda. I militari avevano conteggiato nelle casse dell'ente religioso un passivo patrimoniale pari a circa 845 milioni, distrazioni di disponibilità per oltre 82 milioni, un indebito utilizzo di fondi pubblici per oltre 6 milioni e un'evasione fiscale di oltre 450 milioni di euro.
LE SENTENZE
Ieri, il gup ha anche disposto un'assoluzione e alcuni proscioglimenti per prescrizione. Al termine di un procedimento condotto con rito abbreviato, i rappresentanti legali di una società, Pio Bastoni e Carmelina Santagati, sono stati condannati rispettivamente a 3 anni e 4 mesi e un anno e 8 mesi per bancarotta.
È stato invece assolto Mario Russo, amministratore unico di un'altra azienda, finito sotto inchiesta per reati tributari. L'inchiesta era scattata nel 2012 dopo un esposto presentato dai dipendenti dell'Idi, che lamentavano il mancato versamento degli ultimi stipendi e segnalavano una serie di incongruenze nella gestione amministrativa della struttura. Dalle indagini era poi emerso che dalle casse dell'ente erano stati sottratti milioni.
IL MECCANISMO
Le distrazioni sarebbero state effettuate con prelevamenti in contanti, effettuati soprattutto da Decaminada e Temperini, e anche con il pagamento di fatture per operazioni inesistenti, emesse da professionisti e società compiacenti. Attraverso un meccanismo studiato nei dettagli, con una fitta interposizione di schemi societari, i soldi dell'ente religioso sarebbero stati dirottati sul conto di Decaminada e di altri imputati. Nel maggio 2013, subito dopo gli arresti, gli inquirenti avevano sequestrato a Decaminada e Temperini beni per sei milioni di euro. Nella perizia contabile redatta da un consulente della procura si legge che «l'Idi si trovava in stato di insolvenza almeno dal 2008». In questo modo, nascondendo il passivo nei conti scavato a suon di distrazioni, sarebbe stata generata «una maggiore perdita a danno dei creditori».
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Re: Diario della caduta di un regime.
TIRA ARIA DI FINE LEGISLATURA ANTICIPATA E SUBITO SCATTA LA CORSA AD ACCAPARARSI I VOTI “COMPRANDO” GLI ITALIANI CHE CI STANNO.
COMPRA TU, CHE COMPRO ANCH'IO
Sereni, più fondi aziende colpite sisma
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© ANSA Sereni, più fondi aziende colpite sisma
(ANSA) - ROMA, 27 MAG - "Grazie all'approvazione dell'emendamento del Pd, che peraltro ha riassorbito proposte di altri gruppi anche dell'opposizione saranno raddoppiati, da 23 a 46 milioni, i fondi a disposizione delle aziende del turismo, dei servizi e dell'artigianato umbre e delle altre aree colpite dal sisma che hanno avuto un sensibile calo del fatturato e dell'attività come conseguenza indiretta del terremoto". Lo dice la prima firmataria, l'on. Marina Sereni.
"I fondi - dice Sereni - passano da 23 a 33 milioni per quest'anno e se ne aggiungono altri 10 per il prossimo. Un altro impegno rispettato dal Parlamento e dal Governo nei confronti del tessuto economico e produttivo della nostra Regione. Non posso che esprimere soddisfazione per il risultato raggiunto, un modo concreto per incoraggiare tutti coloro che nel territorio della Valnerina e in tutta l'Umbria si stanno dando da fare per offrire ai turisti italiani e stranieri la possibilità di vivere esperienze uniche e di godere di una ospitalità sicura e unica".
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(ANSA) - ROMA, 27 MAG - "Grazie all'approvazione dell'emendamento del Pd, che peraltro ha riassorbito proposte di altri gruppi anche dell'opposizione saranno raddoppiati, da 23 a 46 milioni, i fondi a disposizione delle aziende del turismo, dei servizi e dell'artigianato umbre e delle altre aree colpite dal sisma che hanno avuto un sensibile calo del fatturato e dell'attività come conseguenza indiretta del terremoto". Lo dice la prima firmataria, l'on. Marina Sereni.
"I fondi - dice Sereni - passano da 23 a 33 milioni per quest'anno e se ne aggiungono altri 10 per il prossimo. Un altro impegno rispettato dal Parlamento e dal Governo nei confronti del tessuto economico e produttivo della nostra Regione. Non posso che esprimere soddisfazione per il risultato raggiunto, un modo concreto per incoraggiare tutti coloro che nel territorio della Valnerina e in tutta l'Umbria si stanno dando da fare per offrire ai turisti italiani e stranieri la possibilità di vivere esperienze uniche e di godere di una ospitalità sicura e unica".
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Re: Diario della caduta di un regime.
UN PAESE SOTTO SCACCO
‘FalconeeBorsellino’, in Rai nessun cenno alla verità occultata e depistata
di Sandra Amurri | 24 maggio 2017
commenti (54)
7,6 mila
Più informazioni su: Fabio Fazio, Falcone - Borsellino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pif, Roberto Saviano
Profilo blogger
Sandra Amurri
Giornalista
Post | Articoli
Twitter
“La legalità è servizio pubblico: maratona Rai con Fazio, Pif e Saviano” titola oggi il Messaggero. Una maratona sì, ma di fatti raccontati mille volte in questi 25 anni, fatti che sappiamo a memoria. Alcuni addirittura patetici come l’intervista di Pif al barbiere di Paolo Borsellino, con in primo piano la poltrona dove era seduto quando apprese della strage di Capaci. Fatti, accuratamente montati come in una fiction interpretata da attori come Montalbano, alias Luca Zingaretti, che seduto alla scrivania (originale, ci spiega Fabio Fazio) recita le profetiche e accorate parole pronunciate da Borsellino la sera del 25 giugno ’92 durante il dibattito organizzato da Micromega nel cortile di Casa Professa, dentro la Biblioteca comunale di Palermo.
Sulla verità mancata, depistata, occultata: silenzio. Altri fatti sono trasformati in monologo da Roberto Saviano che, pro domo sua, non sfiora mai uno degli interrogativi che gridano vendetta e si guarda bene dal dedicare un pensiero a chi, come il dottor Nino Di Matteo, oggi, per lo stesso “spirito di servizio” che animò Falcone e Borsellino, è costretto, come lo erano loro, a vivere blindato, ad essere isolato dalle istituzioni. Per non infastidire i “manovratori”, si è preferito ripercorrere le privazioni della libertà personale, l’isolamento, la delegittimazione, gli ostacoli imposti dal Csm subiti dai giudici uccisi evitando di raccontare quelli di chi li subisce oggi, ed è vivo. A Saviano che su Twitter ha tenuto a precisare “Parteciperò gratuitamente”, ci sarebbe da chiedere: “Quindi, come alibi non avevi neppure il ricatto del compenso”.
Abbiamo dovuto attendere Fiammetta, la figlia del giudice, e Rita Borsellino, la sorella, per ascoltare quello che tutti pretendiamo: verità, tutta la verità. E ci sono volute le parole esplosive del Presidente del Senato, Piero Grasso, per vedere l’imbarazzo stampato sul viso di Fabio Fazio che lo ha interrotto con il rituale del “grazie, grazie a tutti voi, Capaci ci aspetta”. “Ho avuto il privilegio di sentire un collaboratore che ha messo in discussione sentenze definitive, oggi ci vorrebbe qualche altro collaboratore che sia interno alla mafia o di Stato” ha detto Piero Grasso ripetendo: “Interno alla mafia o esterno alla mafia, questo perché sappiamo dalle indagini, da quello che abbiamo accertato, che ci sono state presenze esterne. Chi c’era e perché c’era? Qualcuno sa e cercheremo di scoprirlo”. Dalla bocca del conduttore non è uscita la domanda obbligata: “Presidente, cosa vuol dire, a cosa a chi sta pensando? Ci spieghi”. Eppure a dire che la svolta sarebbe la collaborazione di uno o più uomini dello Stato non era stato un passante ma la seconda carica dello Stato, appunto. Ex giudice a latere del maxiprocesso, ex procuratore capo di Palermo, ed ex Procuratore nazionale antimafia. Ma la “maratona Rai della legalità” non lo prevedeva con buona pace del servizio pubblico.
Un’altra occasione mancata per il raggiungimento di quella pace che, come spiegava Agnese Borsellino al Fatto Quotidiano nell’intervista del 2009, “non può esserci in un Paese popolato ancora da ricattatori e ricattati”.
Ps. Mentre sto scrivendo, apprendo che la Digos di Palermo nel pomeriggio aveva censurato lo striscione degli studenti del liceo classico Garibaldi perché “offensivo”. C’era scritto: “Non siete Stato voi perché siete stati voi”. Aspettarsi che Fazio, Saviano o Pif ci informassero di questa scandalosa notizia sarebbe stato davvero troppo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... a/3612177/
‘FalconeeBorsellino’, in Rai nessun cenno alla verità occultata e depistata
di Sandra Amurri | 24 maggio 2017
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Sandra Amurri
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“La legalità è servizio pubblico: maratona Rai con Fazio, Pif e Saviano” titola oggi il Messaggero. Una maratona sì, ma di fatti raccontati mille volte in questi 25 anni, fatti che sappiamo a memoria. Alcuni addirittura patetici come l’intervista di Pif al barbiere di Paolo Borsellino, con in primo piano la poltrona dove era seduto quando apprese della strage di Capaci. Fatti, accuratamente montati come in una fiction interpretata da attori come Montalbano, alias Luca Zingaretti, che seduto alla scrivania (originale, ci spiega Fabio Fazio) recita le profetiche e accorate parole pronunciate da Borsellino la sera del 25 giugno ’92 durante il dibattito organizzato da Micromega nel cortile di Casa Professa, dentro la Biblioteca comunale di Palermo.
Sulla verità mancata, depistata, occultata: silenzio. Altri fatti sono trasformati in monologo da Roberto Saviano che, pro domo sua, non sfiora mai uno degli interrogativi che gridano vendetta e si guarda bene dal dedicare un pensiero a chi, come il dottor Nino Di Matteo, oggi, per lo stesso “spirito di servizio” che animò Falcone e Borsellino, è costretto, come lo erano loro, a vivere blindato, ad essere isolato dalle istituzioni. Per non infastidire i “manovratori”, si è preferito ripercorrere le privazioni della libertà personale, l’isolamento, la delegittimazione, gli ostacoli imposti dal Csm subiti dai giudici uccisi evitando di raccontare quelli di chi li subisce oggi, ed è vivo. A Saviano che su Twitter ha tenuto a precisare “Parteciperò gratuitamente”, ci sarebbe da chiedere: “Quindi, come alibi non avevi neppure il ricatto del compenso”.
Abbiamo dovuto attendere Fiammetta, la figlia del giudice, e Rita Borsellino, la sorella, per ascoltare quello che tutti pretendiamo: verità, tutta la verità. E ci sono volute le parole esplosive del Presidente del Senato, Piero Grasso, per vedere l’imbarazzo stampato sul viso di Fabio Fazio che lo ha interrotto con il rituale del “grazie, grazie a tutti voi, Capaci ci aspetta”. “Ho avuto il privilegio di sentire un collaboratore che ha messo in discussione sentenze definitive, oggi ci vorrebbe qualche altro collaboratore che sia interno alla mafia o di Stato” ha detto Piero Grasso ripetendo: “Interno alla mafia o esterno alla mafia, questo perché sappiamo dalle indagini, da quello che abbiamo accertato, che ci sono state presenze esterne. Chi c’era e perché c’era? Qualcuno sa e cercheremo di scoprirlo”. Dalla bocca del conduttore non è uscita la domanda obbligata: “Presidente, cosa vuol dire, a cosa a chi sta pensando? Ci spieghi”. Eppure a dire che la svolta sarebbe la collaborazione di uno o più uomini dello Stato non era stato un passante ma la seconda carica dello Stato, appunto. Ex giudice a latere del maxiprocesso, ex procuratore capo di Palermo, ed ex Procuratore nazionale antimafia. Ma la “maratona Rai della legalità” non lo prevedeva con buona pace del servizio pubblico.
Un’altra occasione mancata per il raggiungimento di quella pace che, come spiegava Agnese Borsellino al Fatto Quotidiano nell’intervista del 2009, “non può esserci in un Paese popolato ancora da ricattatori e ricattati”.
Ps. Mentre sto scrivendo, apprendo che la Digos di Palermo nel pomeriggio aveva censurato lo striscione degli studenti del liceo classico Garibaldi perché “offensivo”. C’era scritto: “Non siete Stato voi perché siete stati voi”. Aspettarsi che Fazio, Saviano o Pif ci informassero di questa scandalosa notizia sarebbe stato davvero troppo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... a/3612177/
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Re: Diario della caduta di un regime.
mercoledì 24/05/2017
Giovanni Falcone ucciso dai poteri criminali (non solo mafiosi)
di Gian Carlo Caselli | 24 maggio 2017
| (1)
La storia di Giovanni Falcone è nota. Si può sintetizzare contrapponendo una giusta gloria post mortem, agli ostacoli – seminati con iniqua strategia – che lo intralciarono in vita. Vediamone alcuni. Si sostiene che il Csm avrebbe violato le regole se avesse nominato a capo dell’ufficio istruzione (dopo Antonino Caponnetto) Falcone invece di Meli. Falso. Oltre alla regola gerontocratica dell’anzianità – che premiò Meli ancorché fosse digiuno di processi di mafia – ne vigeva un’altra. Quella della professionalità (o delle attitudini specifiche), stabilita dal Csm con circolare del 15 maggio 1986 espressamente riferita agli uffici di “frontiera antimafia”. La regola difatti fu applicata per la nomina del Procuratore di Marsala, preferendo Borsellino a un magistrato più anziano ma inesperto di mafia. Poi fu inaspettatamente calpestata per Falcone. Con un corredo indecoroso di giravolte e tradimenti.
Tra le accuse più insinuanti scagliate contro Falcone, per infangarlo e delegittimarlo, c’era quella di “protagonismo”. Nominare lui sarebbe stato un affronto a tutti i magistrati che ogni giorno sfangavano in silenzio. Un falso (strumentale), che ricorda la storia di quando le donne portavano il velo. Allora erano tutte belle, ma quando il velo cadde si cominciarono a constatare delle differenze. Un po’ quel che è successo per la magistratura. Quando i giudici non davano “fastidio”, erano tutti bravi e buoni. Ma quando hanno preso a dare segni di vitalità e indipendenza, “pretendendo” di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi prima impensabili, ecco scatenarsi le accuse di protagonismo.
Una variante è l’accusa di gigantismo: aver costruito un “maxi-processo” per la smodata ambizione di attirare la massima attenzione e finire sempre più spesso sotto i riflettori. Falso. Il processo era “maxi” in quanto vergognosamente “maxi” era l’impunità di cui Cosa Nostra aveva goduto per decine e decine di anni, qualche migliaio di delitti, centinaia e centinaia di capi e “picciotti”. L’emergere, una buona volta, di questa “montagna di merda” (copyright Peppino Impastato), ebbe come logica e obiettiva conseguenza un processo grande come una montagna. Maxi, appunto.
Falcone era nel mirino di Cosa Nostra da sempre. Sapeva che sarebbe stato ucciso, ma non ha mai smesso di fare il suo dovere. La situazione precipita per il combinato effetto di due fattori, ciascuno esiziale per Cosa Nostra: la conferma definitiva delle condanne del maxi in Cassazione (prima specializzata nel praticare “l’ammazza-sentenze” di mafia); le iniziative che Falcone aveva avviato sfruttando le opportunità del lavoro ministeriale, con l’obiettivo di estendere a tutto il territorio nazionale i parametri – specializzazione e centralizzazione – sperimentati a Palermo. Creando un’antimafia moderna (Procura nazionale e relativa banca dati; Procure distrettuali; Dia; legge sui pentiti; 41 bis) che funziona ancora oggi.
Alla “novità” della Cassazione e alla “ostinazione” di Falcone (cacciato da Palermo perché si occupasse d’altro, ma per nulla disposto a mollare) la mafia reagisce con rabbiosa ferocia. Prima l’omicidio Lima, accusato di non aver saputo impedire la pessima conclusione del processo. Poi le stragi. Una rappresaglia contro Falcone (e Borsellino) per i risultati devastanti del maxi. Nello stesso tempo, un monito sanguinario contro chi volesse riprendere il loro metodo di lavoro.
Ma Falcone e il pool non erano odiati solo dai mafiosi. C’era anche la “criminalità del potere”. Quei segmenti della classe dirigente (politica e imprenditoriale) e della massoneria che con la mafia intrattengono rapporti occulti di reciproco interesse. Anche questa “criminalità del potere” considerava il pool un pericoloso nemico. Perché si era vista fotografata in un passo dell’ordinanza-sentenza del 1985 (conclusiva del primo maxi-processo), che denunciava “una singolare convergenza fra interessi mafiosi e interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che devono essere individuati e colpiti se si vuole davvero voltare pagina”. E che non fossero solo proclami lo dimostravano le iniziative concrete contro Ciancimino padre, i cugini Salvo e i Cavalieri del lavoro di Catania. Di qui dunque un torbido coacervo di interessi criminali convergenti, che alla fine riuscì a isolare e “incastrare” Falcone. Fino a morire.
di Gian Carlo Caselli | 24 maggio 2017
Giovanni Falcone ucciso dai poteri criminali (non solo mafiosi)
di Gian Carlo Caselli | 24 maggio 2017
| (1)
La storia di Giovanni Falcone è nota. Si può sintetizzare contrapponendo una giusta gloria post mortem, agli ostacoli – seminati con iniqua strategia – che lo intralciarono in vita. Vediamone alcuni. Si sostiene che il Csm avrebbe violato le regole se avesse nominato a capo dell’ufficio istruzione (dopo Antonino Caponnetto) Falcone invece di Meli. Falso. Oltre alla regola gerontocratica dell’anzianità – che premiò Meli ancorché fosse digiuno di processi di mafia – ne vigeva un’altra. Quella della professionalità (o delle attitudini specifiche), stabilita dal Csm con circolare del 15 maggio 1986 espressamente riferita agli uffici di “frontiera antimafia”. La regola difatti fu applicata per la nomina del Procuratore di Marsala, preferendo Borsellino a un magistrato più anziano ma inesperto di mafia. Poi fu inaspettatamente calpestata per Falcone. Con un corredo indecoroso di giravolte e tradimenti.
Tra le accuse più insinuanti scagliate contro Falcone, per infangarlo e delegittimarlo, c’era quella di “protagonismo”. Nominare lui sarebbe stato un affronto a tutti i magistrati che ogni giorno sfangavano in silenzio. Un falso (strumentale), che ricorda la storia di quando le donne portavano il velo. Allora erano tutte belle, ma quando il velo cadde si cominciarono a constatare delle differenze. Un po’ quel che è successo per la magistratura. Quando i giudici non davano “fastidio”, erano tutti bravi e buoni. Ma quando hanno preso a dare segni di vitalità e indipendenza, “pretendendo” di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi prima impensabili, ecco scatenarsi le accuse di protagonismo.
Una variante è l’accusa di gigantismo: aver costruito un “maxi-processo” per la smodata ambizione di attirare la massima attenzione e finire sempre più spesso sotto i riflettori. Falso. Il processo era “maxi” in quanto vergognosamente “maxi” era l’impunità di cui Cosa Nostra aveva goduto per decine e decine di anni, qualche migliaio di delitti, centinaia e centinaia di capi e “picciotti”. L’emergere, una buona volta, di questa “montagna di merda” (copyright Peppino Impastato), ebbe come logica e obiettiva conseguenza un processo grande come una montagna. Maxi, appunto.
Falcone era nel mirino di Cosa Nostra da sempre. Sapeva che sarebbe stato ucciso, ma non ha mai smesso di fare il suo dovere. La situazione precipita per il combinato effetto di due fattori, ciascuno esiziale per Cosa Nostra: la conferma definitiva delle condanne del maxi in Cassazione (prima specializzata nel praticare “l’ammazza-sentenze” di mafia); le iniziative che Falcone aveva avviato sfruttando le opportunità del lavoro ministeriale, con l’obiettivo di estendere a tutto il territorio nazionale i parametri – specializzazione e centralizzazione – sperimentati a Palermo. Creando un’antimafia moderna (Procura nazionale e relativa banca dati; Procure distrettuali; Dia; legge sui pentiti; 41 bis) che funziona ancora oggi.
Alla “novità” della Cassazione e alla “ostinazione” di Falcone (cacciato da Palermo perché si occupasse d’altro, ma per nulla disposto a mollare) la mafia reagisce con rabbiosa ferocia. Prima l’omicidio Lima, accusato di non aver saputo impedire la pessima conclusione del processo. Poi le stragi. Una rappresaglia contro Falcone (e Borsellino) per i risultati devastanti del maxi. Nello stesso tempo, un monito sanguinario contro chi volesse riprendere il loro metodo di lavoro.
Ma Falcone e il pool non erano odiati solo dai mafiosi. C’era anche la “criminalità del potere”. Quei segmenti della classe dirigente (politica e imprenditoriale) e della massoneria che con la mafia intrattengono rapporti occulti di reciproco interesse. Anche questa “criminalità del potere” considerava il pool un pericoloso nemico. Perché si era vista fotografata in un passo dell’ordinanza-sentenza del 1985 (conclusiva del primo maxi-processo), che denunciava “una singolare convergenza fra interessi mafiosi e interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che devono essere individuati e colpiti se si vuole davvero voltare pagina”. E che non fossero solo proclami lo dimostravano le iniziative concrete contro Ciancimino padre, i cugini Salvo e i Cavalieri del lavoro di Catania. Di qui dunque un torbido coacervo di interessi criminali convergenti, che alla fine riuscì a isolare e “incastrare” Falcone. Fino a morire.
di Gian Carlo Caselli | 24 maggio 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.
L'OVRA E' IN AZIONE.
HA CANCELLATO IL POST SULLA MAFIA DI LONATE POZZOLO
UNA DOMANDA A LUCFIG:
COME E' POSSIBILE CHE SI CANCELLI UN POST DOPO L'INVIO????
HA CANCELLATO IL POST SULLA MAFIA DI LONATE POZZOLO
UNA DOMANDA A LUCFIG:
COME E' POSSIBILE CHE SI CANCELLI UN POST DOPO L'INVIO????
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Re: Diario della caduta di un regime.
L'OVRA E' SEMPRE IN AZIONE, SABOTANDO IL POST
……….IL PREZZO DELLA LIBERAZIONE……
…….Gli uomini dei servizi segreti americani piombano in gran segreto nella cella di Luciano e gli chiedono di intervenire presso i boss siciliani affinché questi agevolino rapidamente lo sbarco dell' esercito Usa in Sicilia. In cambio, il boss avrà la libertà.
• la Repubblica.it > 2002 > 10 > 29
Siamo passati dalla sottomissione nazi fascista a quella ufficiale della Mafia, anche se prima Benito Mussolini aveva potuto fare poco o niente contro la Mafia.
Lucky Luciano - Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Lucky_Luciano
1.
2.
Lucky Luciano, all'anagrafe Charles Luciano, nato Salvatore Lucania (Lercara Friddi, ... Salvatore Lucania nacque a Lercara Friddi, un paesino della provincia di Palermo, ... Approfittando del Proibizionismo, Luciano e gli altri fornirono alcolici ai ... ed irlandesi, Luciano venne assoldato dal mafioso siciliano Giuseppe "Joe" ...
Il mafioso che inventò lo sbarco degli Alleati - la Repubblica.it
ricerca.repubblica.it › la Repubblica.it › 2002 › 10 › 29
1.
29 ott 2002 - Non è un capomafia qualsiasi, ha amicizie politiche di alto rango, ... Gli uomini dei servizi segreti americani piombano in gran segreto nella cella di Luciano e gli ... a palmo la Sicilia, che godano dell' appoggio della popolazione, che ... Nel '46 viene liberato dalla prigione per i servigi resi durante la guerra.
ITALIA MISTERO: LO SBARCO IN SICILIA E LA MAFIA - PATTO CON ...
italiamistero.blogspot.com/2013/01/lo-sbarco-in-sicilia-e-la-mafia-patto.html
1.
2.
28 gen 2013 - Luciano e Lansky furono abilmente manovrati dal loro avvocato Allen Dulles. ... CharlesPoletti: in provincia di Palermo ci furono 62 sindaci mafiosi. ... (formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la ...
Trattare con la mafia? Gli Usa lo fecero per vincere la guerra - Linkiesta
http://www.linkiesta.it/it/article/2012 ... o.../7822/
1.
2.
24 giu 2012 - ... vanno segretamente a incontrare in carcere Charles “Lucky” Luciano. ... Questa strana alleanza tra mafia e Us Navy è nel pieno della sua attività ... Luciano chiede di essere messo in contatto con un altro mafioso, ... «La questione del contributo della mafia americana alla liberazione della Sicilia è resa ...
Lonate Pozzolo, dopo l’arresto del sindaco
rimangono paura e omertà: “Meglio non
parlare. Perdo il posto”
di Alessandro Sarcinelli | 28 maggio 2017
VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... o/3617042/
44
• 361
•
•
Più informazioni su: Amministrative, Elezioni Amministrative 2017, Provincia di Varese, Varese
“Lonate Pozzolo è una piccola Sicilia lombarda. C’è un po’ di tutto: traffici illeciti, la ‘ndrangheta e la gente preferisce stare in silenzio perché parlare è pericoloso”. Così un abitante commenta il clima
che si respira a Lonate Pozzolo (Varese). Il piccolo paese del Varesotto è finito sulle cronache nazionali dopo l’arresto del sindaco per corruzione, tentata concussione e abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, Danilo Rivolta abusava del suolo di primo cittadino per favorire alcuni imprenditori locali tra cui il fratello, titolare del più grosso studio di progettazione della zona. Lonate aveva già fatto parlare di sé negli anni 2000 quando era stata smantellata una locale della ‘ndrangheta affiliata alla cosca crotonese Farao-Marincola. Oggi nel 2017, quando si entra nei bar del paese la gente, pur di non commentare la vicenda di del sindaco Rivolta, sostiene di non conoscerlo e di non averlo mai visto. “Non facciamo omertà – spiegano – e che proprio non ci abbiamo mai avuto a che fare”. Altri esitano a definirlo un corrotto per paura di perdere il lavoro. In un’intercettazione Rivolta commenta con la compagna i 13mila euro presi da una tangente: “Con questi ci rifacciamo il salotto”. Per ora la giunta non si è voluta dimettere. “E’ un atto di responsabilità civica – spiega Ausilia Angelino, assessore ai Servizi sociali a Lonate – Io voglio pensare solo a risolvere i problemi dei miei cittadini. Se la magistratura accerterà i fatti sono pronta a prendere le distanze”. Ma alla domanda se è ha fiducia che le cose si possano risolvere per il meglio risponde: “Io non ho fiducia in niente”.
……….IL PREZZO DELLA LIBERAZIONE……
…….Gli uomini dei servizi segreti americani piombano in gran segreto nella cella di Luciano e gli chiedono di intervenire presso i boss siciliani affinché questi agevolino rapidamente lo sbarco dell' esercito Usa in Sicilia. In cambio, il boss avrà la libertà.
• la Repubblica.it > 2002 > 10 > 29
Siamo passati dalla sottomissione nazi fascista a quella ufficiale della Mafia, anche se prima Benito Mussolini aveva potuto fare poco o niente contro la Mafia.
Lucky Luciano - Wikipedia
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Lucky Luciano, all'anagrafe Charles Luciano, nato Salvatore Lucania (Lercara Friddi, ... Salvatore Lucania nacque a Lercara Friddi, un paesino della provincia di Palermo, ... Approfittando del Proibizionismo, Luciano e gli altri fornirono alcolici ai ... ed irlandesi, Luciano venne assoldato dal mafioso siciliano Giuseppe "Joe" ...
Il mafioso che inventò lo sbarco degli Alleati - la Repubblica.it
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29 ott 2002 - Non è un capomafia qualsiasi, ha amicizie politiche di alto rango, ... Gli uomini dei servizi segreti americani piombano in gran segreto nella cella di Luciano e gli ... a palmo la Sicilia, che godano dell' appoggio della popolazione, che ... Nel '46 viene liberato dalla prigione per i servigi resi durante la guerra.
ITALIA MISTERO: LO SBARCO IN SICILIA E LA MAFIA - PATTO CON ...
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28 gen 2013 - Luciano e Lansky furono abilmente manovrati dal loro avvocato Allen Dulles. ... CharlesPoletti: in provincia di Palermo ci furono 62 sindaci mafiosi. ... (formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la ...
Trattare con la mafia? Gli Usa lo fecero per vincere la guerra - Linkiesta
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24 giu 2012 - ... vanno segretamente a incontrare in carcere Charles “Lucky” Luciano. ... Questa strana alleanza tra mafia e Us Navy è nel pieno della sua attività ... Luciano chiede di essere messo in contatto con un altro mafioso, ... «La questione del contributo della mafia americana alla liberazione della Sicilia è resa ...
Lonate Pozzolo, dopo l’arresto del sindaco
rimangono paura e omertà: “Meglio non
parlare. Perdo il posto”
di Alessandro Sarcinelli | 28 maggio 2017
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“Lonate Pozzolo è una piccola Sicilia lombarda. C’è un po’ di tutto: traffici illeciti, la ‘ndrangheta e la gente preferisce stare in silenzio perché parlare è pericoloso”. Così un abitante commenta il clima
che si respira a Lonate Pozzolo (Varese). Il piccolo paese del Varesotto è finito sulle cronache nazionali dopo l’arresto del sindaco per corruzione, tentata concussione e abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, Danilo Rivolta abusava del suolo di primo cittadino per favorire alcuni imprenditori locali tra cui il fratello, titolare del più grosso studio di progettazione della zona. Lonate aveva già fatto parlare di sé negli anni 2000 quando era stata smantellata una locale della ‘ndrangheta affiliata alla cosca crotonese Farao-Marincola. Oggi nel 2017, quando si entra nei bar del paese la gente, pur di non commentare la vicenda di del sindaco Rivolta, sostiene di non conoscerlo e di non averlo mai visto. “Non facciamo omertà – spiegano – e che proprio non ci abbiamo mai avuto a che fare”. Altri esitano a definirlo un corrotto per paura di perdere il lavoro. In un’intercettazione Rivolta commenta con la compagna i 13mila euro presi da una tangente: “Con questi ci rifacciamo il salotto”. Per ora la giunta non si è voluta dimettere. “E’ un atto di responsabilità civica – spiega Ausilia Angelino, assessore ai Servizi sociali a Lonate – Io voglio pensare solo a risolvere i problemi dei miei cittadini. Se la magistratura accerterà i fatti sono pronta a prendere le distanze”. Ma alla domanda se è ha fiducia che le cose si possano risolvere per il meglio risponde: “Io non ho fiducia in niente”.
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Re: Diario della caduta di un regime.
NEL PAESE DOVE IL BUNGA-BUNGA E' DIVENTATO UNA RELIGIONE......
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La libertà ai tempi del morbillo, i diktat di un’élite screditata
Scritto il 29/5/17 • nella Categoria: idee Condividi
Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto.
Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti.
Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica.
Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema.
Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo.
Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.
Una volta, il camice bianco, lo scienziato, il “dottore” (figura archetipale della Conoscenza oscura e salvifica), con il solo carisma della funzione e del titolo di studio, esercitavano un’indiscussa egemonia sul popolino, che ne riconosceva acriticamente l’autorità specialistica.
Idem per le altre figure preposte alla direzione della società: il politico-amministratore, il banchiere, il dirigente di polizia, il giudice.
Mettere in discussione ruoli e competenze delle élite era possibile solo per ristrettissime minoranze critiche, perché la stragrande maggioranza della popolazione non aveva gli strumenti culturali per dissentire dai “gruppi dirigenti”, dai loro linguaggi specialistici, dalle loro ingiunzioni spesso inspiegabili.
Chi stava “in basso” era più o meno rassegnato a delegare ai piani superiori la gestione delle grandi questioni che oggi collochiamo nella dimensione etica e bio-politica.
Oggi non è più così.
Una larga fetta di popolazione, generalmente i settori un po’ più dinamici e informati, nutre un sospetto e uno scetticismo critico “a priori” sulle competenze e sui moventi di ogni gruppo dirigente.
È un fenomeno trasversale e secondo alcuni questa sorda e ostile sfiducia di massa, che corre lungo l’asse verticale “basso-alto” della società, è l’essenza di quello che viene definito “populismo”.
Una recente inchiesta statistica lamenta il fatto che molti genitori sono andati in questi anni a cercarsi sul web informazioni sui vaccini, finendo vittime di quelle che, i curatori delle inchieste, definiscono costernati come le “solite bufale”.
Senza entrare nel merito di una faccenda medico-scientifica assai complessa, pare un atteggiamento saggio quello di muoversi autonomamente e acquisire informazioni.
Perché si dovrebbero delegare acriticamente la salute propria o dei figli ad un medico di base o, peggio, alle burocrazie sanitarie?
Perché ci si dovrebbe rassegnare all’idea che sia il presidente della Regione – non di rado mediocrissimo funzionario di partito – a decidere le delicatissime strategie di salute pubblica?
Non è forse più saggio esercitare un giudizio critico “a priori” rispetto all’affidarsi (sempre “a priori”) a quella classe medica che ogni tanto – in autorevoli suoi segmenti – viene investita da inchieste giudiziarie (non bufale, ma atti delle Procure) mentre esercita sperimentazioni di massa sui pazienti del Servizio Sanitario pubblico per conto di Big Pharma?
È a costoro che si dovrebbe consegnare integralmente il delicato tema politico della salute?
Tra l’altro l’impressione è che spesso i medici, massa proletarizzata di lavoratori della sanità pubblica, non facciano che ribadire i contenuti delle circolari ministeriali che gli arrivano sulla scrivania.
Non hanno le competenze proprie dell’immunologo o dell’epidemiologo, non adottano nemmeno il protocollo minimo richiesto da qualsiasi somministrazione medica: conoscenza preventiva della storia del paziente e osservazione successiva e prolungata nel tempo degli effetti del farmaco somministrato (tutte pratiche incompatibili con il “vaccinificio industriale”).
È in tale quadro che il cittadino cerca autonomamente informazioni dove e come può, essendo sostanzialmente vietato da un clima isterico (decisamente antiscientifico) ogni serio e rigoroso dibattito pubblico in materia.
E qui si apre l’altro grande nodo di questi tempi: l’uso del web e la questione di chi gestisce l’infosfera ingovernabile della “pubblica opinione”, che tanto inquieta le élite globali.
Esisteva un tempo una verità ufficiale capace di imporsi nel discorso pubblico, a cui tutti gli operatori del settore umilmente concorrevano.
Tale monopolio del discorso pubblico (di cosa si parla e come se ne parla) pare ormai decisamente incrinato.
Si mettano l’anima in pace scienziati, politicanti e giornalisti.
I buoi sono usciti e sempre meno gente aderirà ciecamente al pastone mainstream che viene propinato ogni sera nei telegiornali o nei compunti editoriali antipopulisti.
E l’Alitalia?
Cosa ha a che fare l’Alitalia con la questione vaccini?
Il nesso tra i due contesti – vaccini e vertenze – va cercato sul medesimo terreno minato, quello del consenso e della fiducia nei “dirigenti-specialisti”.
Nell’ultimo referendum in cui i lavoratori del gruppo hanno votato in massa contro l’ipotesi di accordo, in ballo c’era proprio un “pacchetto” di misure confezionato ad arte da tutti i “professionisti” della gestione delle crisi, convocati attorno a un tavolo in cui, come in una sceneggiatura, tutti i ruoli erano noti e definiti: gli amministratori del gruppo, gli investitori internazionali, i consulenti delle banche creditrici, i saggi politici intervenuti con sollecitudine per la salvezza della ex compagnia di bandiera, i sindacalisti buoni e responsabili.
Oltre alla supposta autorevolezza di queste figure, incombeva anche qui il clima terroristico che era alimentato abilmente dai mezzi di comunicazione: «O votate Sì o domattina siete disoccupati».
Un ben curioso esercizio di dialettica democratica.
Si è detto ai dipendenti di Alitalia: «Ci dispiace, ragazzi; dobbiamo sforbiciare salari, tutele e occupazione, ma che volete mai, dovete conservare pazienza e fiducia, gli specialisti siamo noi, vorreste forse rivendicare il diritto alla gestione di una compagnia aerea?
Dateci il vostro consenso, perché è attraverso quello che vi salveremo».
Il no di massa dei lavoratori è stato definitivo e fulminante: un’epidemia di dissenso.
Qual è il segno politico di tale pronunciamento?
Uno solo: «Non ci fidiamo più. Vogliamo vedere il gioco. Non ci fate più paura. Vediamo di cosa siete capaci».
Una sfida lanciata dal basso che ha sparigliato i soliti vecchi giochi, generando un panico confuso tra consiglieri di amministrazione, sottogoverno, sindacalismo di Stato, editorialisti: una manica di cialtroni che alla prova dei fatti, sbugiardati e sfiduciati, mostrano tutta la loro pochezza, l’assenza di strategie e di ogni visione che non sia spolpare, spezzettare e svendere la memoria industriale di questo paese.
Torniamo ai vaccini.
Se dovesse passare una legge sulle vaccinazioni coatte, che succederà di fronte a migliaia di genitori che rivendicheranno il diritto di decidere, comunque, della salute dei propri figli?
Che succederà se sfideranno le autorità scolastiche, portando i loro ragazzi a scuola per adempiere a quello che, almeno fino ad oggi, in Italia, è un obbligo di legge?
Finirà che deciderà il Tar del Lazio.
Come è “normale” che sia in un paese patetico come questo, in cui ai piani alti della società, mentre si esibisce la protervia modernizzatrice, serpeggia una ottocentesca paura del “popolo” – sempre evocato, omaggiato, blandito, ma sotto sotto temuto per le sue imprevedibili reazioni.
Le élite italiane sono oggi così deboli, prive di autorità e di egemonia, che ormai l’azione di governo si esercita solo attraverso il comando amministrativo, la decretazione d’urgenza a cui segue, di solito, l’ammucchiata bi-partisan.
Sul piano sociale, questa debolezza si manifesta in tante vertenze sindacali o territoriali: tra i Palazzi del potere e le comunità (critiche o rancorose) spesso c’è solo una sfilza di celerini.
Niente altro in mezzo.
Nessun potere può reggere a lungo su una base di consenso così fragile: un po’ di truppe in camice bianco (i chierici delle varie corporazioni di regime), un po’ di truppe in divisa blu, e in mezzo uno sparuto drappello in giacca e cravatta che twitta moniti e minacce, isolato e intimorito.
Una nota finale sulla questione delle libertà.
Il sistema tardo-liberale fa di questa parola la sua fonte di legittimazione e la sua bandiera: si va in Afghanistan a liberare le donne in burqa, si svende il patrimonio pubblico per liberalizzare l’economia, si ridisegna tutto il quadro dei diritti individuali per allargare la libertà della persona.
Ma se c’è un opzione o un diritto collettivo che cozza con gli imperativi del mercato (vedi la libertà di scelta terapeutica) la reazione del sistema è feroce come un missile Hellfire che piomba su una festa di matrimonio a Kandahar: la retorica pubblica sulle libertà, viene sostituita dalla riemersione delle vecchie care parole d’ordine della società disciplinare – proibire, censurare, espellere, ingabbiare, controllare.
Le retoriche del politicamente corretto, del contrasto al populismo, delle isterie securitarie, si sostituiscono in un battibaleno alle ciance sulla libertà e i diritti.
Se hai abbastanza soldi puoi farti fare un figlio con maternità surrogata da una disgraziata in Romania: ma se il pupo si vaccina o no (ciò che attiene alle grandi scelte di salute pubblica e business) questo lo decideranno loro.
(Giovanni Iozzoli, “La libertà ai tempi del morbillo”, da “Carmilla Online” del 20 maggio 2017).
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La libertà ai tempi del morbillo, i diktat di un’élite screditata
Scritto il 29/5/17 • nella Categoria: idee Condividi
Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto.
Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti.
Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica.
Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema.
Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo.
Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.
Una volta, il camice bianco, lo scienziato, il “dottore” (figura archetipale della Conoscenza oscura e salvifica), con il solo carisma della funzione e del titolo di studio, esercitavano un’indiscussa egemonia sul popolino, che ne riconosceva acriticamente l’autorità specialistica.
Idem per le altre figure preposte alla direzione della società: il politico-amministratore, il banchiere, il dirigente di polizia, il giudice.
Mettere in discussione ruoli e competenze delle élite era possibile solo per ristrettissime minoranze critiche, perché la stragrande maggioranza della popolazione non aveva gli strumenti culturali per dissentire dai “gruppi dirigenti”, dai loro linguaggi specialistici, dalle loro ingiunzioni spesso inspiegabili.
Chi stava “in basso” era più o meno rassegnato a delegare ai piani superiori la gestione delle grandi questioni che oggi collochiamo nella dimensione etica e bio-politica.
Oggi non è più così.
Una larga fetta di popolazione, generalmente i settori un po’ più dinamici e informati, nutre un sospetto e uno scetticismo critico “a priori” sulle competenze e sui moventi di ogni gruppo dirigente.
È un fenomeno trasversale e secondo alcuni questa sorda e ostile sfiducia di massa, che corre lungo l’asse verticale “basso-alto” della società, è l’essenza di quello che viene definito “populismo”.
Una recente inchiesta statistica lamenta il fatto che molti genitori sono andati in questi anni a cercarsi sul web informazioni sui vaccini, finendo vittime di quelle che, i curatori delle inchieste, definiscono costernati come le “solite bufale”.
Senza entrare nel merito di una faccenda medico-scientifica assai complessa, pare un atteggiamento saggio quello di muoversi autonomamente e acquisire informazioni.
Perché si dovrebbero delegare acriticamente la salute propria o dei figli ad un medico di base o, peggio, alle burocrazie sanitarie?
Perché ci si dovrebbe rassegnare all’idea che sia il presidente della Regione – non di rado mediocrissimo funzionario di partito – a decidere le delicatissime strategie di salute pubblica?
Non è forse più saggio esercitare un giudizio critico “a priori” rispetto all’affidarsi (sempre “a priori”) a quella classe medica che ogni tanto – in autorevoli suoi segmenti – viene investita da inchieste giudiziarie (non bufale, ma atti delle Procure) mentre esercita sperimentazioni di massa sui pazienti del Servizio Sanitario pubblico per conto di Big Pharma?
È a costoro che si dovrebbe consegnare integralmente il delicato tema politico della salute?
Tra l’altro l’impressione è che spesso i medici, massa proletarizzata di lavoratori della sanità pubblica, non facciano che ribadire i contenuti delle circolari ministeriali che gli arrivano sulla scrivania.
Non hanno le competenze proprie dell’immunologo o dell’epidemiologo, non adottano nemmeno il protocollo minimo richiesto da qualsiasi somministrazione medica: conoscenza preventiva della storia del paziente e osservazione successiva e prolungata nel tempo degli effetti del farmaco somministrato (tutte pratiche incompatibili con il “vaccinificio industriale”).
È in tale quadro che il cittadino cerca autonomamente informazioni dove e come può, essendo sostanzialmente vietato da un clima isterico (decisamente antiscientifico) ogni serio e rigoroso dibattito pubblico in materia.
E qui si apre l’altro grande nodo di questi tempi: l’uso del web e la questione di chi gestisce l’infosfera ingovernabile della “pubblica opinione”, che tanto inquieta le élite globali.
Esisteva un tempo una verità ufficiale capace di imporsi nel discorso pubblico, a cui tutti gli operatori del settore umilmente concorrevano.
Tale monopolio del discorso pubblico (di cosa si parla e come se ne parla) pare ormai decisamente incrinato.
Si mettano l’anima in pace scienziati, politicanti e giornalisti.
I buoi sono usciti e sempre meno gente aderirà ciecamente al pastone mainstream che viene propinato ogni sera nei telegiornali o nei compunti editoriali antipopulisti.
E l’Alitalia?
Cosa ha a che fare l’Alitalia con la questione vaccini?
Il nesso tra i due contesti – vaccini e vertenze – va cercato sul medesimo terreno minato, quello del consenso e della fiducia nei “dirigenti-specialisti”.
Nell’ultimo referendum in cui i lavoratori del gruppo hanno votato in massa contro l’ipotesi di accordo, in ballo c’era proprio un “pacchetto” di misure confezionato ad arte da tutti i “professionisti” della gestione delle crisi, convocati attorno a un tavolo in cui, come in una sceneggiatura, tutti i ruoli erano noti e definiti: gli amministratori del gruppo, gli investitori internazionali, i consulenti delle banche creditrici, i saggi politici intervenuti con sollecitudine per la salvezza della ex compagnia di bandiera, i sindacalisti buoni e responsabili.
Oltre alla supposta autorevolezza di queste figure, incombeva anche qui il clima terroristico che era alimentato abilmente dai mezzi di comunicazione: «O votate Sì o domattina siete disoccupati».
Un ben curioso esercizio di dialettica democratica.
Si è detto ai dipendenti di Alitalia: «Ci dispiace, ragazzi; dobbiamo sforbiciare salari, tutele e occupazione, ma che volete mai, dovete conservare pazienza e fiducia, gli specialisti siamo noi, vorreste forse rivendicare il diritto alla gestione di una compagnia aerea?
Dateci il vostro consenso, perché è attraverso quello che vi salveremo».
Il no di massa dei lavoratori è stato definitivo e fulminante: un’epidemia di dissenso.
Qual è il segno politico di tale pronunciamento?
Uno solo: «Non ci fidiamo più. Vogliamo vedere il gioco. Non ci fate più paura. Vediamo di cosa siete capaci».
Una sfida lanciata dal basso che ha sparigliato i soliti vecchi giochi, generando un panico confuso tra consiglieri di amministrazione, sottogoverno, sindacalismo di Stato, editorialisti: una manica di cialtroni che alla prova dei fatti, sbugiardati e sfiduciati, mostrano tutta la loro pochezza, l’assenza di strategie e di ogni visione che non sia spolpare, spezzettare e svendere la memoria industriale di questo paese.
Torniamo ai vaccini.
Se dovesse passare una legge sulle vaccinazioni coatte, che succederà di fronte a migliaia di genitori che rivendicheranno il diritto di decidere, comunque, della salute dei propri figli?
Che succederà se sfideranno le autorità scolastiche, portando i loro ragazzi a scuola per adempiere a quello che, almeno fino ad oggi, in Italia, è un obbligo di legge?
Finirà che deciderà il Tar del Lazio.
Come è “normale” che sia in un paese patetico come questo, in cui ai piani alti della società, mentre si esibisce la protervia modernizzatrice, serpeggia una ottocentesca paura del “popolo” – sempre evocato, omaggiato, blandito, ma sotto sotto temuto per le sue imprevedibili reazioni.
Le élite italiane sono oggi così deboli, prive di autorità e di egemonia, che ormai l’azione di governo si esercita solo attraverso il comando amministrativo, la decretazione d’urgenza a cui segue, di solito, l’ammucchiata bi-partisan.
Sul piano sociale, questa debolezza si manifesta in tante vertenze sindacali o territoriali: tra i Palazzi del potere e le comunità (critiche o rancorose) spesso c’è solo una sfilza di celerini.
Niente altro in mezzo.
Nessun potere può reggere a lungo su una base di consenso così fragile: un po’ di truppe in camice bianco (i chierici delle varie corporazioni di regime), un po’ di truppe in divisa blu, e in mezzo uno sparuto drappello in giacca e cravatta che twitta moniti e minacce, isolato e intimorito.
Una nota finale sulla questione delle libertà.
Il sistema tardo-liberale fa di questa parola la sua fonte di legittimazione e la sua bandiera: si va in Afghanistan a liberare le donne in burqa, si svende il patrimonio pubblico per liberalizzare l’economia, si ridisegna tutto il quadro dei diritti individuali per allargare la libertà della persona.
Ma se c’è un opzione o un diritto collettivo che cozza con gli imperativi del mercato (vedi la libertà di scelta terapeutica) la reazione del sistema è feroce come un missile Hellfire che piomba su una festa di matrimonio a Kandahar: la retorica pubblica sulle libertà, viene sostituita dalla riemersione delle vecchie care parole d’ordine della società disciplinare – proibire, censurare, espellere, ingabbiare, controllare.
Le retoriche del politicamente corretto, del contrasto al populismo, delle isterie securitarie, si sostituiscono in un battibaleno alle ciance sulla libertà e i diritti.
Se hai abbastanza soldi puoi farti fare un figlio con maternità surrogata da una disgraziata in Romania: ma se il pupo si vaccina o no (ciò che attiene alle grandi scelte di salute pubblica e business) questo lo decideranno loro.
(Giovanni Iozzoli, “La libertà ai tempi del morbillo”, da “Carmilla Online” del 20 maggio 2017).
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Re: Diario della caduta di un regime.
UNA VOLTA ERA UTILE PER L'AFFERMAZIONE DEL PROFETA, FARAONE, CAVALIERE DI HARDCORE.
ADESSO L'HANNO ABBANDONATO. NON SERVE PIU'.
Riciclaggio, Gdf inchioda Fini:
"Decise vendita a Montecarlo"
L'appartamento ceduto da Am a società offshore riconducibili a Giancarlo e Elisabetta Tulliani. Fini sapeva tutto
di Sergio Rame
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ADESSO L'HANNO ABBANDONATO. NON SERVE PIU'.
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:UNA VOLTA ERA UTILE PER L'AFFERMAZIONE DEL PROFETA, FARAONE, CAVALIERE DI HARDCORE.
ADESSO L'HANNO ABBANDONATO. NON SERVE PIU'.
Riciclaggio, Gdf inchioda Fini:
"Decise vendita a Montecarlo"
L'appartamento ceduto da Am a società offshore riconducibili a Giancarlo e Elisabetta Tulliani. Fini sapeva tutto
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…….MONNELLACCIO,………QUESTE COSE IL PROFETA, FARAONE, CAVALIERE NON LE FA….
Montecarlo, Fini smascherato
"Decise la vendita della casa"
L'appartamento ceduto da An a società offshore riconducibili a Giancarlo e Elisabetta Tulliani. Fini sapeva tutto
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