referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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UncleTom
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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DUCE SI - DUCE NO


NON E' CHE LO AMMETTE SOLO OGGI, E' STATA UNA STRATEGIA OPERATIVA DI SEMPRE.

OGGI CHE NON SI PUO' FARE PIU' NIENTE LO AMMETTE PER FARE PROPANDA ULTERIORE AL SI.





Referendum, alla fine lo ammette anche Renzi: “Con la semplice lettura del quesito travaso di tre punti dal No al Sì”

REFERENDUM COSTITUZIONALE
A mettere una parola definitiva sul fatto che il quesito del 4 dicembre non è neutro, ci ha pensato direttamente il premier, a due giorni dal voto. Due mesi fa, ilfattoquotidiano.it aveva interpellato i sondaggisti, che avevano parlato proprio di un possibile spostamento di 5 punti alla lettura del quesito da parte degli indecisi. E la Boschi, il 14 novembre, aveva insistito proprio su questo aspetto, invitando gli elettori scettici a leggere la scheda
di F. Q. | 2 dicembre 2016
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Più informazioni su: Matteo Renzi, Referendum
È stato oggetto di ricorsi in sede giudiziaria ed è stato uno dei temi più discussi della campagna referendaria. “È una truffa agli elettori”. “No, è semplicemente il titolo della legge”. Alla fine, a mettere una parola definitiva sul fatto che il quesito del 4 dicembre non è neutro, ci ha pensato direttamente il premier Matteo Renzi. A due giorni dal Referendum, intervistato dal Corriere della Sera, Renzi ha detto: “Quando i sondaggi erano ancora pubblicabili ve ne erano alcuni che dimostravano come la semplice lettura del quesito – che può avvenire anche in cabina – produceva un travaso di almeno tre punti percentuali dal No al Sì. Parliamo di quello, vi prego, non cambiamo argomento”. Ovvero, a dispetto dell’apparente disinteresse per la questione, il premier conferma che ci aveva pensato eccome. E molto prima degli altri. Il titolo della legge, per legge, diventa quello del quesito. E nella fase di discussione e di rimpalli tra commissione, Camera e Senato, tra le tante osservazioni di merito, non si era imposto il tema del titolo della legge.


A dire il vero, i sondaggi non hanno mai evidenziato il dato della tendenza alla decisione last minute e sulla base della lettura del quesito. Il premier forse ricorda però le analisi circolate, come quella, ad esempio, de Ilfattoquotidiano.it, che il 7 ottobre, in uno dei periodi in cui infuriava lo scontro proprio sul testo del quesito, ha intervistato i sondaggisti. Risultato? Dall’analisi di Antonio Noto (Ipr) emergeva chiaramente che quella dicitura sulla scheda può sortire un effetto sui tanti indecisi e in una percentuale che oscilla tra il 5 e il 20%. “Che può fare effettivamente la differenza”, affermava anche Nicola Piepoli, “perché uno o due milioni di voti possono decidere l’esito del referendum”. Il capo di Ipr marketing argomentava così: direi che un quesito non neutro può avere sicuramente un effetto importante sul 5% degli elettori. Perché proprio il cinque? Perché l’esperienza sui sondaggi politico-elettorali ci ha dimostrato che questa è la consistenza dell’elettorato che decide cosa votare solo all’ultimo, una volta che è entrato in cabina, sulla base di quel che vede e legge: i simboli, i nomi. E’ chiaro che la formulazione stessa di quesiti così posti ha il suo peso: perché uno dovrebbe dire di “no”? Leggendo acriticamente quel tipo di dicitura è invece chiaro perché uno dovrebbe votare sì”.

E dopo l’intervista al Corriere, Renzi è tornato sul quesito nel suo appuntamento su facebook #matteorisponde. Come a voler attirare l’attenzione degli elettori ancora indecisi proprio su quello. “Mi sarebbe piaciuto avere più schede elettorali”, il famoso spacchettamento, “e mi avrebbe fatto comodo sinceramente. Sarebbe stato un Sì o un No più consapevole da parte dei cittadini, ma purtroppo non l’abbiamo potuto fare perché la legge attuale non lo consente. Nel ’74 si è votato sul divorzio non su Pannella, allo stesso modo questo referendum non è su di me né sul governo ma sul futuro dei vostri figli”.

A dimostrazione che il governo punta proprio sulla decisione degli elettori all’ultimo momento, in cabina elettorale, c’è anche l’uscita di Maria Elena Boschi, durante un burrascoso incontro con i simpatizzanti del Pd a Zurigo il 14 novembre scorso. La ministra invitò gli elettori scettici a “leggere il quesito”, aggiungendo: “Il quesito è molto chiaro e semplice tanto che, tante persone che si riempiono la bocca chiamandosi cittadini e non onorevoli, hanno fatto polemica perché era troppo chiaro”
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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VOTA NO…………………VOTA NO…………………VOTA NO

Come ha scritto don Ciotti, chi ha voluto questa “nuova” Costituzione vede «la democrazia come un ostacolo», e il bene comune come «una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi».
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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UN PUNTO DI VISTA CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE ESTERNATO MOLTO PRIMA. DOMANI SI VOTA.

MA FORSE GLI ITALIANI NON AVREBBERO CAPITO.

SOLO DOPO UNA BAGARRE REFERENDARIA LUNGA E TRUFFALIDINA, CHE HA GENERATO RECIPROCI RISENTIMENTI, GLI ITALIANI POTREBBERO RENDERSENE CONTO.

MA ORAMAI E' TROPPO TARDI.



»GIANLUCA ROSELLI
Se dovesse vincere il Sì, lunedì per la prima volta in Italia avremo una nuova Costituzione che non sarà figlia di un solenne patto di convivenza tra i cittadini, ma di una fazione contro l’altra. Ci troveremmo in una terra sconosciuta piena di pericoli”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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L’intervista
Bersani: “Altro che Senato:
cambi se molli Marchionne”

L’ex segretario Pd La rottamazione “a braccetto”col potere e senza mai
rompere “le noci dure”:“Io avevo le banche fuori dalla porta a protestare”


»GIANLUCA ROSELLI
Se dovesse vincere il Sì, lunedì per la prima volta in Italia avremo una nuova Costituzione che non sarà figlia di un solenne patto di convivenza tra i cittadini, ma di una fazione contro l’altra. Ci troveremmo in una terra sconosciuta piena di pericoli”.

Secondo Pier Luigi Bersani questo è il rischio maggiore che il referendum porta con sé. Ma ce n’è anche un altro.

“Ci troveremmo con riforma e Italicum, ovvero con la prospettiva di un governo del capo.

Io non mi fido delle promesse del premier di modifica alla legge elettorale: non sto affatto sereno.

L’unica certezza di cambiare l’Italicum è la vittoria del No”.


Onorevole Bersani, Renzi ha detto più volte che la legge elettorale cambierà.
Non mi pare che il premier abbia questa urgenza.

Non gli ho mai sentito dire che la legge contiene un rischio democratico, continua definirla ‘ottima’, ma migliorabile.

Ma la maestra a scuola mi ha spiegato che oltre l’ottimo non c’è niente.

Vedremo anche cosa dirà la Consulta.

A mio parere, però, l’Italicum non va modificato, ma sostituito da una nuova legge.

Renzi dice che, se vince il No, non si faranno più riforme.
In questi anni la Costituzione è stata ritoccata una trentina di volte, quello che non si farà saranno riforme fatte a colpi di maggioranza, come recita anche la carta dei valori del Pd.

Qui invece stiamo creando un pericoloso precedente, stiamo scherzando col fuoco, anche alla luce della rinascita di una destra mondiale sovranista, populista e protezionista.

È questa la famosa mucca nel corridoio?
La mucca è il cambio dello scenario globale di cui molti non si accorgono.

Per questo, dopo il voto, ci sarà bisogno di un Pd aperto, non chiuso in se stesso, che faccia da infrastruttura portante del centrosinistra.

Il Pd, da solo, non ce la fa.

Gli elettori del Pd domenica come voteranno?
Quando sento i sondaggisti dire che solo 10% dei nostri sono per il No mi vien da sorridere.

A scegliere il No saranno in tanti e questa posizione dai vertici del partito andava rispettata.

Ma nella loro testolina vogliono lasciare il No a Salvini e Casa Pound?

Ma cosa si son fumati?

Lì c’è un pezzo importante del nostro popolo.

Che lei ha trovato in questa campagna elettorale?
È stata una campagna dura e difficile che però ha risvegliatole energie democratiche di questo Paese.


Agli incontri ho visto tanta gente che si era allontanata non solo da noi, ma dal voto in generale.

Ora vedono in questa battaglia una sorta di ultima occasione.

Dove sono andato io c’erano sempre più persone che sedie.

Anche Renzi ha girato molto, comprese tutte le tv...
In un incontro pubblico mi hanno chiesto: ma se sta sempre in tv, a bottega chi ci sta?

È vero che questa personalizzazione estrema può averlo danneggiato e magari ad alcuni è caduto a noia, ma quando vai tutti i giorni in tv a martellare, qualche chiodo in testa alla gente lo metti.

Negli ultimi giorni si è parlato di “mance elettorali”da parte del governo.
Vedo una politica economica senza un’idea precisa su come affrontare i problemi del Paese, che restano tutti lì: se vince il Sì, il No e pure il Forse.

Su un giornale economico ho visto che per spiegare la manovra si sono usate 18 finestrelle, un po’troppe no?

C’è il rischio di instabilità in caso di vittoria del No?
Aver dichiarato che il 4 dicembre il Paese sarà sottoposto al giudizio divino presta il fianco a possibili speculazioni finanziarie e politiche: si dà l’occasione, a chi vuole, di fregare il parco buoi.

Perché, secondo lei, Renzi ha messo questa riforma al centro di tutto?
Quando vuoi intestarti la parola cambiamento senza incidere nel tessuto sociale, allora si cerca una copertura istituzionale.

Renzi continua ad andare a braccetto con Marchionne, ma intanto toglie la navetta tra Camera e Senato. Cambiare significa rompere le noci dure, altro che superare il bicameralismo. Quando io lavoravo per cambiare la portabilità dei mutui, avevo le banche fuori dalla porta a protestare.

Che ne pensa delle polemiche sul voto estero?
Di sicuro da parte del governo c’è stato impegno e uso di risorse, anche diplomatiche, oltre il consentito, ma prima di parlare di brogli ci vogliono elementi concreti.

Che succede dopodomani?
Se vince il No, Renzi può andare avanti, magari correggendo le politiche sociali ed economiche: si rifà la legge elettorale e si arriva al 2018. Se invece vince il Sì, il Senato diventa un morto che cammina e inizia il conto alla rovescia per le elezioni anticipate.

Vuole dire qualcosa a Romano Prodi?
Ma no, cosa vuole che dica. Se uno dice che succhia l’osso, si capisce già tutto.
Però a me gli ossi non piacciono, neanche da succhiare…
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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Referendum Costituzionale

Referendum costituzionale, ‘Alla fine voterai Sì’. No, stavolta No

di Stefano Feltri | 3 dicembre 2016


Più informazioni su: Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016

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Continuo a incontrare persone, membri del governo, amici e colleghi, che mi dicono la stessa cosa: “Lo sappiamo che alla fine, nel segreto dell’urna, voterai Sì”. Immagino che sia perché non appartengo a nessuno dei mondi che sono andati a comporre lo schieramento del No. Certo, mi sembra bizzarro che qualcuno pensi che io possa fare il vicedirettore di un giornale così schierato per il No e poi avere un’opinione completamente opposta. Ma colgo lo stimolo a chiarire come la penso, in queste ultime ore prima del voto.

Io vedo tre ragioni inoppugnabili per votare No.

Primo: lo scopo della riforma. In questi mesi ho chiesto a tutti i sostenitori del Sì con cui discutevo quale fosse lo scopo della riforma. Deve pur averne uno, chiaro e misurabile, che permetta tra dieci anni di stabilire se ha migliorato le cose o le ha peggiorata. Non ho avuto nessuna risposta precisa. I costi della politica non sono un argomento valido: anche nella stima ottimistica del professor Roberto Perotti, si risparmiano un centinaio di milioni all’anno. Spiccioli. Neppure la velocità delle leggi è una ragione sensata: l’80,16 per cento di quelle approvate nella XVII legislatura sono passate dalla seconda camera senza modifiche rispetto a quanto approvato nella prima. Tutta la legislazione che scavalca il Parlamento, dai decreti d’urgenza sulle banche ai decreti legislativi su lavoro e pubblica amministrazione, sarà anche rapida nell’immediato ma sempre più spesso finisce per infrangersi contro il muro della Corte costituzionale o della giustizia amministrativa. Per errori, illegittimità, abusi, pasticci.

Il vero scopo. Vedo quindi un unico, vero, scopo in questo stravolgimento della Costituzione, ben analizzato nel libro “Oltre il Sì e il No” (dialogo tra Alessandro Mangia e Andrea Morrone, a cura di Giorgio Zanchini): dare base più solida al potere dell’esecutivo, potere che appare sempre più friabile, castrato da vincoli di bilancio, legislazione europea, mutamenti nel quadro dei partiti. La riduzione del ruolo del Parlamento, di quello delle Regioni, degli elettori (che non potranno eleggere i nuovi senatori e, con l’Italicum, se votano per i partiti perdenti non sceglieranno neppure i deputati) serve a eliminare un po’ di contrappesi all’azione del governo. La cui debolezza, però, non è dovuta a lacci e lacciuoli, ma allo scollamento tra elettori ed eletti, tra promesse e capacità di mantenerle, tra aspettative e risultati.

E’ vero che le istituzioni devono adattarsi al cambiamento della società che le ha generate, ma per accompagnarlo, non per ostacolarlo. Il potere che si arrocca, scegliendo la resistenza invece della resilienza, crea le premesse per svolte traumatiche, perfino violente.





Seconda ragione: il ruolo degli enti locali. Questa è una riforma schizofrenica per mille ragioni, ma una in particolare: assegna agli enti locali un apposito ramo del Parlamento proprio mentre toglie loro competenze, riportando al centro quanto era stato condiviso con la riforma costituzionale del 2001. Da un lato taglia fondi e compensi ai gruppi regionali, per i troppi sprechi e scandali, dall’altro eleva i loro rappresentanti al rango di senatori. I nuovi membri del Senato avranno uno status lasciato ambiguo: se rappresenteranno tutta la nazione o almeno il loro partito, come oggi, niente giustifica la loro mancata elezione. E il Senato degli Enti locali resterà solo sulla carta, diventando una somma confusa di senatori e consiglieri regionali con mandati di durata diversa, eletti da coalizioni e in fasi politiche tra loro molto differenti.

Se invece in nuovi senatori rappresenteranno davvero “i territori”, è lecito aspettarsi che difendano il proprio di territorio, non la logica federale in astratto. Il loro lavoro sarà quindi soprattutto di interdizione: ostacolare i provvedimenti che penalizzano la terra di origine, scaricando il costo di decisioni negative su Regioni o Comuni più lontani. Il Senato sarà il trionfo del metodo Nimby, “non nel mio giardino” e della richiesta di mance.

La capacità dello Stato di scavalcare le Regioni in nome di un non meglio definito “interesse nazionale” cambierà il tipo di contenziosi tra Roma e il territorio, ma non è affatto detto che ne riduca il numero. Visto che ognuno può avere la sua idea su cosa sia l’interesse nazionale.

Terzo: l’abuso di potere. Si vota nel merito, certo, ma il mio No è motivato anche dal metodo. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha condotto questa campagna elettorale in un modo che io giudico inaccettabile in una democrazia che vorrebbe essere matura, compiuta. Renzi ha sostanzialmente abusato della propria carica: prima ha degradato la Costituzione a questione da talk show, ha ridotto i principi su cui si regge il fragile equilibrio della convivenza civile a slogan per spettatori tv distratti, poi ha usato in modo lecito e meno lecito il suo ruolo per sedurre, minacciare, ricattare. Così da ottenere appoggi e – soprattutto – risorse da chi voleva avere un credito verso il governo: ha usato le Poste Italiane, la tv pubblica e quella privata, la legge sull’editoria e la legge di Bilancio, i consolati e le ambasciate per influenzare il voto estero, opaco e manipolabile. E, quel che è più grave, ha rinviato problemi giganteschi a dopo il voto: la crisi del Monte dei Paschi di Siena sarebbe stata molto più semplice da affrontare senza lasciarla incancrenire per scavallare il 4 dicembre. La cronaca giudicherà Renzi sul referendum, la storia sulle banche. Non il contrario.

I veri populisti anti-sistema. Su una cosa ha ragione Renzi: in Italia il voto anti-sistema, quello nella scia della Brexit e di Trump, è quello per il Sì. Perché sono i populisti, i demagoghi, i tanti infastiditi dalla fatica della democrazia che vogliono semplificare, “sburocratizzare”, accentrare, ridurre il tempo della riflessione a favore dell’azione. Sono loro, i populisti peggiori a provare fastidio per gli intellettuali, a celebrare una cultura che è fatta solo di estetica, di impressioni, e mai di idee a disprezzare i dubbi e chi li semina, a considerare il compromesso una sconfitta invece che l’unica vittoria democratica.

E se questa è l’alternativa al “sistema”, allora io preferisco conservare tutto così com’è. Perché in un’epoca in cui il nostro “mondo di ieri”, per usare l’espressione di Stefan Zweig, sembra liquefarsi in un cupo crogiuolo di razzismo, paura e irrazionalità, allora io farò tutto quello che posso per difendere i pochi punti fermi che ci sono rimasti.

Per questo domani io voto No. Per difendere la Costituzione, ma anche contro un presidente del Consiglio pasticcione, senza visione, che mente sui numeri e sulle stesse leggi che approva, sprezzante di quei valori che aveva promesso di difendere. E che ha tradito le speranze di chi, come me, aveva confidato in lui per rendere questo Paese migliore.


di Stefano Feltri | 3 dicembre 2016
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