Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
RITORNO ALL’ANTICO
Berlusconi alla convention: «I Cinquestelle come i comunisti, sono costretto a scendere in campo»
Discorso stile anni ‘90 davanti alla platea amica di Publitalia: «I grillini sono pericolosi e dobbiamo fermarli». Affondo su Di Maio e Di Battista: «Non hanno studiato»
di Tommaso Labate
shadow
32
ROMA - «Sono costretto a scendere in campo per l’ennesima volta. Non avrei voluto ma devo. I Cinquestelle sono pericolosi e oggi dobbiamo fermarli nello stesso modo in cui all’epoca fermammo i comunisti». Mancava qualche minuto a mezzanotte, l’annuale convention di Publitalia andata in scena al Museo del Genio e delle Armi di Roma stava scivolando lentamente verso il giro di ammazzacaffè quando, come ai vecchi tempi, un brusio in platea annuncia l’imminente arrivo di Silvio Berlusconi. Qualche minuto dopo eccolo, con l’identico piglio di ventitré anni fa, l’anno della discesa in campo, ad annunciarne una nuova, di discesa. Contro un “nemico” diverso ma non meno “pericoloso”. Non più “i comunisti”. I “grillini”. Berlusconi parla per una quarantina di minuti a braccio, l’applausometro va aggiornato di continuo. Non cita Renzi, è concentrato sui grillini. «Se vanno al governo, magari con Davigo, io mi trasferisco su un’isola deserta», scandisce.
Fino a qualche mese fa, quando divideva con loro il campo del No al referendum renziano, l’ex premier lasciava spesso e volentieri trapelare la sua stima nei confronti di Di Maio o di Battista. Adesso no, «sono ragazzi che non hanno studiato, non sono preparati», sostiene. E ancora: «Potevamo andare subito alle elezioni. Questo non è successo perché molti grillini in Parlamento l’hanno impedito. Non hanno un lavoro a cui tornare, per questo hanno preferito conservare gli stipendi fino alla fine della legislatura…». Non ci sono soltanto l’uditorio di Publitalia e la sorpresa notturna a fare da spia a una “nuova discesa in campo” che il diretto interessato vive come una cosa seria, e non come una boutade. Come tutte le volte che si trova in assetto da campagna elettorale – e il pensiero è rivolto alle prossime politiche, non alle amministrative di domenica – Berlusconi tira fuori dal cilindro due degli ingredienti che hanno contraddistinto il suo frasario dell’ultimo ventennio. I processi e la compianta mamma Rosa. Sui primi fa di conto, elencando le migliaia di giornate «passate a difendermi dalle inchieste e dai processi», sintetizzate nel conteggio finale, «praticamente due giorni pieni a settimana dal 1994, sempre».
Sulla seconda, ricorda: «Quando le dissi che volevo scendere in campo, mi rispose che era fermamente contraria. Ma aggiunse che, se quella era la scelta che arrivava dal profondo del mio cuore, lei mi sarebbe stata sempre vicino». In platea c’è più di un reduce della stagione del ’94. Tutti concordi, l’intervento di questa notte è il segnale che si fa sul serio.
23 giugno 2017 (modifica il 23 giugno 2017 | 12:29)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/amministrative-2 ... c284.shtml
Berlusconi alla convention: «I Cinquestelle come i comunisti, sono costretto a scendere in campo»
Discorso stile anni ‘90 davanti alla platea amica di Publitalia: «I grillini sono pericolosi e dobbiamo fermarli». Affondo su Di Maio e Di Battista: «Non hanno studiato»
di Tommaso Labate
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ROMA - «Sono costretto a scendere in campo per l’ennesima volta. Non avrei voluto ma devo. I Cinquestelle sono pericolosi e oggi dobbiamo fermarli nello stesso modo in cui all’epoca fermammo i comunisti». Mancava qualche minuto a mezzanotte, l’annuale convention di Publitalia andata in scena al Museo del Genio e delle Armi di Roma stava scivolando lentamente verso il giro di ammazzacaffè quando, come ai vecchi tempi, un brusio in platea annuncia l’imminente arrivo di Silvio Berlusconi. Qualche minuto dopo eccolo, con l’identico piglio di ventitré anni fa, l’anno della discesa in campo, ad annunciarne una nuova, di discesa. Contro un “nemico” diverso ma non meno “pericoloso”. Non più “i comunisti”. I “grillini”. Berlusconi parla per una quarantina di minuti a braccio, l’applausometro va aggiornato di continuo. Non cita Renzi, è concentrato sui grillini. «Se vanno al governo, magari con Davigo, io mi trasferisco su un’isola deserta», scandisce.
Fino a qualche mese fa, quando divideva con loro il campo del No al referendum renziano, l’ex premier lasciava spesso e volentieri trapelare la sua stima nei confronti di Di Maio o di Battista. Adesso no, «sono ragazzi che non hanno studiato, non sono preparati», sostiene. E ancora: «Potevamo andare subito alle elezioni. Questo non è successo perché molti grillini in Parlamento l’hanno impedito. Non hanno un lavoro a cui tornare, per questo hanno preferito conservare gli stipendi fino alla fine della legislatura…». Non ci sono soltanto l’uditorio di Publitalia e la sorpresa notturna a fare da spia a una “nuova discesa in campo” che il diretto interessato vive come una cosa seria, e non come una boutade. Come tutte le volte che si trova in assetto da campagna elettorale – e il pensiero è rivolto alle prossime politiche, non alle amministrative di domenica – Berlusconi tira fuori dal cilindro due degli ingredienti che hanno contraddistinto il suo frasario dell’ultimo ventennio. I processi e la compianta mamma Rosa. Sui primi fa di conto, elencando le migliaia di giornate «passate a difendermi dalle inchieste e dai processi», sintetizzate nel conteggio finale, «praticamente due giorni pieni a settimana dal 1994, sempre».
Sulla seconda, ricorda: «Quando le dissi che volevo scendere in campo, mi rispose che era fermamente contraria. Ma aggiunse che, se quella era la scelta che arrivava dal profondo del mio cuore, lei mi sarebbe stata sempre vicino». In platea c’è più di un reduce della stagione del ’94. Tutti concordi, l’intervento di questa notte è il segnale che si fa sul serio.
23 giugno 2017 (modifica il 23 giugno 2017 | 12:29)
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Re: Diario della caduta di un regime.
NELL’ITALIA ALLO SFASCIO, LA MUMMIA CINESE CERCA DI RIANIMARE FORZA IMBECILLI.
PUR DI VINCERE IL GRATTA E VINCI SICURO, QUESTE BANDE CRIMINALI SONO DISPOSTE A TUTTO.
MENTRE IL TROMBONE DI HARDCORE TORNA AL PASSATO SVENTOLANTO LA MULETA ROSSA DEI COMUNISTI, CHE FA FINTA DI VEDERE NEI GRILLINI, DAGOSPIA STAMANI PUBBLICA UN ARTICOLO DI REPUBBLICA SULLA FASCISTERIA A 5 STELLE.
QUANDO LE SOCIETA’ SI DECOMPONGONO SUCCEDE QUESTO ED ALTRO.
E QUESTA E’ UNA SOCIETA’ DECOMPOSTA DOVE OGNUNO DICE I CAZZI CHE VUOLE SOLO PER ATTACCARSI ALLA POLPA DELL’ULTIMO OSSO RIMASTA.
23 giu 2017 12:16
FASCISTERIA A 5 STELLE
- COSA ACCOMUNA DI MAIO E DI BATTISTA? I PADRI SONO STATI FERVENTI MISSINI
– LUIGINO, CHE CITA COME FARO ALMIRANTE, AL LICEO PRESENTO’ UNA LISTA CONTRO LA SINISTRA E LA CHIAMO’ “MAS”
- DIBBA, CHE IN PASSATO HA VOTATO IL PD, ORA DICE: “È PIÙ IMPORTANTE ESSERE ONESTO CHE ANTIFASCISTA”
- GLI INSULTI Di DI BATTISTA PADRE A FRANCESCHINI
Conchita Sannino e Concetto Vecchio per la Repubblica
«La politica del vaffa l' ho lanciata io, negli anni Settanta, a Civita Castellana lo sanno tutti». Ruspante e perennemente teso a rivendicare la sua fede fascista, Vittorio Di Battista, il padre del deputato M5S Alessandro («spero che mio figlio diventi più cattivo di me»), ama il gesto esemplare. Ne sa qualcosa il ministro Dario Franceschini, quando convolò a nozze con Michela Di Biase, a Sutri, nel Viterbese.
Era il settembre 2014. All' improvviso, nel cuore della festa, sbucò lui, Dibba senior, e medagliò il ministro d' insulti. Franceschini, basito per quell' irruzione da commedia all' italiana, ne chiese conto ad Alessandro appena lo incrociò. Il quale, a tu per tu, provò a scusarsi per l' irruenza dannunziana del genitore, che vent' anni prima aveva coperto di contumelie anche Massimo D' Alema che veleggiava attorno all' isola di Corfù. Tempo dopo, in un comizio a Ferrara, la città del ministro della Cultura, Di Battista junior rivendicò la contestazione allo sposalizio del ministro.
Tre giorni fa il candidato premier in pectore del M5S Luigi Di Maio ha detto che tra i Cinquestelle «c' è chi guarda a Berlinguer, chi alla Dc e chi ad Almirante ». Per la prima volta nel Pantheon cinquestelle veniva issato il leader del Msi.
Ora una cosa accomuna del resto Di Maio e Di Battista, i dioscuri del grillismo: i rispettivi padri sono stati ferventi missini; Antonio Di Maio, imprenditore edile a Pomigliano d' Arco, con solide amicizie nel centrodestra napoletano, tentò tre volte di entrare in consiglio comunale negli anni Ottanta e Novanta: senza successo; Di Battista senior, commerciante di prodotti idraulici a Fabrica di Roma, vi riuscì, nel consesso di Civita Castellana.
«Mio padre mi ha insegnato l' irriverenza», racconta nella sua biografia A testa in su Di Battista. «Sono da sempre molto amico di Vittorio», dice Adriano Tilgher, ex Avanguardia nazionale, una vita spesa nell' estrema destra. «Ci conosciamo dai tempi dell' Università, militavamo nel Fuan Caravella, lui faceva legge, io fisica, un grande goliardo, ma anche un uomo serio».
Nelle file del Fronte nazionale di Tilgher Vittorio Di Battista si candidò nel 2000 alle provinciali di Viterbo, prese lo 0,9 per cento. Prima ancora era transitato brevemente per An, quindi migrò in Fiamma tricolore e in Azione sociale, piccole sigle della destra sociale; nell' estate del 2010 lo videro a Mirabello, alla convention dei finiani, che si erano appena separati da Berlusconi. Lo ricordano per via del fascio littorio sul distintivo.
Era lì in odio al Cavaliere, sentimento che distillava nel blog "Il Paese delle balle", su cui adesso campeggia la copertina del libro di Dibba. «Non ricordo più perché scelse altre strade. È sempre stato un uomo inquieto, desideroso di cose nuove», ne traccia il profilo psicologico Tilgher. Nel 2001 si candidò alla Camera per l' Idv, ottenne il 2 per cento nel collegio Lazio 2. Lo ricorda, Antonio Di Pietro? «Veramente, no», dice l' ex pm. «Però l' altro giorno alla Camera mi sono intrattenuto con il figlio».
Quando Di Maio si presentò al consiglio comunale nel 2010, prese 54 voti. Tre anni dopo era vicepresidente della Camera. Il padre inizialmente non apprezzava le scelte del figlio. «La sua visione della politica era legata ai vecchi partiti e questo creava conflitto» ha raccontato Di Maio junior all' Espresso. «Il Di Maio padre è sempre stato con i fascisti, anche se si batteva per gli operai dell' Alfa Sud», raccontano a Pomigliano, dove nessuno è stupito di vedere Giorgio Almirante collocato nel museo dei padri nobili grillini. «Era nostalgico di Almirante, io di Berlinguer », ha raccontato a Panorama Raffaele Lello Di Pasquale, insegnante di educazione fisica all' Imbriani, il liceo di Luigi.
Dove Luigi presentò una lista di alternativa a quella della sinistra, la chiamò Mas, acronimo di Memento audere semper, «ricorda di osare sempre», e nome della squadriglia di incursori della Marina - la X Mas di Junio Valerio Borghese, appunto - vero e proprio mito dei militanti di estrema destra negli anni Settanta.
«Quando i fascisti hanno visto dissolversi il loro mondo anche Antonio ha finito per dare ragione al figlio, archiviando le divisioni tra loro », racconta un amico di famiglia a Repubblica. I Di Maio hanno una società di costruzioni, l' Ardima srl (A come Antonio, R per Rosalba, la sorella architetto di Luigi, Dima è il timbro del cognome), di cui è amministratore il fratello 23enne Giuseppe, videomaker. Luigi Di Maio vi detiene il 50 per cento, ma senza ruoli di funzione.
Se ne occupa essenzialmente il padre. «Va molto bene, soprattutto con i privati», dicono in città.
Di Maio senior è un uomo riservato, Vittorio Di Battista, negli anni, ha rilasciato invece molte interviste video. «Le scelte di mio padre sono di mio padre, io in passato ho sempre votato a sinistra pur poi pentendomene », premette Di Battista nella sua autobiografia. Ma di recente ha precisato meglio il suo pensiero: «È più importante essere onesto che antifascista ».
A Gianni Minoli, che lo incalzava dopo la vittoria del 4 dicembre - dopo una strenua campagna spesa da Dibba in difesa della Costituzione, che dalla Resistenza trae la sua origine - il deputato si è rivelato terzista: «Parlare di fascismo e antifascismo oggi è come parlare di guelfi e ghibellini».
PUR DI VINCERE IL GRATTA E VINCI SICURO, QUESTE BANDE CRIMINALI SONO DISPOSTE A TUTTO.
MENTRE IL TROMBONE DI HARDCORE TORNA AL PASSATO SVENTOLANTO LA MULETA ROSSA DEI COMUNISTI, CHE FA FINTA DI VEDERE NEI GRILLINI, DAGOSPIA STAMANI PUBBLICA UN ARTICOLO DI REPUBBLICA SULLA FASCISTERIA A 5 STELLE.
QUANDO LE SOCIETA’ SI DECOMPONGONO SUCCEDE QUESTO ED ALTRO.
E QUESTA E’ UNA SOCIETA’ DECOMPOSTA DOVE OGNUNO DICE I CAZZI CHE VUOLE SOLO PER ATTACCARSI ALLA POLPA DELL’ULTIMO OSSO RIMASTA.
23 giu 2017 12:16
FASCISTERIA A 5 STELLE
- COSA ACCOMUNA DI MAIO E DI BATTISTA? I PADRI SONO STATI FERVENTI MISSINI
– LUIGINO, CHE CITA COME FARO ALMIRANTE, AL LICEO PRESENTO’ UNA LISTA CONTRO LA SINISTRA E LA CHIAMO’ “MAS”
- DIBBA, CHE IN PASSATO HA VOTATO IL PD, ORA DICE: “È PIÙ IMPORTANTE ESSERE ONESTO CHE ANTIFASCISTA”
- GLI INSULTI Di DI BATTISTA PADRE A FRANCESCHINI
Conchita Sannino e Concetto Vecchio per la Repubblica
«La politica del vaffa l' ho lanciata io, negli anni Settanta, a Civita Castellana lo sanno tutti». Ruspante e perennemente teso a rivendicare la sua fede fascista, Vittorio Di Battista, il padre del deputato M5S Alessandro («spero che mio figlio diventi più cattivo di me»), ama il gesto esemplare. Ne sa qualcosa il ministro Dario Franceschini, quando convolò a nozze con Michela Di Biase, a Sutri, nel Viterbese.
Era il settembre 2014. All' improvviso, nel cuore della festa, sbucò lui, Dibba senior, e medagliò il ministro d' insulti. Franceschini, basito per quell' irruzione da commedia all' italiana, ne chiese conto ad Alessandro appena lo incrociò. Il quale, a tu per tu, provò a scusarsi per l' irruenza dannunziana del genitore, che vent' anni prima aveva coperto di contumelie anche Massimo D' Alema che veleggiava attorno all' isola di Corfù. Tempo dopo, in un comizio a Ferrara, la città del ministro della Cultura, Di Battista junior rivendicò la contestazione allo sposalizio del ministro.
Tre giorni fa il candidato premier in pectore del M5S Luigi Di Maio ha detto che tra i Cinquestelle «c' è chi guarda a Berlinguer, chi alla Dc e chi ad Almirante ». Per la prima volta nel Pantheon cinquestelle veniva issato il leader del Msi.
Ora una cosa accomuna del resto Di Maio e Di Battista, i dioscuri del grillismo: i rispettivi padri sono stati ferventi missini; Antonio Di Maio, imprenditore edile a Pomigliano d' Arco, con solide amicizie nel centrodestra napoletano, tentò tre volte di entrare in consiglio comunale negli anni Ottanta e Novanta: senza successo; Di Battista senior, commerciante di prodotti idraulici a Fabrica di Roma, vi riuscì, nel consesso di Civita Castellana.
«Mio padre mi ha insegnato l' irriverenza», racconta nella sua biografia A testa in su Di Battista. «Sono da sempre molto amico di Vittorio», dice Adriano Tilgher, ex Avanguardia nazionale, una vita spesa nell' estrema destra. «Ci conosciamo dai tempi dell' Università, militavamo nel Fuan Caravella, lui faceva legge, io fisica, un grande goliardo, ma anche un uomo serio».
Nelle file del Fronte nazionale di Tilgher Vittorio Di Battista si candidò nel 2000 alle provinciali di Viterbo, prese lo 0,9 per cento. Prima ancora era transitato brevemente per An, quindi migrò in Fiamma tricolore e in Azione sociale, piccole sigle della destra sociale; nell' estate del 2010 lo videro a Mirabello, alla convention dei finiani, che si erano appena separati da Berlusconi. Lo ricordano per via del fascio littorio sul distintivo.
Era lì in odio al Cavaliere, sentimento che distillava nel blog "Il Paese delle balle", su cui adesso campeggia la copertina del libro di Dibba. «Non ricordo più perché scelse altre strade. È sempre stato un uomo inquieto, desideroso di cose nuove», ne traccia il profilo psicologico Tilgher. Nel 2001 si candidò alla Camera per l' Idv, ottenne il 2 per cento nel collegio Lazio 2. Lo ricorda, Antonio Di Pietro? «Veramente, no», dice l' ex pm. «Però l' altro giorno alla Camera mi sono intrattenuto con il figlio».
Quando Di Maio si presentò al consiglio comunale nel 2010, prese 54 voti. Tre anni dopo era vicepresidente della Camera. Il padre inizialmente non apprezzava le scelte del figlio. «La sua visione della politica era legata ai vecchi partiti e questo creava conflitto» ha raccontato Di Maio junior all' Espresso. «Il Di Maio padre è sempre stato con i fascisti, anche se si batteva per gli operai dell' Alfa Sud», raccontano a Pomigliano, dove nessuno è stupito di vedere Giorgio Almirante collocato nel museo dei padri nobili grillini. «Era nostalgico di Almirante, io di Berlinguer », ha raccontato a Panorama Raffaele Lello Di Pasquale, insegnante di educazione fisica all' Imbriani, il liceo di Luigi.
Dove Luigi presentò una lista di alternativa a quella della sinistra, la chiamò Mas, acronimo di Memento audere semper, «ricorda di osare sempre», e nome della squadriglia di incursori della Marina - la X Mas di Junio Valerio Borghese, appunto - vero e proprio mito dei militanti di estrema destra negli anni Settanta.
«Quando i fascisti hanno visto dissolversi il loro mondo anche Antonio ha finito per dare ragione al figlio, archiviando le divisioni tra loro », racconta un amico di famiglia a Repubblica. I Di Maio hanno una società di costruzioni, l' Ardima srl (A come Antonio, R per Rosalba, la sorella architetto di Luigi, Dima è il timbro del cognome), di cui è amministratore il fratello 23enne Giuseppe, videomaker. Luigi Di Maio vi detiene il 50 per cento, ma senza ruoli di funzione.
Se ne occupa essenzialmente il padre. «Va molto bene, soprattutto con i privati», dicono in città.
Di Maio senior è un uomo riservato, Vittorio Di Battista, negli anni, ha rilasciato invece molte interviste video. «Le scelte di mio padre sono di mio padre, io in passato ho sempre votato a sinistra pur poi pentendomene », premette Di Battista nella sua autobiografia. Ma di recente ha precisato meglio il suo pensiero: «È più importante essere onesto che antifascista ».
A Gianni Minoli, che lo incalzava dopo la vittoria del 4 dicembre - dopo una strenua campagna spesa da Dibba in difesa della Costituzione, che dalla Resistenza trae la sua origine - il deputato si è rivelato terzista: «Parlare di fascismo e antifascismo oggi è come parlare di guelfi e ghibellini».
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Re: Diario della caduta di un regime.
......L'ITALIA ALLO SFASCIO.......
Questa notizia era di ieri, ma in questa fase di Kaos, seguirle tutte diventa un'impresa.
Mafie | Di F. Q.
“‘Ndrangheta in tutti i settori dello Stato
Legami con istituzioni, massoni e Servizi”
Procuratore Roberti: “Modificare 416 bis”
•Codice antimafia, “no a sequestro beni dei corrotti”: Forza Italia vuole annacquare la legge. Pd: “E’ strategica”
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Questa notizia era di ieri, ma in questa fase di Kaos, seguirle tutte diventa un'impresa.
Mafie | Di F. Q.
“‘Ndrangheta in tutti i settori dello Stato
Legami con istituzioni, massoni e Servizi”
Procuratore Roberti: “Modificare 416 bis”
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:......L'ITALIA ALLO SFASCIO.......
Questa notizia era di ieri, ma in questa fase di Kaos, seguirle tutte diventa un'impresa.
Mafie | Di F. Q.
“‘Ndrangheta in tutti i settori dello Stato
Legami con istituzioni, massoni e Servizi”
Procuratore Roberti: “Modificare 416 bis”
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IlFattoQuotidiano.it / Mafie
Mafie, relazione Dna: “La ‘ndrangheta presente in tutti i settori nevralgici. Legami con massoneria e servizi segreti”
di F. Q. | 22 giugno 2017
Le mafie che si pongono come vere e proprie autorità pubbliche, la criminalità organizzata calabrese attiva in quasi tutte le regioni italiane e nel resto del mondo. E poi i legami con massoneria, servizi segreti e istituzioni come emerso in alcune inchieste. È il quadro che emerge dalla Relazione della Direziona nazionale antimafia e antiterrorismo presentata dal procuratore Roberti e dalla presidente della commissione Rosy Bindi
di F. Q. | 22 giugno 2017
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Più informazioni su: 'ndrangheta, 'ndrangheta al Nord, Antimafia, Direzione Nazionale antimafia, Franco Roberti, Procura Nazionale Antimafia
Le mafie che si pongono come vere e proprie autorità pubbliche, la ‘ndrangheta presente i tutti i settori nevralgici, in quasi tutte le regioni italiane e nel resto del mondo. E poi i legami della criminalità con massoneria, servizi segreti e istituzioni come emerso in alcune inchieste calabresi. È il quadro che emerge dalla Relazione della Direziona nazionale antimafia e antiterrorismo presentata dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e dalla presidente della commissione Rosy Bindi. Quelle indagini hanno rivelato come la criminalità organizzata nata in Calabria sia “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo“.
Rapporti ‘ndrangheta, istituzioni, servizi segreti e massoneria
Alcune indagini “hanno rivelato un rapporto tra la ‘ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti – legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti – di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una ‘struttura riservata’ di comando. Attenta riflessione – secondo la Relazione della Dna – merita soprattutto la figura di Paolo Romeo, ritenuto il vero e proprio motore dell’associazione segreta emersa nel procedimento Fata Morgana e delineatasi con le indagini Reghion e Mammasantissima, dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”. Soggetto che, spiega la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, “le diverse indagini hanno delineato quale appartenente al mondo massonico e, al contempo, uomo di vertice dell’associazione criminale, dei cui interessi è portatore, nel mondo imprenditoriale ed in quello politico, ruolo svolto con accanto personaggi che sono sostanzialmente gli stessi quantomeno dal 2002, dunque da circa 15 anni, senza dimenticare i suoi antichi e dunque ben solidi rapporti con la destra estrema ed eversiva, nel cui contesto, versa la fine degli anni 70, ebbe modo di occuparsi della latitanza di Franco Freda, imputato a Catanzaro nel processo per la strage di piazza Fontana”.
“All’interno di questa cabina di regia criminale – si legge ancora nella Relazione – è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 – subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere Sindaco di Reggio Calabria”.
‘Ndrangheta presente in tutte le regioni, negli Usa, in Canada e Australia
La ‘ndrangheta “è presente in quasi tutte le regioni italiane nonché in vari Stati, non solo europei, ma anche in America – negli Stati Uniti e in Canada – ed in Australia – prosegue la relazione. Continuano, poi, ad essere sempre solidi, i rapporti con le organizzazioni criminali del centro/sud America con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ndrangheta continua mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa”. In particolare, nel nord Italia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana “sono territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse”. Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Umbria, “sono regioni in cui, invece, vari sodalizi di ‘ndrangheta hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante, talvolta soppiantando altre organizzazioni criminali – così come avvenuto, per esempio, in Piemonte con le famiglie catanesi di cosa nostra – ma spesso in sinergia o, comunque, con accordi di non belligeranza, con le stesse, fenomeno riscontrato in Lombardia ed Emilia Romagna, ove sono attivi anche gruppi riconducibili alla camorra o a cosa nostra“. Quest’ultima “è in una fase di crisi”, sia perché “in Sicilia l’azione di contrasto è molto efficace e la situazione è controllata “, sia perché ha difficoltà a identificare nuovi referenti”.
Video 02:37
Le mafie e l’acquisizione dei poteri dell’autorità pubblica
Le mafie stesse rischiano di diventare “autorità pubblica” in grado di governare processi e sorti dell’economia. “L’uso stabile e continuo del metodo corruttivo-collusivo da parte delle associazioni mafiose determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato – si legge nella relazione -. Acquistato, dal sodalizio mafioso, con il metodo corruttivo collusivo, il potere pubblico che viene in rilievo e sovraintende al settore economico di cui si è intenso acquisire il controllo, questo viene, poi, illegalmente, meglio, criminalmente, utilizzato al fine esclusivo di avvantaggiare alcuni (le imprese mafiose e quelle a loro consociate) e danneggiare gli altri (le imprese e i soggetti non allineati)”.
L’imprescindibilità del 41 bis e priorità della cattura di Messina Denaro
Nella relazione di sottolinea anche come il 41bis non debba essere assolutamente modificato: “Il regime deve essere potenziato e mai attenuato, atteso che sul fronte della lotta alla mafia si può solo avanzare e non arretrare e che, in tale contesto, il ruolo dell’istituto previsto dall’art. 41 bis O.P. è imprescindibile”. Per l’Antimafia poi è prioritaria la cattura di “Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, che estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta“. La Dna ritiene che, nella “situazione di difficoltà di “Cosa Nostra”, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”.
Sacra Corona Unita “vitale e rinnovata”
“Le attività di indagine in corso, sia con riguardo alla provincia di Brindisi che a quella di Lecce testimoniano di una perdurante, e per certi versi rinnovata, vitalità dell’associazione mafiosa Sacra corona unita, da tempo insediata in questi territori” si legge nel documento. “Tutte le principali attività criminali delle due provincie, infatti, benché talora possano apparire autonome ed indipendenti da logiche mafiose, ad uno sguardo più approfondito risultano fare riferimento alla associazione mafiosa, cui comunque deve essere dato conto”. La Dna aggiunge poi che “la mafia lucana e, in particolare, quella potentina, sta sviluppando una spiccata capacità ad intrecciare rapporti, prevalentemente di natura corruttiva, con amministratori pubblici e politici locali, finalizzati ad ottenere più agevolmente appalti per servizi ed opere pubbliche e, quindi, compiere un salto di qualità verso un pieno inserimento nell’economia locale; a ciò si aggiunga la dimostrata attitudine ad effettuare lucrosi investimenti, in particolare nel settore delle scommesse e del gioco d’azzardo“. Permane, tuttavia, “in particolare per il circondario di Matera, una sorta di difficoltà nel percepire e valutare i fenomeni criminali che si realizzano nel territorio”.
Legalizzazione della vendita di cannabis
“Sembra coerente l’adozione di una rigorosa e chiara politica di legalizzazione della vendita della cannabis, accompagnata da una parallela azione a livello internazionale, e, in particolare europeo, che consenta la creazione, in prospettiva, di una più ampia aerea in cui il fenomeno sia regolato in modo omogeneo”. Il procuratore Franco Roberti, ribadisce il suo punto di vista sul tema ricordando quanto già detto “in senso favorevole alla legalizzazione, ove attuata secondo criteri che venivano nel dettaglio evidenziati, prendendo atto sulla base di numeri, fatti, indagini e processi in nostro possesso – del fallimento delle politiche proibizioniste. Questo Ufficio – si legge nella relazione – conferma, anche alla luce delle nuove questioni esaminate e dei nuovi dati pervenuti, la necessità di concentrare le risorse dello Stato finalizzate alla repressione dei reati su fenomeni più gravi ed allarmanti del traffico di droghe leggere”.
Per la Dna comunque si sottolinea la necessità che “l’eventuale legalizzazione si realizzi in un quadro europeo che coinvolga un numero apprezzabile di Stati aderenti”.
VIDEO – N° 2: vedi
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06 ... i/3678012/
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA NELL’ITALIA CHE NON C’E’ PIU’
IN MEZZO AL GUADO.
(Sarebbe meglio dire IN MEZZO AL GUANO)
Gli STRUMPTRUPPEN combattono così:
6 ore fa
116
• 87
• 0
• 29
Rodotà, comunista M5S
che sognava il Quirinale
Roberto Scafuri
IN MEZZO AL GUADO.
(Sarebbe meglio dire IN MEZZO AL GUANO)
Gli STRUMPTRUPPEN combattono così:
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Rodotà, comunista M5S
che sognava il Quirinale
Roberto Scafuri
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Re: Diario della caduta di un regime.
Da non perdere cosa s’intende per Cassa del Mezzogiorno:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 150656.htm
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Re: Diario della caduta di un regime.
UNA SOCIETA’ IN TOTALE DECOMPOSIZIONE
Ognuno spara le cazzate che gli passano per la mente come bere un bicchiere d’acqua fresca in questi giorni di caldo africano.
L’unico che prestava attenzione a quello che diceva con estremo rigore, è morto l’altro ieri.
Ha un bel dire Carotenuto che nel mondo c’è un risveglio delle coscienze.
Può darsi che abbia ragione per il resto del pianeta, non certamente nello Stivalone dove il cazzeggio è all’ordine del giorno, procurando sconcerto in tutto il Paese.
Sopravvivono solo coloro che si dedicano alla Gazzetta dello Sport, e di striscio si bevono tutte le cazzate che quei fax-simili di politici sparano nelle speranza di sopravvivere sulla giostra del GRATTA E VINCI SICURO.
Pisapia, Tabacci: “Come Sanders e Corbyn. E’ l’anti-leader che può motivare i giovani”
di Veronica Bencivenga | 24 giugno 2017
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Più informazioni su: Bruno Tabacci, Giuliano Pisapia, Pier Luigi Bersani
“I giovani vanno motivati, noi usiamo l’immagine di Giuliano Pisapia e crediamo che il suo profilo di anti-leader sia una grande novità, è la persona giusta”. Lo ha detto Bruno Tabacci, segretario di Centro Democratico, a margine dell’assemblea del partito a Napoli. “Avete visto Sanders alle elezioni americane – ha aggiunto Tabacci – forse se gli americani avessero scelto lui non sarebbe arrivato Trump alla presidenza. Avete visto in Inghilterra il successo di Corbyn. Questi due personaggi, che sono delle persone anziane, hanno ottenuto il grande successo con il consenso dei giovani”.
di Veronica Bencivenga | 24 giugno 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06 ... i/3683859/
Per chi non si ricorda di Tabacci
https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Tabacci
Azzurri pronti alla riscossa. Si tenta il colpo a Genova per espugnare i feudi rossi
Oggi ballottaggi in 22 capoluoghi di provincia. La sfida è tutta tra centrosinistra e centrodestra, con quest'ultimo che parte in vantaggio. M5S in corsa solo ad Asti e Carrara
Laura Cesaretti - Dom, 25/06/2017 - 08:40
commenta
Roma - Chi rischia di più, alla chiusura delle urne in 22 capoluoghi di provincia, è facile a dirsi: il Pd di Matteo Renzi, che aveva 17 sindaci uscenti. Al Nazareno puntano su un bilanciamento: l'eventuale sconfitta di Genova potrebbe essere assai ridimensionata dalla conquista di Parma o Padova, oltre alla conferma dell'Aquila.
Questi sono matti da legare. Pinocchio Mussoloni è sempre stato di centrodestra.
Matteo Renzi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Biografia
Figlio di Laura Bovoli e Tiziano Renzi,[9][10]che è stato consigliere comunale di Rignano sull'Arno tra il 1985 e il 1990 per la Democrazia Cristiana,[11]
Protetto dalla massoneria deviata di Verdini, che a suo tempo si è speso con Berlusconi per mettere un concorrente di latta in gara al Comune di Firenze, Filippo Galli, per fa vincere Mussoloni.
Ognuno spara le cazzate che gli passano per la mente come bere un bicchiere d’acqua fresca in questi giorni di caldo africano.
L’unico che prestava attenzione a quello che diceva con estremo rigore, è morto l’altro ieri.
Ha un bel dire Carotenuto che nel mondo c’è un risveglio delle coscienze.
Può darsi che abbia ragione per il resto del pianeta, non certamente nello Stivalone dove il cazzeggio è all’ordine del giorno, procurando sconcerto in tutto il Paese.
Sopravvivono solo coloro che si dedicano alla Gazzetta dello Sport, e di striscio si bevono tutte le cazzate che quei fax-simili di politici sparano nelle speranza di sopravvivere sulla giostra del GRATTA E VINCI SICURO.
Pisapia, Tabacci: “Come Sanders e Corbyn. E’ l’anti-leader che può motivare i giovani”
di Veronica Bencivenga | 24 giugno 2017
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“I giovani vanno motivati, noi usiamo l’immagine di Giuliano Pisapia e crediamo che il suo profilo di anti-leader sia una grande novità, è la persona giusta”. Lo ha detto Bruno Tabacci, segretario di Centro Democratico, a margine dell’assemblea del partito a Napoli. “Avete visto Sanders alle elezioni americane – ha aggiunto Tabacci – forse se gli americani avessero scelto lui non sarebbe arrivato Trump alla presidenza. Avete visto in Inghilterra il successo di Corbyn. Questi due personaggi, che sono delle persone anziane, hanno ottenuto il grande successo con il consenso dei giovani”.
di Veronica Bencivenga | 24 giugno 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06 ... i/3683859/
Per chi non si ricorda di Tabacci
https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Tabacci
Azzurri pronti alla riscossa. Si tenta il colpo a Genova per espugnare i feudi rossi
Oggi ballottaggi in 22 capoluoghi di provincia. La sfida è tutta tra centrosinistra e centrodestra, con quest'ultimo che parte in vantaggio. M5S in corsa solo ad Asti e Carrara
Laura Cesaretti - Dom, 25/06/2017 - 08:40
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Roma - Chi rischia di più, alla chiusura delle urne in 22 capoluoghi di provincia, è facile a dirsi: il Pd di Matteo Renzi, che aveva 17 sindaci uscenti. Al Nazareno puntano su un bilanciamento: l'eventuale sconfitta di Genova potrebbe essere assai ridimensionata dalla conquista di Parma o Padova, oltre alla conferma dell'Aquila.
Questi sono matti da legare. Pinocchio Mussoloni è sempre stato di centrodestra.
Matteo Renzi
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Biografia
Figlio di Laura Bovoli e Tiziano Renzi,[9][10]che è stato consigliere comunale di Rignano sull'Arno tra il 1985 e il 1990 per la Democrazia Cristiana,[11]
Protetto dalla massoneria deviata di Verdini, che a suo tempo si è speso con Berlusconi per mettere un concorrente di latta in gara al Comune di Firenze, Filippo Galli, per fa vincere Mussoloni.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Per riportare la “Caduta della Prima Repubblica”, mi sono avvalso del campo neutro di Wikipedia.
Se qualcuno ritiene che ci siano inesattezze, è pregato di riportare le debite correzioni.
La fine della Prima Repubblica[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Tangentopoli, Mani pulite e Seconda Repubblica (Italia).
Verso la fine degli anni ottanta la coalizione di maggioranza si consolidò nel patto informale del CAF (dall'acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani), una solida alleanza che prevedeva un'alternanza al governo dei tre sottoscrittori del patto. Il fatto che un tale progetto politico sembrasse non prevedere alternative suscitò tuttavia una sensazione di immobilismo, dando l'impressione che i partiti si accordassero tra loro indipendentemente dal resto del Paese. Con la caduta del Muro di Berlino, che assunse il significato ideale di un crollo dell'alternativa al capitalismo, sembrarono aprirsi nuovi spazi di intesa tra il PSI e un PCI libero dalla pregiudiziale sovietica, ma il rapporto travagliato tra i due partiti che si era andato logorando lungo tutti gli anni ottanta fece ben presto naufragare una tale prospettiva.
Tra l'altro, fu solo dopo la crisi delle Repubbliche del Patto di Varsavia, e la conseguente caduta della Cortina di ferro, che il PCI decise di effettuare la transizione dal comunismo al socialismo democratico, cambiando nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Dal partito si distaccò l'ala dell'estrema sinistra libertaria e il ramo veterostalinista, guidati da Sergio Garavini e Armando Cossutta, che diedero vita al Partito della Rifondazione Comunista (PRC)[18]. La trasformazione avvenuta nella sinistra fece cadere in molti elettori moderati le ragioni per votare democristiano in funzione anticomunista. Tale orientamento fu intercettato da due movimenti post-ideologici nati nel 1991, la Lega Nord e La Rete, con base elettorale rispettivamente nel Nord e nel Sud Italia. La Lega era una federazione di partiti regionalisti esistenti sin dal 1979, guidata da Umberto Bossi, che propugnava principalmente la risoluzione della questione settentrionale dovuta all'oneroso carico fiscale richiesto per finanziare la crescita economica nel Mezzogiorno. Il secondo, fondato da Leoluca Orlando sulla base di alcune associazioni cattoliche sociali, proponeva come tema centrale la lotta alla mafia e alla corruzione. La Federazione delle Liste Verdi, movimento di ispirazione ambientalista e riformista fondato nel 1986, era un'altra giovane formazione estranea agli schemi tradizionali, e dopo la nascita dei Verdi Arcobaleno (fondati nel 1989) ci fu la fusione nella Federazione dei Verdi, nel 1990.
In quello stesso anno venne scoperta l'organizzazione Gladio: si trattava di una struttura segreta creata a metà degli anni cinquanta per consentire la nascita di un movimento di resistenza, qualora i confini orientali fossero stati violati da un invasore straniero. Ne facevano parte dei 622 volontari, ed erano stati predisposti depositi d'armi (quasi tutti eliminati nel 1973) cui questi «partigiani» potessero attingere, per le loro azioni. Il magistrato veneziano Felice Casson riteneva che l'organizzazione fosse un'entità fuorilegge e avesse finalità eversive: in particolare quella di impedire che in Italia si affermassero le forze di sinistra (come il PCI). Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica nel 1990 e sottosegretario alla Difesa nel triennio 1966-1969, rivendicò con orgoglio il ruolo svolto per migliorare la struttura che a suo avviso, pur essendo segreta, era legittima[19]. Nei mesi successivi si scatenarono continue polemiche: Achille Occhetto (segretario comunista) tuonò contro la «democrazia limitata» che sarebbe esistita in Italia durante il dopoguerra e contro l'«eversione atlantica», mentre lo stesso Cossiga minacciò di autosospendersi purché lo facesse anche Andreotti (in quel momento Presidente del Consiglio)[18]. Successivamente Casson trasmise il fascicolo sull'organizzazione, per ragioni di competenza territoriale, alla Procura di Roma, la quale dichiarò che la struttura Stay-behind non aveva nulla di penalmente rilevante[20].
Le polemiche politiche e il malgoverno fecero scendere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti: alle elezioni europee del 1989 un elettore su quattro si era astenuto o aveva votato scheda bianca[21], mentre i referendum abrogativi dell'anno seguente, sulla caccia e sui fitofarmaci, non avevano raggiunto il quorum fermandosi tra il 42 e il 43% dei voti[22].
Il 9 giugno 1991 si tenne il referendum abrogativo delle preferenze multiple per i candidati alla Camera dei deputati in favore della preferenza unica, assimilando così il sistema elettorale al maggioritario uninominale pur lasciandolo formalmente proporzionale. Alla vigilia del voto si temeva che non si potesse raggiungere il quorum del 50% dei voti, con i partiti di governo che scelsero la linea dell'astensione invitando gli italiani ad andare al mare. Invece la partecipazione al referendum fu elevata: votò il 62,5% degli aventi diritto, e tra di loro oltre il 95% si pronunciò per la preferenza unica[18].
Il 17 febbraio 1992 cominciò l'inchiesta giudiziaria Mani pulite sul sistema delle tangenti, che coinvolse molti esponenti di tutti i maggiori partiti e fece emergere il fenomeno detto Tangentopoli. L'enorme perdita di credibilità subita in particolare dalle forze del pentapartito le portò a una crisi irreversibile, fino allo scioglimento della DC e del PSI, rispettivamente il più importante e il più antico dei partiti politici italiani. L'iniziativa della magistratura allora godette del diffuso sostegno dell'opinione pubblica alimentato dai mass media[21].
Nelle elezioni politiche del 5 aprile 1992 la DC ottenne il minimo storico dei suffragi pur conservando la maggioranza relativa, PDS e PRC assommati ricevettero molti meno voti del vecchio PCI, mentre gli altri partiti di governo rimasero pressoché stabili nelle preferenze. La Lega Nord ottenne un risultato sorprendente vincendo in numerosi collegi settentrionali e ottenendo quasi il 9% a livello nazionale. Anche Rete e Verdi riuscirono a fare eleggere alcuni loro candidati. Conseguenza del voto fu un parlamento molto frammentato e senza una maggioranza robusta[18].
Questo periodo non vide solo la crisi della politica, ma anche delle istituzioni e dell'economia per colpa di una violenta offensiva della mafia contro le istituzioni e una spaventosa impennata del deficit pubblico. Il 27 marzo 1993 Giulio Andreotti fu raggiunto da un avviso di garanzia dalla Procura di Palermo per attività di mafia[23]; il 5 aprile fu indagato dalla Procura di Milano per finanziamento illecito[24] e la settimana dopo dalla Procura di Roma per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (avvenuto nel 1979)[25]. Le inchieste di Palermo furono viste come un processo alla DC e all'intero sistema politico, e il contraccolpo fu notevole[26]: Gianni Pilo, sondaggista della Fininvest, scrisse che la fiducia nei partiti era scesa al minimo storico, il 2% (solo nel 1989 era all'11,4%)[21].
Il 18 aprile gli elettori furono chiamati a pronunciarsi sul referendum per la riforma elettorale del Senato della Repubblica (bocciato dalla Corte costituzionale due anni prima) instaurando il sistema maggioritario e aprendo la strada a un'analoga riforma per la Camera dei deputati. L'82,74% votò a favore della riforma[27] e il 4 agosto successivo le Camere deliberarono la legge elettorale denominata «Mattarellum», che introdusse il sistema maggioritario misto, soppiantando il proporzionale puro che era considerato una delle cause dell'instabilità istituzionale e della partitocrazia[28]. Questa innovazione legislativa, oltre alla gravità della crisi che stava colpendo i partiti, il Parlamento e il Governo, spinse il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a sciogliere anticipatamente le Camere e indire le elezioni per il 27 e 28 marzo 1994.
Il 26 gennaio 1994 l'imprenditore Silvio Berlusconi annunciò ufficialmente il suo ingresso in politica (cosiddetta «discesa in campo») fondando un nuovo partito, Forza Italia, formato prevalentemente da tecnici di estrazione aziendale e politici di secondo piano del pentapartito, quasi tutti nomi nuovi per raccogliere il consenso dei delusi dalla politica, e rappresentativi del ceto medio moderato in modo da intercettare il voto democristiano. Per la prima volta in Italia il partito di Berlusconi svolse una campagna elettorale fortemente mediatica e personalizzata. A febbraio, il MSI diede vita al nuovo progetto politico chiamato Alleanza Nazionale, che sarà il nuovo partito nel quale si sarebbe sciolto un anno dopo[29].
Si formarono così tre alleanze elettorali: un cartello di centro denominato Patto per l'Italia, formato da Partito Popolare Italiano (erede della maggiore corrente DC) e Patto Segni (promotore dei referendum e anch'esso post-democristiano); su posizioni di centro-destra il Polo delle Libertà (presente al Nord e composto da Forza Italia e Lega Nord) e il Polo del Buon Governo (presente al Centro e al Sud e formato da Forza Italia e AN-MSI); orientata a sinistra l'Alleanza dei Progressisti, che comprendeva PDS, PRC, Verdi e La Rete; inoltre in ognuno dei tre schieramenti erano presenti effimere liste composte da schegge assortite del vecchio pentapartito.
La fine sostanziale della Prima Repubblica coincise con le elezioni politiche del 27 marzo 1994, che segnò l'affermazione del bipolarismo in Italia. Da allora si iniziò a parlare comunemente di Seconda Repubblica
https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_Repubblica_(Italia)
Se qualcuno ritiene che ci siano inesattezze, è pregato di riportare le debite correzioni.
La fine della Prima Repubblica[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Tangentopoli, Mani pulite e Seconda Repubblica (Italia).
Verso la fine degli anni ottanta la coalizione di maggioranza si consolidò nel patto informale del CAF (dall'acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani), una solida alleanza che prevedeva un'alternanza al governo dei tre sottoscrittori del patto. Il fatto che un tale progetto politico sembrasse non prevedere alternative suscitò tuttavia una sensazione di immobilismo, dando l'impressione che i partiti si accordassero tra loro indipendentemente dal resto del Paese. Con la caduta del Muro di Berlino, che assunse il significato ideale di un crollo dell'alternativa al capitalismo, sembrarono aprirsi nuovi spazi di intesa tra il PSI e un PCI libero dalla pregiudiziale sovietica, ma il rapporto travagliato tra i due partiti che si era andato logorando lungo tutti gli anni ottanta fece ben presto naufragare una tale prospettiva.
Tra l'altro, fu solo dopo la crisi delle Repubbliche del Patto di Varsavia, e la conseguente caduta della Cortina di ferro, che il PCI decise di effettuare la transizione dal comunismo al socialismo democratico, cambiando nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Dal partito si distaccò l'ala dell'estrema sinistra libertaria e il ramo veterostalinista, guidati da Sergio Garavini e Armando Cossutta, che diedero vita al Partito della Rifondazione Comunista (PRC)[18]. La trasformazione avvenuta nella sinistra fece cadere in molti elettori moderati le ragioni per votare democristiano in funzione anticomunista. Tale orientamento fu intercettato da due movimenti post-ideologici nati nel 1991, la Lega Nord e La Rete, con base elettorale rispettivamente nel Nord e nel Sud Italia. La Lega era una federazione di partiti regionalisti esistenti sin dal 1979, guidata da Umberto Bossi, che propugnava principalmente la risoluzione della questione settentrionale dovuta all'oneroso carico fiscale richiesto per finanziare la crescita economica nel Mezzogiorno. Il secondo, fondato da Leoluca Orlando sulla base di alcune associazioni cattoliche sociali, proponeva come tema centrale la lotta alla mafia e alla corruzione. La Federazione delle Liste Verdi, movimento di ispirazione ambientalista e riformista fondato nel 1986, era un'altra giovane formazione estranea agli schemi tradizionali, e dopo la nascita dei Verdi Arcobaleno (fondati nel 1989) ci fu la fusione nella Federazione dei Verdi, nel 1990.
In quello stesso anno venne scoperta l'organizzazione Gladio: si trattava di una struttura segreta creata a metà degli anni cinquanta per consentire la nascita di un movimento di resistenza, qualora i confini orientali fossero stati violati da un invasore straniero. Ne facevano parte dei 622 volontari, ed erano stati predisposti depositi d'armi (quasi tutti eliminati nel 1973) cui questi «partigiani» potessero attingere, per le loro azioni. Il magistrato veneziano Felice Casson riteneva che l'organizzazione fosse un'entità fuorilegge e avesse finalità eversive: in particolare quella di impedire che in Italia si affermassero le forze di sinistra (come il PCI). Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica nel 1990 e sottosegretario alla Difesa nel triennio 1966-1969, rivendicò con orgoglio il ruolo svolto per migliorare la struttura che a suo avviso, pur essendo segreta, era legittima[19]. Nei mesi successivi si scatenarono continue polemiche: Achille Occhetto (segretario comunista) tuonò contro la «democrazia limitata» che sarebbe esistita in Italia durante il dopoguerra e contro l'«eversione atlantica», mentre lo stesso Cossiga minacciò di autosospendersi purché lo facesse anche Andreotti (in quel momento Presidente del Consiglio)[18]. Successivamente Casson trasmise il fascicolo sull'organizzazione, per ragioni di competenza territoriale, alla Procura di Roma, la quale dichiarò che la struttura Stay-behind non aveva nulla di penalmente rilevante[20].
Le polemiche politiche e il malgoverno fecero scendere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti: alle elezioni europee del 1989 un elettore su quattro si era astenuto o aveva votato scheda bianca[21], mentre i referendum abrogativi dell'anno seguente, sulla caccia e sui fitofarmaci, non avevano raggiunto il quorum fermandosi tra il 42 e il 43% dei voti[22].
Il 9 giugno 1991 si tenne il referendum abrogativo delle preferenze multiple per i candidati alla Camera dei deputati in favore della preferenza unica, assimilando così il sistema elettorale al maggioritario uninominale pur lasciandolo formalmente proporzionale. Alla vigilia del voto si temeva che non si potesse raggiungere il quorum del 50% dei voti, con i partiti di governo che scelsero la linea dell'astensione invitando gli italiani ad andare al mare. Invece la partecipazione al referendum fu elevata: votò il 62,5% degli aventi diritto, e tra di loro oltre il 95% si pronunciò per la preferenza unica[18].
Il 17 febbraio 1992 cominciò l'inchiesta giudiziaria Mani pulite sul sistema delle tangenti, che coinvolse molti esponenti di tutti i maggiori partiti e fece emergere il fenomeno detto Tangentopoli. L'enorme perdita di credibilità subita in particolare dalle forze del pentapartito le portò a una crisi irreversibile, fino allo scioglimento della DC e del PSI, rispettivamente il più importante e il più antico dei partiti politici italiani. L'iniziativa della magistratura allora godette del diffuso sostegno dell'opinione pubblica alimentato dai mass media[21].
Nelle elezioni politiche del 5 aprile 1992 la DC ottenne il minimo storico dei suffragi pur conservando la maggioranza relativa, PDS e PRC assommati ricevettero molti meno voti del vecchio PCI, mentre gli altri partiti di governo rimasero pressoché stabili nelle preferenze. La Lega Nord ottenne un risultato sorprendente vincendo in numerosi collegi settentrionali e ottenendo quasi il 9% a livello nazionale. Anche Rete e Verdi riuscirono a fare eleggere alcuni loro candidati. Conseguenza del voto fu un parlamento molto frammentato e senza una maggioranza robusta[18].
Questo periodo non vide solo la crisi della politica, ma anche delle istituzioni e dell'economia per colpa di una violenta offensiva della mafia contro le istituzioni e una spaventosa impennata del deficit pubblico. Il 27 marzo 1993 Giulio Andreotti fu raggiunto da un avviso di garanzia dalla Procura di Palermo per attività di mafia[23]; il 5 aprile fu indagato dalla Procura di Milano per finanziamento illecito[24] e la settimana dopo dalla Procura di Roma per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (avvenuto nel 1979)[25]. Le inchieste di Palermo furono viste come un processo alla DC e all'intero sistema politico, e il contraccolpo fu notevole[26]: Gianni Pilo, sondaggista della Fininvest, scrisse che la fiducia nei partiti era scesa al minimo storico, il 2% (solo nel 1989 era all'11,4%)[21].
Il 18 aprile gli elettori furono chiamati a pronunciarsi sul referendum per la riforma elettorale del Senato della Repubblica (bocciato dalla Corte costituzionale due anni prima) instaurando il sistema maggioritario e aprendo la strada a un'analoga riforma per la Camera dei deputati. L'82,74% votò a favore della riforma[27] e il 4 agosto successivo le Camere deliberarono la legge elettorale denominata «Mattarellum», che introdusse il sistema maggioritario misto, soppiantando il proporzionale puro che era considerato una delle cause dell'instabilità istituzionale e della partitocrazia[28]. Questa innovazione legislativa, oltre alla gravità della crisi che stava colpendo i partiti, il Parlamento e il Governo, spinse il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a sciogliere anticipatamente le Camere e indire le elezioni per il 27 e 28 marzo 1994.
Il 26 gennaio 1994 l'imprenditore Silvio Berlusconi annunciò ufficialmente il suo ingresso in politica (cosiddetta «discesa in campo») fondando un nuovo partito, Forza Italia, formato prevalentemente da tecnici di estrazione aziendale e politici di secondo piano del pentapartito, quasi tutti nomi nuovi per raccogliere il consenso dei delusi dalla politica, e rappresentativi del ceto medio moderato in modo da intercettare il voto democristiano. Per la prima volta in Italia il partito di Berlusconi svolse una campagna elettorale fortemente mediatica e personalizzata. A febbraio, il MSI diede vita al nuovo progetto politico chiamato Alleanza Nazionale, che sarà il nuovo partito nel quale si sarebbe sciolto un anno dopo[29].
Si formarono così tre alleanze elettorali: un cartello di centro denominato Patto per l'Italia, formato da Partito Popolare Italiano (erede della maggiore corrente DC) e Patto Segni (promotore dei referendum e anch'esso post-democristiano); su posizioni di centro-destra il Polo delle Libertà (presente al Nord e composto da Forza Italia e Lega Nord) e il Polo del Buon Governo (presente al Centro e al Sud e formato da Forza Italia e AN-MSI); orientata a sinistra l'Alleanza dei Progressisti, che comprendeva PDS, PRC, Verdi e La Rete; inoltre in ognuno dei tre schieramenti erano presenti effimere liste composte da schegge assortite del vecchio pentapartito.
La fine sostanziale della Prima Repubblica coincise con le elezioni politiche del 27 marzo 1994, che segnò l'affermazione del bipolarismo in Italia. Da allora si iniziò a parlare comunemente di Seconda Repubblica
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Re: Diario della caduta di un regime.
……LA LOTTA DELLE COSCHE PER ASSUMERE IL COMANDO……
La cosca di Hardcore non guarda in faccia a nessuno per riconquistare il primato.
Renzi fa ricco Fazio
e stanga i contribuenti
Al conduttore cachet da 11 milioni. Scoppia la bufera sul contratto della Rai mentre il crac del credito ci costerà miliardi
di Alessandro Sallusti
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Berlusconi e il bis del '94
Traino del centrodestra
perché si vince al centro
Anna Maria Greco
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Re: Diario della caduta di un regime.
Alle 19 affluenza al 31%, in calo di 10 punti
Trapani ferma al 16, verso il commissariamento
Amministrative, 15 giorni fa il dato era del 41,6%. Padova e Rieti sono gli unici capoluoghi sopra il 40%
Urne deserte a Taranto, al 19,16%: la metà rispetto al 1° turno. Si vota fino alle 23. IL NOSTRO SPECIALE
Trapani ferma al 16, verso il commissariamento
Amministrative, 15 giorni fa il dato era del 41,6%. Padova e Rieti sono gli unici capoluoghi sopra il 40%
Urne deserte a Taranto, al 19,16%: la metà rispetto al 1° turno. Si vota fino alle 23. IL NOSTRO SPECIALE
Chi c’è in linea
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