A proposito della soppressione dei partiti politici
Scritto da: Pierpaolo Farina 8 marzo 2013 in Il Rompiballe, Politica
Va parecchio di moda, di questi tempi, un passo del “Manifesto per la soppressione dei partiti politici“, di Simone Weil, filosofa e attivista francese morta il 24 agosto 1943.
Il passo, in particolare, è il seguente:
Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali: – un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva – un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte – il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite Per via di queste caratteristiche ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni.
Ovviamente, prima che Beppe Grillo lo utilizzasse come slogan per il dopo-elezioni, nessuno di quelli che si riempie la bocca con le parole della Weil sapeva manco chi fosse, cosa avesse fatto e perché mai abbia scritto quelle parole, ma va bene così, ci siamo passati anche per Gramsci, Pertini e via discorrendo.
Anzitutto, va detto che Simone Weil era ebrea, ma vivendo in Francia, per fortuna non subì quello che subirono gli altri ebrei in Germania o in Italia e anche quando Hitler invase la Francia, si rifugiò a Marsiglia, dove però cominciò il digiuno in segno di solidarietà ai francesi rimasti nella zona occupata. Digiuno che poi la porterà ad ammalarsi di tubercolosi e alla fine a spegnersi in un ospedale fuori Londra.
Amica di molti sindacalisti e politici anarchici e rivoluzionari, espulsi dal PCF, era anche trotskysta (ospitò Lev Trotsky nel suo appartamento a Parigi nel 1933) e andò a dare il suo contributo nella guerra civile spagnola (non essendo capace di usare il fucile, fu assegnata alle cucine).
Pacifista all’estremo, era convinta che nessuna tragedia potesse giustificare una guerra, nemmeno l’egemonia della Germania di Hitler sull’Europa: cambiò idea quando si rese conto di cosa erano capaci i nazisti e cosa facevano ai “non ariani”.
Dunque, quando scrive il “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”, la Weil ha solo due esperienze di riferimento: lo stalinismo e il nazismo. E lei era una “doppia minoranza”, in quanto trotskysta e in quanto ebrea: sapeva cosa facevano ai “frazionisti” gli stalinisti e sapeva cosa facevano ai “non ariani” i nazisti.
Il punto è che la tipologia di partito contro cui si scaglia la Weil è una tipologia di partito, quello totalitario, che lei tende a generalizzare a tutti i partiti, riducendo la totalità alla sua esperienza personale: non solo, il paradosso della Weil è che invoca l’abolizione dei partiti, quando i partiti che ha conosciuto lei sono diventati totalitari proprio grazie all’assenza di altri partiti.
Affermava Hitler, nel suo discorso del 4 aprile 1932:
Noi non siamo come loro! Loro sono morti, e vogliamo vederli tutti nella tomba! Io vedo questa sufficienza borghese nel giudicare il nostro movimento… mi hanno proposto un’alleanza. Così ragionano! Ancora non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da un partito politico… noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. E’ un movimento che non può essere fermato… non capiscono che questo movimento è tenuto insieme da una forza inarrestabile che non può essere distrutta… noi non siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo…
Il partito totalitario, dunque, fonda la sua forza e la sua retorica sulle inefficienze e sulle degenerazioni del sistema partitico, quindi sulla mancata risoluzione della Questione Morale, di cui già parlava Berlinguer, quando sosteneva che
“rischiano di essere spazzati via quella conquista della Resistenza che sono stati i grandi partiti di massa“.
Sì, perché Simone Weil ha conosciuto i partiti totalitari, ma non ha avuto alcuna esperienza, essendo morta prima, dei partiti di massa che si sono affermati nel secondo dopoguerra. Non solo, la Weil dimentica il ruolo storico che hanno avuto i primi partiti (tutti socialisti) nel dare una rappresentanza e una tutela a milioni di lavoratori, che erano soggetti ai ricatti padronali. Insomma, i partiti quando degenerano fanno sfracelli ed è per questo che c’è bisogno dell’alternanza al potere, dei controlli democratici, di una stampa non asservita, di una società civile esigente e di alti livelli di capitale sociale: i partiti che funzionano, però, non solo rafforzano la democrazia, ma impediscono l’affermazione del partito totalitario da cui la Weil era ossessionata.
Scriveva, infatti, Bertolt Brecht, nella sua “Lode al Partito”:
Chi è uno ha due occhi
il Partito ha mille occhi.
Il Partito vede sette stati,
chi è uno vede una città.
Chi è uno ha la sua ora
ma il Partito ha molte ore.
Chi è uno può essere distrutto
ma il Partito non può essere distrutto,
perchè è l’avanguardia delle masse
e conduce la sua lotta
con i metodi dei classici, che son sorti
dalla conoscenza della realtà.
I partiti di oggi sono indecenti, ma da qui a dire che vanno soppressi ce ne vuole: vanno riformati, vanno cambiati, e c’è bisogno di un lavoro politico, culturale, sociale profondo, prolungato e che coinvolga tutta la società. Il rischio, altrimenti, è quello di aprire le porte ad un nuovo “Uomo della Provvidenza”. Cosa che, se permettete, mi vorrei evitare.
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