Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
Tutti insieme appassionatamente a contribuire perchè si torni al : CARO LEI, QUANDO C'ERA LUI.
L’allarme dei sindaci: “Inceneritori al collasso
Comuni rischiano di lasciare i rifiuti in strada”
Termovalorizzatori al Nord oberati dai rifiuti urbani di Centro e Sud: il Consorzio non riesce a smaltire
la plastica da bruciare. L’Anci scrive al ministro Galletti: “Blocco della raccolta senza misure urgenti”
Ambiente & Veleni
Nasce per riciclare la plastica, ma va in tilt all’aumentare della differenziata. Questa la situazione in cui è impantanato il sistema che gira intorno al Consorzio Corepla: oggi oltre il 40% degli imballaggi separati con la differenziata, finisce negli inceneritori o in discarica. Ma i forni, assediati dai rifiuti urbani del Sud, hanno ridotto i ritiri della plastica e gli impianti che lavorano gli imballaggi sono pieni. “O cerchiamo una soluzione urgente, o ci ritroveremo con la plastica per strada”, dice a ilfattoquotidiano.it il delegato Anci ai Rifiuti Ivan Stomeo. Insieme al presidente Antonio Decaro ha scritto una lettera al ministro dell’Ambiente per lanciare l’allarme, parlando di “estrema criticità”, “necessità di blocco della raccolta nei Comuni” e “misure d’urgenza”
di Veronica Ulivieri
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... i/3740476/
Tutti insieme appassionatamente a contribuire perchè si torni al : CARO LEI, QUANDO C'ERA LUI.
L’allarme dei sindaci: “Inceneritori al collasso
Comuni rischiano di lasciare i rifiuti in strada”
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la plastica da bruciare. L’Anci scrive al ministro Galletti: “Blocco della raccolta senza misure urgenti”
Ambiente & Veleni
Nasce per riciclare la plastica, ma va in tilt all’aumentare della differenziata. Questa la situazione in cui è impantanato il sistema che gira intorno al Consorzio Corepla: oggi oltre il 40% degli imballaggi separati con la differenziata, finisce negli inceneritori o in discarica. Ma i forni, assediati dai rifiuti urbani del Sud, hanno ridotto i ritiri della plastica e gli impianti che lavorano gli imballaggi sono pieni. “O cerchiamo una soluzione urgente, o ci ritroveremo con la plastica per strada”, dice a ilfattoquotidiano.it il delegato Anci ai Rifiuti Ivan Stomeo. Insieme al presidente Antonio Decaro ha scritto una lettera al ministro dell’Ambiente per lanciare l’allarme, parlando di “estrema criticità”, “necessità di blocco della raccolta nei Comuni” e “misure d’urgenza”
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
6 ore fa
100
Via al partito centrista
che nasce contro Alfano
Roberto Scafuri
Può definirsi un partito “centrista”, se alla guida delle corazzate della disinformazione ci sono i camerati, Allessandro Sallusti, Littorio Feltri e Maurizio Bel Pietro??????
Ingannare i merli boccaloni è il loro motto.
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
Opinioni
Tommaso Cerno
Editoriale
Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia
«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… »
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Abbiamo risentito la frase italiana per eccellenza: la mafia non esiste. Quella dei tempi d’oro. Quando la politica mangiava con loro e i giornalisti venivano ammazzati. Lo dicono ridacchiando mentre uno ‘Stato cecato’ ha inflitto oltre 280 anni di carcere a un’organizzazione criminale guidata da er Cecato vero, Massimo Carminati. Con una sentenza che ripulisce Roma dal lordume. Fra le risatine di avvocati entusiasti per avere mandato in galera i loro assistiti. Ridono perché questa è una sentenza pesante, ma che mostra una visione vecchia della mafia. E fa sembrare loro dei giuristi. Mentre ripetono quello che i mafiosi dicono dal carcere: la mafia non c’è. Un limite culturale dello Stato. Pur con sostanziali passi avanti rispetto agli anni delle assoluzioni choc, degli indulti a comando.
Diciamo che qualcuno dovrebbe rileggersi Leonardo Sciascia. Se si ricorda chi sia. Denunciava già nel 1961 questa tendenza italica, quella di non sapere o volere adattare alla modernità la criminalità organizzata che cambia metodi e modi con maggiore velocità rispetto al codice penale: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… ». A distanza di mezzo secolo da questa profezia, il tribunale infligge pene severissime ai criminali che avevano messo le mani su Roma, ma non cancella la parola “Forse” dalla più celebre citazione de “Il Giorno della Civetta”.
E la mafia certamente ha ascoltato dalle sue lorde tane e dalle sue latitanze. Perché può stare certa che in un Paese come il nostro, invischiato in decine di scandali e omicidi, attovagliato spesso con loschi figuri, affermare in nome del popolo italiano che non solo non siamo riusciti a sconfiggere le mafie storiche, ma siamo stati capaci di farne crescere una nuova, nel cuore di Roma, già graziata ai tempi della Banda della Magliana, è roba troppo grossa per il nostro Stato. Lo sappiamo da anni.
Una cosa buona c’è. L’organizzazione criminale di er Cecato, di quel Massimo Carminati, ex terrorista nero, viene smantellata da una condanna pesantissima. È un passo avanti. Ma non basta. L’organizzazione messa sotto i riflettori dall’Espresso nel 2012 , quando Roma faceva finta di non conoscere quel signore che se ne stava seduto in un distributore di benzina facendo piedino a un pezzo di politica di tutti i colori, con lo stesso sguardo immobile che tenne durante il processo Pecorelli al fianco di Andreotti, va dietro le sbarre.
Va detta una cosa: in Italia erano in molti a volersi levare di torno Carminati, come è stato, ma a non voler scoperchiare il marcio che nasconde quel suo mondo di mezzo. Sembra che la giustizia vada avanti, però a piccoli passi. Stavolta le pene ci sono, ma c’è pure l’ennesimo rinvio della grande questione che tiene impalata l’Italia.
Siamo in grado di capire che la mafia non porta più la coppola, non usa i pizzini né carica la lupara? Non è facile.
Per questo dico senza paura che questa condanna non è il migliore regalo di Stato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’anniversario delle stragi. E ci costringe a rileggere parole che risuonano come una oscura profezia, anche se stentano a prendere vita dentro un’aula di giustizia. La mafia non è un demone, è normalità. Non è sangue, è aria che respiriamo: «Una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza». Lo scrisse Sciascia, appunto, nel 1957. Quando quei giudici erano bambini o nemmeno erano nati. Lo scrisse in nome suo. Incurante di loro. Prima o poi lo riscriveranno anche i giudici in una sentenza. In nome del popolo italiano. Quello che può vincere contro gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraqua.
Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma».
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961
20 luglio 2017 © Riproduzione riservata
http://espresso.repubblica.it/opinioni/ ... =HEF_RULLO
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Tommaso Cerno
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Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia
«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… »
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Abbiamo risentito la frase italiana per eccellenza: la mafia non esiste. Quella dei tempi d’oro. Quando la politica mangiava con loro e i giornalisti venivano ammazzati. Lo dicono ridacchiando mentre uno ‘Stato cecato’ ha inflitto oltre 280 anni di carcere a un’organizzazione criminale guidata da er Cecato vero, Massimo Carminati. Con una sentenza che ripulisce Roma dal lordume. Fra le risatine di avvocati entusiasti per avere mandato in galera i loro assistiti. Ridono perché questa è una sentenza pesante, ma che mostra una visione vecchia della mafia. E fa sembrare loro dei giuristi. Mentre ripetono quello che i mafiosi dicono dal carcere: la mafia non c’è. Un limite culturale dello Stato. Pur con sostanziali passi avanti rispetto agli anni delle assoluzioni choc, degli indulti a comando.
Diciamo che qualcuno dovrebbe rileggersi Leonardo Sciascia. Se si ricorda chi sia. Denunciava già nel 1961 questa tendenza italica, quella di non sapere o volere adattare alla modernità la criminalità organizzata che cambia metodi e modi con maggiore velocità rispetto al codice penale: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… ». A distanza di mezzo secolo da questa profezia, il tribunale infligge pene severissime ai criminali che avevano messo le mani su Roma, ma non cancella la parola “Forse” dalla più celebre citazione de “Il Giorno della Civetta”.
E la mafia certamente ha ascoltato dalle sue lorde tane e dalle sue latitanze. Perché può stare certa che in un Paese come il nostro, invischiato in decine di scandali e omicidi, attovagliato spesso con loschi figuri, affermare in nome del popolo italiano che non solo non siamo riusciti a sconfiggere le mafie storiche, ma siamo stati capaci di farne crescere una nuova, nel cuore di Roma, già graziata ai tempi della Banda della Magliana, è roba troppo grossa per il nostro Stato. Lo sappiamo da anni.
Una cosa buona c’è. L’organizzazione criminale di er Cecato, di quel Massimo Carminati, ex terrorista nero, viene smantellata da una condanna pesantissima. È un passo avanti. Ma non basta. L’organizzazione messa sotto i riflettori dall’Espresso nel 2012 , quando Roma faceva finta di non conoscere quel signore che se ne stava seduto in un distributore di benzina facendo piedino a un pezzo di politica di tutti i colori, con lo stesso sguardo immobile che tenne durante il processo Pecorelli al fianco di Andreotti, va dietro le sbarre.
Va detta una cosa: in Italia erano in molti a volersi levare di torno Carminati, come è stato, ma a non voler scoperchiare il marcio che nasconde quel suo mondo di mezzo. Sembra che la giustizia vada avanti, però a piccoli passi. Stavolta le pene ci sono, ma c’è pure l’ennesimo rinvio della grande questione che tiene impalata l’Italia.
Siamo in grado di capire che la mafia non porta più la coppola, non usa i pizzini né carica la lupara? Non è facile.
Per questo dico senza paura che questa condanna non è il migliore regalo di Stato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’anniversario delle stragi. E ci costringe a rileggere parole che risuonano come una oscura profezia, anche se stentano a prendere vita dentro un’aula di giustizia. La mafia non è un demone, è normalità. Non è sangue, è aria che respiriamo: «Una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza». Lo scrisse Sciascia, appunto, nel 1957. Quando quei giudici erano bambini o nemmeno erano nati. Lo scrisse in nome suo. Incurante di loro. Prima o poi lo riscriveranno anche i giudici in una sentenza. In nome del popolo italiano. Quello che può vincere contro gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraqua.
Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma».
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Re: Diario della caduta di un regime.
Il secondo e il terzo pur non essendo fascisti sono della destra liberista e saccente e già questo di per sé è grave.UncleTom ha scritto:Può definirsi un partito “centrista”, se alla guida delle corazzate della disinformazione ci sono i camerati, Allessandro Sallusti, Littorio Feltri e Maurizio Bel Pietro??????
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Solo i politici al soldo della mafia possono esultare. Pignatone si è risparmiato la fine di Falcone e Borsellino
Reazioni
Mafia capitale, l'esultanza bipartisan della politica: "A Roma solo criminalità comune"
Il giorno dopo la sentenza, destra e parti del Pd esultano per la caduta dell'accusa di associazione mafiosa. Giachetti: «Chi accosta Roma alla mafia non rispetta la città». Forza Italia: «Sconfitta la procura di Roma»
DI FEDERICO MARCONI
21 luglio 2017
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La Corte d’Assise di Roma ha stabilito che quella di Carminati, Buzzi e gli altri 39 imputati per "Mafia capitale" non era associazione mafiosa. Una sentenza che ha fatto esultare molte forze politiche, pronte a intonare il coro secondo cui "la mafia a Roma non esiste".
Una posizione che trova sponde anche nel Pd, che si spacca nelle reazioni alla decisione dei giudici. Se il segretario Matteo Renzi non si è sbilanciato molto: «l’impianto accusatorio mi pare molto chiaro: ci sono delle condanne gravi in primo grado», a farlo è il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. «D’ora in poi chi accosterà la parola mafia a Roma dimostrerà di non amare la città, continuando sciaguratamente a speculare su una notizia falsa» afferma il candidato sindaco di Roma del 2016, che aggiunge «trovo inaccettabile il comportamento di Virginia Raggi che continua a parlare espressamente di mafia: il tribunale ha sentenziato il venir meno del reato di associazione mafiosa per tutti gli imputati».
Parole che stridono se confrontate con quelle di Matteo Orfini, commissario del Pd romano dopo l’inizio dell’inchiesta “Mondo di mezzo”: «Possiamo reagire in tanti modi alla sentenza di ieri, tutti ovviamente comprensibili e legittimi. Ma il più sbagliato è quello forse più diffuso in queste ore: sostenere che si dovrebbe chiedere scusa a Roma perché Roma non è una città mafiosa. A Roma la mafia c’è, forte e radicata». Questo il commento del presidente del Partito democratico: «Basta passeggiare nei tanti quartieri in cui le piazze di spaccio sono gestite professionalmente, con tanto di vedette sui tetti e controllo militare del territorio. Basta spingersi a Ostia e seguire le attività degli Spada, o andare dall'altra parte della città dove regnano i Casamonica. Basta leggere le cronache per trovare la mafia ovunque».
Matteo Orfini e Roberto Giachetti
Insieme a Giachetti, esultano le destre che non vogliono sentir parlare di associazione mafiosa. «Demolito il teorema "Mafia Capitale": da questa sentenza la Procura di Roma esce sconfitta» è il commento del senatore di Forza Italia Francesco Giro. Critico con la Procura e con i giudici Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: «"Mafia Capitale" non è mafia. Abbiamo assistito alla criminalizzazione di un’intera città, bisognerebbe chiederne conto alla Procura. In più sembra che i giudici abbiano compensato la cancellazione della qualifica di associazione mafiosa inasprendo le condanne». Per il capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli non esiste «Nessuna mafia, a Roma ci sono gli stessi delinquenti di Milano, Bologna e Venezia». «Quell’accusa ha innescato una deriva che ha consegnato la Capitale a un sindaco incapace» continua Rampelli «e ora chi risarcisce la città?».
Città che è uscita con le ossa rotte dallo scandalo, ma comunque vittoriosa secondo gli attuali amministratori. Per la sindaca di Roma Virginia Raggi, presente nell’aula bunker di Rebibbia alla lettura della sentenza, quella di ieri: «È la vittoria dei cittadini sulla criminalità, sul malaffare e sulla vecchia politica». Nel suo post su Facebook attacca anche la "vecchia politica": «Hanno ucciso Roma. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo determinante di una classe politica compiacente e assertiva a questi delinquenti».
Soddisfatto dalla sentenza anche Paolo Ferrara, capogruppo del M5S in Campidoglio: «La giustizia ha vinto, il Tribunale di Roma ha certificato l’esistenza di un sistema colluso tra criminalità e politica che ha messo in ginocchio Roma». Poi attacca: «È evidente l’imbarazzo di Pd e Forza Italia. Dove erano quando questi criminali hanno messo su questo sistema?».
«Pd e centrodestra hanno ridotto la città in macerie, chiedano scusa» scrivono i parlamentari romani dei 5 stelle in una nota congiunta «È crollata l’accusa di associazione di stampo mafioso, ma le condotte gravi e il condizionamento del Comune di Roma da parte della banda di Carminati e Buzzi ci sono». E un'altra frecciaa parte da Alessandro Di Battista, deputato 5 Stelle, che in tweet scrive a Renzi: «Buzzi ha finanziato le tue cene, la tua fondazione, il tuo Pd».
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Solo i politici al soldo della mafia possono esultare. Pignatone si è risparmiato la fine di Falcone e Borsellino
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Mafia capitale, l'esultanza bipartisan della politica: "A Roma solo criminalità comune"
Il giorno dopo la sentenza, destra e parti del Pd esultano per la caduta dell'accusa di associazione mafiosa. Giachetti: «Chi accosta Roma alla mafia non rispetta la città». Forza Italia: «Sconfitta la procura di Roma»
DI FEDERICO MARCONI
21 luglio 2017
La Corte d’Assise di Roma ha stabilito che quella di Carminati, Buzzi e gli altri 39 imputati per "Mafia capitale" non era associazione mafiosa. Una sentenza che ha fatto esultare molte forze politiche, pronte a intonare il coro secondo cui "la mafia a Roma non esiste".
Una posizione che trova sponde anche nel Pd, che si spacca nelle reazioni alla decisione dei giudici. Se il segretario Matteo Renzi non si è sbilanciato molto: «l’impianto accusatorio mi pare molto chiaro: ci sono delle condanne gravi in primo grado», a farlo è il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. «D’ora in poi chi accosterà la parola mafia a Roma dimostrerà di non amare la città, continuando sciaguratamente a speculare su una notizia falsa» afferma il candidato sindaco di Roma del 2016, che aggiunge «trovo inaccettabile il comportamento di Virginia Raggi che continua a parlare espressamente di mafia: il tribunale ha sentenziato il venir meno del reato di associazione mafiosa per tutti gli imputati».
Parole che stridono se confrontate con quelle di Matteo Orfini, commissario del Pd romano dopo l’inizio dell’inchiesta “Mondo di mezzo”: «Possiamo reagire in tanti modi alla sentenza di ieri, tutti ovviamente comprensibili e legittimi. Ma il più sbagliato è quello forse più diffuso in queste ore: sostenere che si dovrebbe chiedere scusa a Roma perché Roma non è una città mafiosa. A Roma la mafia c’è, forte e radicata». Questo il commento del presidente del Partito democratico: «Basta passeggiare nei tanti quartieri in cui le piazze di spaccio sono gestite professionalmente, con tanto di vedette sui tetti e controllo militare del territorio. Basta spingersi a Ostia e seguire le attività degli Spada, o andare dall'altra parte della città dove regnano i Casamonica. Basta leggere le cronache per trovare la mafia ovunque».
Matteo Orfini e Roberto Giachetti
Insieme a Giachetti, esultano le destre che non vogliono sentir parlare di associazione mafiosa. «Demolito il teorema "Mafia Capitale": da questa sentenza la Procura di Roma esce sconfitta» è il commento del senatore di Forza Italia Francesco Giro. Critico con la Procura e con i giudici Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: «"Mafia Capitale" non è mafia. Abbiamo assistito alla criminalizzazione di un’intera città, bisognerebbe chiederne conto alla Procura. In più sembra che i giudici abbiano compensato la cancellazione della qualifica di associazione mafiosa inasprendo le condanne». Per il capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli non esiste «Nessuna mafia, a Roma ci sono gli stessi delinquenti di Milano, Bologna e Venezia». «Quell’accusa ha innescato una deriva che ha consegnato la Capitale a un sindaco incapace» continua Rampelli «e ora chi risarcisce la città?».
Città che è uscita con le ossa rotte dallo scandalo, ma comunque vittoriosa secondo gli attuali amministratori. Per la sindaca di Roma Virginia Raggi, presente nell’aula bunker di Rebibbia alla lettura della sentenza, quella di ieri: «È la vittoria dei cittadini sulla criminalità, sul malaffare e sulla vecchia politica». Nel suo post su Facebook attacca anche la "vecchia politica": «Hanno ucciso Roma. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo determinante di una classe politica compiacente e assertiva a questi delinquenti».
Soddisfatto dalla sentenza anche Paolo Ferrara, capogruppo del M5S in Campidoglio: «La giustizia ha vinto, il Tribunale di Roma ha certificato l’esistenza di un sistema colluso tra criminalità e politica che ha messo in ginocchio Roma». Poi attacca: «È evidente l’imbarazzo di Pd e Forza Italia. Dove erano quando questi criminali hanno messo su questo sistema?».
«Pd e centrodestra hanno ridotto la città in macerie, chiedano scusa» scrivono i parlamentari romani dei 5 stelle in una nota congiunta «È crollata l’accusa di associazione di stampo mafioso, ma le condotte gravi e il condizionamento del Comune di Roma da parte della banda di Carminati e Buzzi ci sono». E un'altra frecciaa parte da Alessandro Di Battista, deputato 5 Stelle, che in tweet scrive a Renzi: «Buzzi ha finanziato le tue cene, la tua fondazione, il tuo Pd».
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
Nella cultura cattolica ma anche in quella islamica, come ho appurato questa settimana, esiste la concezione dell'inferno e del paradiso.
Luoghi che verranno raggiunti in un'altra vita dopo questa.
Quello che le due religioni monoteiste evitano con cura di dire è che l'inferno è presente tutt'ora sul pianeta che viene chiamato convenzionalmente :Terra.
I "Diavoli", stanno di qua in carne ed ossa.
Autobomba e autostrage
di Marco Travaglio
Anche nel 25°anniversario delle stragi, come nei 24 precedenti, le commemorazioni per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta hanno seguito un copione diverso, anzi opposto, a quelle di 57 giorni prima per Giovanni Falcone e i suoi angeli custodi.
Per Falcone scendono e pontificano regolarmente a Palermo i vertici dello Stato, che invece per Borsellino si limitano a qualche fervorino di circostanza da Roma.
Perché questa plateale disparità di trattamento nel ricordo di due giudici che, da quando sono morti ammazzati, viaggiano sempre in coppia come Stanlio e Ollio?
Il motivo appartiene all’inconscio, al non-detto dello Stato. La strage di Capaci è facilmente spiegabile con la prava volontà di Cosa Nostra di liberarsi del suo nemico pubblico numero uno e di vendicarsi, tramite lui, dei politici che l’avevano tradita ingaggiandolo nel governo Andreotti e violando un patto di non aggressione pluridecennale.
Che poi la strategia stragista pianificata da Riina&C. a dicembre del 1991, nel timore (poi rivelatosi fondato) che stavolta gli amici di Roma non avrebbero fatto nulla per aggiustare la sentenza del maxiprocesso in Cassazione, abbia avuto suggeritori e consulenti istituzionali (uomini dei servizi e loro amici della destra estrema e della P2), lo sanno solo pochi addetti ai lavori.
Dunque Falcone è il testimonial ideale della rappresentazione oleografica e telegenica dell’eterno derby Stato-Antistato: da una parte i cattivi e dall’a ltra i buoni, senza fastidiose “zone grigie”a guastare l’edificante quadretto.
Borsellino no: per via d’Amelio è impossibile parlare di mafia senz’aggiungerci “Stato”e“trattativa”.
Due parole scolpite a caratteri cubitali nel doppiofondo della coscienza lurida delle istituzioni, che non lo ammetteranno mai, aduse come sono a reprimere le voci di dentro, negando pure l’evidenza.
Ma sanno tutto.
Perciò, a ogni 19 luglio, si tengono a debita distanza da via d’Amelio: alcuni per nascondere una coda di paglia lunga da Roma a Palermo, altri per proteggersi con un’inconscia rimozione collettiva della memoria che neppure un genio della psicanalisi riuscirebbe a sbloccare.
Le sentenze di Cassazione che riempiono di ergastoli i mandanti diretti e agli esecutori materiali delle stragi parlano di via d’Amelio come di un’“improvvisa accelerazione”: Borsellino, nel piano stragista, fu un fuori programma dell’ultimo momento. Eliminando primaLima, poi Falcone, di lì a poco Ignazio Salvo e terrorizzando altri bersagli politici come Andreotti e Mannino, Cosa Nostra aveva già raggiunto i suoi obiettivi.
Punire i “traditori”(Andreotti si era giocato il Quirinale) e costringere lo Stato a trattare.
La Dc escluse dal governo Amato il ministro dell’Interno Scotti e il Ros corse da Ciancimino a proporgli una trattativa con Riina.
Il quale di lì a poco consegnò il papello con le richieste allo Stato.
Intanto la maggioranza di governo, che sull’onda dell’emozione per Capaci aveva varato il “decreto Falcone”sul 41-bis, l’aveva poi avviato sul binario morto, “dimenticandosi” di convertirlo in legge: senza nuovi attentati, il carcere duro sarebbe definitivamente evaporato a inizio agosto.
Perché Riina decise di svegliare il cane che dormiva con l’“accelerazione ” del 19 luglio, col risultato suicida di costringere il Parlamento, sotto la pressione dell’opinione pubblica, a convertire la norma che più terrorizzava i suoi detenuti?
Perché, se voleva eliminare Borsellino, non attese due settimane, fino allo spirare di quella che tuttoggi è la prima ossessione dei boss?
C’è un solo fatto nuovo, fra Capaci e via d’Amelio,che può spiegare il cambio di programma: la trattativa Stato-mafia, che doveva restare segreta e invece giunse all’orecchio di Borsellino, informato dal ministro Martelli tramite la giudice Ferraro.
Borsellino, grazie anche ai primi pentiti che dopo Capaci iniziavano a parlare, iniziò forsennatamente a indagare sull’immondo negoziato, incontrando anche i vertici del Ros e il neoministro Mancino.
Qualcuno (non in Cosa nostra: nello Stato) seppe che era arrivato a tali livelli che non si poteva lasciarlo vivere un giorno di più. Infatti nel garage dove l’autobomba fu imbottita di tritolo assisteva alle operazioni un uomo ben vestito che i killer non conoscevano.
Infatti, subito dopo l’esplosione in via d’Amelio, dalla borsa carbonizzata nell’auto devastata di Borsellino una mano sapiente (non mafiosa, ma statale) asportò l’agenda rossa dove il giudice annotava le sue indagini.
Infatti la moglie del pentito Di Matteo, intercettata, dopo il rapimento del figlio (poi sciolto nell’acido), implorò il marito di non nominare mai gli “infiltrati”dello Stato.
Infatti, pochi mesi dopo, non la mafia, ma la polizia confezionò un falso colpevole pentito, Enzo Scarantino, da dare in pasto ai pm di Caltanissetta per nascondere i veri colpevoli della strage (un depistaggio di Stato cheieri il presidente Mattarella ha incredibilmente derubricato in una serie di “troppi errori nelle indagini”).
Tutto quel che venne dopo - la “cattura”di Riina e la mancata perquisizione del suo covo da parte del Ros, il ribaltone alla direzione delle carceri per passare dal carcere duro al carcere molle, le stragi del ‘93 per piegare lo Stato a nuovi cedimenti, la revoca del 41-bisper334 mafiosi, le mancate catture di Bagarella e Provenzano sempre a opera del Ros, l’assassinio del boss provenzaniano Luigi Ilardo subito dopo la decisione di svelare le collusioni degli apparati deviati (notizia nota solo a uomini dello Stato, non della mafia) – fu solo la naturale conseguenza di quanto accaduto prima.
Per questo oggi lo Stato evita di avvicinarsi a via d’Amelio: se l’avesse fatto anche 25 anni fa, Borsellino sarebbe ancora vivo.
iL Fatto Quotidiano del 20 luglio 2017
Nella cultura cattolica ma anche in quella islamica, come ho appurato questa settimana, esiste la concezione dell'inferno e del paradiso.
Luoghi che verranno raggiunti in un'altra vita dopo questa.
Quello che le due religioni monoteiste evitano con cura di dire è che l'inferno è presente tutt'ora sul pianeta che viene chiamato convenzionalmente :Terra.
I "Diavoli", stanno di qua in carne ed ossa.
Autobomba e autostrage
di Marco Travaglio
Anche nel 25°anniversario delle stragi, come nei 24 precedenti, le commemorazioni per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta hanno seguito un copione diverso, anzi opposto, a quelle di 57 giorni prima per Giovanni Falcone e i suoi angeli custodi.
Per Falcone scendono e pontificano regolarmente a Palermo i vertici dello Stato, che invece per Borsellino si limitano a qualche fervorino di circostanza da Roma.
Perché questa plateale disparità di trattamento nel ricordo di due giudici che, da quando sono morti ammazzati, viaggiano sempre in coppia come Stanlio e Ollio?
Il motivo appartiene all’inconscio, al non-detto dello Stato. La strage di Capaci è facilmente spiegabile con la prava volontà di Cosa Nostra di liberarsi del suo nemico pubblico numero uno e di vendicarsi, tramite lui, dei politici che l’avevano tradita ingaggiandolo nel governo Andreotti e violando un patto di non aggressione pluridecennale.
Che poi la strategia stragista pianificata da Riina&C. a dicembre del 1991, nel timore (poi rivelatosi fondato) che stavolta gli amici di Roma non avrebbero fatto nulla per aggiustare la sentenza del maxiprocesso in Cassazione, abbia avuto suggeritori e consulenti istituzionali (uomini dei servizi e loro amici della destra estrema e della P2), lo sanno solo pochi addetti ai lavori.
Dunque Falcone è il testimonial ideale della rappresentazione oleografica e telegenica dell’eterno derby Stato-Antistato: da una parte i cattivi e dall’a ltra i buoni, senza fastidiose “zone grigie”a guastare l’edificante quadretto.
Borsellino no: per via d’Amelio è impossibile parlare di mafia senz’aggiungerci “Stato”e“trattativa”.
Due parole scolpite a caratteri cubitali nel doppiofondo della coscienza lurida delle istituzioni, che non lo ammetteranno mai, aduse come sono a reprimere le voci di dentro, negando pure l’evidenza.
Ma sanno tutto.
Perciò, a ogni 19 luglio, si tengono a debita distanza da via d’Amelio: alcuni per nascondere una coda di paglia lunga da Roma a Palermo, altri per proteggersi con un’inconscia rimozione collettiva della memoria che neppure un genio della psicanalisi riuscirebbe a sbloccare.
Le sentenze di Cassazione che riempiono di ergastoli i mandanti diretti e agli esecutori materiali delle stragi parlano di via d’Amelio come di un’“improvvisa accelerazione”: Borsellino, nel piano stragista, fu un fuori programma dell’ultimo momento. Eliminando primaLima, poi Falcone, di lì a poco Ignazio Salvo e terrorizzando altri bersagli politici come Andreotti e Mannino, Cosa Nostra aveva già raggiunto i suoi obiettivi.
Punire i “traditori”(Andreotti si era giocato il Quirinale) e costringere lo Stato a trattare.
La Dc escluse dal governo Amato il ministro dell’Interno Scotti e il Ros corse da Ciancimino a proporgli una trattativa con Riina.
Il quale di lì a poco consegnò il papello con le richieste allo Stato.
Intanto la maggioranza di governo, che sull’onda dell’emozione per Capaci aveva varato il “decreto Falcone”sul 41-bis, l’aveva poi avviato sul binario morto, “dimenticandosi” di convertirlo in legge: senza nuovi attentati, il carcere duro sarebbe definitivamente evaporato a inizio agosto.
Perché Riina decise di svegliare il cane che dormiva con l’“accelerazione ” del 19 luglio, col risultato suicida di costringere il Parlamento, sotto la pressione dell’opinione pubblica, a convertire la norma che più terrorizzava i suoi detenuti?
Perché, se voleva eliminare Borsellino, non attese due settimane, fino allo spirare di quella che tuttoggi è la prima ossessione dei boss?
C’è un solo fatto nuovo, fra Capaci e via d’Amelio,che può spiegare il cambio di programma: la trattativa Stato-mafia, che doveva restare segreta e invece giunse all’orecchio di Borsellino, informato dal ministro Martelli tramite la giudice Ferraro.
Borsellino, grazie anche ai primi pentiti che dopo Capaci iniziavano a parlare, iniziò forsennatamente a indagare sull’immondo negoziato, incontrando anche i vertici del Ros e il neoministro Mancino.
Qualcuno (non in Cosa nostra: nello Stato) seppe che era arrivato a tali livelli che non si poteva lasciarlo vivere un giorno di più. Infatti nel garage dove l’autobomba fu imbottita di tritolo assisteva alle operazioni un uomo ben vestito che i killer non conoscevano.
Infatti, subito dopo l’esplosione in via d’Amelio, dalla borsa carbonizzata nell’auto devastata di Borsellino una mano sapiente (non mafiosa, ma statale) asportò l’agenda rossa dove il giudice annotava le sue indagini.
Infatti la moglie del pentito Di Matteo, intercettata, dopo il rapimento del figlio (poi sciolto nell’acido), implorò il marito di non nominare mai gli “infiltrati”dello Stato.
Infatti, pochi mesi dopo, non la mafia, ma la polizia confezionò un falso colpevole pentito, Enzo Scarantino, da dare in pasto ai pm di Caltanissetta per nascondere i veri colpevoli della strage (un depistaggio di Stato cheieri il presidente Mattarella ha incredibilmente derubricato in una serie di “troppi errori nelle indagini”).
Tutto quel che venne dopo - la “cattura”di Riina e la mancata perquisizione del suo covo da parte del Ros, il ribaltone alla direzione delle carceri per passare dal carcere duro al carcere molle, le stragi del ‘93 per piegare lo Stato a nuovi cedimenti, la revoca del 41-bisper334 mafiosi, le mancate catture di Bagarella e Provenzano sempre a opera del Ros, l’assassinio del boss provenzaniano Luigi Ilardo subito dopo la decisione di svelare le collusioni degli apparati deviati (notizia nota solo a uomini dello Stato, non della mafia) – fu solo la naturale conseguenza di quanto accaduto prima.
Per questo oggi lo Stato evita di avvicinarsi a via d’Amelio: se l’avesse fatto anche 25 anni fa, Borsellino sarebbe ancora vivo.
iL Fatto Quotidiano del 20 luglio 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
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venerdì 21/07/2017
Mafia Capitale, la zona grigia c’è. E i boss non sono solo quelli del Sud
| 4
Mafia Capitale dimezzata. Perché il tribunale di Roma ha inflitto a Carminati, Buzzi, e soci la metà delle pene chieste dall’accusa. E poi perché quelle due parole (che esprimevano l’essenza stessa del processo) dopo la decisione del Tribunale si sono ridotte ad una soltanto. “Capitale” rimane perché Roma è il teatro delle attività criminali contestate. Ma viene cancellata la parola “mafia”. Nel senso che il tribunale ha escluso l’associazione mafiosa e l’aggravante di mafia.
Ovviamente la sentenza va rispettata e la sua motivazione andrà letta con attenzione. Ci stanno peraltro alcune considerazioni di carattere generale che possono aiutare ad inquadrare il problema. Irrigidirsi negli schemi tradizionali può essere fuorviante. L’impegno continuo della magistratura e delle forze dell’ordine racconta quotidianamente nuovi intrecci e nuove vocazioni delle mafie, in particolare le loro capacità imprenditoriali e la lungimiranza nell’individuare nuovi campi di attività e nuovi affari cui dedicarsi.
Via via le mafie abbandonano l’ambito “militare” per vestire – come si usa dire – il “doppio petto” e il “colletto bianco”. Allo scopo di cogliere e meglio gestire le opportunità e i vantaggi offerti dallo specifico ambiente in cui operano. Per tessere in maniera più efficace e produttiva, dal punto di vista economico, la rete di interessi che è il loro scopo principale. Un contesto nel quale sono decisivi i rapporti con pezzi della politica, dell’amministrazione e dell’imprenditoria. La “zona grigia”. Senza di cui non di mafia si tratterà, ma di “semplice” gangsterismo, cioè criminalità di strada.
Viceversa, se queste relazioni esterne sono provate, l’associazione mafiosa diviene più facilmente configurabile. Ora, nello specifico caso di “Mafia (ex) Capitale”, il principale imputato Massimo Carminati, stando a una intercettazione, aveva descritto l’attività propria e dei suoi sodali parlando di un “mondo di mezzo”, dove si incontrano “quello di sopra” (personaggi eccellenti) e “quello di sotto” (criminali “comuni”). Parole che traducono in linguaggio corrente, a suo modo persino suggestivo, fior di studi e ricerche dei maggiori esperti di mafie: quelli che individuano appunto, nei rapporti torbidi con pezzi della legalità, il Dna delle mafie.
La filosofia di Carminati (sempre stando ad una intercettazione) era tenere pronti vari progetti da sottoporre a coloro – politici o amministratori – cui spettava decidere. Chiedendo “che te serve?; come posso guadagnare?; con l’avvertimento finale: “te lo faccio io” quel lavoro, ma “se poi vengo a sapere che te lo fa un altro, è ’na cosa sgradevole”. Una evocazione delle possibili conseguenze nel caso di una possibile mancata intesa.
Per situazioni del genere, una sentenza della Cassazione del 2015 ha stabilito questo principio: mafia è anche quel sodalizio criminale che adopera il metodo mafioso “in forma silente, senza ricorrere e forme eclatanti, avvalendosi di quella forma di intimidazione, per certi aspetti ancora più temibile, che deriva dal non detto, dall’accennato, dal sussurrato”. Se si aggiunge che nel processo contro Carminati & C. sono stati condannati a pene consistenti vari uomini di destra come di sinistra, sarà davvero interessante studiare la motivazione del tribunale di Roma.
Voglio infine precisare come occorra seguire i percorsi, le evoluzioni, i collegamenti, le modalità e le capacità di adattamento del sistema criminale nonché dei mondi ad esso volta a volta contigui ma funzionali. Come si deve prendere atto della progressiva trasformazione non solo del modus operandi, ma – per certi profili – della stessa identità delle organizzazioni mafiose.
Valutando conseguentemente l’opportunità di adeguare i nostri modelli di lettura dei fenomeni criminali, allo scopo di migliorare in chiave preventiva e repressiva il contrasto delle mafie in ogni loro articolazione. Senza che nel nostro subconscio si annidino stereotipi sbagliati. Tipo quello che per essere mafiosi bisogna essere del Sud.
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... i-del-sud/
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venerdì 21/07/2017
Mafia Capitale, la zona grigia c’è. E i boss non sono solo quelli del Sud
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Mafia Capitale dimezzata. Perché il tribunale di Roma ha inflitto a Carminati, Buzzi, e soci la metà delle pene chieste dall’accusa. E poi perché quelle due parole (che esprimevano l’essenza stessa del processo) dopo la decisione del Tribunale si sono ridotte ad una soltanto. “Capitale” rimane perché Roma è il teatro delle attività criminali contestate. Ma viene cancellata la parola “mafia”. Nel senso che il tribunale ha escluso l’associazione mafiosa e l’aggravante di mafia.
Ovviamente la sentenza va rispettata e la sua motivazione andrà letta con attenzione. Ci stanno peraltro alcune considerazioni di carattere generale che possono aiutare ad inquadrare il problema. Irrigidirsi negli schemi tradizionali può essere fuorviante. L’impegno continuo della magistratura e delle forze dell’ordine racconta quotidianamente nuovi intrecci e nuove vocazioni delle mafie, in particolare le loro capacità imprenditoriali e la lungimiranza nell’individuare nuovi campi di attività e nuovi affari cui dedicarsi.
Via via le mafie abbandonano l’ambito “militare” per vestire – come si usa dire – il “doppio petto” e il “colletto bianco”. Allo scopo di cogliere e meglio gestire le opportunità e i vantaggi offerti dallo specifico ambiente in cui operano. Per tessere in maniera più efficace e produttiva, dal punto di vista economico, la rete di interessi che è il loro scopo principale. Un contesto nel quale sono decisivi i rapporti con pezzi della politica, dell’amministrazione e dell’imprenditoria. La “zona grigia”. Senza di cui non di mafia si tratterà, ma di “semplice” gangsterismo, cioè criminalità di strada.
Viceversa, se queste relazioni esterne sono provate, l’associazione mafiosa diviene più facilmente configurabile. Ora, nello specifico caso di “Mafia (ex) Capitale”, il principale imputato Massimo Carminati, stando a una intercettazione, aveva descritto l’attività propria e dei suoi sodali parlando di un “mondo di mezzo”, dove si incontrano “quello di sopra” (personaggi eccellenti) e “quello di sotto” (criminali “comuni”). Parole che traducono in linguaggio corrente, a suo modo persino suggestivo, fior di studi e ricerche dei maggiori esperti di mafie: quelli che individuano appunto, nei rapporti torbidi con pezzi della legalità, il Dna delle mafie.
La filosofia di Carminati (sempre stando ad una intercettazione) era tenere pronti vari progetti da sottoporre a coloro – politici o amministratori – cui spettava decidere. Chiedendo “che te serve?; come posso guadagnare?; con l’avvertimento finale: “te lo faccio io” quel lavoro, ma “se poi vengo a sapere che te lo fa un altro, è ’na cosa sgradevole”. Una evocazione delle possibili conseguenze nel caso di una possibile mancata intesa.
Per situazioni del genere, una sentenza della Cassazione del 2015 ha stabilito questo principio: mafia è anche quel sodalizio criminale che adopera il metodo mafioso “in forma silente, senza ricorrere e forme eclatanti, avvalendosi di quella forma di intimidazione, per certi aspetti ancora più temibile, che deriva dal non detto, dall’accennato, dal sussurrato”. Se si aggiunge che nel processo contro Carminati & C. sono stati condannati a pene consistenti vari uomini di destra come di sinistra, sarà davvero interessante studiare la motivazione del tribunale di Roma.
Voglio infine precisare come occorra seguire i percorsi, le evoluzioni, i collegamenti, le modalità e le capacità di adattamento del sistema criminale nonché dei mondi ad esso volta a volta contigui ma funzionali. Come si deve prendere atto della progressiva trasformazione non solo del modus operandi, ma – per certi profili – della stessa identità delle organizzazioni mafiose.
Valutando conseguentemente l’opportunità di adeguare i nostri modelli di lettura dei fenomeni criminali, allo scopo di migliorare in chiave preventiva e repressiva il contrasto delle mafie in ogni loro articolazione. Senza che nel nostro subconscio si annidino stereotipi sbagliati. Tipo quello che per essere mafiosi bisogna essere del Sud.
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA. ULTIMO ATTO
Quando una nazione arriva al punto come è arrivata ieri l'Italia, non ha più nessunissima possibilità di rientrare nelle nazioni "cosidette civili". E' finita!!!!!
Mafia Capitale, Forza Italia riabilita i condannati
‘Denunceremo Pignatone per danni d’immagine’
Il senatore Giro vuole ritirare la sospensione per Gramazio e Tredicine, 11 e 3 anni di reclusione. Aracri: “Class action contro il procuratore. Ci ha fatto dipingere come una merda sui giornali di tutto il mondo”
Politica
Ritirare la sospensione dal partito a Gramazio e Tredicine e denunciare Pignatone per “danni d’immagine”. Quasi come se i due fossero stati assolti. Forza Italia tenta il doppio colpo di spugna all’insegna del garantismo, nel tentativo di cavalcare la sentenza di primo grado sull’inchiesta Mondo di Mezzo. Un verdetto, come noto, che ha visto decadere l’articolo 416 bis – ovvero l’aggravante mafiosa – sebbene siano state applicate pene anche pesanti e confermati i reati di corruzione e associazione a delinquere
di Vincenzo Bisbiglia
^^^^^^^^
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Mondo di mezzo, Forza Italia vuole riabilitare i suoi condannati e denunciare Pignatone per “danni d’immagine”
Politica
Il senatore Francesco Giro ha chiesto di ritirare ufficialmente la sospensione dal partito per Luca Gramazio e Giordano Tredicine, per cui i giudici di primo grado hanno comminato una pena di 11 e 3 anni di reclusione. Francesco Aracri, sempre del gruppo berlusconiano a Palazzo Madama: "Class action contro il procuratore di Roma. Deve pagare, ci ha fatto dipingere come una merda (testuale, ndr) sui giornali di tutto il mondo". Imbarazzo da parte degli alleati
di Vincenzo Bisbiglia | 22 luglio 2017
Ritirare la sospensione dal partito a Luca Gramazio e Giordano Tredicine e denunciare il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatore, per “danni d’immagine”. Quasi come se i due fossero stati assolti. Forza Italia tenta il doppio colpo di spugna all’insegna del garantismo, nel tentativo di cavalcare la sentenza di primo grado sull’inchiesta Mondo di Mezzo (ormai ex mafia capitale) pronunciata il 20 luglio dal X Sezione Penale del Tribunale di Roma. Un verdetto, come noto, che ha visto decadere l’articolo 416 bis – ovvero l’aggravante mafiosa – sebbene siano state applicate pene anche pesanti e confermati i reati di corruzione e associazione a delinquere ipotizzati dalla Procura. Fra i 41 condannati del maxi-processo, ci sono anche due storici esponenti azzurri, l’ex consigliere regionale Luca Gramazio (11 anni di reclusione) e l’ex consigliere capitolino Giordano Tredicine (3 anni). I due, ai quali due anni fa era stata ritirata la tessera del partito, sarebbero “pronti a recuperare il loro diritto alla vita politica”, secondo Francesco Giro, senatore azzurro e vice-coordinatore azzurro nel Lazio. Una proposta-choc alla quale si aggiunge l’iniziativa del suo collega a Palazzo Madama, Francesco Aracri, che a ilfattoquotidiano.it si dice già impegnato nella “costituzione di un comitato civico che denunci il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, per aver diffamato la Capitale d’Italia”.
LA PROPOSTA E L’IMBARAZZO – A rincarare la dose è proprio Giro: “Il giudizio di primo grado – spiega l’ex sottosegretario – ha radicalmente ridimensionato le accuse eliminando quelle che noi stessi ritenevamo lesive dell’onorabilità del ruolo politico istituzionale del movimento politico”. Dunque, per assurdo, potrebbero anche ricandidarsi? “Per ricoprire ruoli istituzionali bisogna avere la serenità giusta – risponde il senatore – e non credo che sia pratico far ciò mentre si affronta un processo, con tanto di condanna in primo grado. Tuttavia, potrebbero tornare al loro diritto di fare politica, come qualsiasi cittadino che attende giudizio definitivo. E vi assicuro che se ci fossero le elezioni a sindaco di Rebibbia, per tutto ciò che ha fatto in carcere Luca potrebbe addirittura vincerle”. Una questione, quella posta da Giro, che va a colpire il cuore politico del partito: seguire la via del “garantismo estremo” o predicare “prudenza”? L’imbarazzo fra gli azzurri è palpabile. Il coordinatore romano, Davide Bordoni, ad sempio, fa melina affermando che “saranno i probiviri a decidere sulla questione, che comunque è molto delicata”. Fra un “no-comment” e un “vedremo”, a schierarsi davvero al fianco di Giro per ora c’è solo Adriano Palozzi, consigliere regionale che in Forza Italia riveste il ruolo di coordinatore della provincia di Roma: “Sono perfettamente d’accordo con il senatore e su questo fronte gode del mio totale sostegno”. Alla fine, pero’, a decidere, sarà il coordinamento regionale, nei cui vertici c’e’ anche Domenico Gramazio, papà di Luca e altro politico di lungo corso sul territorio. In questo senso, si dovranno attendere le mosse del senatore Claudio Fazzone, ex sindaco di Fondi, leader regionale del partito e uomo di riferimento nel Lazio di Antonio Tajani, attuale presidente del Parlamento Europeo.
LA DENUNCIA A PIGNATONE – In tutto, ciò, bisognerà fare i conti anche con l’uscita di Aracri. Il senatore propone una class-action contro il procuratore di Roma “reo”, a suo dire, di aver contribuito a “diffamare per tre anni Roma e l’Italia” con una “accusa di mafia che, in questa vicenda, non aveva né capo né coda”. Ma è davvero possibile accusare un magistrato di diffamazione o calunnia? “Chi sbaglia deve pagare – commenta ancora il parlamentare – stanno pagando e pagheranno i condannati se le accuse verranno confermate, deve pagare questo signore che ci ha fatto dipingere una merda (testuale, ndr) sui giornali di tutto il mondo. E’ per questo che vogliamo chiedere i danni al dottor Pignatone”. Una possibilità che trova d’accordo anche Giro: “La class-action va bene, anche se forse andrebbe fatta dopo il terzo grado di giudizio – spiega – Quello che mi lascia stupito è che, dopo tre anni, Pignatone parli ancora di ‘mafietta’, ‘piccola mafia’, come se la mafia si potesse pesare come la carne dal macellaio o avesse delle categorie pugilistiche”.
GLI ALLEATI SI SMARCANO – Su questi temi, si guardano bene dal commentare i possibili alleati di Forza Italia. Fabio Rampelli, deputato e fondatore di Fratelli d’Italia, afferma chiaramente che “sono problemi loro, noi pensiamo ai cittadini e all’emergenza idrica”. Stessa cosa per Vincenzo Piso (Cuori Italiani, ex Ap) che si dice “felice di non avere questi problemi, dopo aver ricoperto per anni il ruolo di coordinatore regionale del Pdl”. Un altro “no comment” arriva addirittura da Francesco Storace, che pure insieme a Giro è stato uno dei pochi ad aver mostrato vicinanza agli arrestati e in particolare a Luca Gramazio: “Una cosa è il sostegno umano, un’altra è la politica. Decidessero loro (Forza Italia, ndr) tanto le tessere di partito non contano più nulla”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... e/3747545/
Quando una nazione arriva al punto come è arrivata ieri l'Italia, non ha più nessunissima possibilità di rientrare nelle nazioni "cosidette civili". E' finita!!!!!
Mafia Capitale, Forza Italia riabilita i condannati
‘Denunceremo Pignatone per danni d’immagine’
Il senatore Giro vuole ritirare la sospensione per Gramazio e Tredicine, 11 e 3 anni di reclusione. Aracri: “Class action contro il procuratore. Ci ha fatto dipingere come una merda sui giornali di tutto il mondo”
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di Vincenzo Bisbiglia
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Il senatore Francesco Giro ha chiesto di ritirare ufficialmente la sospensione dal partito per Luca Gramazio e Giordano Tredicine, per cui i giudici di primo grado hanno comminato una pena di 11 e 3 anni di reclusione. Francesco Aracri, sempre del gruppo berlusconiano a Palazzo Madama: "Class action contro il procuratore di Roma. Deve pagare, ci ha fatto dipingere come una merda (testuale, ndr) sui giornali di tutto il mondo". Imbarazzo da parte degli alleati
di Vincenzo Bisbiglia | 22 luglio 2017
Ritirare la sospensione dal partito a Luca Gramazio e Giordano Tredicine e denunciare il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatore, per “danni d’immagine”. Quasi come se i due fossero stati assolti. Forza Italia tenta il doppio colpo di spugna all’insegna del garantismo, nel tentativo di cavalcare la sentenza di primo grado sull’inchiesta Mondo di Mezzo (ormai ex mafia capitale) pronunciata il 20 luglio dal X Sezione Penale del Tribunale di Roma. Un verdetto, come noto, che ha visto decadere l’articolo 416 bis – ovvero l’aggravante mafiosa – sebbene siano state applicate pene anche pesanti e confermati i reati di corruzione e associazione a delinquere ipotizzati dalla Procura. Fra i 41 condannati del maxi-processo, ci sono anche due storici esponenti azzurri, l’ex consigliere regionale Luca Gramazio (11 anni di reclusione) e l’ex consigliere capitolino Giordano Tredicine (3 anni). I due, ai quali due anni fa era stata ritirata la tessera del partito, sarebbero “pronti a recuperare il loro diritto alla vita politica”, secondo Francesco Giro, senatore azzurro e vice-coordinatore azzurro nel Lazio. Una proposta-choc alla quale si aggiunge l’iniziativa del suo collega a Palazzo Madama, Francesco Aracri, che a ilfattoquotidiano.it si dice già impegnato nella “costituzione di un comitato civico che denunci il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, per aver diffamato la Capitale d’Italia”.
LA PROPOSTA E L’IMBARAZZO – A rincarare la dose è proprio Giro: “Il giudizio di primo grado – spiega l’ex sottosegretario – ha radicalmente ridimensionato le accuse eliminando quelle che noi stessi ritenevamo lesive dell’onorabilità del ruolo politico istituzionale del movimento politico”. Dunque, per assurdo, potrebbero anche ricandidarsi? “Per ricoprire ruoli istituzionali bisogna avere la serenità giusta – risponde il senatore – e non credo che sia pratico far ciò mentre si affronta un processo, con tanto di condanna in primo grado. Tuttavia, potrebbero tornare al loro diritto di fare politica, come qualsiasi cittadino che attende giudizio definitivo. E vi assicuro che se ci fossero le elezioni a sindaco di Rebibbia, per tutto ciò che ha fatto in carcere Luca potrebbe addirittura vincerle”. Una questione, quella posta da Giro, che va a colpire il cuore politico del partito: seguire la via del “garantismo estremo” o predicare “prudenza”? L’imbarazzo fra gli azzurri è palpabile. Il coordinatore romano, Davide Bordoni, ad sempio, fa melina affermando che “saranno i probiviri a decidere sulla questione, che comunque è molto delicata”. Fra un “no-comment” e un “vedremo”, a schierarsi davvero al fianco di Giro per ora c’è solo Adriano Palozzi, consigliere regionale che in Forza Italia riveste il ruolo di coordinatore della provincia di Roma: “Sono perfettamente d’accordo con il senatore e su questo fronte gode del mio totale sostegno”. Alla fine, pero’, a decidere, sarà il coordinamento regionale, nei cui vertici c’e’ anche Domenico Gramazio, papà di Luca e altro politico di lungo corso sul territorio. In questo senso, si dovranno attendere le mosse del senatore Claudio Fazzone, ex sindaco di Fondi, leader regionale del partito e uomo di riferimento nel Lazio di Antonio Tajani, attuale presidente del Parlamento Europeo.
LA DENUNCIA A PIGNATONE – In tutto, ciò, bisognerà fare i conti anche con l’uscita di Aracri. Il senatore propone una class-action contro il procuratore di Roma “reo”, a suo dire, di aver contribuito a “diffamare per tre anni Roma e l’Italia” con una “accusa di mafia che, in questa vicenda, non aveva né capo né coda”. Ma è davvero possibile accusare un magistrato di diffamazione o calunnia? “Chi sbaglia deve pagare – commenta ancora il parlamentare – stanno pagando e pagheranno i condannati se le accuse verranno confermate, deve pagare questo signore che ci ha fatto dipingere una merda (testuale, ndr) sui giornali di tutto il mondo. E’ per questo che vogliamo chiedere i danni al dottor Pignatone”. Una possibilità che trova d’accordo anche Giro: “La class-action va bene, anche se forse andrebbe fatta dopo il terzo grado di giudizio – spiega – Quello che mi lascia stupito è che, dopo tre anni, Pignatone parli ancora di ‘mafietta’, ‘piccola mafia’, come se la mafia si potesse pesare come la carne dal macellaio o avesse delle categorie pugilistiche”.
GLI ALLEATI SI SMARCANO – Su questi temi, si guardano bene dal commentare i possibili alleati di Forza Italia. Fabio Rampelli, deputato e fondatore di Fratelli d’Italia, afferma chiaramente che “sono problemi loro, noi pensiamo ai cittadini e all’emergenza idrica”. Stessa cosa per Vincenzo Piso (Cuori Italiani, ex Ap) che si dice “felice di non avere questi problemi, dopo aver ricoperto per anni il ruolo di coordinatore regionale del Pdl”. Un altro “no comment” arriva addirittura da Francesco Storace, che pure insieme a Giro è stato uno dei pochi ad aver mostrato vicinanza agli arrestati e in particolare a Luca Gramazio: “Una cosa è il sostegno umano, un’altra è la politica. Decidessero loro (Forza Italia, ndr) tanto le tessere di partito non contano più nulla”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... e/3747545/
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Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
I GIORNI DEL KAOS
Prendiamo una giornata come questa.
Dal sito degli STRUMPTRUPPEN, possiamo leggere:
4 ore fa
572
• La strategia di Alfano?
Incollarsi alla poltrona
• Chiara Sarra
Alfano: "Dobbiamo diventare indispensabili per chi vuole governare
Il leader di Ap fa finta di non vedere la crisi del suo partito: "Non inseguiamo le coalizioni. Da settembre la squadra titolare"
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 23676.html
All’alba del 25 luglio 2017, gli STRUMPTRUPPEN, si accorgono che Alfano è incollato alla poltrona e che la sua strategia politica è rendersi indispensabile per permettere ad altri di avere i numeri per governare.
Sai che scoperta!!!!!!!!!
Ha sempre agito in questo del modo, perché stupirsi ora!!!!!!
Sul sito di msn.com, si può leggere questo fatto di cronaca:
Donna accoltellata dall'ex marito
che poi chiama i carabinieri e confessa
2/33
La Repubblica
5 ore fa
Fornito da La Repubblica Maria Archetta Mennella (foto da Facebook)
MUSILE DI PIAVE (Venezia) - "L'ho uccisa io, venite qui". Sono le parole dette stamane al telefono ai Carabinieri da un uomo di 44 anni che ha accoltellato a morte l'ex moglie di 38 anni, nell'appartamento in cui la donna viveva a Musile di Piave con i due figli. I ragazzi, di 9 e 15 anni, non erano presenti al momento dell'omicidio perchè in vacanza.
L'uomo è attualmente in caserma e sottoposto a interrogatorio. La vittima era originaria di Torre del Greco (Napoli) e lavorava in un centro commerciale di Noventa.
La vittima si chiama Maria Archetta Mennella, 38 anni, originaria di Torre del Greco (Napoli) ma residente da qualche mese in un appartamento al secondo piano di uno stabile a Musile di Piave (Venezia). L'ex marito, che avrebbe confessato l'omicidio, è Antonio Ascione, 44 anni.La donna, chiamata dagli amici con il diminutivo di Mariarca, appare nella sua pagina Facebook bella e sorridente. In uno degli ultimi post aveva condiviso una frase significativa: "Mi fanno paura gli uomini che non capiscono che amare una donna vuol dire amare la sua libertà".
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... ocid=wispr
Mentre da stamani, sul sito del Fatto Quotidiano.it, si può leggere quest’altro fatto di cronaca nera dei giorni addietro:
26
Cronaca Nera | Di F. Q.
Omicidio Erika Preti, un mese dopo
fidanzato confessa: “Lite per le briciole”
Erika Preti, un mese dopo l’omicidio
confessa il fidanzato: “Abbiamo litigato
per le briciole sul tavolo”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... o/3748454/
Da troppo tempo questa comunità ha perso il senso del rispetto per la vita umana.
Si toglie la vita per un litigio per le briciole sul tavolo.
Assurdo e folle solo pensare che possa avvenire un fine vita di questo tipo.
Questa classe politica imbelle ed inutile non è più in grado di svolgere funzioni sociali minime.
Tutti, e ripeto proprio tutti, si occupano solo e soltanto della loro poltrona e di quello che gli può rendere a fine mese.
Di quello che sta succedendo nella società italiana non gliene può fregà de meno.
Faccio fatica a comprendere anche il silenzio della Chiesa Cattolica, di fronte a questo incremento dei fine vita.
L’ho sentita solo quando si parla del fine vita individuale scelto dalla propria volontà.
Ma in tutti i casi dove il fine vita avviene per volontà assurda di altri, spesso per futili motivi, regna il silenzio assoluto.
I GIORNI DEL KAOS
Prendiamo una giornata come questa.
Dal sito degli STRUMPTRUPPEN, possiamo leggere:
4 ore fa
572
• La strategia di Alfano?
Incollarsi alla poltrona
• Chiara Sarra
Alfano: "Dobbiamo diventare indispensabili per chi vuole governare
Il leader di Ap fa finta di non vedere la crisi del suo partito: "Non inseguiamo le coalizioni. Da settembre la squadra titolare"
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 23676.html
All’alba del 25 luglio 2017, gli STRUMPTRUPPEN, si accorgono che Alfano è incollato alla poltrona e che la sua strategia politica è rendersi indispensabile per permettere ad altri di avere i numeri per governare.
Sai che scoperta!!!!!!!!!
Ha sempre agito in questo del modo, perché stupirsi ora!!!!!!
Sul sito di msn.com, si può leggere questo fatto di cronaca:
Donna accoltellata dall'ex marito
che poi chiama i carabinieri e confessa
2/33
La Repubblica
5 ore fa
Fornito da La Repubblica Maria Archetta Mennella (foto da Facebook)
MUSILE DI PIAVE (Venezia) - "L'ho uccisa io, venite qui". Sono le parole dette stamane al telefono ai Carabinieri da un uomo di 44 anni che ha accoltellato a morte l'ex moglie di 38 anni, nell'appartamento in cui la donna viveva a Musile di Piave con i due figli. I ragazzi, di 9 e 15 anni, non erano presenti al momento dell'omicidio perchè in vacanza.
L'uomo è attualmente in caserma e sottoposto a interrogatorio. La vittima era originaria di Torre del Greco (Napoli) e lavorava in un centro commerciale di Noventa.
La vittima si chiama Maria Archetta Mennella, 38 anni, originaria di Torre del Greco (Napoli) ma residente da qualche mese in un appartamento al secondo piano di uno stabile a Musile di Piave (Venezia). L'ex marito, che avrebbe confessato l'omicidio, è Antonio Ascione, 44 anni.La donna, chiamata dagli amici con il diminutivo di Mariarca, appare nella sua pagina Facebook bella e sorridente. In uno degli ultimi post aveva condiviso una frase significativa: "Mi fanno paura gli uomini che non capiscono che amare una donna vuol dire amare la sua libertà".
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... ocid=wispr
Mentre da stamani, sul sito del Fatto Quotidiano.it, si può leggere quest’altro fatto di cronaca nera dei giorni addietro:
26
Cronaca Nera | Di F. Q.
Omicidio Erika Preti, un mese dopo
fidanzato confessa: “Lite per le briciole”
Erika Preti, un mese dopo l’omicidio
confessa il fidanzato: “Abbiamo litigato
per le briciole sul tavolo”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... o/3748454/
Da troppo tempo questa comunità ha perso il senso del rispetto per la vita umana.
Si toglie la vita per un litigio per le briciole sul tavolo.
Assurdo e folle solo pensare che possa avvenire un fine vita di questo tipo.
Questa classe politica imbelle ed inutile non è più in grado di svolgere funzioni sociali minime.
Tutti, e ripeto proprio tutti, si occupano solo e soltanto della loro poltrona e di quello che gli può rendere a fine mese.
Di quello che sta succedendo nella società italiana non gliene può fregà de meno.
Faccio fatica a comprendere anche il silenzio della Chiesa Cattolica, di fronte a questo incremento dei fine vita.
L’ho sentita solo quando si parla del fine vita individuale scelto dalla propria volontà.
Ma in tutti i casi dove il fine vita avviene per volontà assurda di altri, spesso per futili motivi, regna il silenzio assoluto.
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Diario della caduta di un regime.
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
<OVRA Maria Luisa Agnese del Corriere della Sera, deve essere senz’altro giovane, inesperta ed illusa,Campa se chiude l’articolo sotto riportato così:
“Ci piace almeno crederlo: sarà mica che, toccato il fondo, l' Italia si stia avviando a diventare un Paese normale?
Campa cavallo!!!!!!!!!!!!!!!
E poi ancora:
- MA A CASA LORO FAREBBERO LO STESSO?<OVRA
Più di diedi anni fa, La Repubblica riportò un’articolo sulle abitudini dei ragazzi svizzeri che al sabato e alla domenica passavano il confine per fare tutte le cose che da loro era proibito.
In Italia no, tutto era ed è permesso.
Il problema è sempre stato che l’esempio viene dall’alto.
Ed allora, ancora di più “Campa cavallo”!!!!!!
L’esempio può arrivare da Pinocchio Mussoloni dopo tre anni di fake news???????
Tra poco dovrebbe ritornare il Profeta di Hardcore, specialista in passato di fake news??????
E’ così che Maria Luisa Agnese, pensa che l’Italia possa tornare ad essere un Paese normale??????????????????
24 lug 2017 11:15
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 152909.htm
UN'ESTATE CAFONA
- CHI VERSA OLIO DA CUCINA IN MARE, IL PONTE DI CALATRAVA A VENEZIA COME TRAMPOLINO PER I TUFFI, CICCHE DI SIGARETTE A TAPPETO SULLE SPIAGGE, SESSO EN PLEIN AIR: SONO SOLO GLI ULTIMI EPISODI DI UN TURISMO MALEDUCATO
- MA A CASA LORO FAREBBERO LO STESSO? - VIDEO
Maria Luisa Agnese per il Corriere della Sera
L' Italia si sta svegliando e sta mandando piccoli impercettibili segnali di reazione civica, e ambientale. A Venezia quattro ragazzotti belgi neppure troppo atletici hanno compiuto la loro futile bravata di gruppo buttandosi dal ponte di vetro di Calatrava. Giusto sdegno dei veneziani, già provati dal turismo fastidioso e maleducato, che si sono rivoltati dicendo: «Fatevi le vostre gesta a casa vostra! E non utilizzate la nostra città come una piscina in modo incosciente e pericoloso. E se fosse passata una
barca?» ha scritto sul web uno di loro .
Non straniera, ma calata dal Nord Italia invece la turista che ha suscitato giusto orgoglio sardo in un signore che in canotta e paglietta si godeva il mare e il sole immacolati della sua terra, fra le dune di Porto Pino, a due passi da Chia.
Dopo il picnic consumato in spiaggia la signora si è alzata, ha sciacquato la scatoletta di tonno in mare, spargendo liquami e striature di olio in acqua, poi se ne è tornata sulla sabbia per «seppellire» lì la sua scatoletta vuota. Come a casa sua, anzi peggio che a casa sua, in ogni caso con spregio di ogni educazione civica e di rispetto per la cosa pubblica. E il signore in canotta è insorto, ingaggiando una lunga e benemerita invettiva di sani principi civici e ambientalisti, (quasi) un monologo anche perché poche erano le frecce all' arco dell' incivile signora.
«Non abbiamo bisogno di turisti come voi, ma di turisti rispettosi dell' ambiente. E poi è questo l' insegnamento che diamo ai bambini, ai nostri figli?» si è chiesto, prima di andarsene raccogliendo tutti i suoi bagagli, lettino, ombrelloni e asciugamani, fra gli applausi dei bagnanti in standing ovation: fa bene, difende il territorio. E poi, pioggia di like per la fotografa Milena Porcu che aveva assistito alla scena riprendendola per postarla su Facebook: «È stata una scena molto dolorosa, soprattutto per noi sardi. Anche se è ovvio che non tutti i continentali sono come la signora».
Il turismo lo vogliamo tutti, è la nostra ricchezza, il nostro petrolio, le nostre città e le nostre spiagge e le nostre montagne sono i nostri giacimenti e il passaporto per il futuro, ma di turismo vogliamo vivere e non morire.
Non va bene che Gallipoli venga incoronata come è successo tre anni fa capitale del turismo trash, vittima di folle giovanili - ma non solo - che martoriano quelle acque e quelle spiagge di cristallina qualità, simili a quelle maldiviane. E non importa che siano straniere o nostrane. E non va bene che nelle nostre città e anche sulle nostre spiagge sia diventato sport quasi quotidiano consumare rapporti sessuali all' aria aperta, sotto gli occhi di tutti, anche dei bambini.
Forse oppressi da un senso di colpa per il carico delle nostre bellezze, ci siamo rassegnati troppo e quasi fatalmente al turismo maleducato e in alcuni casi scostumato. Va bene che chi ha avuto in sorte tante eccellenze si senta in dovere di condividerle con gli altri, e ne sia in qualche modo anche felice, non solo sul piano economico. Ma bisogna vigilare perché quel turismo da risorsa non si trasformi in veleno: che una città unica come Venezia, un richiamo assoluto per tutto il mondo, soffochi e declini sotto il peso dei gitanti. E oggi il signore veneziano, come quello sardo, manda segnali di pragmatica resistenza a tutto ciò.
Come quello che viene da Torre Annunziata, dove Legambiente ha distribuito buste agli adulti e piccoli gadget ai bambini e li ha incitati a raccogliere le cicche dalla spiaggia. E allora una cicca dopo l' altra, una piccola resistenza dopo l' altra, tutti noi facciamo come il signore sardo e su ogni spiaggia, con garbo e civili argomentazioni, alziamoci a difendere lo spazio nostro che poi è quello di tutti, piano piano qualcosa cambierà. Ci piace almeno crederlo: sarà mica che, toccato il fondo, l' Italia si stia avviando a diventare un Paese normale?

“Ci piace almeno crederlo: sarà mica che, toccato il fondo, l' Italia si stia avviando a diventare un Paese normale?
Campa cavallo!!!!!!!!!!!!!!!
E poi ancora:
- MA A CASA LORO FAREBBERO LO STESSO?<OVRA
Più di diedi anni fa, La Repubblica riportò un’articolo sulle abitudini dei ragazzi svizzeri che al sabato e alla domenica passavano il confine per fare tutte le cose che da loro era proibito.
In Italia no, tutto era ed è permesso.
Il problema è sempre stato che l’esempio viene dall’alto.
Ed allora, ancora di più “Campa cavallo”!!!!!!
L’esempio può arrivare da Pinocchio Mussoloni dopo tre anni di fake news???????
Tra poco dovrebbe ritornare il Profeta di Hardcore, specialista in passato di fake news??????
E’ così che Maria Luisa Agnese, pensa che l’Italia possa tornare ad essere un Paese normale??????????????????
24 lug 2017 11:15
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 152909.htm
UN'ESTATE CAFONA
- CHI VERSA OLIO DA CUCINA IN MARE, IL PONTE DI CALATRAVA A VENEZIA COME TRAMPOLINO PER I TUFFI, CICCHE DI SIGARETTE A TAPPETO SULLE SPIAGGE, SESSO EN PLEIN AIR: SONO SOLO GLI ULTIMI EPISODI DI UN TURISMO MALEDUCATO
- MA A CASA LORO FAREBBERO LO STESSO? - VIDEO
Maria Luisa Agnese per il Corriere della Sera
L' Italia si sta svegliando e sta mandando piccoli impercettibili segnali di reazione civica, e ambientale. A Venezia quattro ragazzotti belgi neppure troppo atletici hanno compiuto la loro futile bravata di gruppo buttandosi dal ponte di vetro di Calatrava. Giusto sdegno dei veneziani, già provati dal turismo fastidioso e maleducato, che si sono rivoltati dicendo: «Fatevi le vostre gesta a casa vostra! E non utilizzate la nostra città come una piscina in modo incosciente e pericoloso. E se fosse passata una
barca?» ha scritto sul web uno di loro .
Non straniera, ma calata dal Nord Italia invece la turista che ha suscitato giusto orgoglio sardo in un signore che in canotta e paglietta si godeva il mare e il sole immacolati della sua terra, fra le dune di Porto Pino, a due passi da Chia.
Dopo il picnic consumato in spiaggia la signora si è alzata, ha sciacquato la scatoletta di tonno in mare, spargendo liquami e striature di olio in acqua, poi se ne è tornata sulla sabbia per «seppellire» lì la sua scatoletta vuota. Come a casa sua, anzi peggio che a casa sua, in ogni caso con spregio di ogni educazione civica e di rispetto per la cosa pubblica. E il signore in canotta è insorto, ingaggiando una lunga e benemerita invettiva di sani principi civici e ambientalisti, (quasi) un monologo anche perché poche erano le frecce all' arco dell' incivile signora.
«Non abbiamo bisogno di turisti come voi, ma di turisti rispettosi dell' ambiente. E poi è questo l' insegnamento che diamo ai bambini, ai nostri figli?» si è chiesto, prima di andarsene raccogliendo tutti i suoi bagagli, lettino, ombrelloni e asciugamani, fra gli applausi dei bagnanti in standing ovation: fa bene, difende il territorio. E poi, pioggia di like per la fotografa Milena Porcu che aveva assistito alla scena riprendendola per postarla su Facebook: «È stata una scena molto dolorosa, soprattutto per noi sardi. Anche se è ovvio che non tutti i continentali sono come la signora».
Il turismo lo vogliamo tutti, è la nostra ricchezza, il nostro petrolio, le nostre città e le nostre spiagge e le nostre montagne sono i nostri giacimenti e il passaporto per il futuro, ma di turismo vogliamo vivere e non morire.
Non va bene che Gallipoli venga incoronata come è successo tre anni fa capitale del turismo trash, vittima di folle giovanili - ma non solo - che martoriano quelle acque e quelle spiagge di cristallina qualità, simili a quelle maldiviane. E non importa che siano straniere o nostrane. E non va bene che nelle nostre città e anche sulle nostre spiagge sia diventato sport quasi quotidiano consumare rapporti sessuali all' aria aperta, sotto gli occhi di tutti, anche dei bambini.
Forse oppressi da un senso di colpa per il carico delle nostre bellezze, ci siamo rassegnati troppo e quasi fatalmente al turismo maleducato e in alcuni casi scostumato. Va bene che chi ha avuto in sorte tante eccellenze si senta in dovere di condividerle con gli altri, e ne sia in qualche modo anche felice, non solo sul piano economico. Ma bisogna vigilare perché quel turismo da risorsa non si trasformi in veleno: che una città unica come Venezia, un richiamo assoluto per tutto il mondo, soffochi e declini sotto il peso dei gitanti. E oggi il signore veneziano, come quello sardo, manda segnali di pragmatica resistenza a tutto ciò.
Come quello che viene da Torre Annunziata, dove Legambiente ha distribuito buste agli adulti e piccoli gadget ai bambini e li ha incitati a raccogliere le cicche dalla spiaggia. E allora una cicca dopo l' altra, una piccola resistenza dopo l' altra, tutti noi facciamo come il signore sardo e su ogni spiaggia, con garbo e civili argomentazioni, alziamoci a difendere lo spazio nostro che poi è quello di tutti, piano piano qualcosa cambierà. Ci piace almeno crederlo: sarà mica che, toccato il fondo, l' Italia si stia avviando a diventare un Paese normale?
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