Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO

DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE


Italiani, brava gente…..


Il malessere sociale, da queste parti è molto sentito e diffuso.

Non ho motivo per non credere che anche nelle altre parti dell’ex-Bel Paese non sia così.



Quello che non capisco è perché non se siano accorti nell’ultimo quarto di secolo.

Era più che evidente che fregandosene continuamente di tutto e di tutti, saremmo arrivati a questo punto.

I fascisti non erano stati in grado di riportare indietro l’orologio della storia in tre occasioni specifiche di colpo di Stato, 1964, 1970, 1993.

Licio Gelli invece aveva visto giusto con il Piano di Rinascita Democratica (PRD), perché avrebbe portato il Paese lentamente allo sfascio, affinché fossero i cittadini ad invocare la “necessità” della presenza di un “uomo forte” che risolvesse tutti i problemi.

Bisognava adattare gli italiani giorno dopo giorno.

72 anni dopo la caduta del fascismo, ci risiamo di nuovo:



Dal sito del Fatto Quotidiano:



Politica | Di Maurizio Di Fazio
Il consigliere dell’Aquila
“Fascismo? Uno stile di vita”
Il sindaco: “Frasi non strane”
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UncleTom ha scritto:REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO

DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE







Italiani, brava gente…..





Prima del 25 aprile 1945, una buona parte di italiani salutava con il braccio destro alzato e teso.

Da quella data in poi, una parte , non tutti, salutava con il braccio sinistro e il pugno chiuso.

Nei talk show politici degli anni ottanta, vigeva l’abitudine di presentare gli schieramenti e gli schierati, tutti dalla stessa parte dello studio televisivo.

Gli avversari, di fronte, dalla parte opposta.

Paolo Guzzanti, compariva sempre con gli schieramenti di sinistra.

Allora, lavorava per La Repubblica, schierato nominalmente a sinistra.

Da tempo lavora per Il Giornale ed è schierato decisamente a destra.

Guzzanti è nato a Roma, 1º agosto 1940.


Forse, prima del 25 aprile 1945, potrà aver fatto in tempo a fare il balillino con orgoglio, ma non poteva essere tra quelli che salutavano con il braccio teso, corredato della frase di turno: “A NOI!!!!”

Però ha fatto tempo a fare il classico italiano voltagabbana.

Oggi da buon camerata in attesa di eventi, si schiera contro Napolitano.


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Giorgio Napolitano, comunista
che prima spara e poi fugge via

Paolo Guzzanti


Poi non ditemi che non aveva ragione Primo Levi:

“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.”

Qua si sono dimenticati tutti i “fazzoletti” degli anni ’20, ’30 e ’40.

Ps. 60 anni fa, a Milano, per addolcire il termine dopo 20 anni di dittatura fascista, chiamavano così i fascisti
.


Napolitano, il comunista che prima spara e poi scappa

Fascista, stalinista e filoamericano, l'ex capo dello Stato è maestro nell'arte di colpire e darsela a gambe

Paolo Guzzanti - Ven, 04/08/2017 - 08:06

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Nella sua intervista di ieri a Repubblica Giorgio Napolitano dà prova della sua storica spudoratezza, che coincide con la spudoratezza della storia e delle sue manipolazioni.


L'ex capo dello Stato è uno che, per attitudine e antico addestramento, conosce l'arte di colpire e poi scappare a gambe levate. Un'abilità che, in parte, gli viene dalle antiche guerre intellettuali dei Gruppi universitari fascisti, i cui più abili campioni come Pietro Ingrao - passarono poi armi e bagagli nel Pci di Palmiro Togliatti, e poi, naturalmente, dalla doppiezza staliniana, togliattiana e di tutto l'apparato di cui è stato un leader particolarmente eminente perché considerato elegante e con una infarinatura di inglese quando i comunisti studiavano il russo e i più pessimisti il cinese.

Con Palmiro Togliatti, detto non a caso il Migliore, Napolitano commise delitti riconosciuti con elegante disincanto, per poi fondare molti anni dopo la morte di Togliatti la corrente interna dei «miglioristi», come dire degli allievi più scaltri del vecchio capo. L'ha fatto sempre colpendo e poi scappando a gambe levate, ma con un'espressione timidamente dubbiosa, come a dire «Chi? Io?». Negare e minimizzare sono stati raffinati al livello di arti marziali, per quel tipo di intellettualità del vecchio Pci. Nel 1956, quando il Partito comunista italiano era una potenza ideologica, Togliatti, spalleggiato da Napolitano e dal cinese Mao Zedong, costrinse la riluttante Unione Sovietica a schiacciare con le divisioni corazzate gli inermi insorti di Budapest che manifestavano contro il Partito comunista chiedendo libertà e democrazia. Ieri Napolitano ha preteso di far credere che l'operazione militare neocoloniale franco-inglese scatenata sotto le intrepide bandiere dell'Onu contro la Libia di Muammar Gheddafi nel 2011 fu una nobilissima guerra perché combattuta in nome della stessa libertà e democrazia contro cui aveva chiesto l'intervento dei carri armati russi a Budapest. Naturalmente gli ungheresi fatti uccidere da Napolitano, Togliatti, Mao Zedong e Nikita Krusciov sapevano che cosa fossero libertà e democrazia, mentre i libici, così come i siriani, gli egiziani, i libanesi e gli arabi musulmani in genere, non ne avevano mai avuto idea politica e pratica.

Napolitano sa oggi, come sapeva ieri, che Gheddafi era un dittatore come tutti gli altri nell'area, ma era diventato uno strumento importante e funzionale della politica estera italiana di Silvio Berlusconi, il quale era riuscito ad ottenere il controllo navale delle coste libiche e il blocco dei flussi migratori oggi incontrollabili. Gheddafi era un elemento di successo personale di Berlusconi e anche per questo era, per tutto il fronte nazionale e internazionale che ne voleva la fine politica, l'uomo da abbattere e far abbattere, anche per procura. Nessuna traccia di tutto ciò nella smemorata e autorevole intervista.



Napolitano sa bene, per esempio, che quando Gheddafi fu prima violentato dal suo carnefice e poi macellato come una bestia, in Italia si assisté a un'ondata razzista con manifestazioni che invocavano per il capo del governo italiano la stessa sorte. Fu, quello, uno dei momenti più sudici della nostra storia. Ma, mentre i fatti accadevano, Napolitano ritirava la mano e oggi si mostra indaffarato e formale, uno che ha bisogno delle carte geografiche e dei verbali per ricordare.

L'ex presidente elenca, fra le nobili cause del catastrofico intervento in Libia che ha distrutto gli equilibri nel Mediterraneo, la difesa delle «Primavere arabe» che, salvo quella tunisina, si sono tutte concluse in democratici bagni di sangue. Come dargli torto? Dal 1956 Napolitano è un esperto del giusto rapporto che corre fra libertà, democrazia e interventi militari. Del resto, dopo essere stato uno dei raffinati stalinisti, fuggì a destra nel Pci, formando una corrente filoamericana apprezzata dal segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, detta dei «miglioristi», un aggettivo togliattiano, presentata allora come creatura specialista nel colpire, negare e fuggire. Per poi auto-assolversi.

L'ex presidente della Repubblica con eterno piglio giovanile si nasconde dietro le verità a geometria variabile quando simula oggi di aver preso le distanze dalla «decisione unilaterale» del francese Nicolas Sarkozy quando attaccò la Libia per sottrarla all'influenza italiana e lanciare un siluro contro Berlusconi, che era riuscito a sigillare le coste e impedire che l'intera Africa cominciasse il suo sbarco a puntate sulle coste italiane.

Sarkò attaccò con rabbia napoleonica e per odio trasparente verso il presidente del Consiglio italiano, l'ultimo eletto, come dimostrano le famose foto sghignazzanti nei confronti del primo ministro italiano. Del resto, la chiarissima operazione per liquidare per via antiparlamentare Berlusconi un vero colpo di Stato contemplava la necessità di una coalizione interna, di una coalizione estera e un'operazione militare brigantesca che si concludesse con il sacrificio umano del dittatore libico, colpevole di essere uno strumento vincente di Berlusconi che, grazie a lui, aveva sigillato le coste libiche agli scafisti e ai trafficanti di uomini.

Oggi fa veramente impressione vedere la questione umanitaria dei libici sotto la tirannia di Gheddafi spacciata come motivazione morale di una partita losca, sanguinaria e diretta contro gli interessi italiani. Giorgio Napolitano si adoperò in tutti i modi, molto discutibili se non illeciti, per abbattere l'ultimo capo del governo che gli italiani abbiano potuto eleggere a Palazzo Chigi.
UncleTom
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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO

DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE



Scienze della comunicazione



Necessità da evidenziare


Giorgio Napolitano, comunista
che prima spara e poi fugge via
Paolo Guzzanti



Guzzanti sa benissimo che di comunisti in Italia non ne esistono più neanche a cercarli con il lanternino.

L’ultimo rifondaiolo dichiarato a suo tempo, certo Genny Migliore, da qualche anno fa il lustrascarpe convinto, di Pinocchio Mussoloni, nel Pd.

Ma rinnovare il termine “comunista”, dal punto di vista comunicativo, serve a riattivare antichi rancori, se sopiti dal tempo.

Guzzanti è un vecchio giornalista oltre l’età pensionabile.

Ergo, non può non sapere, altrimenti fa solo il giornalaio, che Giorgio Napolitano è stato un discreto attore.

Tanto che è riuscito a fare fessi tanti sinistri, compresi eminenti dirigenti, facendo credere di appartenere alla sinistra, mentre dai tempi del liceo era stato arruolato dagli anglo americani per fare la spia.

Ruolo che ricopre tutt’ora malgrado l’età.

Le due teste di “rapanello”, Salvini e Guzzanti, si sono mai chiesti perché solo un “comunista” speciale è stato nominato Capo dello Stato italiano?????????????

Sanno indicare un altro ”””comunista””” che sia arrivato ad occupare quel ruolo per meriti politici??????

Le notizie di rete non sono mai state cancellate, anche quando era ai vertici dello Stato Italiano-

Giorgio Napolitano, traditore del PCI e servo della CIA - Disinformazione
https://www.disinformazione.it/napolita ... la_cia.htm
1.
giorgio napolitano, presidente della repubblica, re giorgio, figlio di umberto I, figlio di re umberto, cia, pci, traditore, ebraismo.


Ma agli STRUMPTRUPPEN serve la notizia che Napolitano sia e sia stato un esponente della sinistra.


Eppure gli STRUMPTRUPPEN lo hanno anche scritto quando gli faceva comodo:

"Giorgio Napolitano massone affiliato alla loggia Three Eyes": l'ultima ...
http://www.liberoquotidiano.it/news/... ... -alla.html
1.
2.
13 gen 2015 - "L'autore del libro, con tanto di foto in bella vista - riprende la Bottici -, che il nostro attuale Presidente della Repubblica è affiliato alla loggia ...


Come può far parte di una loggia massonica di destra come la “Three Eyes": se è un comunista?????


E perché il dottor Kissinger lo ha sempre apostrofato con: “Ecco il mio comunista preferito”

Visto che anche lui è membro della Three Eyes??????

Il succo di tutto questo polverone agostano sollevato da King George, è:

“Ma perché gli americani gli hanno ordinato di sabotare Silvio????????”
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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO



Gli STRUPTRUPPEN, ieri, sono stati “Catto-comunisti” per qualche ora, col solito scopo di raccattare voti, speculando su:

Morto il cardinale Tettamanzi: guidò la diocesi di Milano dal 2002 al 2011
Teologo stimato da Giovanni Paolo II, guidò la diocesi di MIlano dal 2002 al 2011. Era entrato in seminario a soli 11 anni. Professore di teologia al seminario di Venegono Inferiore, fu chiamato a collaborare alla stesura di alcune encicliche
Raffaello Binelli - Sab, 05/08/2017 - 14:00

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 28558.html



Ma adesso è già tutto abbondantemente alle spalle, si torna in prima linea.

Sul cartaceo oggi in edicola, nel taglio alto, ben rimarcato, spicca la solita notizia:


IL PARTITO DELL’INVASIONE
Gli scafisti ringraziano
i cattocomunisti e Saviano

«Avvenire» e lo scrittore contro le toghe che indagano sui rapporti con le Ong
Respingimenti in Libia: fermati 800 immigrati




Per loro la posta è importante, rimettere sul trono il vecchio Caimano, detronizzato nel 2011 da King George.

Per volere della sovragestione, ma questo non lo hanno mai ammesso e non lo ammetteranno mai.

Non a caso la sovragestione aveva piazzato un altro super massone, Mario Monti.

Ma non aveva dato i risultati sperati.
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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO


Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.
Primo Levi





IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Beppe Giulietti



Diritti
Razzismo, ‘Poi vennero a prendere me…’

di Beppe Giulietti | 7 agosto 2017
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Più informazioni su: Emanuele Fiano, Massimo Corsaro, Razzismo

Beppe Giulietti
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Un albergatore di Cervia ha pensato bene di “protestare” il cameriere perché ai clienti non piaceva il “nero” a colazione. Un suo collega ha fatto sapere che, nella sua struttura, non gradisce coppie omosessuali, per evitare equivoci ha specificato “anche se unite civilmente”. La sindaca di Codigoro ha invece annunciato che alzerà le tasse ai cittadini che ospiteranno profughi, per fortuna non ha annunciato che le loro case saranno segnate con la P maiuscola.
Tralasciamo i quotidiani proclami di Salvini contro rom, migranti, profughi, in calo quelli contro i meridionali, nella speranza di raccattare qualche voto anche sotto la linea gotica.
Nella polemica politica ritornano i segni dell’antisemitismo e così il deputato Massimo Corsaro non ha trovato di meglio che attaccate il suo collega Emanuele Fiano ricorrendo alle più tristi battute sugli ebrei.

Nel frattempo, i gruppi neonazisti rievocano segni e simboli del passato, in aperto disprezzo della Costituzione antifascista e delle leggi dello Stato repubblicano. Di fronte a questa rappresentazione, che non è solo mediatica, molti, troppi, dentro e fuori le istituzioni, fingono di non vedere, di non sentire, di non sapere.

A tutti costoro dedichiamo il sermone del pastore Martin Niemoller, anche se le versioni sono molteplici, dedicato proprio a quei cittadini tedeschi che assistevano in silenzio alle tragiche prodezze delle “Camice brune”:

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano..

Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi erano antipatici..

Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché erano fastidiosi..

Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi nulla perché non ero comunista..

Un giorno vennero a prendere me e non c’era più nessuno a protestare..”


Sarà meglio reagire subito, anche se non siamo ancora finiti nel mirino dei razzisti e dei nuovi squadristi.




di Beppe Giulietti | 7 agosto 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.

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•Ultima ora•
migranti, salvini: "con noi al governo, via la scorta a saviano"






“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano..

Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi erano antipatici..

Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché erano fastidiosi..

Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi nulla perché non ero comunista..

Un giorno vennero a prendere me e non c’era più nessuno a protestare..”
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Re: Diario della caduta di un regime.

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I discorsi politici di Aldo Moro mi facevano l’effetto “camomilla”.

Ma davanti al Democristiano Aldo Moro, all’uomo politico Aldo Moro, all’uomo di fede cristiana Aldo Moro, giù il cappello.





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Potere e denaro, dal caso Moro all’Isis fino al Russiagate
Scritto il 08/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi

Andreotti e Cossiga: sarebbero stati soprattutto loro a impedire che Aldo Moro venisse liberato dai Gis dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, insieme ai Nocs della polizia.

Reparti speciali che, si dice, avevano individuato la prigione romana dello statista democristiano.

E’ la tesi, più volte esposta (anche in libri di successo) da un magistrato di lungo corso come Ferdinando Imposimato, già pm e poi presidente onorario della Cassazione.

La sua versione, suffragata da testimoni-chiave delle forze dell’ordine: il blitz decisivo fu impedito da Andreotti e Cossiga.

Movente: ambivano entrambi alla carica alla quale sarebbe stato destinato Moro, il Quirinale.

Gli americani?

C’entrano, ma fino a un certo punto: perché poi, al dunque, “ritirarono” il loro uomo, Steve Pieczneick, in un primo momento inviato a Roma per controllare (e depistare) le indagini.

Regia dell’operazione Moro: affidata alla Gladio, costola dell’intelligence Nato, in Italia gestita da uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, allora a capo del Sismi.

Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Gianfranco Carpeoro aggiunge un nome, quello del politologo statunitense Michael Leeden, tuttora attivissimo: sarebbe stato il vero burattinaio di Gelli.

Per Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni”, la P2 era il terminale italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, potentissima superloggia internazionale di stampo antidemocratico.

Secondo Carpeoro, Ledeen è un eminente uomo del B’nai B’rith, cellula super-massonica del Mossad.

Che c’entra, lo Stato ebraico, con l’intricatissimo caso Moro, tuttora oscuro in moltissimi suoi aspetti? P
Per Iposimato, il ruolo dei servizi segreti israeliani – che infiltrarono le Brigate Rosse insieme alla Cia e al Kgb dopo l’arresto di Renato Curcio – era chiaro: contribuire a destabilizzare l’Italia, per dimostrare agli Usa che Israele sarebbe stato l’unico alleato su cui contare davvero, nel Mediterraneo, per la gestione geopolitica del Medio Oriente.

In più, Moro – fautore della storica esperienza del centrosinistra, il governo di coalizione con i socialisti, nonché dialogante con il Pci di Berlinguer in vista di un possibile “compromesso storico” sulla base dell’Eurocomuismo, non più satellite di Mosca – era un politico moderato, favorevole alla distensione con l’Urss.

Un brutto cliente, per l’immenso business degli armamenti alimentato dalla guerra fredda, che in realtà – per Carpeoro – era una lucrosa truffa: «Ledeen e soci hanno pianto, quando è crollata l’Unione Sovietica: per loro finiva il bengodi», che era basato su un raggiro: «Tutti, in ambito Nato, sapevano perfettamente che la minaccia sovietica non era reale, era stata gonfiata ad arte per ingrassare le strutture di intelligence e l’industria degli armamenti».

Narrazioni, giornalistiche e non, che concorrono a delineare un quadro convergente: la strategia della tensione è servita soprattutto a sabotare l’Italia come protagonista nel Mediterraneo, mettendo in crisi – prima sul piano politico, poi anche economico – il paese che più di ogni altro, in Occidente, aveva saputo risorgere dalle macerie della guerra, giungendo a essere la quarta potenza industriale al mondo.

L’Italia – dalla fine di Moro a quella di Craxi, e prima ancora quella di Enrico Mattei – come banco di prova di una grande operazione internazionale, ideata e condotta da élite super-massoniche: minare dalle fondamenta il benessere diffuso promosso dall’economia mista (in Italia assicurata dall’Iri, poi privatizzata da Prodi) e tagliare le protezioni sociali del Welfare State, ideato dal massone inglese progressista William Beveridge. Welfare che ha poi brillato soprattutto in Scandinavia, in paesi come la Svezia, dove (non a caso) a metà degli anni ‘80 fu assassinato il leader socialdemocratico e primo ministro in carica Olof Palme, alla vigilia della sua elezione all’Onu come segretario generale.
Nel suo saggio, Carpeoro ricorda il telegramma nel quale lo stesso Gelli, alla vigilia dell’omcidio Palme, scrisse al parlamentare statunitense Philip Guarino, braccio destro di Michael Ledeen, che molto presto “la palma svedese” sarebbe “caduta”.

A Washington allora agivano, in prima linea o dietro le quinte, pesi massimi come Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, eminenti super-massoni della “Three Eyes”.

Spesso – avverte Magaldi – si confonde “l’America”, cioè il governo Usa, con determinate componenti, molto influenti, che manipolano e utilizzano il governo stesso per attuare i loro disegni, rispetto ai quali l’Italia – con i suoi 3 tentativi di golpe, tutti sventati – ha avuto un ruolo chiave, negli anni ‘60 e ‘70, come decisivo terreno di scontro tra le due grandi correnti super-massoniche internazionali.

Da una parte quella progressista, a lungo vincente, roosveltiana e kennediana, keynesiana in economia, giunta fino a propiziare l’elezione di Jfk alla Casa Bianca insieme a quella di Angelo Roncalli in Vaticano (Papa Giovanni XXIII), progettando poi negli Usa lo spettacolare ticket formato da Bob Kennedy e Martin Luther King. E dall’altra il cartello neo-feudale, ultraconservatore e reazionario, neoliberista in economia, che ha fatto piazza pulita dei leader democratici – con ogni mezzo, dalla strategia della tensione (Gladio) a Tangentopoli – per poi consegnare l’Italia all’orrore di questa Ue, dominata dal mercantilismo tedesco ed egemonizzata da figure come la “sorella” Angela Merkel e il “fratello” Mario Draghi.
L’Italia sempre nel mirino: economia da sabotare alla radice per avvantaggiare la concorrenza della Germania, anche abbattendo un politico impresentabile (ma non-allineato) come Berlusconi, fino a imporre il commissario super-massone Monti, poi seguito da Enrico Letta (Opus Dei, Bilderberg, Trilaterale) e Matteo Renzi, considerato «un wannabe, cioè un aspirante super-massone, nel suo caso “bussante” alla super-massoneria reazionaria, quella di Draghi e Merkel, Monti e Napolitano».
In libri come “Il golpe inglese”, il giornalista Giovanni Fasanella insiste sul ruolo di Londra nel controllare (e frenare) l’Italia, vista come potenziale concorrente nel Mediterraneo fin dall’inizio, al tempo in cui la flotta di sua maestà proteggeva dal mare la spedizione dei Mille, isolando i Borbone.
Dappertutto lo zampino inglese, tra le pagine più cruciali della nostra storia.

Imposimato racconta che la prigione di Moro non era monitorata solo dai carabinieri pronti a liberare il presidente della Dc, ma anche da Gladio e dai servizi britannici, che – con l’aiuto di Andreotti e Cossiga (nonché dell’intransigente Pci) – resero inevitabile l’uccisione di Moro da parte delle Br.
L’ombra del “golpe inglese” affiora anche dalle ipotesi sviluppate attorno al tragico omicidio del giovane Giulio Regeni, ingaggiato al Cairo da una opaca Ong collegata all’università di Cambridge: secondo Marco Gregoretti, reporter pluri-premiato e già inviato speciale di “Panorama”, il lavoro di Regeni era destinato all’Mi6, l’intelligence di Londra, entrato in conflitto con i servizi italiani alla vigilia del possibile intervento armato dell’Italia in Libia, caldeggiato da Obama e assistito dall’Egitto.

In altre parole, Regeni sarebbe stato barbaramente assassinato da killer egiziani su ordine inglese, per creare un incidente tra Italia ed Egitto e mandare in fumo la missione italiana in Libia, dopo la guerra contro Gheddafi, alleato di Roma, voluta da Sarkozy ma condotta con il determinante appoggio di Londra, sempre per sabotare la linea diretta, petrolifera, tra Roma e Tripoli.

Gregoretti non può provare quanto afferma, spiegando che la sua fonte è un alto funzionario dell’Aise, il controspionaggio italiano.

Quantomeno, delinea un movente coerente – a differenza della versione ufficiale, secondo cui il regime il Al-Sisi sarebbe stato così pazzo da far rapire, torturare e uccidere un giovane ricercatore italiano, facendone poi ritrovare il corpo a due passi da un palazzo governativo il giorno stesso della visita ufficiale, al Cairo, di esponenti del governo italiano.

A volte la verità si chiama complotto, ma la sua vulgata attuale – il cosiddetto complottismo, spesso impreciso e sbrigativamente riduzionista – prevede che il vero colpevole sia sempre e solo uno, e che il suo obiettivo occulto venga smascherato da chi ha capito tutto.

E’ la scorciatoia perfetta per screditare fonti d’accusa e mantenere al riparo i veri artefici del complotto, che in genere sono tanti e hanno obiettivi ramificati, non tutti leggibili.

«Non si sbaglia se si guarda alla soluzione più semplice, che esiste sempre ed è quella del denaro», avverte Carpeoro, secondo cui «il potere non è una piramide: è uno schema astratto, a prescindere da chi lo interpreta».

Esempio: «Puoi arrestare Riina, e c’è pronto Provenzano.

Arresti Provenzano, e in una notte Cosa Nostra si riunisce e lo sostituisce con Matteo Messina Denaro. E così via».

Aggiunge Imposimato, durante la presentazione di un suo libro: «Lo Stato è infinitamente più potente della mafia. Se non la debella è perché non vuole.

Falcone e Borsellino lo avevano capito». Avevano intuito, i due magistrati-eroi, che anche la mafia, gestita da settori di intelligence, “serviva” a molte cose inconfessabili.

«Tutti sanno che i servizi trafficano droga, perché i soldi che lo Stato destina all’intelligence non bastano mai», dichiara Carpeoro, che alle spalle trent’anni di carriera come avvocato e ha rifiutato

la richiesta, «avanzata per cinque volte», di fare da consulente per i servizi italiani.

La trattativa Stato-mafia?

E’ la scoperta dell’acqua calda, secondo alcuni analisti.

Vale anche per il terrorismo: «Laddove la cosiddetta Isis colpisce – afferma Magaldi – è perché settori dell’intelligence, in Europa, glielo permettono».

Come dire: nulla accade senza una regia.

“Follow the money”, direbbe l’investigatore americano.

Seguite i soldi, ripete Carpeoro, e capirete chi ha deciso cosa.

Il perché è presto detto: accumulare potere, cioè denaro.

Non è una novità, è sempre stato così.

Con la differenza che, oggi, il potere si è ulteriormente degradato: «Cinquant’anni fa – dice ancora l’avvocato – un boss della camorra non avrebbe mai sotterrato rifiuti tossici nel prato dove giocano i suoi figli».

Oggi siamo al paradosso estremo: due guerre devastanti (Afghanistan e Iraq), concepite come focolai di un grande incendio teoricamente infinito, sono state innescate da prove false all’indomani del maxi-attentato dell’11 Settembre, in cui l’unica certezza è che la versione ufficiale (leTwin Towers abbattute da aerei dirottati da islamici, a insaputa di Cia e Fbi) è semplicemente ridicola, tecnicamente insostenibile.

Dall’11 Settembre alla guerra in Siria, fino al violento “regime change” in Ucraina e al recentissimo Russiagate montato ad arte per far dimettere Trump.

Veterani dell’intelligence Usa, riuniti nell’associazione Vips – racconta Giulietto Chiesa su “Pandora Tv” – dimostrano che non c’è stata nessuna possibilità tecnica di “hackeraggio russo” per influenzare le presidenziali Usa.

Ma i media mainstream ignorano la notizia, nonostante le micidiali sanzioni “bulgare” imposte dal Congresso contro la Russia. Obiettivo: forzare Trump verso una tensione con Mosca che coinvolge pericolosamente gli europei in prima linea, gli alleati Nato.

E se l’Europa è inesistente, a livello geopolitico, dopo Berlusconi – e le sue aperture a Putin e Gheddafi – l’Italia è addirittura sparita dall’anagrafe. Monti, Letta, Renzi, Gentiloni.

«Dal 2011 – sintetizza Magaldi a “Colors Radio” – ha preso il comando quello che il super-massone reazionario Mario Draghi definisce “il pilota automatico”», cioè la legge del grande business che ha raso al suolo la politica, asservendola interamente ai suoi interessi di élite.

Non stupisce neppure la riapertura delle indagini sul Mostro di Firenze, saga-horror “riletta” come pagina della strategia della tensione: lo choc degli omicidi seriali per distrarre l’opinione pubblica dall’Italia delle stragi di Stato.

“Follow the money”: verticalizzare il potere, tagliando la democrazia, per gonfiare di trilioni la super-finanza multinazionale, protagonista della globalizzazione “totalitaria” di oggi.

Con uno spiraglio, indicato da Magaldi e Carpeoro: una parte di quella élite, largamente super-massonica, sta cominciando a divorziare. Sanders negli Usa, Corbyn a Londra.

«Segnali chiari, che l’oligarchia teme: per questo, oggi, preme sul terrorismo.

Sa che domani potrebbe perdere, dopo quarant’anni, il potere incontrastato di cui ha goduto, trasformando il mondo in un inferno di ingiustizie».

Sanders e Corbyn, più la nascente opposizione francese al super-massone reazionario Macron, creatura del neo-aristocratico Jacques Attali.

Niente in vista, invece, in Italia: a Renzi e Berlusconi si oppone teoricamente Grillo, che sorvola sui i veri problemi del paese.

Uno su tutti: lo smantellamento dell’Italia, che l’élite della “sovragestione” (anche stragistica) ha affidato all’Ue, fidando nei docili politici, assolutamente innocui, che presidiano il Parlamento, maggioranza e opposizione.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

Il camerata Sallusti deve aver senz’altro letto quanto ha pubblicato stamani il suo collega e nemico Travaglio, direttore de il Fatto Quotidiano.

E allora Sallusti ha innestato la quarta marcia perché sia reso possibile il sogno di far tornare alla guida dell’Italia il fantasma della mummia cinese, defenestrato dai poteri che contano, nel lontano 2011 tramite il loro agente all’Avana, King George.

Per il momento il Cd unito, è in testa davanti a Pd e M5S.

Per cui Sallusti, che ha già iniziato la lunghissima campagna elettorale da tempo, deve cercare di mettere fuori gioco il principale avversario.



Renzi e le colpe su Amatrice
Un post terremoto meritava ben altra attenzione, al di là delle frequenti passerelle sul posto ad uso propagandistico
di Alessandro Sallusti
1 ora fa
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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IL PIANETA DELLE SCIMMIE


Secondo Charles Darwin l’uomo discende dalla scimmia.

L’umanità del XX e inizio del XXI secolo con tutti i suoi errori sistemici e stramaledettamente ripetitivi potrebbe, infine, dargli ragione.

Dalle esperienze precedenti, l’uomo non impara assolutamente nulla.

E’ comprensibile, ma non accettabile, il fatto riportato quindici anni fa da La Repubblica, di un uomo che usciva regolarmente tutte le sere da un bar di Viale Palmanova a Milano, per rientrare a casa, completamente ubriaco, andando a sbattere regolarmente contro tutti i pali della luce incontrati sul tragitto verso casa.

Lo stato di ubriachezza può giustificare questa assurdità regolarmente ripetuta.

Non è giustificabile, invece, la ripetizione di certi errori gravi, che commette una società che si dice arbitrariamente civile, non certamente in stato di ubriachezza ma sobria.

Sergio Rizzo, per anni editorialista del Corriere della Sera, e dal 14 giugno 2017 vicedirettore de La Repubblica, ha definito nel suo ultimo libro questa classe politica appartenente a “LA REPUBBLICA DEI BROCCHI”

Ma questi “BROCCHI” che sanno solo galleggiare pensando solo ai loro interessi personali, stanno dando vita ad un finale di Repubblica senza ritorno.

Per rosicare quel poco di carne che è rimasta intorno all’osso si stanno scannando come non mai.

Hanno scritto gli STRUMTRUPPEN, sul loro sito:


'Obama diede le prove a Renzi
sull'omicidio di Giulio Regeni'

Il New York Times rivela: "Il ricercatore italiano ucciso dai servizi egiziani, la Casa Bianca diede a Renzi le prove"
di Luca Romano
56 minuti fa
128

L’intenzione di eliminare il più pericoloso avversario è piuttosto chiara.

Vedremo come reagirà al nuovo attacco Pinocchio Mussoloni.

E’ chiaro che per i silenzi precedenti, e lo strombazzamento da sputtanamento di adesso, chi ci va di mezzo è questo stramaledetto Paese.
Ultima modifica di UncleTom il 16/08/2017, 8:59, modificato 1 volta in totale.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:IL PIANETA DELLE SCIMMIE


Secondo Charles Darwin l’uomo discende dalla scimmia.

L’umanità del XX e inizio del XXI secolo con tutti i suoi errori sistemici e stramaledettamente ripetitivi potrebbe, infine, dargli ragione.

Dalle esperienze precedenti, l’uomo non impara assolutamente nulla.

E’ comprensibile, ma non accettabile, il fatto riportato quindici anni fa da La Repubblica, di un uomo che usciva regolarmente tutte le sere da un bar di Viale Palmanova a Milano, per rientrare a casa, completamente ubriaco, andando a sbattere regolarmente contro tutti i pali della luce incontrati sul tragitto verso casa.

Lo stato di ubriachezza può giustificare questa assurdità regolarmente ripetuta.

Non è giustificabile, invece, la ripetizione di certi errori gravi, che commette una società che si dice arbitrariamente civile, non certamente in stato di ubriachezza ma sobria.

Sergio Rizzo, per anni editorialista del Corriere della Sera, e dal 14 giugno 2017 vicedirettore de La Repubblica, ha definito nel suo ultimo libro questa classe politica appartenente a “LA REPUBBLICA DEI BROCCHI”

Ma questi “BROCCHI” che sanno solo galleggiare pensando solo ai loro interessi personali, stanno dando vita ad un finale di Repubblica senza ritorno.

Per rosicare quel poco di carne che è rimasta intorno all’osso si stanno scannando come non mai.

Hanno scritto gli STRUMTRUPPEN, sul loro sito:


'Obama diede le prove a Renzi
sull'omicidio di Giulio Regeni'

Il New York Times rivela: "Il ricercatore italiano ucciso dai servizi egiziani, la Casa Bianca diede a Renzi le prove"
di Luca Romano
56 minuti fa
128

L’intenzione di eliminare il più pericoloso avversario è piuttosto chiara.

Vedremo come reagirà al nuovo attacco Pinocchio Mussoloni.

E’ chiaro che per i silenzi precedenti, e lo strombazzamento da sputtanamento di adesso, chi ci va di mezzo è questo stramaledetto Paese.



Nyt: "Obama diede le prove a Renzi sul ruolo dell'Egitto nell'omicidio di Giulio Regeni"

Il New York Times rivela: "Il ricercatore italiano ucciso dai servizi egiziani, la Casa Bianca diede a Renzi le prove"

Luca Romano - Mar, 15/08/2017 - 20:25


Nelle settimane successive alla morte al Cairo di Giulio Regeni, il cui corpo fu ritrovato il 3 febbraio del 2016, gli Stati Uniti acquisirono delle "informazioni di intelligence esplosive dall'Egitto: prove del fatto che funzionari della sicurezza egiziana avevano rapito, torturato e ucciso" il ricercatore italiano e, "su raccomandazione del dipartimento di Stato e della Casa Bianca, gli Stati Uniti passarono queste conclusioni al governo Renzi".

A riferirlo è il New York Times Magazine. Il giornale, all'indomani dell'annuncio che l'Italia rimanda al Cairo il suo ambasciatore, pubblica un lungo articolo a firma del giornalista Declan Walsh in cui ripercorre tutta la vicenda di Regeni dal suo arrivo in Egitto a oggi. Come fonte dell'informazione, il reporter cita tre ex funzionari dell'amministrazione Obama. "Avevamo prove incontrovertibili della responsabilità ufficiale egiziana" e "non c'era dubbio", ha raccontato al New York Times Magazine uno degli ex funzionari di Obama. Ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero per intero le informazioni di intelligence, né dissero all'Italia quale agenzia di sicurezza ritenevano fosse dietro alla morte di Regeni, spiega ancora il giornale. "Non era chiaro chi avesse dato l'ordine di rapire e, presumibilmente, ucciderlo", ha detto al giornalista del Nyt un altro ex funzionario Usa.

"Quello che gli americani sapevano per certo l'hanno detto agli italiani, cioè che la leadership egiziana era pienamente consapevole delle circostanze intorno alla morte di Regeni", scrive il giornale statunitense, citando poi altri virgolettati della prima fonte: "Non avevamo dubbi che questo fosse noto molto in alto", dice uno dei funzionari dell'amministrazione Obama, aggiungendo che "non so se fossero responsabili. Ma sapevano. Loro sapevano". In un altro punto dell'articolo, poi, Declan Walsh, che ha seguito tutti i passaggi del caso Regeni, riporta che uno degli ex funzionari Usa sotto Obama gli ha riferito che credeva che qualcuno "di alto grado" del governo egiziano potesse avere ordinato l'uccisione di Regeni "per mandare un messaggio ad altri stranieri e governi stranieri, cioè di smettere di giocare con la sicurezza dell'Egitto". Fra i retroscena ricostruiti dal New York Times Magazine, inoltre, uno parla di screzi interni allo Stato italiano. "Secondo un funzionario del ministero degli Esteri italiano, i diplomatici erano giunti alla conclusione che l'Eni si era unita alle forze del servizio di intelligence dell'Italia nel tentativo di trovare una rapida risoluzione del caso", si legge. E "l'avvertita collaborazione fra Eni e servizi di intelligence italiani diventò fonte di tensione all'interno del governo italiano. Ministero degli Esteri e funzionari dell'intelligence cominciarono a essere prudenti gli uni con gli altri, talvolta trattenendo informazioni", scrive il New York Times Magazine. Che cita la dichiarazione di un funzionario italiano: "Eravamo in guerra, e non solo con gli egiziani". Secondo quanto riporta il giornale, inoltre, "i diplomatici sospettavano che le spie italiane, nel tentativo di chiudere il caso, avessero mediato per l'intervista fatta dal quotidiano La Repubblica ad Al Sisi sei settimane dopo la morte di Regeni (il direttore afferma che la richiesta dell'intervista è partita dal giornale)". In quella intervista il presidente egiziano aveva promesso la verità sulla morte di Giulio Regeni.

"Fiumicello, 15 agosto 2017, sempre più lutto!". È quanto scrive su Facebook la madre di Giulio Regeni, Paola Deffendi. Il post è accompagnato dalle foto di una bandiera italiana a lutto.



Luca Romano - Mar, 15/08/2017 - 20:25
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