Re: Diario della caduta di un regime.
Inviato: 05/04/2015, 11:46
Il modello berlingueriano era un ricordo, già nel momento dello scioglimento del PCI ... ma non voglio inoltrarmi nell'ennesima rilettura storico-politica.camillobenso ha scritto: Paolo11, presente sul forum come sostenitore del M5S, rappresenta l’esempio classico della trasmigrazione avvenuta negli anni passati.
Paolo appartiene, come pancho, alla generazione nata immediatamente dopo la seconda guerra mondiale.
Entrambi hanno avuto lo stesso percorso fino all’inizio degli anni 2000. Pci, Pds, Ds. Poi Paolo, perde la fiducia nei Ds perché si allontanano sempre di più dal modello berlingueriano.
Citando Paolo e Pancho fai un cosa molto rischiosa: introduci un elemento personale che limita molto la possibilità di fare un discorso sincero, o almeno lineare.
Potrei parlare di me stesso, o di altre persone che conosco. In fondo avremmo un lasciapassare illustre, quello di Tolstoj, per il quale la Storia con la esse maiuscola è fatta di tante piccole storie individuali.
Il fatto è che le storie individuali sono molto difficili da collocare nella dinamica politica, potendo significare tutto o niente: la storia è come una nave che va da est a ovest, portando con sé tutti i passeggeri da est a ovest, mentre i passeggeri si muovono dentro la nave in tutte le direzioni - camminano verso nord, mentre stanno andando con la nave verso ovest, e anzi mentre la nave segue una rotta di sud-ovest per seguire i venti.
E poi, le vicende alle quali accenni erano già ricomprese nel mio discorso, se vai a riguardare e dai il giusto peso a certi incisi.
Comunque, seguo il tuo discorso, sull'excursus di Paolo e Pancho - senza considerarli "esemplari" nel senso che tu proponi.
Questo discorso è come il bandolo di un filo che, tirandolo, si porta dietro una matassa insospettabile di lana politica.
La confusione di questi vent'anni è stata tanta e radicale: ha costretto a fare i conti con un tipo di "scelte" assai difficili, per conservare allo stesso tempo aderenza ai tempi e fedeltà alle proprie idee, e ha fatto emergere semmai la differente propensione individuale a una visione pragmatica o a una visione idealistica.
Se la mettiamo sul piano delle delusioni e dei calcoli sbagliati nessuno ne esce con un buon punteggio: nemmeno io, che pure non ho avuto delusioni perché non mi ero fatto illusioni, e che ho azzeccato tutte le peggiori previsioni riguardo IDV, Grillo, Ulivo, PD, per non parlare ovviamente di FI e zone limitrofe. Non ho un buon punteggio, perché per coerenza assoluta avrei dovuto astenermi in ogni occasione elettorale, mentre ho continuato a dare il voto "meno peggio", pur sapendo che per certi aspetti il meno peggio è una pura astrazione pragmatica che contraddice l'anima di chi, come me, pragmatico non è.
Il percorso di Paolo e (secondo la tua versione) Pancho appartiene a un aspetto particolare della politica, e precisamente alla politica che rinuncia ad essere tale, cioè ad avere una visione d'insieme: una rinuncia che può avere mille ragioni, ma che è comunque una rinuncia.
Mi spiego meglio, citando un problema che ho attualmente con la mia compagna, anche lei appassionata di politica, che si trova ora a difendere l'operato di Renzi, per il fatto che ci vede qualcosa di positivo per il solo fatto che ci vede qualcosa di riconoscibile, di pratico e di fattivo, diverso dalla situazione di stallo precedente.
Le nostre discussioni su questo tema arrivano a scaldarsi, quando io faccio l'esempio delle "cose positive" fatte dal fascismo: i treni in orario, la bonifica delle paludi pontine, l'opera nazionale maternità e infanzia, etc.
Certo, il fascismo è un esempio estremo (anche se a ben vedere proprio estremo non è) ma mette in chiara evidenza cosa significa "fare valutazioni sbagliate" in politica, quando si guarda a fatti o proposte specifiche, perdendo di vista l'insieme.
Di Pietro ha fatto un partito personale: io guardo con avversione ai partiti personali.
L'IDV era un partito legalista: questo può piacere, piace anche a me, ma la legalità non può essere l'ideologia di un partito, ma deve implementarsi con una visione della società e delle istituzioni, come è avvenuto da sempre nei partiti di sinistra.
Che persone di sinistra possano trovare un "rifugio" in questo legalismo, lo capisco. Ma non basta, anzi in chiavce politica è fuorviante.
Lo stesso vale per Grillo, che nel suo zibaldone programmatico mette dentro diversi elementi che alla gente di sinistra possono piacere, altri che piaccono a chiunque desidera semplicemente un "buon governo" che è buona amministrazione, e altri che piacciono alla gente di destra. Ma, nel momento in cui queste "provenienze" si trovano a confluire in questo soggetto, smettono di essere destra, sinistra e centro, e danno luogo a qualcosa che politicamente è, come minimo, in attesa di definizione: vogliamo chiamarla populismo? Io direi di sì, visto che chi aderice lo fa come "popolo", non come sinistra o destra: un popolo contrapposto a una nomenklatura indifferenziata tanto quanto è indifferenziato il popolo.