Francesco un papa ...Cristiano!
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
“Un libro fa tremare il Vaticano.
È il vangelo.”
(Lia Celi)
...e Francesco fa paura perché è cristiano.
È il vangelo.”
(Lia Celi)
...e Francesco fa paura perché è cristiano.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
CRISTO SI E' FERMATO AD EMPOLI
Ci vuole solo la millenaria cultura clericale per poter rigirare la frittata.
Molte tonache nere nere, ancora oggi rimpiangono i tempi del Savonarola e di Giordano Bruno.
Martin Lutero quando ha toccato con mano l'ambiente romano ha preso un altro indirizzo.
^^^
7 nov 2015 14:24
ECCO LA PIETAS CRISTIANA
- DON LIVIO FANZAGA, DIRETTORE DI “RADIO MARIA”, ATTACCA NUZZI E FITTIPALDI: “LI IMPICCHEREI. DEVO FARE FATICA A PREGARE PER LORO PERCHÉ MI FANNO VOMITARE. I LORO LIBRI SONO STERCO”
- E POI IL CAPOLAVORO FINALE: “PERÒ SICCOME IL PAPA HA PARLATO DI PERDONO, PERDONIAMOLI” -
I nervi della Curia sono a fior di pelle. Ieri lo stesso Bertone ha annunciato querela nei confronti di Repubblica, per aver pubblicato il contenuto di un' intercettazione in cui il porporato "rideva" per i fondi concessi dal governo proprio all' ospedale Bambin Gesù…
Tommaso Rodano per il “Fatto quotidiano”
“Quasi quasi li impiccherei". Non c' è traccia di perdono, né cristiana sopportazione, nella voce rabbiosa di don Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 112368.htm
Ci vuole solo la millenaria cultura clericale per poter rigirare la frittata.
Molte tonache nere nere, ancora oggi rimpiangono i tempi del Savonarola e di Giordano Bruno.
Martin Lutero quando ha toccato con mano l'ambiente romano ha preso un altro indirizzo.
^^^
7 nov 2015 14:24
ECCO LA PIETAS CRISTIANA
- DON LIVIO FANZAGA, DIRETTORE DI “RADIO MARIA”, ATTACCA NUZZI E FITTIPALDI: “LI IMPICCHEREI. DEVO FARE FATICA A PREGARE PER LORO PERCHÉ MI FANNO VOMITARE. I LORO LIBRI SONO STERCO”
- E POI IL CAPOLAVORO FINALE: “PERÒ SICCOME IL PAPA HA PARLATO DI PERDONO, PERDONIAMOLI” -
I nervi della Curia sono a fior di pelle. Ieri lo stesso Bertone ha annunciato querela nei confronti di Repubblica, per aver pubblicato il contenuto di un' intercettazione in cui il porporato "rideva" per i fondi concessi dal governo proprio all' ospedale Bambin Gesù…
Tommaso Rodano per il “Fatto quotidiano”
“Quasi quasi li impiccherei". Non c' è traccia di perdono, né cristiana sopportazione, nella voce rabbiosa di don Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 112368.htm
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Dal Vaticano II
Con Papa Francesco rivive 50 anni dopo il “Patto delle catacombe”
5 novembre 2015
Il “Patto delle catacombe” firmato da 42 vescovi (poi diventati 500) poco prima della fine
del Concilio Vaticano II, esce allo scoperto.
Le rinunce ai lussi e ai privilegi e l’impegno “per una Chiesa povera e per i poveri” è realtà
con Papa Francesco.
La celebrazione ufficiale dei 50 anni alla Pontificia Università Urbaniana con il
teologo Jon Sobrino, che vedrà il Papa il giorno prima
50 anni fa, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, 42 vescovi conciliari
(poi diventati 500), tra cui il brasiliano dom Helder Camara e l’italiano Luigi Bettazzi, siglarono
il “Patto delle catacombe” nelle catacombe di Santa Domitilla a Roma, come impegno personale
a condurre una vita di povertà rinunciando a lussi, simboli di potere e privilegi e ad essere
“una Chiesa serva e povera” come desiderava Giovanni XXIII. Oggi il “Patto”, dimenticato
nei decenni successivi per ragioni politiche, è uscito allo scoperto ed è diventato vita vissuta
con Papa Francesco e il programma del suo pontificato: “Per una Chiesa povera e per i poveri”.
Tanto che il prossimo 14 novembre la Pontificia Università Urbaniana organizza un importante
seminario ufficiale nel 50° anniversario: tra gli ospiti speciali il teologo gesuita Jon Sobrino
(due sue opere nel 2007 furono definite “errate” dalla Congregazione per la dottrina della fede),
che incontrerà Papa Francesco il giorno prima, 13 novembre, durante la messa a Santa Marta alle 7.
Bergoglio, che all’epoca non era ancora vescovo, respirò gli echi di quell’iniziativa in America Latina,
dove era ancora vivida in alcune componenti della Chiesa. Tra i successivi firmatari del “Patto”
c’erano infatti l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, ucciso dai militari e oggi beato per
volontà di Papa Francesco, e il vescovo argentino Enrique Angelelli, morto in un incidente sospetto
nel 1974, che Bergoglio conosceva quando era superiore dei gesuiti.
La rinuncia “all’apparenza e alla realtà della ricchezza”. 16 novembre 1965: i 42 vescovi di 15 Paesi
di differenti continenti, tra i quali molti latinoamericani, celebrarono una eucarestia, presieduta dal
vescovo belga Charles-Marie Himmer, nelle catacombe di Santa Domitilla, che ospita le tombe
di 100 mila cristiani dei primi secoli di vita della Chiesa. La firma del “Patto” si ispirò all’impegno
del gruppo “Chiesa dei poveri” fondato dal prete operaio Paul Gauthier e della religiosa carmelitana
Marie Therèse Lescase. Nel testo, redatto dal vescovo Helder Camara, i vescovi si impegnavano a
“vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda
l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende”.
Una rinuncia, nello specifico, “agli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti)”, ai simboli
in oro e argento, alla proprietà “di beni immobili, né mobili, né conto in banca”.
Allo stesso tempo, i vescovi rifiutavano di essere chiamati “oralmente o per scritto, con nomi
e titoli che significano grandezza e potere: Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo
essere chiamati con il nome evangelico di Padre”.
No a privilegi e all’amministrazione diretta delle finanze. “Nel nostro comportamento – scrivevano -,
nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità,
o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (ad esempio, banchetti offerti o accettati,
nei servizi religiosi)”. “Eviteremo ugualmente – proseguivano – di incentivare o adulare la vanità
di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione”.
Tutte le volte che sarà possibile, aggiungevano, “affideremo la gestione finanziaria e materiale
nella nostra diocesi a una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico,
al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli”.
L’impegno per i poveri nel “Patto” era fondato principalmente sulle esigenze di giustizia e carità,
operando per “trasformare le opere di beneficenza in opere sociali”. Tutto ciò chiedendo ai
responsabili dei governi e dei servizi pubblici di attuare “leggi, strutture e istituzioni sociali
necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in
tutti gli uomini”. Resisi conto della situazione di povertà estrema di due terzi dell’umanità,
i vescovi firmatari si impegnavano anche a “contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a
investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere” e a chiedere agli organismi internazionali,
“testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche
e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non
permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria”.
La celebrazione dei 50 anni. Negli anni il “Patto” ha trovato numerose opposizioni ed è stato
vissuto in maniera sotterranea. Ma quest’anno, in occasione del 50° anniversario, alcuni gruppi
(i Verbiti, le Missionarie serve dello Spirito Santo, il gruppo giustizia e pace Jpic dei religiosi e
religiose della Uisg/Usg, i religiosi brasiliani a Roma, il Sedos, i poveri della Caritas di Roma) e
vescovi (tra cui il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani) hanno già organizzato e presieduto celebrazioni speciali nelle catacombe.
L’appuntamento del 14 novembre nell’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana, organizzato
dal gruppo Jpic dell’Unione dei superiori e delle superiore generali (Usg/Uisg), dai Missionari del
Verbo Divino e dal Sedos (Centro di studi sulla missione), sancisce l’ufficialità della celebrazione.
Il teologo spagnolo Jon Sobrino, naturalizzato salvadoregno e sfuggito a un attentato commissionato
dal governo nel 1989, parlerà dell’impatto del “Patto delle catacombe” nella Chiesa di oggi.
Interverrà anche il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi, oggi 92enne, tra i pochi firmatari ancora
in vita insieme al vescovo José Maria Pires, che dal Brasile invierà un video messaggio.
A proposito del convegno, monsignor Bettazzi, in un editoriale sulla rivista “Mosaico di pace”,
auspica che il Papa “possa, se non sponsorizzarlo, certo benedirlo”. Ha confermato la sua presenza
anche il cardinale Joao Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e
le Società di vita apostolica.
Sobrino incontrerà il Papa a Santa Marta
il giorno prima, mentre domenica 15, dopo la partecipazione del gruppo all’Angelus a San Pietro,
presiederà la messa nelle catacombe di Santa Domitilla, gestite dai Padri Verbiti. Tra gli altri relatori
al convegno: Alberto Melloni, dell’Università di Modena-Reggio Emilia e il cardinale Roger Etchegaray.
http://agensir.it/chiesa/2015/11/05/con ... catacombe/
Con Papa Francesco rivive 50 anni dopo il “Patto delle catacombe”
5 novembre 2015
Il “Patto delle catacombe” firmato da 42 vescovi (poi diventati 500) poco prima della fine
del Concilio Vaticano II, esce allo scoperto.
Le rinunce ai lussi e ai privilegi e l’impegno “per una Chiesa povera e per i poveri” è realtà
con Papa Francesco.
La celebrazione ufficiale dei 50 anni alla Pontificia Università Urbaniana con il
teologo Jon Sobrino, che vedrà il Papa il giorno prima
50 anni fa, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, 42 vescovi conciliari
(poi diventati 500), tra cui il brasiliano dom Helder Camara e l’italiano Luigi Bettazzi, siglarono
il “Patto delle catacombe” nelle catacombe di Santa Domitilla a Roma, come impegno personale
a condurre una vita di povertà rinunciando a lussi, simboli di potere e privilegi e ad essere
“una Chiesa serva e povera” come desiderava Giovanni XXIII. Oggi il “Patto”, dimenticato
nei decenni successivi per ragioni politiche, è uscito allo scoperto ed è diventato vita vissuta
con Papa Francesco e il programma del suo pontificato: “Per una Chiesa povera e per i poveri”.
Tanto che il prossimo 14 novembre la Pontificia Università Urbaniana organizza un importante
seminario ufficiale nel 50° anniversario: tra gli ospiti speciali il teologo gesuita Jon Sobrino
(due sue opere nel 2007 furono definite “errate” dalla Congregazione per la dottrina della fede),
che incontrerà Papa Francesco il giorno prima, 13 novembre, durante la messa a Santa Marta alle 7.
Bergoglio, che all’epoca non era ancora vescovo, respirò gli echi di quell’iniziativa in America Latina,
dove era ancora vivida in alcune componenti della Chiesa. Tra i successivi firmatari del “Patto”
c’erano infatti l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, ucciso dai militari e oggi beato per
volontà di Papa Francesco, e il vescovo argentino Enrique Angelelli, morto in un incidente sospetto
nel 1974, che Bergoglio conosceva quando era superiore dei gesuiti.
La rinuncia “all’apparenza e alla realtà della ricchezza”. 16 novembre 1965: i 42 vescovi di 15 Paesi
di differenti continenti, tra i quali molti latinoamericani, celebrarono una eucarestia, presieduta dal
vescovo belga Charles-Marie Himmer, nelle catacombe di Santa Domitilla, che ospita le tombe
di 100 mila cristiani dei primi secoli di vita della Chiesa. La firma del “Patto” si ispirò all’impegno
del gruppo “Chiesa dei poveri” fondato dal prete operaio Paul Gauthier e della religiosa carmelitana
Marie Therèse Lescase. Nel testo, redatto dal vescovo Helder Camara, i vescovi si impegnavano a
“vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda
l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende”.
Una rinuncia, nello specifico, “agli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti)”, ai simboli
in oro e argento, alla proprietà “di beni immobili, né mobili, né conto in banca”.
Allo stesso tempo, i vescovi rifiutavano di essere chiamati “oralmente o per scritto, con nomi
e titoli che significano grandezza e potere: Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo
essere chiamati con il nome evangelico di Padre”.
No a privilegi e all’amministrazione diretta delle finanze. “Nel nostro comportamento – scrivevano -,
nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità,
o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (ad esempio, banchetti offerti o accettati,
nei servizi religiosi)”. “Eviteremo ugualmente – proseguivano – di incentivare o adulare la vanità
di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione”.
Tutte le volte che sarà possibile, aggiungevano, “affideremo la gestione finanziaria e materiale
nella nostra diocesi a una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico,
al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli”.
L’impegno per i poveri nel “Patto” era fondato principalmente sulle esigenze di giustizia e carità,
operando per “trasformare le opere di beneficenza in opere sociali”. Tutto ciò chiedendo ai
responsabili dei governi e dei servizi pubblici di attuare “leggi, strutture e istituzioni sociali
necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in
tutti gli uomini”. Resisi conto della situazione di povertà estrema di due terzi dell’umanità,
i vescovi firmatari si impegnavano anche a “contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a
investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere” e a chiedere agli organismi internazionali,
“testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche
e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non
permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria”.
La celebrazione dei 50 anni. Negli anni il “Patto” ha trovato numerose opposizioni ed è stato
vissuto in maniera sotterranea. Ma quest’anno, in occasione del 50° anniversario, alcuni gruppi
(i Verbiti, le Missionarie serve dello Spirito Santo, il gruppo giustizia e pace Jpic dei religiosi e
religiose della Uisg/Usg, i religiosi brasiliani a Roma, il Sedos, i poveri della Caritas di Roma) e
vescovi (tra cui il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani) hanno già organizzato e presieduto celebrazioni speciali nelle catacombe.
L’appuntamento del 14 novembre nell’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana, organizzato
dal gruppo Jpic dell’Unione dei superiori e delle superiore generali (Usg/Uisg), dai Missionari del
Verbo Divino e dal Sedos (Centro di studi sulla missione), sancisce l’ufficialità della celebrazione.
Il teologo spagnolo Jon Sobrino, naturalizzato salvadoregno e sfuggito a un attentato commissionato
dal governo nel 1989, parlerà dell’impatto del “Patto delle catacombe” nella Chiesa di oggi.
Interverrà anche il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi, oggi 92enne, tra i pochi firmatari ancora
in vita insieme al vescovo José Maria Pires, che dal Brasile invierà un video messaggio.
A proposito del convegno, monsignor Bettazzi, in un editoriale sulla rivista “Mosaico di pace”,
auspica che il Papa “possa, se non sponsorizzarlo, certo benedirlo”. Ha confermato la sua presenza
anche il cardinale Joao Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e
le Società di vita apostolica.
Sobrino incontrerà il Papa a Santa Marta
il giorno prima, mentre domenica 15, dopo la partecipazione del gruppo all’Angelus a San Pietro,
presiederà la messa nelle catacombe di Santa Domitilla, gestite dai Padri Verbiti. Tra gli altri relatori
al convegno: Alberto Melloni, dell’Università di Modena-Reggio Emilia e il cardinale Roger Etchegaray.
http://agensir.it/chiesa/2015/11/05/con ... catacombe/
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Non offrire l'altra guancia
Repubblica 24.11.15
La lite via sms Chaouqui-Balda “Se parli male di me dirò chi sei”
di Corrado Zunino
LE INTERCETTAZIONI / E IL MONSIGNORE SCRIVE AL CRONISTA: “LEI MI VOLEVA GUIDARE COME UN BURATTINO”
ROMA. Nelle mille carte (1.000) che i cinque imputati di Vatileaks 2 possono guardare ma non toccare, e soprattutto fotocopiare, brillano le minacce — pesanti, cattive — di Francesca Immacolata Chaouqui, la “pr” del vaticano, unica donna e unica italiana nominata da Papa Francesco all’interno della commissione di controllo dei conti vaticani, nei confronti di monsignor Lucio Vallejo Balda, il segretario sia della Prefettura degli Affari economici che della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative, la Cosea appunto.
Erano amici, confidenti complici i due, ma a fine luglio, luglio scorso, il rapporto si spezza. Perché? «Lei mi voleva far vivere la vita che intendeva, mi voleva guidare come un burattino». Monsignor Balda confida questo, con un messaggio via Whatsapp, a Gianluigi Nuzzi, il giornalista a cui sta passando l’intero database della commissione vaticana. Ne parlerà anche a cena con alcuni religiosi e quando la Chaouqui lo viene a sapere s’infuria. Di getto, scrive a Balda un messaggio durissimo: «Sei un verme, un povero coglione. Ho cercato di circondarti di amici per elevare il tuo ruolo e la tua figura, ma resti un povero coglione. Sei anche un religioso di m... e non si capisce come hai fatto a prendere i sacramenti». Poi la minaccia, di cui si parla nelle undici pagine della citazione a giudizio del promotore di giustizia: «Se proverai a parlare ancora male di me farò sapere a tutti, pubblicamente, quel mezzo... che sei».
Balda si spaventa, segnala a Nuzzi — con cui ha un rapporto di fiducia, gli spedisce infatti foto delle sue esercitazioni in tenuta mimetica, dei suoi giri alle giostre — la questione e, a voce, gli dirà: «Temo che quelle microspie che mi ha segnalato nel mio ufficio le avesse fatte mettere proprio lei, era il suo modo per farsi sentire sempre più importante, quasi fondamentale per la mia vita».
Era stata proprio Francesca Chaouqui a presentare Nuzzi a Balda, era lei ad avere nella disponibilità password e username della posta elettronica del monsignore di Léon. L’esordio della lunghissima corrispondenza tra il segretario della commissione economica e il giornalista di Retequattro avviene il 9 aprile: Balda invias, sempre per Whatsapp, le foto della cassaforte svaligiata alla Cosea, il secondo di tre furti che ruotano attorno agli uffici delle finanze vaticane nel periodo di Francesco.
Nessuna pressione, si evidenzia, da parte del giornalista (e così non si legge di alcuna pressione su Balda dell’altro giornalista, Emiliano Fittipaldi). Poche settimane e il monsignore offre a Nuzzi il piatto forte: gli invia le prime di 87 password che apriranno al giornalista il mondo Cosea, i suoi sprechi, i lussi vaticani. Le carte sono conservate al torrione della prefettura, e Balda invia le foto dei plichi per dare prova al giornalista. Così il religioso spiega la sua azione: «Vedo troppe cose brutte, c’è una distanza tra il Vangelo e l’azione di molti miei fratelli, devo fare qualcosa».
Nuzzi può entrare nella mail di monsignor Balda e da lì prelevare i documenti riservati e stamparli. Sono stati pochi quelli consegnati a mano, cartacei. Rivela ancora, altro messaggio sul telefono, Balda a Nuzzi: «Da quando Francesco ha voluto la commissione Cosea c’è la corsa di cardinali e monsignori per entrare nella prefettura economica». Vogliono controllare quei lavori che si occuperanno di Ior, riciclaggio in Svizzera, conti criptati. Balda confida al giornalista cose riservate su monsignor Pell, che però non finiranno sul libro. Lo incontrerà più volte, anche all’Ambasciatori Palace di via Veneto. Poi la rottura con la Chaouqui, e la Gendarmeria lo mette nel mirino.
Repubblica 24.11.15
Repubblica 24.11.15
La lite via sms Chaouqui-Balda “Se parli male di me dirò chi sei”
di Corrado Zunino
LE INTERCETTAZIONI / E IL MONSIGNORE SCRIVE AL CRONISTA: “LEI MI VOLEVA GUIDARE COME UN BURATTINO”
ROMA. Nelle mille carte (1.000) che i cinque imputati di Vatileaks 2 possono guardare ma non toccare, e soprattutto fotocopiare, brillano le minacce — pesanti, cattive — di Francesca Immacolata Chaouqui, la “pr” del vaticano, unica donna e unica italiana nominata da Papa Francesco all’interno della commissione di controllo dei conti vaticani, nei confronti di monsignor Lucio Vallejo Balda, il segretario sia della Prefettura degli Affari economici che della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative, la Cosea appunto.
Erano amici, confidenti complici i due, ma a fine luglio, luglio scorso, il rapporto si spezza. Perché? «Lei mi voleva far vivere la vita che intendeva, mi voleva guidare come un burattino». Monsignor Balda confida questo, con un messaggio via Whatsapp, a Gianluigi Nuzzi, il giornalista a cui sta passando l’intero database della commissione vaticana. Ne parlerà anche a cena con alcuni religiosi e quando la Chaouqui lo viene a sapere s’infuria. Di getto, scrive a Balda un messaggio durissimo: «Sei un verme, un povero coglione. Ho cercato di circondarti di amici per elevare il tuo ruolo e la tua figura, ma resti un povero coglione. Sei anche un religioso di m... e non si capisce come hai fatto a prendere i sacramenti». Poi la minaccia, di cui si parla nelle undici pagine della citazione a giudizio del promotore di giustizia: «Se proverai a parlare ancora male di me farò sapere a tutti, pubblicamente, quel mezzo... che sei».
Balda si spaventa, segnala a Nuzzi — con cui ha un rapporto di fiducia, gli spedisce infatti foto delle sue esercitazioni in tenuta mimetica, dei suoi giri alle giostre — la questione e, a voce, gli dirà: «Temo che quelle microspie che mi ha segnalato nel mio ufficio le avesse fatte mettere proprio lei, era il suo modo per farsi sentire sempre più importante, quasi fondamentale per la mia vita».
Era stata proprio Francesca Chaouqui a presentare Nuzzi a Balda, era lei ad avere nella disponibilità password e username della posta elettronica del monsignore di Léon. L’esordio della lunghissima corrispondenza tra il segretario della commissione economica e il giornalista di Retequattro avviene il 9 aprile: Balda invias, sempre per Whatsapp, le foto della cassaforte svaligiata alla Cosea, il secondo di tre furti che ruotano attorno agli uffici delle finanze vaticane nel periodo di Francesco.
Nessuna pressione, si evidenzia, da parte del giornalista (e così non si legge di alcuna pressione su Balda dell’altro giornalista, Emiliano Fittipaldi). Poche settimane e il monsignore offre a Nuzzi il piatto forte: gli invia le prime di 87 password che apriranno al giornalista il mondo Cosea, i suoi sprechi, i lussi vaticani. Le carte sono conservate al torrione della prefettura, e Balda invia le foto dei plichi per dare prova al giornalista. Così il religioso spiega la sua azione: «Vedo troppe cose brutte, c’è una distanza tra il Vangelo e l’azione di molti miei fratelli, devo fare qualcosa».
Nuzzi può entrare nella mail di monsignor Balda e da lì prelevare i documenti riservati e stamparli. Sono stati pochi quelli consegnati a mano, cartacei. Rivela ancora, altro messaggio sul telefono, Balda a Nuzzi: «Da quando Francesco ha voluto la commissione Cosea c’è la corsa di cardinali e monsignori per entrare nella prefettura economica». Vogliono controllare quei lavori che si occuperanno di Ior, riciclaggio in Svizzera, conti criptati. Balda confida al giornalista cose riservate su monsignor Pell, che però non finiranno sul libro. Lo incontrerà più volte, anche all’Ambasciatori Palace di via Veneto. Poi la rottura con la Chaouqui, e la Gendarmeria lo mette nel mirino.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Repubblica 24.11.15
Vatileaks
Il giurista Gaetano Azzariti docente di Diritto all’Università di Roma
“Così la Santa Sede si sta mettendo fuori dal diritto europeo”
intervista di Vladimiro Polchi
ROMA. «La legge della Santa Sede non si applica ai cronisti italiani». Gaetano Azzariti, costituzionalista alla Sapienza di Roma, ha letto le norme con le quali i giudici pontifici vogliono incriminare Emiliano Fittipaldi e Gianluca Nuzzi. Il giurista va giù duro: «Processando i due giornalisti, il Vaticano rischia di porsi fuori dall’Europa e dal suo diritto».
Il nuovo codice penale vaticano non vale per gli italiani?
«Siamo davanti a un equivoco. Il nuovo articolo 10 del codice penale Vaticano punisce “chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie di cui è vietata la divulgazione”. Letteralmente dunque si applica a “chiunque”. Ma così non è. Basta leggere la lettera apostolica di accompagno delle nuove norme scritta da papa Francesco: le modifiche si applicano solo ai dipendenti della curia romana. E i due giornalisti in questione non mi paiono esserlo. Chiaro, no?».
Non è stata messa in pericolo la sicurezza di uno Stato estero?
«No, e anche questo conta. Le norme in discussione mirano a garantire la sicurezza dello Stato della Città del Vaticano. A leggere i libri, non mi pare che sia la questione. Che c’entra per esempio l’appartamento del cardinal Bertone con la sicurezza vaticana? Ma c’è soprattutto altro».
Cos’altro?
«Il sistema di fonti del diritto canonico afferma che si recepisce la legislazione italiana laddove non modificata o contraddetta da una legge vaticana.
Si applicano allora i principi fondamentali della nostra Costituzione e l’articolo 21 che garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero e che sottrae la stampa da autorizzazioni o censure».
E le norme internazionali?
«Il sistema giuridico vaticano si conforma anche alle norme internazionali. Tra queste, ricordo l’articolo 11 della Carta di Nizza, che tutela “la libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Ecco, le autorità della Santa Sede rischiano ora di cozzare contro questa norma».
Nessun altro Paese occidentale si sarebbe comportato così?
«Diciamo che il Vaticano rischia di entrare in contrasto con la cultura giuridica europea».
Vatileaks
Il giurista Gaetano Azzariti docente di Diritto all’Università di Roma
“Così la Santa Sede si sta mettendo fuori dal diritto europeo”
intervista di Vladimiro Polchi
ROMA. «La legge della Santa Sede non si applica ai cronisti italiani». Gaetano Azzariti, costituzionalista alla Sapienza di Roma, ha letto le norme con le quali i giudici pontifici vogliono incriminare Emiliano Fittipaldi e Gianluca Nuzzi. Il giurista va giù duro: «Processando i due giornalisti, il Vaticano rischia di porsi fuori dall’Europa e dal suo diritto».
Il nuovo codice penale vaticano non vale per gli italiani?
«Siamo davanti a un equivoco. Il nuovo articolo 10 del codice penale Vaticano punisce “chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie di cui è vietata la divulgazione”. Letteralmente dunque si applica a “chiunque”. Ma così non è. Basta leggere la lettera apostolica di accompagno delle nuove norme scritta da papa Francesco: le modifiche si applicano solo ai dipendenti della curia romana. E i due giornalisti in questione non mi paiono esserlo. Chiaro, no?».
Non è stata messa in pericolo la sicurezza di uno Stato estero?
«No, e anche questo conta. Le norme in discussione mirano a garantire la sicurezza dello Stato della Città del Vaticano. A leggere i libri, non mi pare che sia la questione. Che c’entra per esempio l’appartamento del cardinal Bertone con la sicurezza vaticana? Ma c’è soprattutto altro».
Cos’altro?
«Il sistema di fonti del diritto canonico afferma che si recepisce la legislazione italiana laddove non modificata o contraddetta da una legge vaticana.
Si applicano allora i principi fondamentali della nostra Costituzione e l’articolo 21 che garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero e che sottrae la stampa da autorizzazioni o censure».
E le norme internazionali?
«Il sistema giuridico vaticano si conforma anche alle norme internazionali. Tra queste, ricordo l’articolo 11 della Carta di Nizza, che tutela “la libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Ecco, le autorità della Santa Sede rischiano ora di cozzare contro questa norma».
Nessun altro Paese occidentale si sarebbe comportato così?
«Diciamo che il Vaticano rischia di entrare in contrasto con la cultura giuridica europea».
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Fratelli in Cristo
Alla faccia del bicarbonato di sodio.
Se questi sono i cattolici!
Gli islamici tagliano le teste, ma anche i cattolici non scherzano.
MONS. NEGRI Il presule di Ferrara contro il Pontefice e due colleghi bergogliani
Vescovo di Cl: “Francesco deve
fare la fine di quell’altro Papa”
p“Speriamo che la Madonna
faccia il miracolo
come con quell’altro... ”.
Allusione a Luciani, morto
dopo 33 giorni. L’ostili -
tà per i due “preti di strada”
promossi a Bologna
e Palermo. Poi lo sfogo al
telefono con Farina: “C ose
mai viste. A Caffarra
ho promesso di far vedere
i sorci verdi a quello lì”
(Zuppi, suo successore)
da il fattoquotidiano di oggi, 25 novembre 2015
Alla faccia del bicarbonato di sodio.
Se questi sono i cattolici!
Gli islamici tagliano le teste, ma anche i cattolici non scherzano.
MONS. NEGRI Il presule di Ferrara contro il Pontefice e due colleghi bergogliani
Vescovo di Cl: “Francesco deve
fare la fine di quell’altro Papa”
p“Speriamo che la Madonna
faccia il miracolo
come con quell’altro... ”.
Allusione a Luciani, morto
dopo 33 giorni. L’ostili -
tà per i due “preti di strada”
promossi a Bologna
e Palermo. Poi lo sfogo al
telefono con Farina: “C ose
mai viste. A Caffarra
ho promesso di far vedere
i sorci verdi a quello lì”
(Zuppi, suo successore)
da il fattoquotidiano di oggi, 25 novembre 2015
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Ma i cattolici sono cristiani?
Sulla prima pagina de Il Giornale campeggia da giorni la pubblicità:
Cristiani perseguitati
AIUTIAMOLI
Io mi ritrovo occasionalmente di fronte un cattolico intransigente, berlusconiano ed a mio avviso "fascista" per quello che racconta.
Difensore delle esteriorità della fede.
E' possibile che sotto la stessa fede convivano stremisti di destra e proprinatori della sinistra?????
La fede in cristo non dovrebbe superare questi ostacoli????
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La fede in cristo non dovrebbe superare questi ostacoli????
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
A suo tempo, quando c'era Montanelli, era un giornale liberale.camillobenso ha scritto:Ma i cattolici sono cristiani?
Sulla prima pagina de Il Giornale campeggia da giorni la pubblicità:
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Io mi ritrovo occasionalmente di fronte un cattolico intransigente, berlusconiano ed a mio avviso "fascista" per quello che racconta.
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E' possibile che sotto la stessa fede convivano stremisti di destra e proprinatori della sinistra?????
La fede in cristo non dovrebbe superare questi ostacoli????
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
I tempi sono cammbiati. Eccome sono cambiati.
Mai, solo 20 anni fa si sarebbe potuto leggere su un quotidiano questa invettiva di don Farinella. Anche se la volontà di farlo anche allora non gli mancava.
Vaticano: a proposito della finta donazione del cardinal Bertone
di Paolo Farinella | 20 dicembre 2015
Commenti (1)
Sig. cardinale Tarcisio Pietro Evasio Bertone,
che lei sia inadeguato ai ruoli e compiti che ha svolto è davanti agli occhi di tutti: a Genova dove non lasciò alcuna traccia significativa, ma scelse come plenipotenziario del Galliera, il prof. Giuseppe Profiti, al centro di ogni ben di Dio; da segretario di Stato dove ha distrutto la credibilità della Chiesa universale con la sua incapacità di governo, privo di qualsiasi discernimento, ma dedito a costruire una rete di fedelissimi per perpetuare il suo potere anche da pensionato e da morto; infine da cardinale in pensione con il miserevole attico di 296 mq dove vive con tre suore e magari si rilassa, giocando a golf negli appropriati corridoi.
Leggo sui giornali che lei ha deciso «ex abundantia cordis» di donare all’ospedale Bambin Gesù un contributo di 150mila euro, attinti come da lei dichiarato, dai «miei risparmi e dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative». Mi faccia capire perché c’è qualcosa che non quadra. Non sto a questionare sul fatto che la ristrutturazione è costata € 300mila, di cui 200mila pagati dalla fondazione Bambin Gesù. Mi lascia esterrefatto la notizia che lei ha preso questi soldi «dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative», cioè non per lei, ma perché lei li desse per gli scopi per cui li ha ricevuti o, genericamente, per opere di carità. Invece lei dice che attinge da questi «vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni» per pagare il suo appartamento. Non solo, ma lei parla di «vari anni», lasciando intendere un solo senso: lei ha trattenuto per anni contributi ricevuti per beneficenza. Mi perdoni, quando pensava di darli in beneficenza, alla sua morte per testamento?
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Il buco che lei vuol coprire risulta più grande della toppa che cerca disperatamente di metterci su senza riuscirci perché la sua maldestra difesa aggrava ancora di più la sua posizione che l’espone, per le sue stesse parole, al ludibrio della gente perbene che vede nei suoi comportamenti una miserabile attitudine alla superficialità che è colpa ancora più grande della delinquenza di persone come lei che dicono di volere rappresentare quel Dio che accusa chi veste di porpora di essere soci della casta del potere. Non solo lei ha trattenuto nel suo conto personale denari ricevuti per beneficenza, ma li ha anche trattenuti per «vari anni», lucrando magari sugli interessi che dalle parti dello Ior, gestito da suoi uomini e da lei stesso, potrebbero essere stati più che generosi.
Lei ha rubato due volte ai poveri: la prima volta trattenendo questi denari non suoi e la seconda volta facendosi bello con l’ospedale «Bambin Gesù» dando soldi non suoi, ma quelli della beneficenza che non ha donato negli anni passati. In ultima analisi, poiché è il totale che fa la somma (copyright Totò), lei non sborsa nulla di tasca sua, ma paga tutto sempre con denaro di beneficenza. Complimenti, esimio cardinale!
La rovina dei preti sono sempre i soldi. Per questo sproloquiate di celibato perché così siete più liberi di amare «mammona iniquitatis», fornicando giorno e notte senza essere visti da alcuno. Se il tempo che dedicate a difendere il celibato dei preti, che solo pochi rispettano (e lei lo sa perfettamente!) o a condannare i gay laici – visto che preti, vescovi, monsignori e cardinali lo sono ad abundantiam – o a sproloquiare di separati e divorziati, di cui non sapete nulla, lo dedicaste a proibire ai preti di gestire denaro, fareste una cosa preziosa per il mondo e per la Chiesa. Sicuramente due terzi del clero lascerebbe la Chiesa, ma con il terzo che resta e con l’aiuto dei preti ridotti allo stato laicale perché sposati, ripresi in servizio, saremmo capaci di rivoluzionare il mondo, oltre che il Vaticano, covo di malaffare e di depravazione senza misura.
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Tanti anni fa, quando era potente, io la ripudiai pubblicamente insieme al suo amico e sodale Berlusconi, da cui lei – o lui da lei? – «prese lo bello stile che le ha fatto (dis)onore» e oggi sono contento di avere visto lungo e giusto. Lei mente dicendo di essere salesiano; se lo fosse veramente, avrebbe agito come il cardinale Carlo Maria Martini, il quale, date le dimissioni, si è ritirato in una casa di gesuiti abitando in una stanza 6×4 con letto, tavolo, armadio, servizi e un assistente personale perché malato, partecipando alla vita comunitaria da cui proveniva. Scegliendo di accorpare due appartamenti con i soldi della beneficenza, lei ha dimostrato non solo di non credere in Dio, ma di dare un pugno nello stomaco a Papa Francesco che sta provando a dire ai cardinali, ai vescovi e ai preti che c’è anche un piccolo libretto che si chiama Vangelo. A lei, di sicuro non interessa, perché come i fatti dimostrano, lei legge solo «Gli Attici degli Apostoli».
Con profonda disistima perché la conosco dai tempi di Genova, senza rimpianti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... e/2319715/
Mai, solo 20 anni fa si sarebbe potuto leggere su un quotidiano questa invettiva di don Farinella. Anche se la volontà di farlo anche allora non gli mancava.
Vaticano: a proposito della finta donazione del cardinal Bertone
di Paolo Farinella | 20 dicembre 2015
Commenti (1)
Sig. cardinale Tarcisio Pietro Evasio Bertone,
che lei sia inadeguato ai ruoli e compiti che ha svolto è davanti agli occhi di tutti: a Genova dove non lasciò alcuna traccia significativa, ma scelse come plenipotenziario del Galliera, il prof. Giuseppe Profiti, al centro di ogni ben di Dio; da segretario di Stato dove ha distrutto la credibilità della Chiesa universale con la sua incapacità di governo, privo di qualsiasi discernimento, ma dedito a costruire una rete di fedelissimi per perpetuare il suo potere anche da pensionato e da morto; infine da cardinale in pensione con il miserevole attico di 296 mq dove vive con tre suore e magari si rilassa, giocando a golf negli appropriati corridoi.
Leggo sui giornali che lei ha deciso «ex abundantia cordis» di donare all’ospedale Bambin Gesù un contributo di 150mila euro, attinti come da lei dichiarato, dai «miei risparmi e dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative». Mi faccia capire perché c’è qualcosa che non quadra. Non sto a questionare sul fatto che la ristrutturazione è costata € 300mila, di cui 200mila pagati dalla fondazione Bambin Gesù. Mi lascia esterrefatto la notizia che lei ha preso questi soldi «dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative», cioè non per lei, ma perché lei li desse per gli scopi per cui li ha ricevuti o, genericamente, per opere di carità. Invece lei dice che attinge da questi «vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni» per pagare il suo appartamento. Non solo, ma lei parla di «vari anni», lasciando intendere un solo senso: lei ha trattenuto per anni contributi ricevuti per beneficenza. Mi perdoni, quando pensava di darli in beneficenza, alla sua morte per testamento?
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Lei ha rubato due volte ai poveri: la prima volta trattenendo questi denari non suoi e la seconda volta facendosi bello con l’ospedale «Bambin Gesù» dando soldi non suoi, ma quelli della beneficenza che non ha donato negli anni passati. In ultima analisi, poiché è il totale che fa la somma (copyright Totò), lei non sborsa nulla di tasca sua, ma paga tutto sempre con denaro di beneficenza. Complimenti, esimio cardinale!
La rovina dei preti sono sempre i soldi. Per questo sproloquiate di celibato perché così siete più liberi di amare «mammona iniquitatis», fornicando giorno e notte senza essere visti da alcuno. Se il tempo che dedicate a difendere il celibato dei preti, che solo pochi rispettano (e lei lo sa perfettamente!) o a condannare i gay laici – visto che preti, vescovi, monsignori e cardinali lo sono ad abundantiam – o a sproloquiare di separati e divorziati, di cui non sapete nulla, lo dedicaste a proibire ai preti di gestire denaro, fareste una cosa preziosa per il mondo e per la Chiesa. Sicuramente due terzi del clero lascerebbe la Chiesa, ma con il terzo che resta e con l’aiuto dei preti ridotti allo stato laicale perché sposati, ripresi in servizio, saremmo capaci di rivoluzionare il mondo, oltre che il Vaticano, covo di malaffare e di depravazione senza misura.
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Con profonda disistima perché la conosco dai tempi di Genova, senza rimpianti.
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