Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
IN MEZZO ALLA CATASTROFE CI SIAMO GIA', SENZA ASPETTARE IL DOPO ELEZIONI.
LIBRE news
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segnalazioni
Magaldi: sveglia, Renzi. Ribellati all’Ue, o sarà la catastrofe
Scritto il 14/11/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity.
Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi.
Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd.
E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles.
Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo.
Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente.
Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani».
E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico».
Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri».
E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento.
Ha bluffato, Renzi?
Certamente.
Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.
«A differenza di altri, Renzi potrebbe in extremis dare corpo a quelle che, peraltro, sono sue enunciazioni», afferma Magadi, ai microfoni di “Colors Radio”.
«Giustamente, oggi Renzi chiama in causa la vigilanza di Bankitalia su diverse vicende mal gestite – Bankitalia governata a suo tempo da Mario Draghi».
Certo, si dirà che lo fa «per stornare gli attacchi ricevuti su Banca Etruria».
Ed è paradossale che Berlusconi, «defenestrato a suo tempo soprattutto per volere di Draghi e delle consorterie massoniche di cui Draghi è parte», si schieri oggi in difesa del suo ex killer politico, Mario Draghi.
«Ma questo fa parte del gioco di Berlusconi: da un lato chiede al Parlamento di vigilare sulle vicende dello spread del 2011, talvolta alimentando l’idea che ci sia stato un golpe a suo sfavore, ma poi va a lisciare il pelo di colui che è stato, insieme a Napolitano e altri, il burattinaio di quel golpe, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi».
Se questo è il centrodestra, il centrosinistra sta ancora peggio: ma non solo per colpa di Renzi, sostiene Magaldi.
«Oggi ad esempio assistiamo alle uscite di Veltroni, che dà consigli non richiesti».
Veltroni, cioè «colui che ha portato il Pd alla prima sconfitta, facendo il modo che Prodi perdesse il governo».
Sia chiaro, nessun rimpianto: «Prodi è tra coloro che dovrebbero chiedere scusa agli italiani, avendo (al pari di Berlusconi) governato malissimo l’ingresso dell’Italia in Europa, la sua permanenza e in generale gli ultimi 25 anni di storia», precisa Magaldi.
Che però insiste: non è colpa di Renzi se il Pd, che doveva essere «la quintessenza del progressismo in Italia, raccogliendo forze nuove della società civile e politica», si è ridotto fin dall’inizio a essere soltanto «la fusione tra Margherita e Ds», nonché «l’ennesima propagazione del mondo post-comunista, Pci-Pds».
Matteo Renzi?
«Non è il responsabile del declino del Pd, perché Bersani – prima di lui – ha fatto molto peggio: ha appoggiato il governo Monti, la sciagurata introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e la riforma delle pensioni della sciaguratissima ministra Fornero.
Dovrebbe tacere, Bersarni: vergognarsi, e non mettere l’articolo 1 della Costituzione accanto al simbolo altrettanto grottesco del Mdp, “movimento democratico progressista”».
Per Magaldi, Bersani, D’Alema e soci «sono molto peggio di Renzi, e non a caso i sondaggi li danno a percentuali risibili: non sono credibili né come alternativa a sinistra del Pd, né per rifare il centrosinistra su basi diverse da quelle renziane».
Detto questo, continua Magaldi, anche Renzi ha le sue responsabilità. «Per questo, se ha un minimo senso di autoconservazione, è importante che – in modo fulmineo – cambi rotta: gli italiani non gli perdonano di esser stato un affabulatore, qualcuno che ha promesso, che ha dato delle speranze».
Alle ultime europee, il Pd renziano aveva superato il 40%?
Logico: «Molti hanno creduto in Renzi, nel suo piglio giovanile, nella sua capacità di comunicazione, nel suo ottimismo.
Molti hanno pensato che fosse la carta giusta.
Gli hanno creduto quando l’hanno sentito parlare di una nuova Europa, quando ha detto che le cose che aveva in mente avrebbero riportato occupazione e benessere».
Le cose, come sappiamo, non sono andate esattamente così.
Nel suo libro, “Avanti”, oggi Renzi si lamenta: sostiene di non essere stato compreso.
Ammette di aver commesso degli errori (solo veniali, però) e non si rende conto che il Jobs Act ha accentuato la precarierà del lavoro.
In teoria non sarebbe sbagliata l’idea delle “tutele crescenti”, dice Magaldi, ma è insostenibile in questo contesto politico-economico: «Se invece si desse per Costituzione il diritto al lavoro, questo consentirebbe anche di abbandonare le vecchie tutele – ma allora non ci sarebbe neppure più bisogno del Jobs Act».
Il vero problema che la politica italiana – Renzi compreso – finge di ignorare, è il carattere artificioso della crisi, ormai disastrosa: viviamo da decenni «in un clima di economia asfittica e di impossibilità delle istituzioni di rilanciare lavoro, occupazione e benessere, rinnovando infrastrutture divenute fatiscenti».
E quindi, «in un paese pesantemente trattenuto anche dal Patto di Stabilità che frena gli enti locali, è inutile che Renzi venga a dire che non è stato compreso e che ha i nemici in casa».
Renzi, aggiunge Magaldi, deve decidersi «in tempi rapidissimi», perché dopo le elezioni sarà già tardi. Deve scegliere «se davvero vuole essere quello che dà un nuovo passo all’Italia».
Per farlo, però, «deve abbracciare un paradigma politico-economico che è alternativo a quello dell’austerity».
E’ inutile che continui a vantarsi di litigare quotidianamente con i partner europei: «Tutti hanno visto il suo abbaiare e poi il suo sostanziale andare a baciare più volte l’anello di Angela Merkel e degli altri potenti, di quella che qualcuno definirebbe Euro-Germania, ma che non è altro che un meccanismo asservito a interessi sovranazionali di carattere privato».
In sostanza, dice Magaldi, se Renzi non esce dal letargo non lo farà nessun altro: nemmeno Salvini e la Meloni avrebbero la forza necessaria a scuotere il paese.
«Salvini – amette Magaldi – è stato bravo a investire nella trasformazione della Lega come movimento non più settentrionale ma nazionale».
Dal leader leghista arrivano «giuste critiche ad alcuni aspetti dell’Europa».
Bene anche quando dice che i migranti vanno “aiutati a casa loro”: peccano non si ricordi una sola proposta concreta, della Lega, per aiutare davvero “a casa loro” i disperati che giungono sulle nostre coste.
Soprattutto: «Salvini ha in mente un impianto economico che è tradizionale: le ricette che propone non sono troppo dissimili da quelle del liberismo classimo».
Per primo, con lucidità, Salvini ha chiesto di abbattere le aliquote fiscali: «Ma non basta, serve di più.
A Salvini, probabilmente, manca la la percezione della necessità di ricette keynesiane».
Fa benissimo a chiedere le primarie nel centrodestra, che Magaldi gli augura di vincere: «Un giorno Salvini potrebbe evolvere, capendo meglio la necessità di un cambio di paradigma politico-economico: occorre comprendere la radice del problema, che riguarda la globalizzazione e il pensiero neliberista egemone nella cosiddetta austerity che ancora ispira tutti i governi europei».
Per rompere questo pensiero unico, dice ancora Magaldi, occorre che Salvini e altri «cambino il loro modo di guardare alla società e all’economia, ma ancora questo passo non l’hanno fatto».
Perché «non basta dire no a quest’Europa», serve una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere la sovranità democratica, mettendo fine al dominio ideologico dell’élite che ha dogmatizzato il neoliberismo, fino a traformare l’Europa in un inferno di sofferenze sociali. «Io sono un europeista – chiarisce Magaldi – ma mi vergogno di come l’europeismo sia stato tradito da questi anti-europeisti che oggi portano il vessillo delle istituzioni europee».
Sarebbe questa l’unica battaglia giusta, necessaria e urgentissima, per poter dare un senso alle prossime elezioni.
Che invece, avanti di questo passo, nessuno vincerà davvero: né il Renzi dormiente, né lo stesso Salvini.
«Nessuno dei leader di punta, quelli cioè troppo caratterizzanti, arriverà a Palazzo Chigi: nessuno di loro potrà essere a capo di un governo di coalizione.
E nessuno le vincerà, le prossime elezioni: non il centrodestra, né il Movimento 5 Stelle. E non il centrosinistra, che anzi si prepara alla catastrofe».
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Magaldi: sveglia, Renzi. Ribellati all’Ue, o sarà la catastrofe
Scritto il 14/11/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity.
Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi.
Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd.
E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles.
Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo.
Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente.
Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani».
E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico».
Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri».
E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento.
Ha bluffato, Renzi?
Certamente.
Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.
«A differenza di altri, Renzi potrebbe in extremis dare corpo a quelle che, peraltro, sono sue enunciazioni», afferma Magadi, ai microfoni di “Colors Radio”.
«Giustamente, oggi Renzi chiama in causa la vigilanza di Bankitalia su diverse vicende mal gestite – Bankitalia governata a suo tempo da Mario Draghi».
Certo, si dirà che lo fa «per stornare gli attacchi ricevuti su Banca Etruria».
Ed è paradossale che Berlusconi, «defenestrato a suo tempo soprattutto per volere di Draghi e delle consorterie massoniche di cui Draghi è parte», si schieri oggi in difesa del suo ex killer politico, Mario Draghi.
«Ma questo fa parte del gioco di Berlusconi: da un lato chiede al Parlamento di vigilare sulle vicende dello spread del 2011, talvolta alimentando l’idea che ci sia stato un golpe a suo sfavore, ma poi va a lisciare il pelo di colui che è stato, insieme a Napolitano e altri, il burattinaio di quel golpe, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi».
Se questo è il centrodestra, il centrosinistra sta ancora peggio: ma non solo per colpa di Renzi, sostiene Magaldi.
«Oggi ad esempio assistiamo alle uscite di Veltroni, che dà consigli non richiesti».
Veltroni, cioè «colui che ha portato il Pd alla prima sconfitta, facendo il modo che Prodi perdesse il governo».
Sia chiaro, nessun rimpianto: «Prodi è tra coloro che dovrebbero chiedere scusa agli italiani, avendo (al pari di Berlusconi) governato malissimo l’ingresso dell’Italia in Europa, la sua permanenza e in generale gli ultimi 25 anni di storia», precisa Magaldi.
Che però insiste: non è colpa di Renzi se il Pd, che doveva essere «la quintessenza del progressismo in Italia, raccogliendo forze nuove della società civile e politica», si è ridotto fin dall’inizio a essere soltanto «la fusione tra Margherita e Ds», nonché «l’ennesima propagazione del mondo post-comunista, Pci-Pds».
Matteo Renzi?
«Non è il responsabile del declino del Pd, perché Bersani – prima di lui – ha fatto molto peggio: ha appoggiato il governo Monti, la sciagurata introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e la riforma delle pensioni della sciaguratissima ministra Fornero.
Dovrebbe tacere, Bersarni: vergognarsi, e non mettere l’articolo 1 della Costituzione accanto al simbolo altrettanto grottesco del Mdp, “movimento democratico progressista”».
Per Magaldi, Bersani, D’Alema e soci «sono molto peggio di Renzi, e non a caso i sondaggi li danno a percentuali risibili: non sono credibili né come alternativa a sinistra del Pd, né per rifare il centrosinistra su basi diverse da quelle renziane».
Detto questo, continua Magaldi, anche Renzi ha le sue responsabilità. «Per questo, se ha un minimo senso di autoconservazione, è importante che – in modo fulmineo – cambi rotta: gli italiani non gli perdonano di esser stato un affabulatore, qualcuno che ha promesso, che ha dato delle speranze».
Alle ultime europee, il Pd renziano aveva superato il 40%?
Logico: «Molti hanno creduto in Renzi, nel suo piglio giovanile, nella sua capacità di comunicazione, nel suo ottimismo.
Molti hanno pensato che fosse la carta giusta.
Gli hanno creduto quando l’hanno sentito parlare di una nuova Europa, quando ha detto che le cose che aveva in mente avrebbero riportato occupazione e benessere».
Le cose, come sappiamo, non sono andate esattamente così.
Nel suo libro, “Avanti”, oggi Renzi si lamenta: sostiene di non essere stato compreso.
Ammette di aver commesso degli errori (solo veniali, però) e non si rende conto che il Jobs Act ha accentuato la precarierà del lavoro.
In teoria non sarebbe sbagliata l’idea delle “tutele crescenti”, dice Magaldi, ma è insostenibile in questo contesto politico-economico: «Se invece si desse per Costituzione il diritto al lavoro, questo consentirebbe anche di abbandonare le vecchie tutele – ma allora non ci sarebbe neppure più bisogno del Jobs Act».
Il vero problema che la politica italiana – Renzi compreso – finge di ignorare, è il carattere artificioso della crisi, ormai disastrosa: viviamo da decenni «in un clima di economia asfittica e di impossibilità delle istituzioni di rilanciare lavoro, occupazione e benessere, rinnovando infrastrutture divenute fatiscenti».
E quindi, «in un paese pesantemente trattenuto anche dal Patto di Stabilità che frena gli enti locali, è inutile che Renzi venga a dire che non è stato compreso e che ha i nemici in casa».
Renzi, aggiunge Magaldi, deve decidersi «in tempi rapidissimi», perché dopo le elezioni sarà già tardi. Deve scegliere «se davvero vuole essere quello che dà un nuovo passo all’Italia».
Per farlo, però, «deve abbracciare un paradigma politico-economico che è alternativo a quello dell’austerity».
E’ inutile che continui a vantarsi di litigare quotidianamente con i partner europei: «Tutti hanno visto il suo abbaiare e poi il suo sostanziale andare a baciare più volte l’anello di Angela Merkel e degli altri potenti, di quella che qualcuno definirebbe Euro-Germania, ma che non è altro che un meccanismo asservito a interessi sovranazionali di carattere privato».
In sostanza, dice Magaldi, se Renzi non esce dal letargo non lo farà nessun altro: nemmeno Salvini e la Meloni avrebbero la forza necessaria a scuotere il paese.
«Salvini – amette Magaldi – è stato bravo a investire nella trasformazione della Lega come movimento non più settentrionale ma nazionale».
Dal leader leghista arrivano «giuste critiche ad alcuni aspetti dell’Europa».
Bene anche quando dice che i migranti vanno “aiutati a casa loro”: peccano non si ricordi una sola proposta concreta, della Lega, per aiutare davvero “a casa loro” i disperati che giungono sulle nostre coste.
Soprattutto: «Salvini ha in mente un impianto economico che è tradizionale: le ricette che propone non sono troppo dissimili da quelle del liberismo classimo».
Per primo, con lucidità, Salvini ha chiesto di abbattere le aliquote fiscali: «Ma non basta, serve di più.
A Salvini, probabilmente, manca la la percezione della necessità di ricette keynesiane».
Fa benissimo a chiedere le primarie nel centrodestra, che Magaldi gli augura di vincere: «Un giorno Salvini potrebbe evolvere, capendo meglio la necessità di un cambio di paradigma politico-economico: occorre comprendere la radice del problema, che riguarda la globalizzazione e il pensiero neliberista egemone nella cosiddetta austerity che ancora ispira tutti i governi europei».
Per rompere questo pensiero unico, dice ancora Magaldi, occorre che Salvini e altri «cambino il loro modo di guardare alla società e all’economia, ma ancora questo passo non l’hanno fatto».
Perché «non basta dire no a quest’Europa», serve una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere la sovranità democratica, mettendo fine al dominio ideologico dell’élite che ha dogmatizzato il neoliberismo, fino a traformare l’Europa in un inferno di sofferenze sociali. «Io sono un europeista – chiarisce Magaldi – ma mi vergogno di come l’europeismo sia stato tradito da questi anti-europeisti che oggi portano il vessillo delle istituzioni europee».
Sarebbe questa l’unica battaglia giusta, necessaria e urgentissima, per poter dare un senso alle prossime elezioni.
Che invece, avanti di questo passo, nessuno vincerà davvero: né il Renzi dormiente, né lo stesso Salvini.
«Nessuno dei leader di punta, quelli cioè troppo caratterizzanti, arriverà a Palazzo Chigi: nessuno di loro potrà essere a capo di un governo di coalizione.
E nessuno le vincerà, le prossime elezioni: non il centrodestra, né il Movimento 5 Stelle. E non il centrosinistra, che anzi si prepara alla catastrofe».
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Re: Diario della caduta di un regime.
16 nov 2017 17:40
TOTO’ RIINA E’ IN FIN DI VITA
- IL BOSS, IN COMA DOPO DUE INTERVENTI CHIRURGICI, OGGI COMPIE 87 ANNI
- ARRESTATO IL 15 GENNAIO DEL 1993 DOPO 24 ANNI DI LATITANZA, È ANCORA CONSIDERATO DAGLI INQUIRENTI IL CAPO INDISCUSSO DI COSA NOSTRA
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(ANSA) - E' in fin di vita il boss corleonese Totò Riina. Malato da tempo, è ricoverato nel Reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Il capomafia, in coma da giorni dopo due interventi chirurgici, compie oggi 87 anni. Arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, è ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa nostra.
Riina sta scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del '92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del '93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un'offensiva armata contro lo Stato nei primi anni '90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell'omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. L'ultimo processo a suo carico, ancora in corso, è quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Nelle ultime settimane Riina è stato operato due volte. I medici hanno da subito avvertito che difficilmente il boss,le cui condizioni sono da anni compromesse, avrebbe superato gli interventi.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 160985.htm
TOTO’ RIINA E’ IN FIN DI VITA
- IL BOSS, IN COMA DOPO DUE INTERVENTI CHIRURGICI, OGGI COMPIE 87 ANNI
- ARRESTATO IL 15 GENNAIO DEL 1993 DOPO 24 ANNI DI LATITANZA, È ANCORA CONSIDERATO DAGLI INQUIRENTI IL CAPO INDISCUSSO DI COSA NOSTRA
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(ANSA) - E' in fin di vita il boss corleonese Totò Riina. Malato da tempo, è ricoverato nel Reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Il capomafia, in coma da giorni dopo due interventi chirurgici, compie oggi 87 anni. Arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, è ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa nostra.
Riina sta scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del '92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del '93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un'offensiva armata contro lo Stato nei primi anni '90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell'omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. L'ultimo processo a suo carico, ancora in corso, è quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Nelle ultime settimane Riina è stato operato due volte. I medici hanno da subito avvertito che difficilmente il boss,le cui condizioni sono da anni compromesse, avrebbe superato gli interventi.
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- Iscritto il: 18/03/2012, 10:43
Re: Diario della caduta di un regime.
Quindi alla fine il massone non deviato, che spara sull'Mdp e su Prodi, non si sa perché ancora crede in Renzi.
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Diario della caduta di un regime.
cielo 70 ha scritto:Quindi alla fine il massone non deviato, che spara sull'Mdp e su Prodi, non si sa perché ancora crede in Renzi.
L'articolo di LIBRE su Magaldi che sollecita Pinocchio Mussoloni, ho dovuto precederlo con il commento:
IN MEZZO ALLA CATASTROFE CI SIAMO GIA', SENZA ASPETTARE IL DOPO ELEZIONI.
perchè il tempo in cui gli uomini perdono la testa è arrivato.
Gioele Magaldi, classe 1971, storico, politologo e filosofo, ex Maestro Venerabile della loggia "Monte Sion di Roma" (GOI)*, già membro della Ur-Lodge "Thomas Paine, è Gran Maestro del movimento massonico "Grande Oriente Democratico" (GOD), anche se non ancora cinquantenne, ha dimostrato di possedere una certa intelligenza affidabile nei suoi scritti.
Ha dimostrato anche di avere un certo coraggio, mettendo in piazza la massoneria italiana, con la pubblicazione del libro:
MASSONI
SOCIETA' A RESPONSABILITITA' ILLIMITATA
Quarta edizione gennaio 2015
Edito da CHIARELETTERE
Ma anche lui, come domenica scorsa sull'Espresso, Cacciari, hanno subito un stop delle loro capacità intellettuali.
Pur comprendendo lo spauracchio per una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni, implorando Pinocchio Mussoloni di fare quello che loro propongono, dimostrano di non avere capito assolutamente nulla del personaggio Pinocchio Mussoloni.
Otterrebbero di più dal muro della Chiesa dell'Assunta, di Via Dante, se tutti e due si mettessero insieme davanti al muro e implorarlo di ascoltarli.
* (GOI) = Grande Oriente d'Italia
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Diario della caduta di un regime.
18 nov 2017 11:46
MATTARELLA STA PER SUONARE IL GONG! NIENTE RINVII, AL VOTO IL 4 MARZO
- IN CASO DI ESITO SPAGNOLO SENZA UN VINCITORE DOPO LE ELEZIONI NON AVREMO "GOVERNI DEL COLLE"
- L'IPOTESI DI UN VOTO BIS A FINE GIUGNO
-
Ugo Magri per la Stampa
Matteo Renzi ha urgenza di tornare alle urne, anzi fosse dipeso da lui avremmo votato già la scorsa primavera.
Silvio Berlusconi, invece, non ha per niente fretta: vorrebbe prima tornare candidabile e spera che la sentenza di Strasburgo arrivi in tempo per le prossime elezioni.
Ogni leader ha segnato sul calendario la propria data ideale, in base ai rispettivi calcoli di convenienza.
Ma la decisione non spetta ai partiti.
Il potere di sciogliere le Camere e mandare tutti a casa appartiene al Capo dello Stato.
L' orientamento di Sergio Mattarella, secondo quanto filtra dal Colle, è di ridare la parola al popolo non appena il «Rosatellum» sarà operativo.
Al governo resta meno di un mese per ridisegnare i collegi, poi le commissioni parlamentari daranno un parere, ma non vincolante. Entro Natale l' intera trafila sarà conclusa.
Nel frattempo, il Parlamento avrà licenziato la legge di bilancio e, forse, pure lo Ius soli.
A quel punto, per il decreto di scioglimento, ogni giorno sarà quello buono. Non ci sarà nemmeno bisogno che Paolo Gentiloni salga a dare le dimissioni: il Presidente della Repubblica può staccare comunque la spina, come è accaduto altre volte in passato.
Gli basterà constatare che la legislatura è esaurita, «sentiti» i presidenti di Senato e Camera (entrambi peraltro già lanciatissimi nella campagna elettorale). Dopodiché la legge prescrive: le elezioni vanno tenute tra i 45 e i 70 giorni dalla firma presidenziale. Dunque le date su cui è orientato il Quirinale sono il 4 oppure l' 11 marzo, più la prima delle due domeniche. Non risultano volontà di rinvio, solo conferme che il gong sta per suonare.
Il caso spagnolo La scelta del 4 marzo (o dell' 11) potrà avere un grande impatto su quanto accadrà dopo le elezioni.
Soprattutto nel caso in cui dalle urne non dovesse emergere un chiaro vincitore.
Perché, votando in quella data, Mattarella avrà qualche settimana di tempo per consultare i partiti, dare un incarico e poi, casomai l' incaricato fallisse, ritentare con qualcun altro; insomma, potrà verificare se nel nuovo Parlamento ci sarà una maggioranza possibile.
E qualora nessuna soluzione di governo si rivelasse praticabile, procedendo in fretta resterebbe comunque aperta una finestrella per eventuali nuove elezioni prima dell'estate.
Detta così, può sembrare una pazzia: mai è accaduto in Italia di votare due volte a stretto giro.
Ma talvolta la realtà batte l' immaginazione, e del resto gli spagnoli hanno appena concesso il bis, prima di convergere faticosamente sul governo Rajoy.
Per volontà del popolo sovrano, l' Italia potrebbe ritrovarsi nella stessa precaria condizione della Spagna.
Ai frequentatori del Colle l' eventualità, sia pure teorica, è ben presente.
Lassù nessuno si augura uno scenario di caos.
Il primo a non desiderarlo è, con tutta evidenza, Mattarella.
Nei suoi panni di arbitro della crisi, l'ideale sarebbe che emergessero una maggioranza e un premier la sera stessa delle elezioni.
O che nei giorni successivi, perlomeno, i partiti si accordassero tra loro, in modo da non lasciare il Paese senza governo.
Nell' ambito della sua «moral suasion», senza dubbio Mattarella calerà in quel caso la carta della persuasione.
Ma chi ritiene (o si illude) che l'attuale inquilino del Quirinale ci metterà comunque una pezza, e pur di guadagnare tempo darà vita a governi «del Presidente», «tecnici», «balneari», «purchessia» o «allo sbando» (tutti privi di una maggioranza certa e stabile), esponendosi all' accusa di voler negare la voce al popolo, quel qualcuno è fuori strada.
Fine della supplenza
Non solo al Quirinale ma in tutti i palazzi che contano, compresi quelli lontano dall' Italia, l'epoca delle «supplenze» istituzionali viene considerata agli sgoccioli.
Sei anni di governi indicati dal Capo dello Stato hanno messo a nudo potenzialità e limiti delle formule emergenziali, calate dall' alto.
Il poco che circola sugli scenari futuri va in tutt' altra direzione: Mattarella non ha la minima intenzione di surrogare i partiti.
Saranno loro, ed essi soltanto, protagonisti dei rispettivi destini.
Toccherà ai leader assumersi la responsabilità di fare accordi, accettando i compromessi necessari, oppure di riportare l' Italia alle urne.
Votando ai primi di marzo, sarebbe ancora possibile riprovarci entro fine giugno, per esempio domenica 24.
E non è detto che i risultati si ripeterebbero in fotocopia.
Qualcuno potrebbe pagare caro un «no» irragionevole a intese di buon senso.
Ma soprattutto (così ritiene chi meglio conosce il Presidente), nessuno potrà permettersi di mantenere preclusioni, pregiudiziali e veti sulla premessa che, tanto, sarà il Capo dello Stato a metterci la faccia davanti al Paese.
È ora che i partiti crescano, nella forza e nelle responsabilità.
Non può esserci sempre un papà che provvede.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 161098.htm
MATTARELLA STA PER SUONARE IL GONG! NIENTE RINVII, AL VOTO IL 4 MARZO
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Ugo Magri per la Stampa
Matteo Renzi ha urgenza di tornare alle urne, anzi fosse dipeso da lui avremmo votato già la scorsa primavera.
Silvio Berlusconi, invece, non ha per niente fretta: vorrebbe prima tornare candidabile e spera che la sentenza di Strasburgo arrivi in tempo per le prossime elezioni.
Ogni leader ha segnato sul calendario la propria data ideale, in base ai rispettivi calcoli di convenienza.
Ma la decisione non spetta ai partiti.
Il potere di sciogliere le Camere e mandare tutti a casa appartiene al Capo dello Stato.
L' orientamento di Sergio Mattarella, secondo quanto filtra dal Colle, è di ridare la parola al popolo non appena il «Rosatellum» sarà operativo.
Al governo resta meno di un mese per ridisegnare i collegi, poi le commissioni parlamentari daranno un parere, ma non vincolante. Entro Natale l' intera trafila sarà conclusa.
Nel frattempo, il Parlamento avrà licenziato la legge di bilancio e, forse, pure lo Ius soli.
A quel punto, per il decreto di scioglimento, ogni giorno sarà quello buono. Non ci sarà nemmeno bisogno che Paolo Gentiloni salga a dare le dimissioni: il Presidente della Repubblica può staccare comunque la spina, come è accaduto altre volte in passato.
Gli basterà constatare che la legislatura è esaurita, «sentiti» i presidenti di Senato e Camera (entrambi peraltro già lanciatissimi nella campagna elettorale). Dopodiché la legge prescrive: le elezioni vanno tenute tra i 45 e i 70 giorni dalla firma presidenziale. Dunque le date su cui è orientato il Quirinale sono il 4 oppure l' 11 marzo, più la prima delle due domeniche. Non risultano volontà di rinvio, solo conferme che il gong sta per suonare.
Il caso spagnolo La scelta del 4 marzo (o dell' 11) potrà avere un grande impatto su quanto accadrà dopo le elezioni.
Soprattutto nel caso in cui dalle urne non dovesse emergere un chiaro vincitore.
Perché, votando in quella data, Mattarella avrà qualche settimana di tempo per consultare i partiti, dare un incarico e poi, casomai l' incaricato fallisse, ritentare con qualcun altro; insomma, potrà verificare se nel nuovo Parlamento ci sarà una maggioranza possibile.
E qualora nessuna soluzione di governo si rivelasse praticabile, procedendo in fretta resterebbe comunque aperta una finestrella per eventuali nuove elezioni prima dell'estate.
Detta così, può sembrare una pazzia: mai è accaduto in Italia di votare due volte a stretto giro.
Ma talvolta la realtà batte l' immaginazione, e del resto gli spagnoli hanno appena concesso il bis, prima di convergere faticosamente sul governo Rajoy.
Per volontà del popolo sovrano, l' Italia potrebbe ritrovarsi nella stessa precaria condizione della Spagna.
Ai frequentatori del Colle l' eventualità, sia pure teorica, è ben presente.
Lassù nessuno si augura uno scenario di caos.
Il primo a non desiderarlo è, con tutta evidenza, Mattarella.
Nei suoi panni di arbitro della crisi, l'ideale sarebbe che emergessero una maggioranza e un premier la sera stessa delle elezioni.
O che nei giorni successivi, perlomeno, i partiti si accordassero tra loro, in modo da non lasciare il Paese senza governo.
Nell' ambito della sua «moral suasion», senza dubbio Mattarella calerà in quel caso la carta della persuasione.
Ma chi ritiene (o si illude) che l'attuale inquilino del Quirinale ci metterà comunque una pezza, e pur di guadagnare tempo darà vita a governi «del Presidente», «tecnici», «balneari», «purchessia» o «allo sbando» (tutti privi di una maggioranza certa e stabile), esponendosi all' accusa di voler negare la voce al popolo, quel qualcuno è fuori strada.
Fine della supplenza
Non solo al Quirinale ma in tutti i palazzi che contano, compresi quelli lontano dall' Italia, l'epoca delle «supplenze» istituzionali viene considerata agli sgoccioli.
Sei anni di governi indicati dal Capo dello Stato hanno messo a nudo potenzialità e limiti delle formule emergenziali, calate dall' alto.
Il poco che circola sugli scenari futuri va in tutt' altra direzione: Mattarella non ha la minima intenzione di surrogare i partiti.
Saranno loro, ed essi soltanto, protagonisti dei rispettivi destini.
Toccherà ai leader assumersi la responsabilità di fare accordi, accettando i compromessi necessari, oppure di riportare l' Italia alle urne.
Votando ai primi di marzo, sarebbe ancora possibile riprovarci entro fine giugno, per esempio domenica 24.
E non è detto che i risultati si ripeterebbero in fotocopia.
Qualcuno potrebbe pagare caro un «no» irragionevole a intese di buon senso.
Ma soprattutto (così ritiene chi meglio conosce il Presidente), nessuno potrà permettersi di mantenere preclusioni, pregiudiziali e veti sulla premessa che, tanto, sarà il Capo dello Stato a metterci la faccia davanti al Paese.
È ora che i partiti crescano, nella forza e nelle responsabilità.
Non può esserci sempre un papà che provvede.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 161098.htm
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).
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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Scritto il 14/11/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia.
In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano.
Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me.
Voglio restituire la mia carta d’identità.
Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore.
Sì, signor presidente, mi dimetto.
Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano.
Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato.
Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere.
Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore.
Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano.
Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.
Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo.
Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento.
Questo lo scenario targato Italia 2017.
Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati.
Chiunque, l’importante che non sia italiano.
Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese.
Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire.
Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria.
Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina?
Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.
In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti.
Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale.
Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo.
Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione.
Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro.
Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano.
Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno.
Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza.
Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto.
Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini.
Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.
In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva.
Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle.
Si votassero da soli.
Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale.
Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno.
Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà.
Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna.
Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto.
Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio.
La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale.
La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni.
Questo paese è devastato dal dolore.
Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.
AVEVA DICHIARATO CHE SI DIMETTEVA DA ITALIANO.
AVEVA TIRATO IN BALLO ANCHE MATTARELLA.
SI TRATTAVA SOLO DI PROPAGANDA, E LIBRE HA ABBOCCATO
COME TANTI
RACCONTANO BALLE SU BALLE E GLI ITALIANI MERLONI CI CREDONO PURE
17 NOV
17
Senza Nazione, non c’è Nazionale: L’Italia per uscire dalla crisi deve ritrovare la sua identità
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“Il risultato è casuale, la prestazione no”, Zdeněk Zeman, detto Sdengo ed il creatore di Zemanlandia – parco giochi della pelota che riporta alla mente la nostra infanzia pallonara – nella sua essenza di boemo pronunciò il perfetto epitaffio per il calcio italiano targato 2017. Ho già negli occhi i vostri pensieri. Ma come aumenta l’età pensionabile, non c’è lavoro, i giovani non hanno un avvenire e tu Andrea perdi tempo dietro a 11 miliardari in pantaloncini? Bene, questi miliardari sono la rappresentazione plastica dell’Italia. Senza nazione non c’è nazionale e la Svezia, maledetto sia l’Ikea, lo ha sancito per almeno tre anni, tanto ci separa dai prossimi europei. Tanto ci separa dallo stadio di Wembley nel 2020. Un crollo epocale, partito proprio all’indomani della finale di Berlino del 9 luglio 2006. Un incedere arrivato fino a San Siro, dove si salva solo il pubblico, solo gli italiani che quando tutto è perduto, a otto minuti dalla fine dell’incontro, intonano l’Inno di Mameli. Il popolo non ha perso, i sentimenti restano in piedi tra le rovine. Del resto, come disse Arrigo Sacchi: “Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”, e non possiamo immaginare un’estate a sfera senza il tricolore che duella per la Coppa del Mondo. Un sogno rovinato ai settenni e agli ottenni di questo tempo.
“Mi viene da piangere. Perché sento l’abitudine di un affetto che si smembra ancora di più. Si allontana da me, ancora una volta. E mi sento come se dovessi partire, come gli esuli dell’Istria, a non guardare il terreno camminando in avanti, col rischio di inciampare, per guardare un’ultima volta ancora casa loro. Dove tutto ha avuto inizio. Mi sento costretto, mai per mia volontà, a staccarmi ancora un pezzo dall’Italia, in ogni piccolo, grande evento della modernità. La stanno radendo al suolo per farci un grande centro commerciale. E mi sento solo, razza in estinzione, coglione con la bandiera in mano. Se si vuole amare questo posto, si deve essere pronti a sentirsi dire ogni cosa”. Proprio su uno di questi blog, dal titolo Contraerea, è uscito alcuni giorni fa un articolo a firma Emanuele Ricucci. Il vessillo tra le mani, la volontà di non cedere eppure tutto è finito nelle lacrime di Gianluigi Buffon. “Abbiamo fallito un qualcosa che anche a livello sociale, poteva essere veramente importante”. Dal mondo dorato del cuoio deve arrivare la riscossa per invertire la rotta, lo sport è fondamentale per dare una spina dorsale solida al futuro dell’Italia. Quando scopriamo che nelle scuole un bambino su tre non è in grado di fare una capriola, dobbiamo indignarci. L’attività fisica è fondamentale per forgiare la nazione, ed il fallimento degli azzurri rappresenta il fallimento di ognuno di noi.
“L’Italia è fuori dal Mondiale e la cosa non sarebbe un dramma se ci fosse la certezza che dalle ceneri il Palazzo avesse la voglia e la dignità per ricostruire. Come hanno fatto il Belgio verso la fine degli anni ’80 e la potente Germania dopo le delusioni del Mondiale ’98 in Francia. Investimenti, progetti mirati, difesa del prodotto finale che è la Nazionale. Invece temiamo che da adesso in avanti la maggior parte del tempo si consumerà dentro a sotterranee guerre di Palazzo alla conquista e alla conservazione del Potere”. Paolo Bargiggia, sulle colonne de Il Primato Nazionale, la tocca piano. Preferiamo ferirci fino a cadere piuttosto che affrontare la situazione. Prendere il toro per le corna è contro il democristiano che affastella l’inedia tricolore. Giovanni Malagò, presidente del CONI, ha dichiarato che se fosse nei panni di Carlo Tavecchio si dimetterebbe. Quando poi basta andare a vedere in che condizione versa, in generale, lo sport italiano per mettersi le mani nei capelli. Dall’atletica alla pallacanestro passando per decine di altre discipline la situazione è allarmante, da decenni. Mancano gli uomini, mancano le strutture, mancano le programmazioni. In sostanza tutto è lasciato al caso e alla predisposizione dei pochi. Ma così il talento si disperde nel nulla, passa tra le dita senza un filtro. Ed allora non resta che rifugiarci nelle parole di Jorge Luis Borges, restando infanti per sempre: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio”.
Trovare un capro espiatorio in queste occasione è facile, ma anche l’unica cosa da fare per ripartire. Gian Piero Ventura pagherà per tutti, il condottiero affonderà con tutta la nave pur senza prendersi le sue responsabilità. Ma in un’Italia governata dai Gentiloni, dai Renzi, dalle Raggi e compagnia cantante non c’è da sorprendersi. Il vero dramma è la mancanza di rabbia, di cattiveria e del sacro sentimento di riscatto. Molli al traguardo quando serve il coltello tra i denti, dote innata del popolo italico. Una resa sotto tutti i punti di vista, mentre Gianluigi Buffon, Andrea Barzagli e Daniele De Rossi dicono addio, nel peggiore dei modi, alla casacca azzurra. Non c’è Lorenzo Insigne che tenga, nel crollo dell’armata italiana. Ritorneremo, proprio come deve fare questo Stato, una volta – non molti anni fa – quinta potenza economica mondiale e insegnate di civiltà per la galassia intera. Un pallone sgonfio, ma pieno di rivalsa deve essere questo stivale, pronto a calciare, in orbita, le delusioni di una crisi che colpisce tutto e tutti con una disarmante soluzione di continuità. “La vendetta non è mai una strada dritta. È una foresta. E in una foresta è facile smarrirsi. Non sai dove sei, né da dove sei partito”. Il guerriero e condottiero giapponese, Hattori Hanzō, indica la via della rivalsa. Perdersi un istante, così come la gloria. Ci chiamiamo Italia e tornare sulla cresta dell’onda è la nostra, nuova ed imperitura, missione. Allontanando chi vuole trasferire lo Ius Soli nello sport, perché per ritornare, dove ci compete, abbiamo bisogno della nostra identità. www.AndreaPasini.it www.ILGiornale.it
http://blog.ilgiornale.it/pasini/2017/1 ... -identita/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Onestamente del calcio mi importa poco. Se c'è da fare qualche cambiamento è nel giro di soldi che c'è da molto tempo e dai compensi dei calciatori che fanno indignare chi non riesce a farcela.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Ostia, vince l'astensionismo
A Ostia la candidata grillina raggiunge il 59,65%, mentre il centrodestra si ferma al 40,35%. Astensione record
Andrea Riva - Lun, 20/11/2017 - 00:05
commenta
Secondo i primi dati, Giuliana Di Pillo, la candidata del Movimento 5 Stelle, avrebbe raggiunto il 59,65%, mentre Monica Picca, candidata del centrodestra, si sarebbe fermata al 40,35%.
Questi, secondo il sito del Campidoglio, sono i primi dati relativi a 100 sezioni su 183. Le candidate al momento sono separate da circa 10mila voti, con l'esponente del Movimento 5 Stelle che appare avviata verso l'affermazione elettorale.
Se dopo il primo turno la Di Pillo era in vantaggio di appena 2.300 preferenze sulla sfidante, al ballottaggio il divario è cresciuto fino a sfiorare i 10 mila voti. Segno che, oltre all'elettorato pentastellato, che sul litorale ha uno dei suoi feudi, i voti di parte del Pd, di Mdp e della sinistra, esclusi dal ballottaggio, sono confluiti sulla candidata grillina.
"Un calo del Movimento 5 Stelle"
Luciano Ciocchetti, sponsor di una liste di appoggio alla candidata del centrodestra Monica Picca, ha così commentato la probabile vittoria dei grillini: "Sicuramente il dato del 70% del 2016 della Raggi non è stato raggiunto di nuovo. Il dato mostra comunque il calo dei 5 stelle. Evidentemente però ancora reggono al secondo turno: gli elettori che al primo turno hanno votato PD e CasaPound oggi hanno votato per la di Pillo".
"Voti di CasaPound e del clan Spada alla Pillo"
"All'idroscalo, dove sono rappresentati i voti di Casapound, noi abbiamo perso e loro hanno guadagnato circa mille voti". Così la candidata del centrodestra Monica Picca, sconfitta al ballottaggio nel X municipio. "Il voto degli Spada è andato alla Di Pillo?", ha chiesto un giornalista. "Penso proprio di sì", ha risposto Monica Picca.
A Ostia la candidata grillina raggiunge il 59,65%, mentre il centrodestra si ferma al 40,35%. Astensione record
Andrea Riva - Lun, 20/11/2017 - 00:05
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Secondo i primi dati, Giuliana Di Pillo, la candidata del Movimento 5 Stelle, avrebbe raggiunto il 59,65%, mentre Monica Picca, candidata del centrodestra, si sarebbe fermata al 40,35%.
Questi, secondo il sito del Campidoglio, sono i primi dati relativi a 100 sezioni su 183. Le candidate al momento sono separate da circa 10mila voti, con l'esponente del Movimento 5 Stelle che appare avviata verso l'affermazione elettorale.
Se dopo il primo turno la Di Pillo era in vantaggio di appena 2.300 preferenze sulla sfidante, al ballottaggio il divario è cresciuto fino a sfiorare i 10 mila voti. Segno che, oltre all'elettorato pentastellato, che sul litorale ha uno dei suoi feudi, i voti di parte del Pd, di Mdp e della sinistra, esclusi dal ballottaggio, sono confluiti sulla candidata grillina.
"Un calo del Movimento 5 Stelle"
Luciano Ciocchetti, sponsor di una liste di appoggio alla candidata del centrodestra Monica Picca, ha così commentato la probabile vittoria dei grillini: "Sicuramente il dato del 70% del 2016 della Raggi non è stato raggiunto di nuovo. Il dato mostra comunque il calo dei 5 stelle. Evidentemente però ancora reggono al secondo turno: gli elettori che al primo turno hanno votato PD e CasaPound oggi hanno votato per la di Pillo".
"Voti di CasaPound e del clan Spada alla Pillo"
"All'idroscalo, dove sono rappresentati i voti di Casapound, noi abbiamo perso e loro hanno guadagnato circa mille voti". Così la candidata del centrodestra Monica Picca, sconfitta al ballottaggio nel X municipio. "Il voto degli Spada è andato alla Di Pillo?", ha chiesto un giornalista. "Penso proprio di sì", ha risposto Monica Picca.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano:
GRATTERI Il procuratore di Catanzaro: "I referenti politici dei clan ormai sono incensurati"
"Ora i candidati cercano i boss:
ecco come aggirano l'Antimafia"
I "fiumi d'oro" che è an-
che il titolo di un libro del ma-
gistrato-della 'ndrangheta
inquinano da tempo anche
l'acqua degli affari puliti.
Ma, sostiene il procuratore
di Catanzaro, Nicola Gratteri,
sono cambiate le modali-
tà di "inquinamento": "Oggi
oramai sono i politici che
cercano gli "ndranghetisti" e
non vicerversa. Per ottenere
voti in cambio di appalti".
BARBACETTO
PAG.2
MILANO Cardona vuole capire chi l'ha deciso
Picchetto per la D'Urso:
il questore apre indagine
Avviata una "ispezione in-
terna" per accertare quale
dirigente abbia fatto schierare
gli uomini della polizia
per rendere omaggio alla
conduttrice di Canale5. Ri-
di rimetterci la funzio-
naria delle Volanti, Falcic-
chia, considerata una poli-
ziotta di grandi capacità.
A PAGINA 3
MASSIMO BUBBOLA La "rivelazione"
Il Milite non è ignoto
>>STEFANO CASELLI
Pagina 2
ROMA Affluenza ancora in calo Due elettori su tre non si sono recati alle urne
Al Municipio di Ostia i veri vincitori
sono gli astenuti: - 2% sul primo turno
Pagina 18
USI & COSTUMI
LA MODA DEL MOMENTO
La truffa del falso bio costa
agli italiani 8 milioni di euro
GRATTERI Il procuratore di Catanzaro: "I referenti politici dei clan ormai sono incensurati"
"Ora i candidati cercano i boss:
ecco come aggirano l'Antimafia"
I "fiumi d'oro" che è an-
che il titolo di un libro del ma-
gistrato-della 'ndrangheta
inquinano da tempo anche
l'acqua degli affari puliti.
Ma, sostiene il procuratore
di Catanzaro, Nicola Gratteri,
sono cambiate le modali-
tà di "inquinamento": "Oggi
oramai sono i politici che
cercano gli "ndranghetisti" e
non vicerversa. Per ottenere
voti in cambio di appalti".
BARBACETTO
PAG.2
MILANO Cardona vuole capire chi l'ha deciso
Picchetto per la D'Urso:
il questore apre indagine
Avviata una "ispezione in-
terna" per accertare quale
dirigente abbia fatto schierare
gli uomini della polizia
per rendere omaggio alla
conduttrice di Canale5. Ri-
di rimetterci la funzio-
naria delle Volanti, Falcic-
chia, considerata una poli-
ziotta di grandi capacità.
A PAGINA 3
MASSIMO BUBBOLA La "rivelazione"
Il Milite non è ignoto
>>STEFANO CASELLI
Pagina 2
ROMA Affluenza ancora in calo Due elettori su tre non si sono recati alle urne
Al Municipio di Ostia i veri vincitori
sono gli astenuti: - 2% sul primo turno
Pagina 18
USI & COSTUMI
LA MODA DEL MOMENTO
La truffa del falso bio costa
agli italiani 8 milioni di euro
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
Peggiore della prima.
Almeno i democristiani le balle le sapeva raccontare meglio.
Ma non in questa quantità DOVE TUTTO E' UNA BALLA PER INCANTARE I MERLI
Dal suo quotidiano della propaganda: Il pallottoliere.
Berlusconi: 'Al di là della candidabilità io sarò lo stesso in campo"
Silvio Berlusconi, ospite di 105 Matrix su radio 105, suona la carica
Luca Romano - Mar, 21/11/2017 - 19:39
commenta
"Oggi il pericolo grave è quello rappresentato dai cinque stelle. Di fronte a questo pericolo dei cinque stelle, il Pd non può essere più un'alternativa credibile. Sono convinto che i cinque stelle verranno sconfitti e gli italiani mi daranno fiducia, ci daranno fiducia", assicura il leader di Forza Italia. Che poi aggiunge: "I nuovi eletti 5stelle sono persone che nella vita non hanno mai realizzato nulla. L'87 per cento dei parlamentari grillini prima di entrare alle Camere non faceva nemmeno la dichiarazione dei redditi, non aveva mai lavorato. Hanno un programma tutto fondato sull'invidia verso il ceto medio e gli imprenditori, un programma che vuole massacrare di tasse il ceto medio, con una imposta sul patrimonio, sul gruzzolo che vogliamo lasciare ai nipoti o ai figli, e vogliono lasciarlo con una imposta al 55 per cento, un programma che prevede di tassare la prima casa. Di fronte a questo pericolo il Pd di Renzi non può essere un argine efficace, rappresenta la continuità di governi che non sono riusciti a fare uscire l'Italia dalla crisi".
"Mi dispiace per l'Ema"
Berlusconi commenta poi la disfatta sull'Ema, persa al sorteggio finale. "Oggi purtroppo il nostro Paese non ha più lo stesso prestigio e lo stesso peso che aveva con noi in Europa e nel mondo, purtroppo. Mi dispiace molto che Ema non sia stata assegnata al nostro Paese: non è soltanto questione di prestigio, erano in gioco investimenti e migliaia di posti di lavoro. Da milanese mi dispiace ancora di più. Al sapore della sconfitta si aggiunge la beffa del sorteggio. Bisogna trarne qualche lezione utile per il futuro del nostro paese e del nostro modo di stare in Europa. Il mio governo era riuscito ad ottenere per l'Italia la presidenza della Bce e le amministrazioni di centrodestra hanno portato a Milano l'Expo".
"Immigrazione di massa grave pericolo"
"Una immigrazione di massa nel nostro Paese e nel nostro Continente è un grave pericolo", ha detto il leader azzurro. Che poi ha aggiunto: "Una volta in una tribù del Congo in cui costruivo un ospedale per bambini mi sono trovato davanti un ragazzo che mi ha detto che sentiva come un dovere venire da noi in Italia. Tutti i Paesi del benessere devono mettere in campo una operazione Marshall per offrire a questi paesi la possibilità di far crescere le loro economie".
"Errore prendersela con gli stranieri"
"È un errore, come ho sentito fare a qualcuno, prendersela con gli stranieri. Ma vanno fatti crescere anche i campioni italiani. Nel mio Milan i campioni stranieri erano affiancati dagli italiani", ha detto Berlusconi riferendosi alle parole di Matteo Salvini sulla Nazionale dopo la sconfitta Italia-Svezia. "Le società dovrebbero utilizzare i campioni stranieri per far crescere i calciatori italiani, e non per sostituirli. Nel mio Milan campioni stranieri come Gullit e Van Basten, Rijkaard, Shevchenko, Kakà, Ibrahimovic, erano sempre affiancati da campioni italiani di assoluto valore: basti ricordare Baresi, Costacurta, Tassotti, Maldini, Inzaghi, Gattuso e tanti altri nazionali italiani". In merito alla dirigenza della Figc poi ha affermato: "Le dimissioni di Tavecchio e l'allontanamento di Ventura erano scelte inevitabili. Anche il calcio, come tante altre cose in Italia, è bene che riparta da zero. Sarebbe però sbagliato se facessimo di Tavecchio o Ventura i soli colpevoli".
Peggiore della prima.
Almeno i democristiani le balle le sapeva raccontare meglio.
Ma non in questa quantità DOVE TUTTO E' UNA BALLA PER INCANTARE I MERLI
Dal suo quotidiano della propaganda: Il pallottoliere.
Berlusconi: 'Al di là della candidabilità io sarò lo stesso in campo"
Silvio Berlusconi, ospite di 105 Matrix su radio 105, suona la carica
Luca Romano - Mar, 21/11/2017 - 19:39
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"Oggi il pericolo grave è quello rappresentato dai cinque stelle. Di fronte a questo pericolo dei cinque stelle, il Pd non può essere più un'alternativa credibile. Sono convinto che i cinque stelle verranno sconfitti e gli italiani mi daranno fiducia, ci daranno fiducia", assicura il leader di Forza Italia. Che poi aggiunge: "I nuovi eletti 5stelle sono persone che nella vita non hanno mai realizzato nulla. L'87 per cento dei parlamentari grillini prima di entrare alle Camere non faceva nemmeno la dichiarazione dei redditi, non aveva mai lavorato. Hanno un programma tutto fondato sull'invidia verso il ceto medio e gli imprenditori, un programma che vuole massacrare di tasse il ceto medio, con una imposta sul patrimonio, sul gruzzolo che vogliamo lasciare ai nipoti o ai figli, e vogliono lasciarlo con una imposta al 55 per cento, un programma che prevede di tassare la prima casa. Di fronte a questo pericolo il Pd di Renzi non può essere un argine efficace, rappresenta la continuità di governi che non sono riusciti a fare uscire l'Italia dalla crisi".
"Mi dispiace per l'Ema"
Berlusconi commenta poi la disfatta sull'Ema, persa al sorteggio finale. "Oggi purtroppo il nostro Paese non ha più lo stesso prestigio e lo stesso peso che aveva con noi in Europa e nel mondo, purtroppo. Mi dispiace molto che Ema non sia stata assegnata al nostro Paese: non è soltanto questione di prestigio, erano in gioco investimenti e migliaia di posti di lavoro. Da milanese mi dispiace ancora di più. Al sapore della sconfitta si aggiunge la beffa del sorteggio. Bisogna trarne qualche lezione utile per il futuro del nostro paese e del nostro modo di stare in Europa. Il mio governo era riuscito ad ottenere per l'Italia la presidenza della Bce e le amministrazioni di centrodestra hanno portato a Milano l'Expo".
"Immigrazione di massa grave pericolo"
"Una immigrazione di massa nel nostro Paese e nel nostro Continente è un grave pericolo", ha detto il leader azzurro. Che poi ha aggiunto: "Una volta in una tribù del Congo in cui costruivo un ospedale per bambini mi sono trovato davanti un ragazzo che mi ha detto che sentiva come un dovere venire da noi in Italia. Tutti i Paesi del benessere devono mettere in campo una operazione Marshall per offrire a questi paesi la possibilità di far crescere le loro economie".
"Errore prendersela con gli stranieri"
"È un errore, come ho sentito fare a qualcuno, prendersela con gli stranieri. Ma vanno fatti crescere anche i campioni italiani. Nel mio Milan i campioni stranieri erano affiancati dagli italiani", ha detto Berlusconi riferendosi alle parole di Matteo Salvini sulla Nazionale dopo la sconfitta Italia-Svezia. "Le società dovrebbero utilizzare i campioni stranieri per far crescere i calciatori italiani, e non per sostituirli. Nel mio Milan campioni stranieri come Gullit e Van Basten, Rijkaard, Shevchenko, Kakà, Ibrahimovic, erano sempre affiancati da campioni italiani di assoluto valore: basti ricordare Baresi, Costacurta, Tassotti, Maldini, Inzaghi, Gattuso e tanti altri nazionali italiani". In merito alla dirigenza della Figc poi ha affermato: "Le dimissioni di Tavecchio e l'allontanamento di Ventura erano scelte inevitabili. Anche il calcio, come tante altre cose in Italia, è bene che riparta da zero. Sarebbe però sbagliato se facessimo di Tavecchio o Ventura i soli colpevoli".
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