Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 05/05/2012, 0:01
O dalla crisi si esce tutti assieme o non se ne esce affatto
Le cure anti-crisi
Crescita, parole e poche novità
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 29 aprile 2012
Forse perchè il numero dei paesi europei ufficialmente in recessione cresce continuamente o forse perché si pensa che a Parigi possa cambiare qualcosa con le prossime elezioni, il fatto è che da qualche giorno non si sente altro che parlare di crescita. Questa è la parola magica di tutti i politici europei, a partire dalla signora Merkel che, fino a pochi giorni fa, inorridiva solo a sentirla nominare.
Certamente quando si ha una Grecia ormai ridotta alla fame, una Spagna con una disoccupazione al 24% , un Italia ufficialmente in recessione e perfino una Germania ferma al palo, qualsiasi persona di buon senso capisce che qualcosa vada fatto.
Se si cerca tuttavia di passare dalle parole alle proposte concrete di novità ne abbiamo ben poche.
La linea del rigore non muta, i bilanci pubblici debbono tendere all’equilibrio, le imposte non possono diminuire e il pareggio deve essere ottenuto solo tramite il magico e sempre indefinito taglio delle spese improduttive. Il tutto è molto saggio, doveroso e certamente capace di esiti straordinariamente positivi nel lungo periodo. Così come sagge sono le dodici misure di razionalizzazione dei mercati che la Commissione Europea ha intenzione di mettere sul tavolo per la prossima estate. Nel frattempo però l’economia continua la sua marcia indietro e i consumi, gli investimenti e i risparmi precipitano verso il basso.
Forse solo perché le cose vanno così male si è dovuto finalmente parlare di crescita: a questo punto non resta che cercare un accordo per metterla finalmente in atto.
Da un tale accordo siamo tuttavia lontani oggi come lo eravamo pochi giorni fa. Anche la proposta che Monti aveva ripetutamente avanzato, e che ha potuto con più forza ripetere in questi giorni, cioè di prevedere un trattamento particolare per gli investimenti nel conteggio del deficit, è stata accolta con diffuso scetticismo per paura che anche quest’innovazione possa diventare una scappatoia per sfuggire alle regole dell’austerità.
La musica del coro europeo è infatti cambiata ma la sostanza è ancora la stessa.
Il problema vero è che a nessun paese è permesso di cantare fuori dal coro perché se qualcuno, come ha fatto la Spagna, si azzarda a proporre di allungare i tempi di raggiungimento del pareggio di bilancio per tenere conto delle enormi difficoltà del presente, la speculazione internazionale corre subito all’assalto dei suoi buoni del tesoro, innalzando lo “spread” a livelli tali da metterne in ginocchio l’economia.
I paesi europei vivono infatti in libertà vigilata: la mancanza di solidarietà europea rende impossibile ogni iniziativa autonoma da parte delle politiche nazionali.
Se si vuole che la parola “crescita” abbia un significato, bisogna perciò che si passi ad un rafforzamento sostanzioso dei poteri della Banca Centrale Europea e all’emissione dei tanto citati “Eurobonds”. Mi rendo conto che ricordare ancora una volta queste misure può provocare un senso di stanchezza ma le evoluzioni dell’economia europea dimostrano che non vi è alternativa. O dalla crisi si esce tutti assieme, sostenuti da una forza comune che ci rende inattaccabili dalla speculazione internazionale, o non se ne esce affatto.
Il fatto che tutti parlino finalmente di crescita diventa tuttavia un elemento politico rilevante perché questa presa di coscienza è forse capace di spingere Francia, Italia e Spagna ad elaborare una strategia comune da proporre alla Germania con la necessaria forza e con le necessarie garanzie perché possa diventare una politica condivisa da parte di tutti i paesi europei. La lunghezza e la profondità della crisi hanno reso infatti evidente che una politica di austerità capace di preparare la crescita è possibile solo se ci mettiamo al riparo dalla sempre presente minaccia dell’innalzamento degli”spread”.
Gli Stati Uniti hanno un bilancio pubblico ed un risparmio privato imparagonabilmente peggiore della media dei paesi dell’Euro ma, con la forza della propria dimensione, hanno potuto impostare una politica che li sta facendo uscire ben prima di noi dalla crisi che loro stessi avevano provocato con un dissennato livello di consumo. Con una dissennatezza infinitamente superiore a quella che i mercati rimproverano oggi a noi europei.
Cerchiamo quindi di trarre vantaggio dal fatto che la parola “crescita” è ormai condivisa a Roma come a Berlino per prendere le decisioni di cui anche la Germania ha bisogno per uscire da una crisi che sta ormai snervando le strutture più profonde delle nostre società. Solo queste semplici azioni di politica comune potranno infatti rendere tollerabile quella disciplina di lungo periodo di cui i paesi europei hanno bisogno per non perdere le conquiste del passato. Anche se dobbiamo riconoscere che nessun paese può adottare una politica Keynesiana in modo solitario, con altrettanta franchezza dobbiamo infatti ammettere che un po’ di Keynesianismo solidale conviene a tutti.
Le cure anti-crisi
Crescita, parole e poche novità
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 29 aprile 2012
Forse perchè il numero dei paesi europei ufficialmente in recessione cresce continuamente o forse perché si pensa che a Parigi possa cambiare qualcosa con le prossime elezioni, il fatto è che da qualche giorno non si sente altro che parlare di crescita. Questa è la parola magica di tutti i politici europei, a partire dalla signora Merkel che, fino a pochi giorni fa, inorridiva solo a sentirla nominare.
Certamente quando si ha una Grecia ormai ridotta alla fame, una Spagna con una disoccupazione al 24% , un Italia ufficialmente in recessione e perfino una Germania ferma al palo, qualsiasi persona di buon senso capisce che qualcosa vada fatto.
Se si cerca tuttavia di passare dalle parole alle proposte concrete di novità ne abbiamo ben poche.
La linea del rigore non muta, i bilanci pubblici debbono tendere all’equilibrio, le imposte non possono diminuire e il pareggio deve essere ottenuto solo tramite il magico e sempre indefinito taglio delle spese improduttive. Il tutto è molto saggio, doveroso e certamente capace di esiti straordinariamente positivi nel lungo periodo. Così come sagge sono le dodici misure di razionalizzazione dei mercati che la Commissione Europea ha intenzione di mettere sul tavolo per la prossima estate. Nel frattempo però l’economia continua la sua marcia indietro e i consumi, gli investimenti e i risparmi precipitano verso il basso.
Forse solo perché le cose vanno così male si è dovuto finalmente parlare di crescita: a questo punto non resta che cercare un accordo per metterla finalmente in atto.
Da un tale accordo siamo tuttavia lontani oggi come lo eravamo pochi giorni fa. Anche la proposta che Monti aveva ripetutamente avanzato, e che ha potuto con più forza ripetere in questi giorni, cioè di prevedere un trattamento particolare per gli investimenti nel conteggio del deficit, è stata accolta con diffuso scetticismo per paura che anche quest’innovazione possa diventare una scappatoia per sfuggire alle regole dell’austerità.
La musica del coro europeo è infatti cambiata ma la sostanza è ancora la stessa.
Il problema vero è che a nessun paese è permesso di cantare fuori dal coro perché se qualcuno, come ha fatto la Spagna, si azzarda a proporre di allungare i tempi di raggiungimento del pareggio di bilancio per tenere conto delle enormi difficoltà del presente, la speculazione internazionale corre subito all’assalto dei suoi buoni del tesoro, innalzando lo “spread” a livelli tali da metterne in ginocchio l’economia.
I paesi europei vivono infatti in libertà vigilata: la mancanza di solidarietà europea rende impossibile ogni iniziativa autonoma da parte delle politiche nazionali.
Se si vuole che la parola “crescita” abbia un significato, bisogna perciò che si passi ad un rafforzamento sostanzioso dei poteri della Banca Centrale Europea e all’emissione dei tanto citati “Eurobonds”. Mi rendo conto che ricordare ancora una volta queste misure può provocare un senso di stanchezza ma le evoluzioni dell’economia europea dimostrano che non vi è alternativa. O dalla crisi si esce tutti assieme, sostenuti da una forza comune che ci rende inattaccabili dalla speculazione internazionale, o non se ne esce affatto.
Il fatto che tutti parlino finalmente di crescita diventa tuttavia un elemento politico rilevante perché questa presa di coscienza è forse capace di spingere Francia, Italia e Spagna ad elaborare una strategia comune da proporre alla Germania con la necessaria forza e con le necessarie garanzie perché possa diventare una politica condivisa da parte di tutti i paesi europei. La lunghezza e la profondità della crisi hanno reso infatti evidente che una politica di austerità capace di preparare la crescita è possibile solo se ci mettiamo al riparo dalla sempre presente minaccia dell’innalzamento degli”spread”.
Gli Stati Uniti hanno un bilancio pubblico ed un risparmio privato imparagonabilmente peggiore della media dei paesi dell’Euro ma, con la forza della propria dimensione, hanno potuto impostare una politica che li sta facendo uscire ben prima di noi dalla crisi che loro stessi avevano provocato con un dissennato livello di consumo. Con una dissennatezza infinitamente superiore a quella che i mercati rimproverano oggi a noi europei.
Cerchiamo quindi di trarre vantaggio dal fatto che la parola “crescita” è ormai condivisa a Roma come a Berlino per prendere le decisioni di cui anche la Germania ha bisogno per uscire da una crisi che sta ormai snervando le strutture più profonde delle nostre società. Solo queste semplici azioni di politica comune potranno infatti rendere tollerabile quella disciplina di lungo periodo di cui i paesi europei hanno bisogno per non perdere le conquiste del passato. Anche se dobbiamo riconoscere che nessun paese può adottare una politica Keynesiana in modo solitario, con altrettanta franchezza dobbiamo infatti ammettere che un po’ di Keynesianismo solidale conviene a tutti.