La Terza Guerra Mondiale
-
- Messaggi: 1188
- Iscritto il: 21/02/2012, 22:55
Re: La Terza Guerra Mondiale
quando la guerra è necessaria, disperatamente necessaria?
Mai!
Sempre più, nelle guerre moderne, a rimetterci sono sopratutto i civili, e sempre più non ci sono vincitori bensì solo vinti.
Se mai si prendesse ad insegnamento la storia, sarebbe utile ricordare che: la Grecia, conquistata (dai Romani),
conquistò il selvaggio vincitore.
Mai!
Sempre più, nelle guerre moderne, a rimetterci sono sopratutto i civili, e sempre più non ci sono vincitori bensì solo vinti.
Se mai si prendesse ad insegnamento la storia, sarebbe utile ricordare che: la Grecia, conquistata (dai Romani),
conquistò il selvaggio vincitore.
-
- Messaggi: 1079
- Iscritto il: 19/04/2012, 12:04
Re: La Terza Guerra Mondiale
La guerra è necessaria:
- quando la situazione economica è al limite del tracollo
- quando le tensioni interne di un grande paese iniziano a diventare non sostenibili e si deve deviare l'attenzione del proprio popolo
- quando hai disperatamente bisogno di risorse non tue e che non puoi più avere a basso costo
- quando le spese militari sproporzionate ti stanno portando al fallimento
- quando le elite dell'oligarchia non paghe del loro potere ne vogliono sempre di più
Sono solo alcune delle motivazioni di una guerra, l'unico a non volerla mai ma a subirla sempre è il popolo, la gente normale.
- quando la situazione economica è al limite del tracollo
- quando le tensioni interne di un grande paese iniziano a diventare non sostenibili e si deve deviare l'attenzione del proprio popolo
- quando hai disperatamente bisogno di risorse non tue e che non puoi più avere a basso costo
- quando le spese militari sproporzionate ti stanno portando al fallimento
- quando le elite dell'oligarchia non paghe del loro potere ne vogliono sempre di più
Sono solo alcune delle motivazioni di una guerra, l'unico a non volerla mai ma a subirla sempre è il popolo, la gente normale.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
Maucat ha scritto:La guerra è necessaria:
- quando la situazione economica è al limite del tracollo
- quando le tensioni interne di un grande paese iniziano a diventare non sostenibili e si deve deviare l'attenzione del proprio popolo
- quando hai disperatamente bisogno di risorse non tue e che non puoi più avere a basso costo
- quando le spese militari sproporzionate ti stanno portando al fallimento
- quando le elite dell'oligarchia non paghe del loro potere ne vogliono sempre di più
Sono solo alcune delle motivazioni di una guerra, l'unico a non volerla mai ma a subirla sempre è il popolo, la gente normale.
Le motivazioni sono reali e veritiere, ma questa in particolare indica che siamo ancora quelli di 9mila anni fà:
- quando hai disperatamente bisogno di risorse non tue e che non puoi più avere a basso costo
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
Religione e paletti
Il difficile rapporto con l’Islam
di Ernesto Galli della Loggia
Due grandi fenomeni storici stanno svolgendosi sotto i nostri occhi nel Medio Oriente, alle nostre porte di casa (di noi europei e italiani in particolare). Da un lato la disintegrazione di fatto dell’intero sistema di Stati nato dopo la Prima guerra mondiale sulle rovine dell’Impero ottomano, dunque la ridefinizione di interessi, alleanze, rivalità, con la conseguente caduta di gran parte delle élite e dei movimenti alla loro guida da decenni, spesso legate in un modo o nell’altro ai Paesi europei (anche l’Unione Sovietica da questo punto di vista lo era).
Dall’altro lato assistiamo all’affermarsi di una versione ultraradicale e quanto mai aggressiva della «umma» musulmana, della «comunità dei fedeli» che pretende di non conoscere confini e regole che non siano quelli della religione.
Da entrambi questi fenomeni siamo presi come tra due fuochi: in una condizione d’incertezza non solo politica, resa più inquietante dal fatto che ormai milioni di immigrati musulmani sono tra noi, popolano l’Italia e l’Europa.
Fuori e dentro i nostri confini, insomma, ci troviamo di fronte al gigantesco problema di un nuovo rapporto con l’Islam.
Come risolvere i suoi mille aspetti non lo sappiamo.
Preliminarmente però a ogni possibile ricerca di soluzione dovremmo almeno fissare dei punti-chiave, una sorta di paletti concettuali, entro i quali non solo la discussione pubblica in questo campo, ma anche gli atteggiamenti concreti che ne derivano dovrebbero cercare di restare.
Mi sembrano fondamentali almeno i cinque seguenti.
1) Va innanzitutto limitato al massimo l’uso del termine polemico «islamofobia». Criticare la religione islamica, i suoi testi, le sue prescrizioni, mostrarne le contraddizioni e i risultati negativi nei suoi insediamenti storici (per esempio verso le donne), deve essere sempre lecito. Dovrebbe essere stigmatizzato come «islamofobia» solo l’atteggiamento aggressivo, discriminatorio o violento, verso le persone di religione musulmana a causa della loro fede.
2) Va poi recisamente confutata l’affermazione di uso corrente secondo la quale «tutte le religioni monoteiste sono fondamentalmente eguali». Non è vero. L’eguaglianza davanti a Dio di tutti gli essere umani indipendentemente dal proprio sesso, la titolarità da parte di ognuno di loro di certi diritti «naturali», il rapporto riguardo alla propria specifica tradizione dottrinale e all’interpretazione dei testi sacri, l’atteggiamento nei confronti della violenza e della guerra, la presenza o no di un clero organizzato stabilmente in un organismo gerarchico, sono solo alcuni dei principali ambiti di radicali differenze tra le varie religioni monoteiste. Che a loro volta producono, com’è ovvio, una fortissima diversità tra di esse nella costruzione della soggettività, del legame sociale, nonché del modo di stare con gli altri e nel mondo.
3) Ancora: i reciproci torti storici (ammesso che una simile espressione abbia un senso) tra mondo islamico e mondo cristiano come minimo si equivalgono. L’Islam attuale, infatti, si stende su un territorio in grandissima parte originariamente non suo né arabo, conquistato grazie a un paio di secoli di guerre che tra l’altro portarono, oltre che alla lunga occupazione della Sicilia e di due terzi della penisola iberica, all’occupazione militare da parte musulmana dei cosiddetti Luoghi Santi (le Crociate furono un fallimentare tentativo di risposta precisamente a tale occupazione), nonché alla virtuale cancellazione della presenza cristiana fino allora maggioritaria specialmente nel Nord Africa. Anche la cancellazione dall’Anatolia e dintorni dell’impero cristiano di Bisanzio, da parte degli ottomani, non avvenne proprio con mezzi pacifici. D’altro canto la conquista coloniale di parti dell’Islam compiuta da alcune potenze europee a partire dal ‘700 e durata fino alla metà del ‘900 appare più o meno «equivalente» - se proprio dobbiamo ragionare in questi termini alquanto ridicoli - all’occupazione per secoli dell’Europa balcanica da parte dell’Islam. In conclusione non sembra proprio, se i fatti contano qualcosa, che storicamente gli occidentali e l’Europa abbiano qualcosa da farsi perdonare dal mondo islamico.
4) Per convalidare l’effettiva «moderazione» dell’Islam che si dice tale non dovrebbe bastare la sua astensione dalla violenza. Dovrebbe anche essere considerata necessaria l’aperta condanna da parte sua dei propri correligionari quando questi, invece, ne fanno uso.
5) Infine, il dialogo interreligioso, se non vuole essere inutile apparenza, se per l’appunto vuole essere un dialogo e non un monologo, non può fare a meno di prevedere che ad ogni sua manifestazione pubblica «da noi» ne corrisponda una analoga pubblica (sottolineo pubblica) «da loro». Solo una simile pratica può contribuire a instaurare un costume di autentica, reciproca tolleranza. Continuerà altrimenti a sussistere sempre la situazione attuale che nel complesso vede il tasso di tolleranza delle società islamiche nei confronti dei cristiani e della loro cultura enormemente inferiore a quello delle società cristiane verso i musulmani. Mentre i punti chiave appena indicati, se non mi sbaglio, sono largamente condivisi dall’opinione pubblica, temo che invece essi siano disattesi, e anzi guardati con sospetto, dalle élite politiche e intellettuali che guidano le nostre società: affezionate ancora oggi, specie nei rapporti internazionali, a un’ideologia buonista, a una voglia di illudersi e di chiudere gli occhi di fronte alla realtà, che finora non hanno mai portato a nulla di buono. E destinate, è certo, a portarne ancora meno in futuro. 7 ottobre 2015 (modifica il 7 ottobre 2015 | 07:35) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
http://www.corriere.it/editoriali/15_ot ... b04a.shtml
Il difficile rapporto con l’Islam
di Ernesto Galli della Loggia
Due grandi fenomeni storici stanno svolgendosi sotto i nostri occhi nel Medio Oriente, alle nostre porte di casa (di noi europei e italiani in particolare). Da un lato la disintegrazione di fatto dell’intero sistema di Stati nato dopo la Prima guerra mondiale sulle rovine dell’Impero ottomano, dunque la ridefinizione di interessi, alleanze, rivalità, con la conseguente caduta di gran parte delle élite e dei movimenti alla loro guida da decenni, spesso legate in un modo o nell’altro ai Paesi europei (anche l’Unione Sovietica da questo punto di vista lo era).
Dall’altro lato assistiamo all’affermarsi di una versione ultraradicale e quanto mai aggressiva della «umma» musulmana, della «comunità dei fedeli» che pretende di non conoscere confini e regole che non siano quelli della religione.
Da entrambi questi fenomeni siamo presi come tra due fuochi: in una condizione d’incertezza non solo politica, resa più inquietante dal fatto che ormai milioni di immigrati musulmani sono tra noi, popolano l’Italia e l’Europa.
Fuori e dentro i nostri confini, insomma, ci troviamo di fronte al gigantesco problema di un nuovo rapporto con l’Islam.
Come risolvere i suoi mille aspetti non lo sappiamo.
Preliminarmente però a ogni possibile ricerca di soluzione dovremmo almeno fissare dei punti-chiave, una sorta di paletti concettuali, entro i quali non solo la discussione pubblica in questo campo, ma anche gli atteggiamenti concreti che ne derivano dovrebbero cercare di restare.
Mi sembrano fondamentali almeno i cinque seguenti.
1) Va innanzitutto limitato al massimo l’uso del termine polemico «islamofobia». Criticare la religione islamica, i suoi testi, le sue prescrizioni, mostrarne le contraddizioni e i risultati negativi nei suoi insediamenti storici (per esempio verso le donne), deve essere sempre lecito. Dovrebbe essere stigmatizzato come «islamofobia» solo l’atteggiamento aggressivo, discriminatorio o violento, verso le persone di religione musulmana a causa della loro fede.
2) Va poi recisamente confutata l’affermazione di uso corrente secondo la quale «tutte le religioni monoteiste sono fondamentalmente eguali». Non è vero. L’eguaglianza davanti a Dio di tutti gli essere umani indipendentemente dal proprio sesso, la titolarità da parte di ognuno di loro di certi diritti «naturali», il rapporto riguardo alla propria specifica tradizione dottrinale e all’interpretazione dei testi sacri, l’atteggiamento nei confronti della violenza e della guerra, la presenza o no di un clero organizzato stabilmente in un organismo gerarchico, sono solo alcuni dei principali ambiti di radicali differenze tra le varie religioni monoteiste. Che a loro volta producono, com’è ovvio, una fortissima diversità tra di esse nella costruzione della soggettività, del legame sociale, nonché del modo di stare con gli altri e nel mondo.
3) Ancora: i reciproci torti storici (ammesso che una simile espressione abbia un senso) tra mondo islamico e mondo cristiano come minimo si equivalgono. L’Islam attuale, infatti, si stende su un territorio in grandissima parte originariamente non suo né arabo, conquistato grazie a un paio di secoli di guerre che tra l’altro portarono, oltre che alla lunga occupazione della Sicilia e di due terzi della penisola iberica, all’occupazione militare da parte musulmana dei cosiddetti Luoghi Santi (le Crociate furono un fallimentare tentativo di risposta precisamente a tale occupazione), nonché alla virtuale cancellazione della presenza cristiana fino allora maggioritaria specialmente nel Nord Africa. Anche la cancellazione dall’Anatolia e dintorni dell’impero cristiano di Bisanzio, da parte degli ottomani, non avvenne proprio con mezzi pacifici. D’altro canto la conquista coloniale di parti dell’Islam compiuta da alcune potenze europee a partire dal ‘700 e durata fino alla metà del ‘900 appare più o meno «equivalente» - se proprio dobbiamo ragionare in questi termini alquanto ridicoli - all’occupazione per secoli dell’Europa balcanica da parte dell’Islam. In conclusione non sembra proprio, se i fatti contano qualcosa, che storicamente gli occidentali e l’Europa abbiano qualcosa da farsi perdonare dal mondo islamico.
4) Per convalidare l’effettiva «moderazione» dell’Islam che si dice tale non dovrebbe bastare la sua astensione dalla violenza. Dovrebbe anche essere considerata necessaria l’aperta condanna da parte sua dei propri correligionari quando questi, invece, ne fanno uso.
5) Infine, il dialogo interreligioso, se non vuole essere inutile apparenza, se per l’appunto vuole essere un dialogo e non un monologo, non può fare a meno di prevedere che ad ogni sua manifestazione pubblica «da noi» ne corrisponda una analoga pubblica (sottolineo pubblica) «da loro». Solo una simile pratica può contribuire a instaurare un costume di autentica, reciproca tolleranza. Continuerà altrimenti a sussistere sempre la situazione attuale che nel complesso vede il tasso di tolleranza delle società islamiche nei confronti dei cristiani e della loro cultura enormemente inferiore a quello delle società cristiane verso i musulmani. Mentre i punti chiave appena indicati, se non mi sbaglio, sono largamente condivisi dall’opinione pubblica, temo che invece essi siano disattesi, e anzi guardati con sospetto, dalle élite politiche e intellettuali che guidano le nostre società: affezionate ancora oggi, specie nei rapporti internazionali, a un’ideologia buonista, a una voglia di illudersi e di chiudere gli occhi di fronte alla realtà, che finora non hanno mai portato a nulla di buono. E destinate, è certo, a portarne ancora meno in futuro. 7 ottobre 2015 (modifica il 7 ottobre 2015 | 07:35) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
http://www.corriere.it/editoriali/15_ot ... b04a.shtml
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
Qualcuno però deve tacere
08/10/2015 di triskel182
Prima di discutere di un eventuale coinvolgimento italiano nel bombardamento dell’Is, a me piacerebbe una cosa.
Ma piccola.
E cioè che tutti coloro che 13 anni fa erano favorevoli alla guerra in Iraq – quella che ha creato l’Is – chiedessero scusa e poi tacessero.
No, perché io me li ricordo tutti, o almeno parecchi: dai deliranti articoli di Giuliano Ferrara (che chiamava “pacifascisti” i contrari all’intervento) fino agli interventi belligeranti qui in redazione di Giampaolo Pansa, che aveva già iniziato il suo triste viaggio verso la destra peggiore.
E mi ricordo di Blair e Aznar, ma più in piccolo anche del nostro Giuliano Amato – interventista “in nome dell’Occidente” – per non dire dei capataz della destra berlusconiana, dai Gasparri ai La Russa, tutti ultrà bushisti senza se e senza ma, con tanto di propaganda sul sito, e naturalmente la Lega schierata a ruota, e Libero che distribuiva le bandiere americane, e Panorama che voleva indire una manifestazione pro guerra.
E mi ricordo anche un povero Cofferati sbertucciato a un talk show, solo contro tutti, perché contrario a quella guerra, e giù con le solite accuse di antiamericanismo, di nostalgia dell’Urss, che nulla c’entrava ma tutto fa brodo, sempre, in tivù.
Ecco, apriamo pure il dibattito sull’Is, va benissimo: purché stiano zitti e chiedano scusa quelli che 13 anni fa hanno così clamorosamente cannato, e che sono stati politicamente complici del disastro a cui oggi dovremmo di nuovo rimediare con altre bombe.
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
La Stampa 8.10.15
L’Intifada si allarga, scontri a Tel Aviv
Gli arabo-israeliani uniti ai palestinesi dei Territori Netanyahu rinvia il viaggio a Berlino: lotta al terrore
di Maurizio Molinari
I disordini palestinesi contagiano Jaffa, alle porte di Tel Aviv, e Benjamin Netanyahu punta l’indice contro il Movimento islamico della Galilea, accusandolo di essere «fra i registi dell’attuale ondata di terrorismo». Jaffa è la città araba attaccata a Tel Aviv, dove le ultime violenze risalivano al 2000 ovvero l’inizio della Seconda Intifada. La polizia viene colta di sorpresa quando una folla di dimostranti si avvicina alla locale scuola religiosa ebraica tentando l’assalto con sassi, molotov e petardi. Ne segue una battaglia che termina con cinque agenti feriti e una dozzina di arrestati.
Dentro la Linea Verde
Sono arabo-israeliani, cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico, e l’impatto è una sorta di choc nazionale: su radio e tv leader religiosi musulmani ed ebrei si susseguono nel difendere Jaffa come «modello di coesistenza» dal 1948. Ma le bandiere verdi con le scritte coraniche innalzate in segno di sfida contro gli agenti suggeriscono che qualcosa è cambiato. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, punta l’indice contro il Movimento islamico del Nord, ovvero della Galilea, guidato da Sheikh Raed Salah, aggiungendo: «Sono gli stessi che organizzano le violenze nella moschea di Al Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme».
Il gruppo dei Morabitun, autori dei recenti disordini ad Al Aqsa, era «pagato e organizzato» dal Movimento Islamico che, aggiunge la polizia, «è dietro anche la battaglia di lunedì nelle strade di Nazareth». Si tratta di città arabe dentro i territori di Israele pre-1967 e suggeriscono il rischio che la possibile Intifada 3.0, iniziata attorno a Gerusalemme, si estenda agli arabo-israeliani, il 20% della popolazione. Il premier Netanyahu è lapidario: «Il Movimento islamico del Nord è fra i responsabili dell’ondata di terrore, incita all’odio come Hamas e l’Autorità palestinese» e promette «severi provvedimenti».
L’affermarsi di una componente islamica fra gli arabo-israeliani, vicina ai Fratelli Musulmani, pone una nuova sfida alla sicurezza e Netanyahu decide di rimandare il vertice a Berlino con Angela Merkel. Gli attacchi al coltello si moltiplicano: alla Porta dei Leoni della Città Vecchia è una donna palestinese che si avventa contro un israeliano - che riesce a spararle - a Kityat Gat un soldato viene aggredito e a Petach Tikwa è un civile a essere accoltellato.
Abu Mazen, presidente palestinese, si affida ad «Haaretz» per imputare tale ondata di violenze «alle politiche errate del governo Netanyahu» e a rispondergli è il presidente israeliano, Reuven Rivlin, secondo il quale «Abu Mazen ha definito gli ebrei puzzolenti con un linguaggio che incita all’odio e dovrebbe cessare di adoperare perché dobbiamo vivere assieme». Scontri anche in Cisgiordania, dove la novità viene dagli «attacchi dei coloni contro i palestinesi» secondo i portavoce di Ramallah che parlano di «auto incendiate e persone aggredite con sassi e armi da fuoco».
L’Intifada si allarga, scontri a Tel Aviv
Gli arabo-israeliani uniti ai palestinesi dei Territori Netanyahu rinvia il viaggio a Berlino: lotta al terrore
di Maurizio Molinari
I disordini palestinesi contagiano Jaffa, alle porte di Tel Aviv, e Benjamin Netanyahu punta l’indice contro il Movimento islamico della Galilea, accusandolo di essere «fra i registi dell’attuale ondata di terrorismo». Jaffa è la città araba attaccata a Tel Aviv, dove le ultime violenze risalivano al 2000 ovvero l’inizio della Seconda Intifada. La polizia viene colta di sorpresa quando una folla di dimostranti si avvicina alla locale scuola religiosa ebraica tentando l’assalto con sassi, molotov e petardi. Ne segue una battaglia che termina con cinque agenti feriti e una dozzina di arrestati.
Dentro la Linea Verde
Sono arabo-israeliani, cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico, e l’impatto è una sorta di choc nazionale: su radio e tv leader religiosi musulmani ed ebrei si susseguono nel difendere Jaffa come «modello di coesistenza» dal 1948. Ma le bandiere verdi con le scritte coraniche innalzate in segno di sfida contro gli agenti suggeriscono che qualcosa è cambiato. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, punta l’indice contro il Movimento islamico del Nord, ovvero della Galilea, guidato da Sheikh Raed Salah, aggiungendo: «Sono gli stessi che organizzano le violenze nella moschea di Al Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme».
Il gruppo dei Morabitun, autori dei recenti disordini ad Al Aqsa, era «pagato e organizzato» dal Movimento Islamico che, aggiunge la polizia, «è dietro anche la battaglia di lunedì nelle strade di Nazareth». Si tratta di città arabe dentro i territori di Israele pre-1967 e suggeriscono il rischio che la possibile Intifada 3.0, iniziata attorno a Gerusalemme, si estenda agli arabo-israeliani, il 20% della popolazione. Il premier Netanyahu è lapidario: «Il Movimento islamico del Nord è fra i responsabili dell’ondata di terrore, incita all’odio come Hamas e l’Autorità palestinese» e promette «severi provvedimenti».
L’affermarsi di una componente islamica fra gli arabo-israeliani, vicina ai Fratelli Musulmani, pone una nuova sfida alla sicurezza e Netanyahu decide di rimandare il vertice a Berlino con Angela Merkel. Gli attacchi al coltello si moltiplicano: alla Porta dei Leoni della Città Vecchia è una donna palestinese che si avventa contro un israeliano - che riesce a spararle - a Kityat Gat un soldato viene aggredito e a Petach Tikwa è un civile a essere accoltellato.
Abu Mazen, presidente palestinese, si affida ad «Haaretz» per imputare tale ondata di violenze «alle politiche errate del governo Netanyahu» e a rispondergli è il presidente israeliano, Reuven Rivlin, secondo il quale «Abu Mazen ha definito gli ebrei puzzolenti con un linguaggio che incita all’odio e dovrebbe cessare di adoperare perché dobbiamo vivere assieme». Scontri anche in Cisgiordania, dove la novità viene dagli «attacchi dei coloni contro i palestinesi» secondo i portavoce di Ramallah che parlano di «auto incendiate e persone aggredite con sassi e armi da fuoco».
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
LA TERZA INTIFADA
medio oriente
Uccisi 7 palestinesi a Gaza e Hebron Hamas: «Intifada per liberare Gerusalemme»
Scontri alla barriera tra Gaza e Israele: 6 palestinesi, tra cui un 15enne e un 19enne, uccisi dalle forze israeliane. Un palestinese morto a Hebron. Il leader di Hamas Haniyeh: «L’Intifada è l’unica strada percorribile per giungere alla liberazione» di Federica Seneghini
http://www.corriere.it/esteri/15_ottobr ... 74f3.shtml
medio oriente
Uccisi 7 palestinesi a Gaza e Hebron Hamas: «Intifada per liberare Gerusalemme»
Scontri alla barriera tra Gaza e Israele: 6 palestinesi, tra cui un 15enne e un 19enne, uccisi dalle forze israeliane. Un palestinese morto a Hebron. Il leader di Hamas Haniyeh: «L’Intifada è l’unica strada percorribile per giungere alla liberazione» di Federica Seneghini
http://www.corriere.it/esteri/15_ottobr ... 74f3.shtml
-
- Messaggi: 1188
- Iscritto il: 21/02/2012, 22:55
Re: La Terza Guerra Mondiale
È guerra anche questa!!
Lunedì 5 ottobre è stato firmato il Trans-Pacific Partnership (Tpp) tra Usa, Giappone e altre 10 nazioni che affacciano sull’Oceano Pacifico. Come spesso accade per le cose veramente importanti i media hanno dato poco rilievo a questa notizia.
Io penso al contrario che questo trattato abbia un rilievo enorme per i destini dell’umanità. Non solo per i motivi geopolitici che sono evidenti – dal trattato è stata accuratamente tenuta fuori la Cina – ma per il suo carattere dirompente sul piano della democrazia. La mia opinione è che questo trattato – che segue di alcuni anni il Nafta stipulato tra Usa, Canada e Messico – costituisce un vero e proprio rovesciamento di quanto sancito dalla Rivoluzione francese per quanto riguarda la sovranità dei popoli e il loro diritto a decidere del proprio destino. Se la Rivoluzione francese ha aperto la fase della democrazia borghese, della sovranità popolare, questi trattati segnano la fine della democrazia da parte del capitalismo neoliberista. Si torna a prima della Rivoluzione francese e al posto dei monarchi assoluti ci sono le multinazionali. Parlo di questi trattati perché la firma del Tpp da una grande spinta alla firma del Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Unione Europea e Stati Uniti. In tal senso si sono espressi in questi giorni non solo il presidente Obama – grande sostenitore del Tpp e del Ttip – ma il complesso dei governanti europei a partire dal mitico Calenda, sottosegretario del governo Renzi di diretta nomina confindustriale, responsabile per il governo italiano del Ttip.
Svuotata la sovranità popolare nell’area del Pacifico, adesso la vogliono svuotare definitivamente anche in Europa.
Il punto fondamentale per cui ritengo il Tpp e il Ttip delle vere bombe atomiche contro la democrazia è il seguente. Questi trattati servono ad abolire ogni barriera – tariffaria e regolamentare – al libero commercio e alla libertà degli investimenti. Conseguentemente a questa impostazione, ogni norma che pone vincoli a commercio ed investimenti è da considerarsi illegale. In pratica questi trattati fissano, per le aree geografiche interessate, una sorta di Costituzione generale in cui la libertà di commercio e di investimenti diventano il punto fondamentale a cui qualunque altro diritto e volontà deve piegarsi. Non i diritti umani o il diritto al lavoro o al welfare ma la libertà di commercio e di investimento diventano i diritti attorno a cui tutto deve ruotare.
Strumento centrale per rendere cogente questa nuova norma fondamentale di disciplinamento degli umani è l’istituzione degli Investor-State Settlement. Si tratta della costituzione di corti arbitrali internazionali private che dovranno dirimere i contenziosi tra le multinazionali e gli Stati. Questo vuol dire che ogni impresa multinazionale potrà denunciare direttamente uno Stato (o una regione o un comune) che venga ritenuto colpevole di aver violato la libertà di commercio ed investimento. Questi tribunali privati – previsti dal Tpp e che gli Usa vogliono inserire nel Ttip – saranno chiamati a pronunciarsi in merito obbligando gli stati a cancellare norme in contrasto con la legge fondamentale e comminando multe salate nel caso in cui si ritenga che le leggi abbiano già danneggiato le multinazionali.
Si noti che questa magistratura privata è formata da tre parti, una di nomina delle multinazionali, una di nomina degli Stati e una “tecnica” nominata tra i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale. Visto che i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale normalmente non lavorano per la Fiom o per il Comune di Roccacannuccia, questo vuol dire che queste Corti sono formate in modo da garantire già in partenza una maggioranza a coloro che normalmente lavorano per le multinazionali.
Questa costruzione giuridica produce una mostruosità destinata ad imprigionare ogni democrazia. E’ infatti evidente che ogni scelta statale che ponga limiti alla volontà e agli interessi delle multinazionali potrà essere impugnata e dichiarata illegale e quindi cancellata. Che uno Stato decida che l’acqua deve essere pubblica è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida che non si possono coltivare organismi ogm sul suo territorio è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida di non estrarre il petrolio da una determinata area è una scelta che cozza contro al libertà di investimento delle imprese. Con questa logica, che uno Stato decida di mantenere un Sistema Sanitario Nazionale pubblico è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese.
Qualcuno può pensare che io stia esagerando. A riprova di quanto sto dicendo segnalo un esempio solo. A causa del Nafta, lo Stato del Quebec – Canada – è stato portato davanti ad un tribunale arbitrale da una impresa di estrazione statunitense perché ha votato una moratoria nell’estrazione dello shale gas in quanto questa estrazione è distruttiva dell’ambiente e pericolosa per la salute.
Non ho lo spazio per proseguire oltre ma spero di aver comunicato la necessità di costruire una forte opposizione alla stipula del Ttip. A tal riguardo segnalo che dal 10 al 17 ottobre vi sarà una settimana di mobilitazione europea contro il Ttip che culminerà con la manifestazione a Bruxelles il 17 dove verranno presentati i 3 milioni di firme raccolte nei mesi scorsi contro il Ttip.
Lunedì 5 ottobre è stato firmato il Trans-Pacific Partnership (Tpp) tra Usa, Giappone e altre 10 nazioni che affacciano sull’Oceano Pacifico. Come spesso accade per le cose veramente importanti i media hanno dato poco rilievo a questa notizia.
Io penso al contrario che questo trattato abbia un rilievo enorme per i destini dell’umanità. Non solo per i motivi geopolitici che sono evidenti – dal trattato è stata accuratamente tenuta fuori la Cina – ma per il suo carattere dirompente sul piano della democrazia. La mia opinione è che questo trattato – che segue di alcuni anni il Nafta stipulato tra Usa, Canada e Messico – costituisce un vero e proprio rovesciamento di quanto sancito dalla Rivoluzione francese per quanto riguarda la sovranità dei popoli e il loro diritto a decidere del proprio destino. Se la Rivoluzione francese ha aperto la fase della democrazia borghese, della sovranità popolare, questi trattati segnano la fine della democrazia da parte del capitalismo neoliberista. Si torna a prima della Rivoluzione francese e al posto dei monarchi assoluti ci sono le multinazionali. Parlo di questi trattati perché la firma del Tpp da una grande spinta alla firma del Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Unione Europea e Stati Uniti. In tal senso si sono espressi in questi giorni non solo il presidente Obama – grande sostenitore del Tpp e del Ttip – ma il complesso dei governanti europei a partire dal mitico Calenda, sottosegretario del governo Renzi di diretta nomina confindustriale, responsabile per il governo italiano del Ttip.
Svuotata la sovranità popolare nell’area del Pacifico, adesso la vogliono svuotare definitivamente anche in Europa.
Il punto fondamentale per cui ritengo il Tpp e il Ttip delle vere bombe atomiche contro la democrazia è il seguente. Questi trattati servono ad abolire ogni barriera – tariffaria e regolamentare – al libero commercio e alla libertà degli investimenti. Conseguentemente a questa impostazione, ogni norma che pone vincoli a commercio ed investimenti è da considerarsi illegale. In pratica questi trattati fissano, per le aree geografiche interessate, una sorta di Costituzione generale in cui la libertà di commercio e di investimenti diventano il punto fondamentale a cui qualunque altro diritto e volontà deve piegarsi. Non i diritti umani o il diritto al lavoro o al welfare ma la libertà di commercio e di investimento diventano i diritti attorno a cui tutto deve ruotare.
Strumento centrale per rendere cogente questa nuova norma fondamentale di disciplinamento degli umani è l’istituzione degli Investor-State Settlement. Si tratta della costituzione di corti arbitrali internazionali private che dovranno dirimere i contenziosi tra le multinazionali e gli Stati. Questo vuol dire che ogni impresa multinazionale potrà denunciare direttamente uno Stato (o una regione o un comune) che venga ritenuto colpevole di aver violato la libertà di commercio ed investimento. Questi tribunali privati – previsti dal Tpp e che gli Usa vogliono inserire nel Ttip – saranno chiamati a pronunciarsi in merito obbligando gli stati a cancellare norme in contrasto con la legge fondamentale e comminando multe salate nel caso in cui si ritenga che le leggi abbiano già danneggiato le multinazionali.
Si noti che questa magistratura privata è formata da tre parti, una di nomina delle multinazionali, una di nomina degli Stati e una “tecnica” nominata tra i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale. Visto che i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale normalmente non lavorano per la Fiom o per il Comune di Roccacannuccia, questo vuol dire che queste Corti sono formate in modo da garantire già in partenza una maggioranza a coloro che normalmente lavorano per le multinazionali.
Questa costruzione giuridica produce una mostruosità destinata ad imprigionare ogni democrazia. E’ infatti evidente che ogni scelta statale che ponga limiti alla volontà e agli interessi delle multinazionali potrà essere impugnata e dichiarata illegale e quindi cancellata. Che uno Stato decida che l’acqua deve essere pubblica è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida che non si possono coltivare organismi ogm sul suo territorio è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida di non estrarre il petrolio da una determinata area è una scelta che cozza contro al libertà di investimento delle imprese. Con questa logica, che uno Stato decida di mantenere un Sistema Sanitario Nazionale pubblico è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese.
Qualcuno può pensare che io stia esagerando. A riprova di quanto sto dicendo segnalo un esempio solo. A causa del Nafta, lo Stato del Quebec – Canada – è stato portato davanti ad un tribunale arbitrale da una impresa di estrazione statunitense perché ha votato una moratoria nell’estrazione dello shale gas in quanto questa estrazione è distruttiva dell’ambiente e pericolosa per la salute.
Non ho lo spazio per proseguire oltre ma spero di aver comunicato la necessità di costruire una forte opposizione alla stipula del Ttip. A tal riguardo segnalo che dal 10 al 17 ottobre vi sarà una settimana di mobilitazione europea contro il Ttip che culminerà con la manifestazione a Bruxelles il 17 dove verranno presentati i 3 milioni di firme raccolte nei mesi scorsi contro il Ttip.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
erding ha scritto:È guerra anche questa!!
Lunedì 5 ottobre è stato firmato il Trans-Pacific Partnership (Tpp) tra Usa, Giappone e altre 10 nazioni che affacciano sull’Oceano Pacifico. Come spesso accade per le cose veramente importanti i media hanno dato poco rilievo a questa notizia.
Io penso al contrario che questo trattato abbia un rilievo enorme per i destini dell’umanità. Non solo per i motivi geopolitici che sono evidenti – dal trattato è stata accuratamente tenuta fuori la Cina – ma per il suo carattere dirompente sul piano della democrazia. La mia opinione è che questo trattato – che segue di alcuni anni il Nafta stipulato tra Usa, Canada e Messico – costituisce un vero e proprio rovesciamento di quanto sancito dalla Rivoluzione francese per quanto riguarda la sovranità dei popoli e il loro diritto a decidere del proprio destino. Se la Rivoluzione francese ha aperto la fase della democrazia borghese, della sovranità popolare, questi trattati segnano la fine della democrazia da parte del capitalismo neoliberista. Si torna a prima della Rivoluzione francese e al posto dei monarchi assoluti ci sono le multinazionali. Parlo di questi trattati perché la firma del Tpp da una grande spinta alla firma del Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Unione Europea e Stati Uniti. In tal senso si sono espressi in questi giorni non solo il presidente Obama – grande sostenitore del Tpp e del Ttip – ma il complesso dei governanti europei a partire dal mitico Calenda, sottosegretario del governo Renzi di diretta nomina confindustriale, responsabile per il governo italiano del Ttip.
Svuotata la sovranità popolare nell’area del Pacifico, adesso la vogliono svuotare definitivamente anche in Europa.
Il punto fondamentale per cui ritengo il Tpp e il Ttip delle vere bombe atomiche contro la democrazia è il seguente. Questi trattati servono ad abolire ogni barriera – tariffaria e regolamentare – al libero commercio e alla libertà degli investimenti. Conseguentemente a questa impostazione, ogni norma che pone vincoli a commercio ed investimenti è da considerarsi illegale. In pratica questi trattati fissano, per le aree geografiche interessate, una sorta di Costituzione generale in cui la libertà di commercio e di investimenti diventano il punto fondamentale a cui qualunque altro diritto e volontà deve piegarsi. Non i diritti umani o il diritto al lavoro o al welfare ma la libertà di commercio e di investimento diventano i diritti attorno a cui tutto deve ruotare.
Strumento centrale per rendere cogente questa nuova norma fondamentale di disciplinamento degli umani è l’istituzione degli Investor-State Settlement. Si tratta della costituzione di corti arbitrali internazionali private che dovranno dirimere i contenziosi tra le multinazionali e gli Stati. Questo vuol dire che ogni impresa multinazionale potrà denunciare direttamente uno Stato (o una regione o un comune) che venga ritenuto colpevole di aver violato la libertà di commercio ed investimento. Questi tribunali privati – previsti dal Tpp e che gli Usa vogliono inserire nel Ttip – saranno chiamati a pronunciarsi in merito obbligando gli stati a cancellare norme in contrasto con la legge fondamentale e comminando multe salate nel caso in cui si ritenga che le leggi abbiano già danneggiato le multinazionali.
Si noti che questa magistratura privata è formata da tre parti, una di nomina delle multinazionali, una di nomina degli Stati e una “tecnica” nominata tra i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale. Visto che i grandi avvocati che si occupano di diritto commerciale internazionale normalmente non lavorano per la Fiom o per il Comune di Roccacannuccia, questo vuol dire che queste Corti sono formate in modo da garantire già in partenza una maggioranza a coloro che normalmente lavorano per le multinazionali.
Questa costruzione giuridica produce una mostruosità destinata ad imprigionare ogni democrazia. E’ infatti evidente che ogni scelta statale che ponga limiti alla volontà e agli interessi delle multinazionali potrà essere impugnata e dichiarata illegale e quindi cancellata. Che uno Stato decida che l’acqua deve essere pubblica è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida che non si possono coltivare organismi ogm sul suo territorio è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese. Che uno Stato decida di non estrarre il petrolio da una determinata area è una scelta che cozza contro al libertà di investimento delle imprese. Con questa logica, che uno Stato decida di mantenere un Sistema Sanitario Nazionale pubblico è una scelta che cozza contro la libertà di investimento delle imprese.
Qualcuno può pensare che io stia esagerando. A riprova di quanto sto dicendo segnalo un esempio solo. A causa del Nafta, lo Stato del Quebec – Canada – è stato portato davanti ad un tribunale arbitrale da una impresa di estrazione statunitense perché ha votato una moratoria nell’estrazione dello shale gas in quanto questa estrazione è distruttiva dell’ambiente e pericolosa per la salute.
Non ho lo spazio per proseguire oltre ma spero di aver comunicato la necessità di costruire una forte opposizione alla stipula del Ttip. A tal riguardo segnalo che dal 10 al 17 ottobre vi sarà una settimana di mobilitazione europea contro il Ttip che culminerà con la manifestazione a Bruxelles il 17 dove verranno presentati i 3 milioni di firme raccolte nei mesi scorsi contro il Ttip.
Sì, anche questa è una guerra. Ma nel suo contenuto la chiamerei anche la sindrome di Hitler.
Ma quello che però non capisco è il comportamento costante e reiterato del secondo attore della guerra.
Più sopra Maucat, nell’analizzare il perché tecnico della guerra conclude:
Sono solo alcune delle motivazioni di una guerra, l'unico a non volerla mai ma a subirla sempre è il popolo, la gente normale.
Non capisco perché una parte riesce a capire cosa fanno le classi dirigenti che prendono decisioni per tutti, mentre la maggioranza se ne sbatte salvo poi dolersene quando tutto si aggrava; ma poi in pratica subisce.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La Terza Guerra Mondiale
L'impatto di teatro è ancora più crudo e devastante della bomba di piazza Della Loggia a Brescia.
Là il mondo del lavoro in piazza a protestare.
Qua le prime immagini trasmesse e ripetute per tutta la giornata sono quelle di ragazzi che cantano e ballano IN UNA MANIFESTAZIONE PER LA PACE.
La reazione a quanto accaduto si avvale anche di questo. Non protestavano lanciando sassi o molotov, ma stavano cantando e ballando,
Siamo in guerra e ci dobbiamo abituare a questo genere di nefandezza e crudeltà.
MA A QUESTE IMMAGINI NON CI SI ABITUA MAI.
Nelle prime notizie di agenzia i morti erano 20, adesso sono 97.
Ankara, attentato alla stazione: almeno 97 morti
Curdi: “Erdogan fa propaganda con le bombe”
Due esplosioni nel corteo pacifista. Governo: “Attacco all’unità del Paese”. Video – Il ballo, poi lo scoppio
Suat Çorlu, dirigente Hdp: “Dietro strage c’è il partito del presidente. Creano paura in vista delle elezioni”
Mondo
Turchia sotto shock per un sanguinoso attacco terroristico nella capitale Ankara. A tre settimane dalle cruciali elezioni politiche, due esplosioni hanno colpito una folla che si stava radunando per partecipare a una manifestazione per la pace, chiedendo la fine del conflitto con il Pkk curdo. Le vittime sono 97, quasi 200 i feriti. Governo: “Terrorismo, opera di due kamikaze”. Suat Çorlu, dirigente del partito filo-curdo Hdp: “Dietro la strage c’è l’Akp del presidente Erdogan. Vogliono alimentare la paura e far passare l’idea che l’unico antidoto sia la loro vittoria alle urne il 1° novembre”
di Giovanna Loccatelli
^^^^^^^^^
Attentato ad Ankara, il partito filo-curdo Hdp: “Erdogan fa propaganda elettorale con le bombe”
Mondo
Suat Çorlu, vicepresidente dei filocurdi a Istanbul, ha da poco messo giù il telefono. Ha parlato con Selahattin Demirtas, leader del partito che lo scorso giugno ha conquistato il 13% alle elezioni politiche ed è entrato in Parlamento, impedendo all'Akp di Tayyip Recep Erdogan con conquistare ancora una volta la maggioranza assoluta: "Dietro la strage nella capitale c'è il partito del presidente - spiega a IlFattoQuotidiano.it - vogliono alimentare la paura nelle persone e far passare l'idea che l'unico antidoto sia la loro vittoria alle elezioni del 1° novembre"
di Giovanna Loccatelli | 10 ottobre 2015
“Ci aspettavamo qualcosa di simile. Ed è successo. Purtroppo, pensiamo che possa succedere ancora”. Suat Çorlu, vicepresidente del partito filocurdo Hdp a Istanbul, ha da poco messo giù il telefono. Ha parlato con Selahattin Demirtas, leader del partito che lo scorso giugno ha conquistato il 13% alle elezioni politiche ed è entrato in Parlamento, impedendo all’Akp di Tayyip Recep Erdogan con conquistare ancora una volta la maggioranza assoluta. “E’ evidente che dietro l’attentato di Ankara sia dietro quello di Suruc (dello scorso 20 luglio, ndr) ci sia l’Akp – spiega il dirigente a IlFattoQuotidiano.it – vogliono aumentare la paura nelle persone, paura che loro stessi hanno creato, e dare come unico antidoto la vittoria del loro partito alle prossime elezioni. Questa è la loro propaganda.” Si ferma, alza il tono di voce e poi attacca l’Akp senza mezzi termini: “La loro campagna elettorale è sporca di sangue. Erdogan sta utilizzando le bombe per fini elettorali, per riprendere il potere assoluto in Parlamento. Ma non ce la farà neanche questa volta”.
Nella sede dell’Hdp, nel quartiere popolare di Tarlabasi, la tensione è palpabile. La telefonata con Demirtas è servita a delineare la strategia delle prossime tre settimane: “Abbiamo deciso di cambiare la strategia politica in questo mese di campagna elettorale, in vista del 1°novembre, giorno delle elezioni anticipate. Abbiamo cancellato tutti i nostri appuntamenti politici per i prossimi tre giorni: vogliamo aiutare i nostri amici rimasti feriti nell’attentato e stare vicino ai parenti delle vittime. In questo momento le elezioni non sono la nostra priorità, vogliamo stare vicino al nostro popolo”.
Per questo “faremo una decina di comizi, più piccoli e controllati, in giro per la Turchia. Chiederemo ai nostri elettori e simpatizzanti di partecipare unicamente alle iniziative nella città in cui vivono. Nelle grandi manifestazioni c’è più rischi di infiltrazioni terroristiche. In questo momento non dobbiamo mettere la nostra gente in pericolo”. Lampante l’esempio di Ankara: “La manifestazione per la pace è stata organizzata da civili. Tante persone, provenienti da città diverse, hanno preso parte all’iniziativa. Ecco, questo tipo di manifestazioni sono oggi pericolose perché è difficile controllarle”.
Ankara è lontana, ma a Istanbul l’aria è elettrica. Camionette a ogni angolo, sirene che tagliano l’aria. In diversi quartieri la gente è scesa in strada in solidarietà alle vittime dell’attentato che nella capitale ha fatto almeno 97 vittime e quasi 200 feriti. A Galatasaray, nei pressi di Taksim, un centinaio di persone, sedute per terra, hanno urlato slogan contro il governo e il partito del presidente: “Erdogan, non puoi bombardare la pace”, riecheggia prima di un “Spalla a spalla contro il fascismo”. E c’è chi intona: “L’Akp vuole la guerra, noi vogliamo la pace”.
A poca distanza una signora, con le lacrime agli occhi, urla, disperata: “Siamo persone. Siamo esseri umani e siamo uniti. Se uccidono uno di noi, ne faremo nascere altri milli. Il popolo turco si
deve unire contro la crudeltà e violenza. La manifestazione di Ankara era pacifica ed è finita nel sangue”. Senza sosta e con il fiato spezzato aggiunge: “Oggi le madri delle vittime stanno piangendo i propri cari, ma chi ha organizzato questo attentato morirà nel mare delle nostre lacrime”. Seduto a terra, un ragazzo, furente, urla disperato : “La gente ha capito il gioco sporco che sta portando avanti il presidente. Ci opporremo con tutte le nostre forze ai ricatti. Vogliamo un paese libero”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... e/2115659/
Là il mondo del lavoro in piazza a protestare.
Qua le prime immagini trasmesse e ripetute per tutta la giornata sono quelle di ragazzi che cantano e ballano IN UNA MANIFESTAZIONE PER LA PACE.
La reazione a quanto accaduto si avvale anche di questo. Non protestavano lanciando sassi o molotov, ma stavano cantando e ballando,
Siamo in guerra e ci dobbiamo abituare a questo genere di nefandezza e crudeltà.
MA A QUESTE IMMAGINI NON CI SI ABITUA MAI.
Nelle prime notizie di agenzia i morti erano 20, adesso sono 97.
Ankara, attentato alla stazione: almeno 97 morti
Curdi: “Erdogan fa propaganda con le bombe”
Due esplosioni nel corteo pacifista. Governo: “Attacco all’unità del Paese”. Video – Il ballo, poi lo scoppio
Suat Çorlu, dirigente Hdp: “Dietro strage c’è il partito del presidente. Creano paura in vista delle elezioni”
Mondo
Turchia sotto shock per un sanguinoso attacco terroristico nella capitale Ankara. A tre settimane dalle cruciali elezioni politiche, due esplosioni hanno colpito una folla che si stava radunando per partecipare a una manifestazione per la pace, chiedendo la fine del conflitto con il Pkk curdo. Le vittime sono 97, quasi 200 i feriti. Governo: “Terrorismo, opera di due kamikaze”. Suat Çorlu, dirigente del partito filo-curdo Hdp: “Dietro la strage c’è l’Akp del presidente Erdogan. Vogliono alimentare la paura e far passare l’idea che l’unico antidoto sia la loro vittoria alle urne il 1° novembre”
di Giovanna Loccatelli
^^^^^^^^^
Attentato ad Ankara, il partito filo-curdo Hdp: “Erdogan fa propaganda elettorale con le bombe”
Mondo
Suat Çorlu, vicepresidente dei filocurdi a Istanbul, ha da poco messo giù il telefono. Ha parlato con Selahattin Demirtas, leader del partito che lo scorso giugno ha conquistato il 13% alle elezioni politiche ed è entrato in Parlamento, impedendo all'Akp di Tayyip Recep Erdogan con conquistare ancora una volta la maggioranza assoluta: "Dietro la strage nella capitale c'è il partito del presidente - spiega a IlFattoQuotidiano.it - vogliono alimentare la paura nelle persone e far passare l'idea che l'unico antidoto sia la loro vittoria alle elezioni del 1° novembre"
di Giovanna Loccatelli | 10 ottobre 2015
“Ci aspettavamo qualcosa di simile. Ed è successo. Purtroppo, pensiamo che possa succedere ancora”. Suat Çorlu, vicepresidente del partito filocurdo Hdp a Istanbul, ha da poco messo giù il telefono. Ha parlato con Selahattin Demirtas, leader del partito che lo scorso giugno ha conquistato il 13% alle elezioni politiche ed è entrato in Parlamento, impedendo all’Akp di Tayyip Recep Erdogan con conquistare ancora una volta la maggioranza assoluta. “E’ evidente che dietro l’attentato di Ankara sia dietro quello di Suruc (dello scorso 20 luglio, ndr) ci sia l’Akp – spiega il dirigente a IlFattoQuotidiano.it – vogliono aumentare la paura nelle persone, paura che loro stessi hanno creato, e dare come unico antidoto la vittoria del loro partito alle prossime elezioni. Questa è la loro propaganda.” Si ferma, alza il tono di voce e poi attacca l’Akp senza mezzi termini: “La loro campagna elettorale è sporca di sangue. Erdogan sta utilizzando le bombe per fini elettorali, per riprendere il potere assoluto in Parlamento. Ma non ce la farà neanche questa volta”.
Nella sede dell’Hdp, nel quartiere popolare di Tarlabasi, la tensione è palpabile. La telefonata con Demirtas è servita a delineare la strategia delle prossime tre settimane: “Abbiamo deciso di cambiare la strategia politica in questo mese di campagna elettorale, in vista del 1°novembre, giorno delle elezioni anticipate. Abbiamo cancellato tutti i nostri appuntamenti politici per i prossimi tre giorni: vogliamo aiutare i nostri amici rimasti feriti nell’attentato e stare vicino ai parenti delle vittime. In questo momento le elezioni non sono la nostra priorità, vogliamo stare vicino al nostro popolo”.
Per questo “faremo una decina di comizi, più piccoli e controllati, in giro per la Turchia. Chiederemo ai nostri elettori e simpatizzanti di partecipare unicamente alle iniziative nella città in cui vivono. Nelle grandi manifestazioni c’è più rischi di infiltrazioni terroristiche. In questo momento non dobbiamo mettere la nostra gente in pericolo”. Lampante l’esempio di Ankara: “La manifestazione per la pace è stata organizzata da civili. Tante persone, provenienti da città diverse, hanno preso parte all’iniziativa. Ecco, questo tipo di manifestazioni sono oggi pericolose perché è difficile controllarle”.
Ankara è lontana, ma a Istanbul l’aria è elettrica. Camionette a ogni angolo, sirene che tagliano l’aria. In diversi quartieri la gente è scesa in strada in solidarietà alle vittime dell’attentato che nella capitale ha fatto almeno 97 vittime e quasi 200 feriti. A Galatasaray, nei pressi di Taksim, un centinaio di persone, sedute per terra, hanno urlato slogan contro il governo e il partito del presidente: “Erdogan, non puoi bombardare la pace”, riecheggia prima di un “Spalla a spalla contro il fascismo”. E c’è chi intona: “L’Akp vuole la guerra, noi vogliamo la pace”.
A poca distanza una signora, con le lacrime agli occhi, urla, disperata: “Siamo persone. Siamo esseri umani e siamo uniti. Se uccidono uno di noi, ne faremo nascere altri milli. Il popolo turco si
deve unire contro la crudeltà e violenza. La manifestazione di Ankara era pacifica ed è finita nel sangue”. Senza sosta e con il fiato spezzato aggiunge: “Oggi le madri delle vittime stanno piangendo i propri cari, ma chi ha organizzato questo attentato morirà nel mare delle nostre lacrime”. Seduto a terra, un ragazzo, furente, urla disperato : “La gente ha capito il gioco sporco che sta portando avanti il presidente. Ci opporremo con tutte le nostre forze ai ricatti. Vogliamo un paese libero”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... e/2115659/
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Nessuno e 5 ospiti