Dal fine vita alle unioni gay: anche il 2015
ha visto soltanto promesse. E chi vuole l’eutanasia
è sempre costretto ad andare a morire all’estero
Diritti civili,
un altro anno buttato
POCHE PAROLE PER dire addio a una
persona che, come fa chi costruisce la
storia dei diritti negati nel nostro paese,
ha reso pubblica una decisione del tutto
privata. E lo ha fatto per dare voce a chi
viene silenziato da una politica sempre
in ritardo.
ADDIO A DOMINIQUE VELATI, la donna
che ha deciso di praticare l’eutanasia in
Svizzera. Se volete conoscere Dominique,
potete farlo attraverso una bellissima
intervista che le ha fatto Giulia Innocenzi
per Servizio Pubblico, poco prima
che andasse in Svizzera. Dovreste farlo
perché nove anni dopo la morte di Piergiorgio
Welby (era il 20 dicembre 2006)
nulla è cambiato e ancora in Italia non
esiste una legge che regolamenti il ne
vita. Duecento parlamentari e centomila
cittadini hanno chiesto a questo governo
di legiferare in merito, hanno chiesto a
questo governo di cancellare la zona
grigia fatta di spine staccate nel silenzio,
di coraggio che diventa calvario e sofferenza.
Fatto di amore per la vita che diventa
bisogno di morire. Fatto di scelta
legittima che diventa diritto negato.
UN CANCRO AL COLON, metastasi anche
al fegato, l’intervento e poi la scoperta
che le metastasi interessavano anche altre
parti del corpo. Con la chemioterapia
Dominique avrebbe vissuto ancora
qualche anno, pochi. Senza la chemio da
uno a tre mesi. Decide di voler praticare
l’eutanasia. Dominique dice che ha molto
più coraggio chi accetta di percorrere
la strada della chemioterapia e probabilmente,
dati gli effetti devastanti della
cura, ha ragione. Ma io credo che in un
Paese dove non c’è possibilità di scelta
sul ne vita, chi invece decide di praticare
l’eutanasia ha un coraggio diverso: ha
il coraggio della solitudine. Ha il coraggio
di prendere una decisione che apparentemente
si contrappone non alla morale
collettiva, ma alla morale pubblica.
La prima indica come le persone nel
privato delle loro vite ritengono di affrontare
determinati argomenti. La seconda
come il nostro paese pubblicamente
si pone di fronte a determinati
argomenti. Nella realtà dei fatti, un cattolico
praticante può scegliere di praticare
l’eutanasia o di condividere la scelta
di un amico o un parente in tal senso, pur
avendo sempre sostenuto pubblicamente
di essere contrario.
QUINDI IL FRENO non è dato dal sentire
comune, ma dalla mancanza di regole.
Spesso si dice che la politica sia in ritardo
rispetto a quello che la comunità pensa
e sente, soprattutto in materia di diritti
civili. Pensiamo alle coppie di fatto, ai
matrimoni gay, all’adozione di gli in
coppie gay, alle stepchild adoption. In
assenza di dibattito reale, in assenza di
leggi, ogni discussione in merito a questi
argomenti ha giocoforza il sapore della
provocazione. Eppure provocazione
non è, ma legittima richiesta di diritti che
non esistono a fronte di necessità reali.
Chi, ad esempio, decide di praticare
l’eutanasia, lo farà in un contesto che è
ostile a quella pratica, semplicemente
perché non se ne parla, perché l’eutanasia
ha tutto il sapore di una libertà rubata
e non di una scelta possibile, al pari
della decisione di intraprendere un percorso
di cure. Nessuna di queste strade è
la migliore in valore assoluto, ma ciascuna
è la migliore per chi la sceglie.
MORIRE A BERNA signica potersi permettere
12.700 euro. Morire a Berna
signica avere il coraggio di portare alla
bocca il bicchiere con dentro 15 millilitri
di pentobarbital. Dominique a Giulia
Innocenzi ha detto di essere serena, «di
una serenità che augurerei a tutti, poi
fate altre scelte, se volete». È proprio così:
che ciascuno faccia la scelta che vuole,
permettendo al prossimo di fare la propria.
Permettendo al prossimo di poter
vivere e morire secondo la coscienza individuale
e non secondo la religione di
qualcun altro.
IL 2015 È STATO un anno importante,
perché difcile e tragico. Un anno in cui
chi ci governa ha dato ancora prova di
quanto, qualunque cosa accada, l’agenda
politica ha tempi che non dipendono
dalle richieste di cittadini e dalle loro
urgenze. Ecco perché serve il lavoro
dell’Associazione Luca Coscioni per la
libertà di ricerca scientica, che spesso fa
informazione dove colpevolmente manca.
L’Associazione Luca Coscioni ha
continuamente bisogno di risorse per le
proprie (che poi sono le nostre) battaglie,
spero possa contare sulla vostra attenzione.
E spero anche che il 2016 sarà
l’anno dei diritti non più negati, e nemmeno
concessi, ma costruiti.
Roberto Saviano
L’antitaliano
www.lespresso.it