Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto
La libertà è il diritto dell’anima a respirare. E noi, partecipando malgrado tutto, vogliamo continuare a respirare.Lo facciamo nel modo più opportuno possibile all’interno di questo forum che offre spazio a tutti coloro che credono nella democrazia
iospero ha scritto:Nel frattempo Civati e Casson affermano che non è scontato il voto di fiducia a Renzi, dipenderà dal contenuto del programma e dalla nomina dei ministri.
Sono 6 senatori schierati con Casson.
ùStiamo a vedere
Questi sono giorni di intenso caos, generato da tanti fattori. Ergo, io le notizie le prendo con le molle.
Fatta questa premessa, non ricordo più su quale quotidiano, stamani veniva riportata la notizia di una nuova ipotesi di scissione da parte di Civati.
Anche se auspico da tempo che si riformi la sinistra venduta da Dalemoni & Co come prezzo d’ingresso all’orgia del potere, ritengo che ci siano sempre difficoltà di denaro per mettere in piedi una nuova formazione.
A meno che qualcuno abbia un suggerimento su come i Ds possano cedere una quota del loro patrimonio a chi esce.
Conoscendo però l’avidità megalattica del cerchio magico dei Ds, dubito fortemente che intendano rinunciare alla “Robba” amministrata dal compagno Sposetti, che mi sempre un personaggio degno della squadra di Peppone da Brescello - Viadana.
• • v.tr. [sogg-v-arg-prep.arg] med. Assuefare gradualmente qlcu. a sostanze tossiche SIN immunizzare
• • mitridatizzarsi
• • v.rifl. [sogg-v] med. Rendersi immune nei confronti di sostanze tossicheSIN immunizzarsi
Noi in questi ultimi 20 anni abbiamo assunto dosi giornaliere di sostane tossiche ( berlusconismo sostenuto da falso sinistrismo), ragion per cui ogni cosa accada non ci fa più nessun effetto perché siamo naturalmente immunizzati.
Elezioni in Sardegna, la lunga lista degli indagati di Pd e FI I 480 mila elettori sardi sono chiamati a esprimersi per il rinnovo del presidente della regione. Sia Cappellacci (FI) che Pigliaru (Pd) hanno introdotto in lista numerosi candidati coinvolti in inchieste sia per lo scandalo dei fondi regionali che per altri reati. Sono sette per il centrodestra, cinque per il centrosinistra
di Giorgio Meletti | 15 febbraio 2014
Commenti (3)
Quel signore che vedete nella foto fare le feste a Matteo Renzi si chiama Valter Piscedda ed è il sindaco di Elmas, comune alle porte di Cagliari che ospita l’aeroporto del capoluogo sardo. Lo sguardo perplesso di Francesco Pigliaru, candidato del centrosinistra alla carica di governatore, è forse dovuto al fatto che Piscedda, renziano sfegatato, ha ottenuto un posto nelle liste Pd per il consiglio regionale (collegio di Cagliari) nonostante sia indagato per abuso d’ufficio. Piscedda, secondo la Procura di Cagliari, avrebbe dato il via libera al progetto del presidente del Cagliari,Massimo Cellino, di costruire un nuovo stadio a pochi metri dalla pista. Secondo La Nuova Sardegna, nonostante Piscedda sia vicepresidente dell’associazione dei comuni aeroportuali, è toccato all’Enac (l’ente che vigila sull’aviazione civile) spiegargli che gli stadi a bordo pista non sono il massimo. Anche un bambino di otto anni intuirebbe che negli stadi entra di tutto e l’ipotesi di un Airbus abbattuto da un super botto non è così remota, mentre un jet che sbaglia l’atterraggio, anche a gioco fermo, farebbe 10 mila morti come niente. Ma Piscedda ha altre intuizioni, con le quali si è conquistato un posto nelle liste Pd.
Non è un caso limite. Domani gli elettori sardi si troveranno davanti un’ampia scelta di indagati e processati, equamente distribuiti nelle liste di Forza Italia, Udc e Pd. La casta dei politici sardi ha dato così la sua ferma risposta alla prcura della Repubblica di Cagliari, che ormai da anni dà la caccia ai furbetti dei fondi dei gruppi consiliari alla Regione. Una risposta che sa di sfida, e infatti l’argomento è stato oscurato dalla campagna elettorale. Eppure corrono sempre più insistenti le voci su imminenti arresti, probabilmente rinviati a dopo le elezioni per motivi di opportunità. Il reato di peculato verte sul mancato rendiconto dell’uso dei fondi regionali (una paghetta da 2.700 euro al mese di cui quasi tutti i consiglieri regionali facevano l’uso, per così dire, più libero). Secondo gli inquirenti, da settimane l’attività di inquinamento delle prove, che porta dritto all’arresto, è frenetica.
Nell’autunno scorso l’avviso di garanzia all’europarlamentare Francesca Barracciu è arrivato all’indomani della sua vittoria alle primarie contro il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, già rinviato a giudizio per abuso d’ufficio. La beffa è che Barracciu è stata costretta a rinunciare alla candidatura alle Regionali, mentre Ganau, con processo e tutto, è candidato per il Pd nel collegio di Sassari. Per Barracciu il premio di consolazione è stato il pubblico riconoscimento di Matteo Renzi (con tanto di standing ovation) per il “senso di responsabilità” con cui ha deciso il “passo indietro”.
Ha avuto buon gioco Michela Murgia, la scrittrice indipendentista che sfida i due schieramenti principali con la sua “Sardegna Possibile”, a notare che il Pd alla fine ha fatto fuori solo una donna. Quando è esplosa l’inchiesta, il senatore e segretario regionale Silvio Lai (indagato anche lui) ha tagliato corto: “Spiegheremo tutto”. E in attesa di spiegare sono candidati Gavino Manca, che deve dare spiegazioni su 52 mila euro, Franco Sabatini (56 mila euro), Marco Espa (12 mila euro), mentre preparano le loro spiegazioni a Roma i parlamentari Marco Meloni (32 mila euro),Francesco Sanna (45 mila) e Siro Marrocu (92 mila).
La lista degli indagati è lunga come un elenco telefonico, e ovviamente non è detto che siano tutti colpevoli. Colpisce però la sicurezza con cui si presentano alle urne i portatori forse sani di vicende processuali imbarazzanti. Ugo Cappellacci dovrà presentarsi alla sbarra il 9 aprile prossimo per abuso d’ufficio. È accusato di aver nominato al vertice dell’Arpas, agenzia regionale per l’ambiente,Ignazio Farris, l’uomo indicato dalla cosiddetta P3 per favorire gli affari del noto Flavio Carboninelle ambite bonifiche delle aree industriali del Sulcis e nell’impianto di pale eoliche. Cappellacci si dice innocente perché, a suo dire, avrebbe solo ceduto a una pressione di Denis Verdini, del quale non vede il reato. Verdini, più accorto, ha negato tutto. Cappellacci ha così delimitato la sua responsabilità: “Sono stato un babbeo”.
Gli uomini di Berlusconi mostrano nel peculato una fantasia superiore ai colleghi del Pd. Il recente arresto ha precluso la candidatura al consigliere Sisinnio Piras, che dice di aver speso i soldi del gruppo consiliare per comprare 90 maialetti da servire in tavola in occasione di convegni sull’obesità presso il centro fitness di sua moglie, Marisa Orrù. Stessa sorte infausta per gli altri arrestati, Mario Diana, collezionista di penne Mont Blanc e orologi Rolex a spese dei disoccupati sardi, e Carlo Sanjust che con i soldi della Regione si è pagato la festa di matrimonio, 20 mila euro.
L’assessore all’Ambiente uscente, Andrea Biancareddu, chiede ancora i voti per poter spiegare da una posizione di forza che fine hanno fatto i 90 mila euro di cui i magistrati gli chiedono conto. Nel suo curriculum momenti alti tra cui, un anno fa, la condanna a un anno di reclusione per usurpazione di funzioni pubbliche, e l’assenza decisiva per mandare a vuoto una riunione del consiglio di presidenza dell’assemblea regionale convocata per cercare rimedi alla piaga dell’assenteismo dei consiglieri. Onorio Petrini, ricandidato con Forza Italia, ha già restituito 25 mila euro spesi illegalmente, ma nel suo studio di odontotecnico sono stati trovati numerosi oggetti d’argento. Ha detto che erano doni per gli elettori, ma il procuratore Marco Cocco lo ha inchiodato, come riferisce La Nuova Sardegna: “Quando è stata eseguita la perquisizione la zuccheriera era piena di zucchero”. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. La Sardegna è in buone mani.
Da Il Fatto Quotidiano del 15 febbraio 2014
I resistenti civatiani si illudono di combattere da dentro. Il partito azienda è un grande Moloch che si mangia tutto. L'avidità prevarica su tutto. Pensare che quegli ingordi sfascisti si possano occupare dei cittadini italiani è da folli.
Pd, attivisti pro-Civati: “Restituiamo le tessere, la staffetta ci disgusta”
“Per protesta contro la staffetta Letta – Renzi, restituiamo le tessere elettorali. Tanto per il momento non ci servono”. Un gruppo di attivisti del Pd vicini a Pippo Civati contesta davanti la sede nazionale del partito a Roma quello che definiscono “un colpo di mano di Renzi”. “La soluzione migliore era quella di approvare la legge elettorale e andare al voto, gli uomini soli al comando sono deleteri”. “Dove è la differenza fra Letta e Renzi se la maggioranza è la stessa?”, si chiede un tesserato. “E’ una mossa che, oltre a far perdere voti al partito, non risolve i problemi del paese”. “Civati – spiega un membro del Pd – ha lanciato ieri la provocazione di creare il ‘nuovo centrosinistra‘ con dodici deputati. Tanti ci chiedono perchè restiamo ancora in questo partito, ma noi non vogliamo andar via, vogliamo cambiare il Pd dall’interno”
Poi vado da Renzi e gli dico il contrario di quello che propongono Formigoni e Sacconi, oggi sui giornali.
Nuovo Centro Destra contro Nuovo Centro Sinistra (anche Sinistra e basta, che il Centro è dappertutto).
Chiedo matrimoni egualitari, stop agli F-35, stop al consumo di suolo (magari anche NoTav), reddito minimo, progressività fiscale, conflitto d’interessi, ius soli, legalizzazione delle droghe leggere.
Saranno contenti rispettivamente Formigoni, Lupi, Mauro, Sacconi, Alfano e Giovanardi (sono proposte ad personas, tanto loro di solito le votano).
E vediamo come va a finire.
C'è sempre quel quasi quasi e le risposte del lettori non fanno altro che dirgli"£COSA ASPETTI"
Poi vado da Renzi e gli dico il contrario di quello che propongono Formigoni e Sacconi, oggi sui giornali.
Nuovo Centro Destra contro Nuovo Centro Sinistra (anche Sinistra e basta, che il Centro è dappertutto).
Chiedo matrimoni egualitari, stop agli F-35, stop al consumo di suolo (magari anche NoTav), reddito minimo, progressività fiscale, conflitto d’interessi, ius soli, legalizzazione delle droghe leggere.
Saranno contenti rispettivamente Formigoni, Lupi, Mauro, Sacconi, Alfano e Giovanardi (sono proposte ad personas, tanto loro di solito le votano).
E vediamo come va a finire.
C'è sempre quel quasi quasi e le risposte del lettori non fanno altro che dirgli"£COSA ASPETTI"
Voi che frequentate il blog di Civati non potete chiedergli di partecipare al forum?
Governo Renzi, perché ho votato contro
di Elly Schlein | 15 febbraio 2014Commenti (102)
Giovedì 13 febbraio la direzione nazionale Pd ha deciso di mandare a casa Enrico Letta e di formare un nuovo governo che sia guidato da Matteo Renzi e che, a maggioranza invariata, faccia le riforme ponendosi come orizzonte temporale il 2018. Il documento è stato approvato con 136 voti favorevoli e 16 voti contrari. Uno dei contrari era il mio, e ne ho spiegato le ragioni nel mio intervento. Il segretario Renzi può pure avere le migliori intenzioni, ma chi come noi ha occupato le sedi contro le larghe intese, ad aprile scorso, non può non rimanere perplesso. Perché il problema non è il nome del Premier, ma questa maggioranza. In moltissimi dopo i 16 voti contrari ci hanno inviato messaggi di sostegno, perché condividono le nostre preoccupazioni. Sono arrivati da elettori Pd e da fuori, anche da persone che alle primarie hanno fatto scelte diverse dalla mia, che ho sostenuto Civati. Qualcuno mi ha chiesto il testo dell’intervento, e lo pubblico qui. Per chi preferisse il video, invece, lo trova qui.
“Caro segretario, cari colleghi.
Poco meno di un anno fa, insieme a tanti altri ragazzi in tutta Italia occupammo simbolicamente le sedi del partito e l’assemblea nazionale. Sia chiaro, non lo facevamo per antipatia personale verso Enrico Letta, né Franco Marini. Erano le larghe intese il problema. Questa maggioranza. E non credete che fosse un capriccio; la protesta nasceva dalla netta consapevolezza che non solo stessimo andando in senso esattamente opposto a quanto promesso ai nostri elettori, ma anche che una maggioranza siffatta non sarebbe stata in grado di dare al Paese le risposte e le riforme che disperatamente ci chiede.
Gli ultimi dieci mesi, purtroppo, e nonostante l’impegno profuso da Enrico Letta e dai suoi ministri, e dai nostri parlamentari, ci hanno dimostrato che avevamo ragione e le nostre preoccupazioni erano fondate. Sono mesi in cui è difficile ricordare un’iniziativa forte in cui siamo riusciti a mettere a segno anche uno soltanto dei famosi “8 punti” di Bersani. La risposta alla crisi non è arrivata, né su corruzione e conflitto di interessi è stato possibile fare alcunché, gli investimenti in tema di ambiente e cultura, edilizia scolastica, ancora non si vedono, nessun passo avanti sui diritti e lo ius soli. È un governo che rischia di essere ricordato per l’imbarazzo sui casi Alfano e Cancellieri, per una decisione difficilmente comprensibile sull’Imu, per il decreto Bankitalia.
Quando avremmo potuto da subito, prima con la mozione Giachetti, poi appena dopo la sentenza e le motivazioni della Consulta a dicembre, quando in Parlamento sembravano esserci le condizioni per un ritorno al Mattarellum rivisto e migliorato, cogliere la palla al balzo e dare al Paese la nuova legge elettorale che aspetta da anni.
Oggi ci si propone di mantenere lo schema invariato. Chi prima diceva “mai più larghe intese” e “con Matteo si vince” ora nel dubbio preferisce rinunciare a giocare. Chi prima diceva “alle primarie si vota il segretario, un premier l’abbiamo già” e “no al partito come trampolino”, ora inspiegabilmente spinge il segretario a fare il premier senza passare per le urne.
Ma siamo proprio sicuri che sia questo che ci chiedono i cittadini? Nel dire continuamente che il Paese non è pronto per votare, c’è un sotteso elitarismo, un paternalismo che mal si addice ad un partito che sin nel nome è, e dovrebbe essere, DEMOCRATICO.
Da fuori ci guardano, e stentano a capirci. La nuova politica rischia di assomigliare terribilmente a quella vecchia, se si rassegna a consegnare le riforme ad operazioni di palazzo, anziché farle crescere e maturare nel confronto aperto con i cittadini e con le altre forze politiche nel contesto del dibattito elettorale. Non è forse questo che dovrebbe fare un grande partito democratico? Non calare le riforme dall’alto, bensì farle vivere tra la gente, condividerle e discuterle, costruire cultura politica?
Al nostro segretario Matteo Renzi, che alle primarie non ho votato, riconosco la grande capacità di parlare agli elettori dentro e fuori dal Pd. A chi è lì sul margine che ci guarda con curiosità e interesse. Ma questa è un’abilità che si può misurare soltanto in una campagna elettorale, dove il candidato premier, con l’aiuto di tutti noi, può far crescere quel consenso popolare e ottenere quella legittimazione che SOLA può garantire un governo stabile, sereno, forte e duraturo per fare le riforme. Le altre strade mi vedono contraria. Diffido da chi le suggerisce per paura di non tornare in Parlamento, diffido ancora di più da chi, forse, ha la recondita speranza che il segretario si bruci anzitempo. Perché se si brucia il segretario, cari colleghi, si brucia il Pd. E se si brucia il Pd è a rischio anche la tenuta del Paese.
Quindi, e concludo, la preoccupazione nasce dal fatto che, pur con le migliori intenzioni, a maggioranza invariata mi pare folle pensare di poter fare qualcosa di più e meglio di quanto abbiamo visto in questi mesi. Non basta l’eventuale assenza di Berlusconi, a meno che non siamo così sprovveduti da pensare che negli ultimi vent’anni l’unico problema del centrodestra fosse il suo leader. Mi chiedo come il segretario Renzi pensi di poter portare avanti il cambiamento che abbiamo promesso, con gli stessi soggetti. Come pensa di poter parlare di contratto unico e di unioni civili, di revisione della Bossi-Fini, e di affrontare le piaghe sociali della corruzione, dell’evasione fiscale e del conflitto di interessi, con chi a queste battaglie si è sempre posto comprensibilmente come ostacolo.
Così, come quando occupavamo allora, la preoccupazione rimane. E rimane per questo schema, da cui invece dovremmo uscire quanto prima con soluzioni nuove , da sottoporre al vaglio dei cittadini. Con una nuova legge elettorale che non sia vincolata a lunghi processi di riforma costituzionale, e restituendo quanto prima, con coraggio e convinzione di avere le proposte migliori da offrire, la parola ai nostri cittadini. Io non credo che quella indicata dal segretario Renzi sia la “strada meno battuta.” Un suo concittadino, Tiziano Terzani, diceva una cosa molto saggia: “Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. “
Ecco, invito tutti a non considerare la strada in discesa, la scorciatoia, ma a scegliere insieme a tutto il Pd quella in salita, di approvare in fretta una nuova legge elettorale ed andare al voto, per ricostruire la speranza per l’Italia.”
Corriere 15.2.14 La trattativa parallela con l’amico Verdini L’asse tra il segretario e Verdini e il modello «responsabili» Il timore di Ncd: diventare ininfluente in caso di un appoggio al governo da destra
di Francesco Verderami
Renzi va veloce. Così veloce che — mentre deve ancora nascere il Renzi 1 — lui starebbe già lavorando al Renzi 2 per scaricare Alfano durante la navigazione del governo. Letta ha sperimentato come il segretario del Pd dica una cosa e poi ne faccia un’altra.
Per evitare che fra qualche tempo il capo democratico dedichi al leader del Nuovo centrodestra un hashtag del tipo #angelinostaisereno, Lupi ha indossato i panni dell’investigatore, e raccogliendo una serie di indizi sarebbe risalito all’origine dell’operazione che garantirebbe in prospettiva al futuro premier una maggioranza alternativa. Solo che, ecco la sorpresa, le tracce non porterebbero a Sel e ai transfughi cinquestelle. No: imitando Cuadrado — fantasista della sua «Viola» — Renzi avrebbe fatto finta di andare a sinistra, puntando invece sulla destra. Lì dove ad attenderlo ci sarebbe Verdini, pezzo forte del mondo berlusconiano, che dai tempi della trattativa sulla legge elettorale ha in testa l’obiettivo di far fuori Ncd.
È noto il legame tra il sindaco di Firenze e il concittadino di Forza Italia. I due — come raccontano autorevoli dirigenti azzurri — «si scambiano ogni giorno messaggi quasi fossero fidanzatini». E tra un sms e l’altro sarebbe stata elaborata l’operazione che a Lupi ha ricordato la stagione in cui militava nel Pdl, il brillante piano dei «responsabili» elaborato nel dicembre del 2010 proprio da Verdini, quel gruppo parlamentare che fu decisivo per consentire a Berlusconi di restare a Palazzo Chigi, nonostante la mozione di sfiducia di Fini. Sulla falsariga del vecchio schema, il nuovo dovrebbe portare alla costituzione di una pattuglia di senatori provenienti dalle file del centrodestra, una formazione da ingrossare poco a poco fino al punto di rendere Ncd ininfluente all’occorrenza, così da farne una «quantité négligeable» — come ama dire Berlusconi — ai fini della maggioranza a Palazzo Madama.
Di impronte deve averne trovate a sufficienza Lupi, se l’altro ieri ha prima scritto un sms minaccioso a Renzi e poi ha chiamato al telefono Franceschini. «Ma no, quella è una cosa che al limite aggiunge», si è sentito rispondere. È stato allora che è sbottato: «Sapete che c’è? Il governo ve lo fate con Verdini e Cosentino, e ... (omissis)». Non è dato sapere perché il ministro ncd abbia citato l’ex coordinatore campano del Pdl, che — in polemica con le nomine decise da Berlusconi nella sua regione — ha benedetto la nascita di Forza Campania. C’entrano forse qualcosa i senatori azzurri che fanno capo Cosentino, noto per i suoi legami con Verdini? E come mai ieri — fulmine a ciel sereno — Maroni ha denunciato il tentativo di scouting da parte del Pd nei confronti di parlamentari della Lega? «Facciano pure, troveranno un muro di cemento armato». Parlava a Renzi perché qualcun altro sentisse?
Una cosa è certa, l’affaire responsabili ha scatenato il finimondo tra Pd e Ncd. «Matteo» ha provato a derubricare il tema con «Angelino»: «Guarda che i contatti con Forza Italia servono solo a tener bassa la tensione politica». Ma ieri mattina il tema ha tenuto banco nella trattativa tra le due delegazioni, e Delrio è andato a Firenze per riferirlo a Renzi. Alfano fa sapere che «su programma e composizione della maggioranza» non transige, e lo ribadirà oggi quando salirà dal capo dello Stato per le consultazioni. Altro che fare presto: i tempi si allungheranno di una settimana per la formazione del governo. Ncd deve già fronteggiare le bordate di Berlusconi, che ha iniziato la campagna elettorale «contro di noi invece di attaccare la sinistra», manca solo che debba fidarsi di una promessa, mentre in Forza Italia c’è già chi fa avances a Renzi. Con «il rischio — lo ammette l’azzurro Matteoli — che siccome nel partito non abbiamo un luogo dove discutere, i nostri gruppi si possano dividere sui singoli provvedimenti tra chi vota a favore e chi contro».
A «Flipper», come viene chiamato Renzi nel Nuovo centrodestra, verrà ribadita la necessità di un «patto alla tedesca», che per Alfano è più importante della vertenza sulla lista dei ministri. E non c’è dubbio che «molta attenzione» verrà posta sui dicasteri della Giustizia e delle Comunicazioni, là dove con Enrico Letta sedeva Catricalà, amico di Gianni Letta, garante degli equilibri tra il Cavaliere e il Pd ai tempi delle larghe intese. Da chi sarà indicato come suo successore Ncd capirà se (e fino a che punto) Renzi ha stipulato un patto con Forza Italia, o se davvero — come sostiene il leader democrat — la liaison con Verdini serve solo a «tenere bassa la tensione politica».
Non servono acrobati per «uscire dalla palude», serve un’intesa e una strada concordata, così da evitare di restare impantanati ai primi passi. Perciò — nonostante Renzi volesse accelerare — occorreranno giorni per trovare l’accordo di maggioranza: uno sarà scritto, e riguarderà il governo; l’altro sarà tacito, semmai dovesse aprirsi la corsa al Quirinale.
Francesco Verderami
il Fatto 15.2.14 L’abbraccio di Verdini per blindare il governo Il senatore tratta con i “cosentiniani” per portare una pattuglia di fuorusciti Gal-Forza Italia a sostenere il progetto del rottamatore
di Fabrizio d’Esposito
Lo spregiudicato e il pregiudicato. “Matteo” e “Silvio”. Renzi e Berlusconi. Il Condannato non è affatto insensibile o disinteressato alla nascita del primo governo del Rottamatore. L’opposizione sarà “responsabile” e soprattutto ispirata da una dichiarazione d’amore dalla Sardegna, ancora una volta insieme a Cappellacci (i due ormai fanno coppia come Totò e Peppino): “Ho stima di Matteo Renzi, è persona intelligente, non è di scuola comunista”. E tra intelligenze non comuniste ci si intende.
Denis, la minaccia al Nuovo Centrodestra
Di mattina presto, ieri un esponente di primissimo piano di Forza Italia, un volto molto noto, è stato quasi tirato giù dal letto da un inferocito Maurizio Lupi, ministro uscente e ciellino di Ncd: “Stavolta Denis sta esagerando, ci vuole sfondare. Si è messo d’accordo con Cosentino e sta formando un nuovo gruppo al Senato con i dissidenti di Forza Campania. Ieri sera (giovedì, ndr) ha chiamato pure i senatori nostri. Ditegli di fermarsi o va a finire male”. Denis è ovviamente il berlusconiano Verdini, amico e concittadino di Renzi nonché banchiere fallito e plurinquisito. Da giovedì sera, Verdini con l’assenso di Berlusconi si è messo in moto per un’operazione a favore del futuro premier e per depotenziare Ncd: formare un altro gruppo al Senato con un po’ di forzisti dissidenti e qualche Ncd intimorito dal braccio di ferro in corso tra il partito di Alfano e “Matteo”. La faida di Nick e la paura di Alfano
Verdini si è inserito nelle faide interne di Forza Italia al sud. In Campania, dove i cosentiniani, nel senso di Nicola, contestano il coordinatore regionale azzurro, e in Puglia. Risultato: quattro senatori campani di FI oggi in prestito a Gal (Grandi autonomie e libertà) e sette azzurri di Palazzo Madama sarebbero pronti a dare il loro sostegno all’esecutivo renziano. Una sorta di governo mascherato Renzi-Berlusconi Verdini & Cosentino, sotto processo e sotto accusa per camorra. Ecco i nomi. Per Gal: Vincenzo D’Anna, Giovanni Mauro, Pietro Langella, Antonio Milo. Per Forza Italia: Luigi D’Ambrosio Lettieri, Ciro Falanga, Pietro Iurlaro, Pietro Liuzzi, Luigi Perrone, Lucio Tarquinio, Vittorio Zizza. Dice al Fatto D’Anna: “Noi siamo in attesa di una risposta da Berlusconi su Forza Italia in Campania. Se dovessimo andare alla rottura saremmo molti di più. Il governo? Mi creda ancora non abbiamo fatto valutazioni”. I senatori sono undici per il momento ma Verdini conta di ingrassare la nuova formazione con il passare delle ore. Del resto è uno specialista di queste trattative: si vedano quelle dopo la scissione di Fini nel biennio 2010-2011 e prima ancora quelle per far cadere Prodi nel 2008. Il chiodo fisso del banchiere è spezzare Ncd, renderla ininfluente per il nuovo governo. E tutti i mezzi sono leciti, come insegna il ventennio berlusconiano della Seconda Repubblica. In più, stavolta si tratta di dare una mano “Matteo”, con cui ha chiuso il patto delle riforme. Il rapporto tra i due è granitico. Non solo. A vigilare c’è anche il papà di Renzi, Tiziano, imprenditore e amico da anni di “Denis”.
Guardasigilli e tv Richieste forziste
Tutto però ha un prezzo e secondo un’altra fonte di Ncd, contattata da Verdini per questa operazione, Berlusconi avrebbe chiesto garanzie ben precise a Renzi: giustizia e televisioni. Conflitto d’interessi, tanto per cambiare. Per la prima, è stato riferito il non gradimento al leader del Pd su uno dei nomi più gettonati nel totoministri: il centrista Michele Vietti, vicepresidente del Csm. Per le tv sarebbe stata indicata una preferenza per la delega delle Comunicazioni alle Infrastrutture: il famigerato Antonio Catricalà, burosauro di matrice lettiana (lo Zio non il Nipote). Questa trattativa, spiega un esponente forzista, sarebbe nata a livello embrionale già quando B. incontrò Renzi al Nazareno. Non a caso, in quei giorni, con spirito vendicativo, l’allora premier Enrico Letta ripescò la minaccia di una legge sul conflitto d’interessi.
La rivincita del condannato
Con questo spirito manovriero, stasera il Condannato salirà al Quirinale per le consultazioni. Faccia a faccia, alle 18 e 30, con Napolitano, dopo l’onta della decadenza da senatore, nel novembre scorso per la condanna Mediaset. Ieri in Sardegna ha confidato a un amico: “Per me sarà una rivincita andare lì e guardare in faccia chi non ha mosso un dito per salvarmi e poi non mi ha dato la grazia”. In aggiunta ci sono anche le rivelazioni postume di Friedman sul complotto dell’estate 2011 per il governo Monti. Oggi ci sarà uno spettacolo nello spettacolo.
15 FEB 2014 19:53 IL MANUALE CENCELLI DEL ROTTAM’ATTORE - ‘’SCHIFANI, DI RITORNO DAL COLLE, CI DICE CHE I MINISTRI SARANNO 16-18 COSÌ SUDDIVISI: RENZI 5/6; PD 5/6; NCD 2/3; SCIOLTA CIVICA 1; UDC 1’’
Un infiltrato alla convention di Ncd (noleggio con deficiente) svela le quote del governo - Simona Vicari spera pure lei in una poltrona di governo e Beatrice Lorenzin sembra convinta di avere un ministero. Non si trova la Nunzia Di Girolamo, alias Nostra Signora del Sannio. Dove sarà?
il Fatto 15.2.14 L’ipnosi collettiva del cinetico Matteo
di Pino Corrias
IMPRIGIONATI COME SIAMO in questo permanente set televisivo della politica full color ci siamo trasformati in spettatori immobili di un conturbante teatro digitale abitato da pupi e marionette che si muovono, parlano, minacciano, rassicurano per ragioni che ci sfuggono. Come negli album per bambini il solo senso che ci è concesso intuire, coincide con le figure che vediamo. Renzi che arriva in giacca, a piedi, da destra verso sinistra. Renzi che sparisce in Smart da sinistra a destra. Giornalisti che corrono. Anche loro a caccia di qualcosa, forse della vite che si è appena rotta negli ingranaggi di Letta, forse un bullone. Qualcuno ha capito perché il Corriere della Sera, di punto in bianco, ha illuminato le manovre di Napolitano per silurare il suo pupillo e poi abbandonarlo alle mandibole di Renzi e agli occhi micidiali della Boschi? C’era una qualche riforma che minacciava di peggiorare già oltre il suo proprio fallimento incorporato? È diminuito il pil? È aumentata l’aviaria? Capendo quasi nulla restiamo tutti ipnotizzati. Perché Renzi fa il suo spettacolo in diretta e questo ci affascina. Mentre il povero Letta è già dal primo giorno un repertorio. E questo ci deprime.
Repubblica 15.2.14 Ambizioso o sbruffone, il dilemma del leader
di Francesco Merlo
E’ la sua qualità migliore, la più pericolosa, la meno italiana perché l’ambizione esibita è peccato mortale nella patria dei falsi umili: «Ho ambizione smisurata, non lo smentisco». E sarà pure figlia di un complesso di inferiorità, un malessere, ma è la forza oscura che lo spinse a candidarsi sindaco, solo contro tutti, sbeffeggiato dal segretario della Cgil che gli disse: «A vincere sarà il mio uomo». Vinse Renzi e l’altro arrivò ultimo.
Ha detto Renzi giovedì in direzione: «Se non avessi rischiato, ora sarei al secondo mandato da presidente della Provincia». E certo, la frase «c’è un’ambizione smisurata che bisogna avere, la deve avere il segretario del Pd come l’ultimo delegato» esprime benissimo quella volontà di potenza che fece morire in manicomio un ambizioso ben più ambizioso di Renzi, che in fondo ancora non ci ha parlato di Superuomo. E però ditemi se quello che segue non è un Renzi nietzschiano: «Una volta, un pezzo grosso del mio partito mi disse: “Ciccio, a me hanno insegnato che a trentaquattro anni si rispetta la fila”. Disse proprio così: “si rispetta la fila”. Come al supermercato, quando tutti abbiamo da svuotare il carrello. Uno per volta, rispettando la fila. Solo che facendo così in politica non si svuota il carrello, si svuota l’entusiasmo. Decisi che non volevo (e ancora oggi non voglio) fare il pollo di batteria. Non volevo che gli altri decidessero i tempi. Non volevo stare alle loro regole, le regole di una generazione che ha già dato tutto quello che poteva dare». Come si vede, qui l’ambizione è la rottura degli argini stretti da parte di una personalità straripante, un ingorgo di pulsioni che dal cervello gli arrivarono alla bocca: «Rottamazione».
Si sa com’è andata: la volgarità dell’ambizione ostentata ha trasmesso un sapore autentico, Renzi è sembrato simpatico e sanguigno, con quegli incredibili pantaloni attillati e il giubbotto di pelle a chiodo in opposizione ideologica. La sua smania, la sua fame da lupo nel mondo della sinistra è diventata l’uscita collettiva dal soffocamento da nomenklatura, l’illusione dell’ossigeno tra gli odori stagnanti e irrespirabili, e ora la possibile catarsi dell’Italia che davvero non ne può più di ambizioni costrette a muoversi nell’ombra, malcelate sotto cumuli di ipocrisia, al riparo dal rapporto di verità con l’opinione pubblica. Via, diciamolo, sarebbe bello sentir dire a Romano Prodi: «Io vorrei fare il presidente della Repubblica, credo di avere le qualità adatte».
Insomma, l’ambizione esibita ha difetti vistosi che forse oggi servono all’Italia più dei meriti oscuri. Dunque non scandalizzatevi se ora vi elenco tutti i virtuosi vizi dell’ambizione con cui Renzi sta seppellendo la doppiezza clericale del Paese di cui Andreotti fu al tempo stesso lo statista e il diavolo. La sbruffoneria, innanzitutto: «Un uomo solo al comando è bellissimo». La presunzione, poi: «A trentotto anni sono pronto per fare tutto». E l’impudenza: «Se andiamo alle elezioni li asfaltiamo».
Ma non finisce qui, perché l’arroganza dello sfoggio d’ambizione, «vincere non è una parola fascista», e la spocchia verso il vecchio mondo della sinistra, «Fassina, chi?», seppellisce anche l’altra doppiezza, quella comunista, che ha fatto di D’Alema l’innocente al quale si può rimproverare tutto e il colpevole al quale non si può attribuire nulla. Certo, Renzi si fa le lampade, come si legge nella biografia autorizzata, e speriamo sia perché «l’ambizione - secondo Montaigne - non ha il pallore della pavida gentucola» e non perché, come ha sostenuto - ahinoi - Berlusconi, l’abbronzatura è la bellezza di Obama, il quale «ha vinto perché somiglia a me». Come si vede, si corrono seri rischi a frequentare apertamente l’ambizione che però, nascosta nei baffi o nella gobba, vale a dire relegata nel sottosuolo, nel doppio fondo, nel doppio stato, nella doppia vita e nella doppia identità, ha espresso l’impenetrabilità di quella lorda pozza che è stata la storia politica italiana del dopoguerra.
Ha confessato: «Non mi piace perdere neppure alla Playstation». E poiché la voce latina, “ambitio”,non rimanda a nessuna qualità dell’anima, ma al “girare attorno”, Renzi è movimentista, vale a dire tattica senza strategia, parole incendiarie e orizzonti vaghi, l’ambizione nomade che gli fa prendere il Comune parlando di Provincia, e quando divora il partito è già a Palazzo Chigi, e chissà dove lo porta in questo momento il cuore mentre tutti lo aspettiamo al governo. È questa “l’ambitio”: l’atto fisico del darsi in giro «per brigar gli onori». Anche il linguaggio del movimentismo è un girare attorno, di corsa: «fuochi d’artificio», «un rischio pazzesco», «mi gioco l’osso del collo», «rivolterò l’Italia come un calzino», parole grosse, come furono quelle dell’altro movimentista gradasso e ambizioso d’Italia, Bettino Craxi, purtroppo finito male perché, come aveva scritto nel 1916 Antonio Gramsci recensendo il Macbeth del grande Ruggero Ruggeri: «L’ambizione ha prodotto in lui questa sicurezza: nessuna sanzione terrena potrà colpire i suoi delitti». E andando più indietro fu apertamente ambizioso Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio, narciso e inverecondo come Renzi, ma con in testa la grande idea di trasformare l’Italia - nientemeno - in un Paese laico. Anche Spadolini fu toscanaccio come lo è Matteo e non toscanuccio come Enrico Letta, nel senso che si impenna ma non piagnucola. Renzi, proprio come Spadolini che arrivava ai calci, maltratta con amore i suoi collaboratori: Dario Nardella, ora designato sindaco di Firenze; il fedele Luca Lotti, detto il Lampadina, letteralmente menato sul campo di calcio; Marco Agnoletti, il povero portavoce che lo sopporta con abnegazione. E Renzi è sboccato, batte i pugni, la sua ambizione è anche esuberanza fisica, gli è persino capitato di pestare letteralmente i piedi ai cronisti, come un La Russa qualsiasi: lo fece a David Allegranti, prima firma del Corriere fiorentino, che si era intrufolato dove non doveva stare. Il toscanaccio fa l’irascibile e il maligno e mai il carino come il toscanuccio, ti tira indifferentemente una schioppettata in fronte o una pugnalata alla schiena, sempre convinto, di nuovo come Macbeth, che a lui, solo a lui, in nome della grandiosità sarà comunque perdonato tutto, anche l’avere detto «grazie Enrico» subito dopo averlo assassinato.
L’ambizione senza la dissimulazione democristiana e comunista, dunque. Non quella fredda, geometrica e di testa degli arrampicatori di Stendhal, l’ambizione che mancò al maresciallo Grouchy che fece perdere la battaglia di Waterloo a Napoleone perché, scrisse il già renziano Stefan Zweig, «il momento decisivo, che così di rado si presenta nella vita dei mortali, si vendica con crudeltà di chi, eletto senza merito, non sa approfittare dell’occasione propizia».
Repubblica 15.2.14 L’entusiasmo dello stilista Roberto Cavalli: a Firenze ogni 500 anni nasce un grande uomo, lui è uno di questi
“Matteo è come un figlio, può ringiovanire l’Italia”
di Ilaria Ciuti
«Sono uno che si fida di sé più che degli altri». Ora però Roberto Cavalli è entusiasta di «Matteo». Il sindaco e lo stilista: ambedue fiorentini.
Cavalli, che ne dice che il suo sindaco diventi primo ministro?
«Gli ho mandato un sms alle due di notte: “Mio caro grande amico, complimenti, congratulazioni. Come ti sta urlando tutta l’Italia perché sta sperando. Ma l’amore, quello vero che porterà il tuo nome nei libri di storia deve ancora nascere. Te lo conquisterai dimostrando che la speranza era fondata”».
Complicità da fiorentini?
«No. È solo che a Firenze ogni 500 anni nasce un grande uomo. Matteo è uno di questi».
Perché Renzi le piace?
«E’ la nostra pedina per tornare a credere in qualcosa. Matteo può far sì che gli italiani aprano le finestre per vedere che il cielo non è grigio: è blu. Può ringiovanire l’Italia, chi ce l’ha un premier così giovane? Mi ci riconosco un po’ in questo ragazzo che potrebbe essere mio figlio e a cui penso si addica il mio motto: “L’eccesso è il mio successo”».
Già, alcuni lo accusano di ambizione smodata.
«Se non ci si sente ganzi non si ha successo. Quando conobbi Matteo gli mandai un sms: “Senti, è ambizione o missione?”. E lui mi rispose: “Senza l’una non c’è l’altra”».
Ma come vi siete conosciuti?
«A una cena. Non ho mai sentito un sindaco così giovane parlare di moda con tanta professionalità. Né un politico tanto indaffarato ma così gentile da venire a presentare il mio libro, Just Me. Lui lo ha letto, si è interessato a una storia che non parla solo di moda, ma di mio padre fucilato dai tedeschi, della Liberazione di Firenze, dei successi e le sconfitte della vita. Si ricorda tutto, ha una memoria che neanche Pico della Mirandola».
Convinto della staffetta, invece del voto, per Palazzo Chigi?
«Necessità. L’Italia ha fame e gli altri, da Bersani a Letta, dormivano. Non mi scandalizza neanche l’accordo con Berlusconi, di lì bisogna passare visto che ha ancora il 25%. Purchè sia un accordo piccolo, perché quando dai la mano a Berlusconi poi devi contarti le dita rimaste. Spero che Matteo l’abbia ritirata prima. Ma lui è intelligente».
Adesso cosa gli chiede?
«Un’Italia diversa. Che pensi agli italiani con lo spirito giovane che manca. Da vecchio socialista vorrei anche un’Italia più giusta. Io sono disposto a pagare molte più tasse se vengono spese bene. Non mi scandalizza che si tolga ai grandi capitali per dare di più a chi lavora anche per meno di mille euro al mese».
Repubblica 15.2.14 Tra tweet e turboleader la politica delle vecchie pastoie scopre il dogma della velocità Da Moro a Matteo, il rischio di avere troppa fretta
di Filippo Ceccarelli
Festina lente, affrettati lentamente, motto attribuito da Svetonio all’imperatore Augusto, si è scoperto essere il nome di una delle associazioni che hanno sostenuto sul piano finanziario la rapidissima ascesa di Matteo Renzi.
Dunque velocità, ma anche ponderazione, entrambe indispensabili in ogni impresa. Molto prima del Sindaco e dei suoi più fidati consiglieri Alberto Bianchi e Marco Carrai, l’antica massima era stata scelta da Cosimo de ’Medici, che pure l’aveva inserita nel suo stemma sotto l’immagine di una tartaruga sul cui guscio si leva una vela gonfiata dal vento.
Ora, per la verità, Renzi appare assai più affrettato che prudente. «O la va o la spacca», «mi gioco l’osso del collo» e così via, spesso attraverso twitter o Facebook, tecnologia dell’immediatezza. E tuttavia, anche al netto di altri mezzi e messaggi quali Smart, maratone e Frecce rosse, pare evidente che da quando il giovane leader ha stravinto le primarie, l’intera vita pubblica ha preso a correre.
L’accordo per l’Italicum, la direzione del Pd, la crisi di governo, perfino quelle consultazioni che vengono assimilate a vecchi riti perditempo tipo vertici & caminetti, a loro volta propedeutici a quella che il dinamismo renziano ha identificato come il male assoluto di questa fase: «la palude».
Presto! Presto! dunque, anzi: «Adesso», come recitava il penultimo slogan dell’allora Rottamatore. Scriveva del resto già lunedì scorso Ilvo Diamanti che Renzi è «l’uomo dei tempi veloci» e «dei fatti veloci». La cauta e munita tartaruga di Cosimo, peraltro visibile in varie fogge sui soffitti e i pavimenti di Palazzo Vecchio, è rimasta un po’ indietro, magari col suo ciuffo di lattuga; ma intanto il vento soffia forte in faccia al promesso leader promesso, il quale che l’altro giorno così s’è descritto: «In piedi sull’onda».
Nella stagione dell’enfasi va da sé che la retorica è sempre dietro l’angolo; e quando non sono le strategie di comunicazione, è il prevedibile tributo al vincitore che con sospetta spontaneità seleziona gli omaggi, ed eccoti puntualmente il «cambio di passo», lo «sprint», lo «scatto», l’»anticipo», l’»accelerazione», il «sorpasso», le «tappe bruciate», l’»attimo fuggente», l’»adrenalina», il «velocifero», addirittura, e l’inesorabile «turbo-leader».
E pazienza se ieri il classico programma «dei cento giorni» era già diventato «dei sessanta». Più immaginario che pratico il rischio - non se ne adonti Renzi, non è colpa sua - sta piuttosto in un gorgoglio di chiacchiere, oltretutto nemmeno consapevoli di rimestare nel pentolone dell’archeo e tardo futurismo. Per cui - punto quarto del Manifesto del 1909 (!) - «noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità».
Occorre dunque resistere strenuamente al grottesco e dotarsi quindi per il futuro di una riserva di avveduto scetticismo. Ma in fin dei conti si può senza dubbio riconoscere a Renzi di essere assai più veloce e anche più svelto, senza virgolette, degli uomini politici che fin qui si sono messi alla prova e ai quali il gentile pubblico non pagante si è abituato, anche se quasi mai affezionato.
Non si intendono qui Moro, che del rinvio fece una religione, o Berlinguer, che pagò duramente i suoi ritardi, o Andreotti, che tutto sminuzzava fino a disperderlo nell’iperuranio delle non decisioni. Ma Renzi appare senz’altro più rapido anche di gente parecchio sveglia come Craxi, o Bossi, o lo stesso Berlusconi.
A occhio, tale dote deve aver a che fare con un salto anagrafico, o l’evoluzione della specie. In questo senso colpisce che l’esordio del personaggio è avvenuto in tv, anzi in un telequiz (dal profetico nome de «La ruota della fortuna»). Ha spiegato in proposito il demoscopo Alessandro Amadori, che pure ha sperimentato la medesima esperienza sul video: «Tutto lì avviene all’insegna della velocità e tu impari a essere un fulmine nelle risposte».
Altra cosa è ovviamente governare. Per giunta in un paese che vanta un indubbio primato d’improvvisazione - sempre ridicola, talvolta tragica - e nel quale i leader politici adorano presentarsi e ancor più farsi credere, specie in tv, i più risoluti, decisionisti e sbrigativi possibile - e qui il pensiero corre, il meno grato che si possa immaginare, al Cavaliere che si vantò di aver fatto approvare dal Consiglio dei ministri la Finanziaria 2008 in nove minuti, o al governo Monti che riformò le pensioni in un battibaleno, dimenticandosi però di circa 300 mila esodati.
Ora arriva Renzi con i suoi blitz, e pur senza nutrire alcuna nostalgia per le vecchie pastoie che non finivano mai, sembra lecito chiedersi quali vantaggi, ma anche quali guai possono venire da una politica che di colpo scopre la virtù salvifica del movimento e un po’ anche della fretta. Certo, chi va piano va sano e va lontano, ma anche a prescindere dagli arcani del fund raising, «festina lente» pare un ottimo programma, e l’alacre testuggine di Cosimo un animaletto perfino rassicurante
Rileggere le dichiarazioni di fedeltà di Matteo Renzi all’“amico Enrico” è oggettivamente impressionante. Ci si può passare sopra — volendo — in considerazione del fatto che la scena del potere, da sempre, ha una intensità scespiriana (tradimenti, sangue, soluzioni ferali), e dunque non è uno spettacolo per educande. Ma sono, questi, tipici ragionamenti conservatori; quelli che finiscono, in genere, con la micidiale frase “è sempre stato così”, che taglia le gambe a ogni speranza o illusione di cambiamento.
Nella realtà, in fondo al cuore di tutte o quasi le persone di sinistra (definizione sempre più approssimativa, ma è per intenderci) sopravvive la speranza che i rapporti tra gli esseri umani, secondo l’antica definizione marxiana, possano diventare un giorno “più trasparenti”. E che la politica sia, di questo sogno di trasparenza, se non il primo motore almeno un veicolo. Tra le dichiarazioni rese da Renzi nell’ultimo paio di mesi e la sua prassi, per altro suffragata dal partito quasi al completo, c’è un contrasto così stridente che alla trasparenza tocca rinunciare prima ancora di cominciare.
La Stampa 15.2.14 Cartellino giallo
di Massimo Gramellini
«Se andassi mai al governo» disse un giorno Matteo Renzi quando già non pensava ad altro, «mi ricorderei di avere fatto l’arbitro di calcio. Sui campi di provincia, a diciotto anni, in mezzo a giocatori più grandi e grossi di me. Lì ho capito l’importanza di tirare fuori il primo cartellino giallo entro il ventesimo minuto. Solo se la afferri subito, la partita non ti sfuggirà di mano. Oggi la luna di miele di un presidente del Consiglio non dura più cento giorni, ma cento ore. Io presenterei i miei provvedimenti choc al pri- mo Consiglio dei ministri. Anzi, li leggerei in Parlamento al momento della fiducia: prendere o lasciare».
Ci siamo, anche se il modo ancor ci offende. Renzi si gioca il suo futuro, e forse un po’ del nostro, nelle prossime cento ore. Rottamare D’Alema, Bersani e Letta, in fondo, era la parte più facile del lavoro. Da lui adesso ci aspettiamo la rottamazione vera. Cartellino giallo al clero laico e inamovibile degli alti burocrati di Stato, garanti di un immobilismo che ormai arricchisce soltanto loro. Cartellino giallo al cumulo tossico di spesa pubblica, in espansione inarrestabile da oltre mezzo secolo, come il suo specchio fedele: le tasse. Cartellino giallo alla piovra delle leggi e dei cavilli che ha trasformato i cittadini in sudditi. Ma anzitutto cartellino giallo, anzi rosso, alle facce di un’altra, e bassa, stagione. Se nel nuovo governo trovassero posto gli stessi Alfano e gli stessi Lupi di quello vecchio, persino qualche simpatizzante di Renzi comincerebbe a pensare che non c’era alcun bisogno di cambiare governo.