shiloh ha scritto:avreste mai immaginato che il PD si sarebbe spinto talmente a destra
da cancellare 60 anni di lotte sindacali con il jobs act Salamella-Sacconi ???
io no...
IL RITORNO DELLA PRIMA REPUBBLICA
«Risorgeremo come Lazzaro»
I dc e la profezia che si avvera
Paolo Cirino Pomicino: ««Neppure uno dei nomi presi in considerazione è figlio della Seconda Repubblica»
di Gian Antonio Stella
Esplora il significato del termine: «Un giorno noi dicì ci toglieremo il sudario e risorgeremo come Lazzaro». Esattamente vent’anni dopo, davanti alla prospettiva di un trionfo della «Gens Democristiana» nella sfida quirinalizia, Gerardo Bianco ammicca divertito: «L’ho detta io, quella frase? Non ricordo. Si vede che non ero ancora rimbambito».
Mai avuto paura dell’autoironia, «Gerry White». Basti ricordare quando, nominato ministro dell’Istruzione, disse: «Finalmente potrò comandare su mia moglie professoressa». («Quella me la ricordo: lei non me l’ha mai perdonata».) Men che meno dice di temere quella che per decenni è stata la maledizione democristiana: i franchi tiratori: «A naso, stavolta dovrebbero essere ininfluenti. Anche perché dovrebbero venire disinnescati da altri voti esterni...».
Salgono sbuffi di Balena Bianca, nel Transatlantico di Montecitorio. Sbuffi come non se ne vedevano da anni. Molti anni. Ed è tutto un viavai, in questi giorni, di figure che per molto tempo o solamente per lo spazio di un mattino hanno avuto un ruolo nella vita del nostro Paese nella I Repubblica.
Certo, non mancano post socialdemocratici come Carlo Vizzini, erede in gioventù del seggio del papà Casimiro e poi segretario Psdi e più volte ministro coinvolto in polemiche sulle assunzioni alle Poste («Una scelta che rivendico», disse, «disposi che fosse data la priorità alle regioni che avevano la più alta densità di disoccupati, cioè Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata: qui erano il 24%, in Lombardia il 4») e poi ancora per qualche stagione forzista e berlusconiano. E non mancano socialisti di lungo corso come Paolo Pillitteri, il cognato di Craxi che Bettino mise a fare il sindaco di Milano e che fu travolto dal crollo di tutto il sistema socialista. E ancora reduci nostalgici di quella stagione come Lucio Barani, che quando era sindaco di Aulla concesse la cittadinanza onoraria «ai cromosomi X e XY, dei maschi di casa Savoia» e arruolò un «brain trust» di sedicenti fattucchiere per togliere al paese il malocchio rosso e oggi, senatore e segretario del Nuovo Psi sospira: «Con Mattarella si avvererà l’incredibile profezia di Craxi: i comunisti moriranno democristiani».
Ma sono soprattutto loro, gli orfani dello scudocrociato, a riaffacciarsi con uno spirito nuovo, niente affatto penitenziale, in questo Parlamento che per decenni dominarono. Manca il già citato «Gerry White» che aveva preso impegni in Calabria ma non vede l’ora di farsi vedere. Mancano i defunti. Manca Paolo Cirino Pomicino, che sta a Londra ma anche lui conta le ore per rientrare. Gli altri, chi più chi meno, si sono fatti vedere tutti. O quasi tutti.
Questo, esulta Pomicino dall’Inghilterra, «è il trionfo della Prima Repubblica. Dopo vent’anni tutti questi innovatori hanno dovuto cercarsi un inquilino del Colle scegliendolo tra i protagonisti o i comprimari della Prima Repubblica. Ci faccia caso: neppure uno, dei nomi presi in considerazione, è figlio della tanto mitizzata Seconda Repubblica. Per non dire di altre cose». Esempio? «Il trucco di saltare con la scheda bianca le prime tre votazioni, più complicate, è platealmente figlio di una certa cultura dc». Silvio Berlusconi si sente bidonato? «Ben gli sta. Non ha mai voluto affidarsi agli ex democristiani. Adesso gli eredi del Pci l’hanno fatto e si ritrovano al 40%!». Alcuni parlamentari più giovani, magari del MoVimento 5 Stelle, cercano di individuare questo o quell’ospite anzianotto che scivola nello struscio con l’aria di riassaporare un’abitudine antica, come se assistessero all’inaspettata apparizione di creature provenienti dal passato più profondo. Ecco un Ceratosaurus, e poi un Camptosaurus, un Megapnosaurus, un Torvosaurus... E questi da dove escono?
È come se fosse rovesciato, di colpo, quel Mondo Nuovo invocato dopo l’abbattimento della I Repubblica sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Quello che trovava ragion d’essere nella celebre battuta di Antonio Martino: «Abbiamo fatto esperienza dei politici di esperienza e non è stata una bella esperienza».
Ed ecco Sergio d’Antoni, che quando era leader della Cisl pareva avere in pugno un pezzo d’Italia e a un certo punto fondò un movimento nuovo, ovviamente neo-dc, insieme con Pippo Baudo: «Ho sentito che qualcuno teme che anche a Mattarella possa accadere quel che accadde ad Arnaldo Forlani, impallinato dai franchi tiratori. Io non credo sia possibile... Non vedo come si possa votare contro una persona dello spessore di Sergio Mattarella».
Salvatore Cardinale, siciliano di Mussomeli, dicì dai tempi lontani in cui Paolo Emilio Taviani ricambiava l’ostilità di Fanfani spiegando che «nella vita ci sono solo due cose belle, le donne e l’odio perenne per Amintore», passa il pomeriggio a tessere un accordo con gli alfaniani e i berlusconiani siculi e a impestare col sigaro il corridoio fumatori che accoglie gli schiavi del vizio e i malcapitati costretti per ragioni professionali a respirare l’irrespirabile.
Eletto deputato la prima volta nel 1987, assicura gongolante che «l’amico Sergio non dovrebbe avere problemi. Raffaele Fitto, che non a caso è un rampollo cresciuto in casa dicì e ha imparato in fretta come si fa politica, ha già detto che lui e i suoi lo votano. Alla fine, secondo me, i voti potrebbero essere più del previsto. Raccolgo confidenze. Non ha idea di quanti parlamentari e grandi elettori siciliani vengano raggiunti in queste ore dalle telefonate della moglie o dei figli: “Non penserai mica di votare contro Mattarella?!”. Li conosco, i miei: so cosa faranno».
C’è da credergli, che li conosca. Disintegrata la Dc, «Totò» ha circumnavigato negli anni tutto il globo dei partitini nati dal Big-Bang scudocrociato: Ccd, Udr, Udeur, Ppi, Dl... Una diaspora che Mino Martinazzoli aveva ben previsto: «Se la Dc si dovesse spaccare non si spaccherebbe in due ma in tre, in quattro, in cinque, rendendo ininfluente la presenza dei cattolici». Va da sé che, nel partito democratico di oggi, si trova come un fagiolo nel baccello.
Rosy Bindi, che emerse negli ultimi anni della Prima Repubblica come una specie di Giovanna d’Arco scelta come commissario da Martinazzoli per bonificare il partito in Veneto («Cerco uomini da mettere intorno non a un interesse, ma a un disinteresse!») ha smesso i musi lunghi che aveva fino all’altro ieri e pare beata come se avessero scelto lei stessa per salire al Colle. La rivincita, per lei, è doppia. Dovesse andar bene la conta di oggi, sarebbe il trionfo di quelli che il cardinale Alfredo Ottaviani, roccioso difensore delle tradizioni cattoliche e teorico di una Dc destrorsa, chiamava con sprezzante ironia i «comunistelli di sacrestia». Quelli che lo stesso Berlusconi, come ricorda il senatore Augusto Minzolini, teme più ancora di quanti ha bollato negli anni come «i figli di Stalin».
Sintesi dell’incubo: l’eventualità che Mattarella diventi «una specie di nuovo Scalfaro». Un cattolico vecchio stampo che chiamava la Madonna «la Mamma, la Padrona, la Splendidissima, la madre del bell’Amore, la castellana d’Italia, la Corredentrice, l’Ancilla» e faceva mostra di monacale umiltà («Il paragone con l’asino nella nostra povera vita vale sempre. Anche per me. Perché la parentela col somaro c’è sempre, non si perde con l’età») ma per sette anni si mise di traverso più o meno a tutti gli obiettivi del Cavaliere.
Questo è l’incubo di Berlusconi. Il timore che ciò che si sta ricostituendo dentro il Pd e dentro il Parlamento e dentro il suo stesso partito grazie alle insubordinazioni «del giovine Raffaele», finisca per stritolare ciò che resta (pochissimo, rispetto ai proclami di una volta) del «partito liberale di massa» che diceva di avere in testa al momento di scendere in campo.
E vedere tutti insieme questi antichi e novelli dicì che stanno un po’ di qua e un po’ di là ma che oggi potrebbero trovare una sintesi due anni fa impensabile, fa tornare in mente quanto spiegò un giorno, in romanesco, il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelisti: «Nella Dc nun se bbutta niente. Mai metterse ‘n testa di dettare i comandamenti del buon diccì. Cominci a dire: primo, devi fa’ così; secondo, non devi fa’ cosà, terzo, parla così, quarto questo, quinto quello e daje a elencà... None! Devi dire: fate come vi pare, basta che portate voti».
31 gennaio 2015 | 07:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA«Un giorno noi dicì ci toglieremo il sudario e risorgeremo come Lazzaro». Esattamente vent’anni dopo, davanti alla prospettiva di un trionfo della «Gens Democristiana» nella sfida quirinalizia, Gerardo Bianco ammicca divertito: «L’ho detta io, quella frase? Non ricordo. Si vede che non ero ancora rimbambito».
Mai avuto paura dell’autoironia, «Gerry White». Basti ricordare quando, nominato ministro dell’Istruzione, disse: «Finalmente potrò comandare su mia moglie professoressa». («Quella me la ricordo: lei non me l’ha mai perdonata».) Men che meno dice di temere quella che per decenni è stata la maledizione democristiana: i franchi tiratori: «A naso, stavolta dovrebbero essere ininfluenti. Anche perché dovrebbero venire disinnescati da altri voti esterni...».
Salgono sbuffi di Balena Bianca, nel Transatlantico di Montecitorio. Sbuffi come non se ne vedevano da anni. Molti anni. Ed è tutto un viavai, in questi giorni, di figure che per molto tempo o solamente per lo spazio di un mattino hanno avuto un ruolo nella vita del nostro Paese nella I Repubblica.
Certo, non mancano post socialdemocratici come Carlo Vizzini, erede in gioventù del seggio del papà Casimiro e poi segretario Psdi e più volte ministro coinvolto in polemiche sulle assunzioni alle Poste («Una scelta che rivendico», disse, «disposi che fosse data la priorità alle regioni che avevano la più alta densità di disoccupati, cioè Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata: qui erano il 24%, in Lombardia il 4») e poi ancora per qualche stagione forzista e berlusconiano. E non mancano socialisti di lungo corso come Paolo Pillitteri, il cognato di Craxi che Bettino mise a fare il sindaco di Milano e che fu travolto dal crollo di tutto il sistema socialista. E ancora reduci nostalgici di quella stagione come Lucio Barani, che quando era sindaco di Aulla concesse la cittadinanza onoraria «ai cromosomi X e XY, dei maschi di casa Savoia» e arruolò un «brain trust» di sedicenti fattucchiere per togliere al paese il malocchio rosso e oggi, senatore e segretario del Nuovo Psi sospira: «Con Mattarella si avvererà l’incredibile profezia di Craxi: i comunisti moriranno democristiani».
Ma sono soprattutto loro, gli orfani dello scudocrociato, a riaffacciarsi con uno spirito nuovo, niente affatto penitenziale, in questo Parlamento che per decenni dominarono. Manca il già citato «Gerry White» che aveva preso impegni in Calabria ma non vede l’ora di farsi vedere. Mancano i defunti. Manca Paolo Cirino Pomicino, che sta a Londra ma anche lui conta le ore per rientrare. Gli altri, chi più chi meno, si sono fatti vedere tutti. O quasi tutti.
Questo, esulta Pomicino dall’Inghilterra, «è il trionfo della Prima Repubblica. Dopo vent’anni tutti questi innovatori hanno dovuto cercarsi un inquilino del Colle scegliendolo tra i protagonisti o i comprimari della Prima Repubblica. Ci faccia caso: neppure uno, dei nomi presi in considerazione, è figlio della tanto mitizzata Seconda Repubblica. Per non dire di altre cose». Esempio? «Il trucco di saltare con la scheda bianca le prime tre votazioni, più complicate, è platealmente figlio di una certa cultura dc». Silvio Berlusconi si sente bidonato? «Ben gli sta. Non ha mai voluto affidarsi agli ex democristiani. Adesso gli eredi del Pci l’hanno fatto e si ritrovano al 40%!». Alcuni parlamentari più giovani, magari del MoVimento 5 Stelle, cercano di individuare questo o quell’ospite anzianotto che scivola nello struscio con l’aria di riassaporare un’abitudine antica, come se assistessero all’inaspettata apparizione di creature provenienti dal passato più profondo. Ecco un Ceratosaurus, e poi un Camptosaurus, un Megapnosaurus, un Torvosaurus... E questi da dove escono?
È come se fosse rovesciato, di colpo, quel Mondo Nuovo invocato dopo l’abbattimento della I Repubblica sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Quello che trovava ragion d’essere nella celebre battuta di Antonio Martino: «Abbiamo fatto esperienza dei politici di esperienza e non è stata una bella esperienza».
Ed ecco Sergio d’Antoni, che quando era leader della Cisl pareva avere in pugno un pezzo d’Italia e a un certo punto fondò un movimento nuovo, ovviamente neo-dc, insieme con Pippo Baudo: «Ho sentito che qualcuno teme che anche a Mattarella possa accadere quel che accadde ad Arnaldo Forlani, impallinato dai franchi tiratori. Io non credo sia possibile... Non vedo come si possa votare contro una persona dello spessore di Sergio Mattarella».
Salvatore Cardinale, siciliano di Mussomeli, dicì dai tempi lontani in cui Paolo Emilio Taviani ricambiava l’ostilità di Fanfani spiegando che «nella vita ci sono solo due cose belle, le donne e l’odio perenne per Amintore», passa il pomeriggio a tessere un accordo con gli alfaniani e i berlusconiani siculi e a impestare col sigaro il corridoio fumatori che accoglie gli schiavi del vizio e i malcapitati costretti per ragioni professionali a respirare l’irrespirabile.
Eletto deputato la prima volta nel 1987, assicura gongolante che «l’amico Sergio non dovrebbe avere problemi. Raffaele Fitto, che non a caso è un rampollo cresciuto in casa dicì e ha imparato in fretta come si fa politica, ha già detto che lui e i suoi lo votano. Alla fine, secondo me, i voti potrebbero essere più del previsto. Raccolgo confidenze. Non ha idea di quanti parlamentari e grandi elettori siciliani vengano raggiunti in queste ore dalle telefonate della moglie o dei figli: “Non penserai mica di votare contro Mattarella?!”. Li conosco, i miei: so cosa faranno».
C’è da credergli, che li conosca. Disintegrata la Dc, «Totò» ha circumnavigato negli anni tutto il globo dei partitini nati dal Big-Bang scudocrociato: Ccd, Udr, Udeur, Ppi, Dl... Una diaspora che Mino Martinazzoli aveva ben previsto: «Se la Dc si dovesse spaccare non si spaccherebbe in due ma in tre, in quattro, in cinque, rendendo ininfluente la presenza dei cattolici». Va da sé che, nel partito democratico di oggi, si trova come un fagiolo nel baccello.
Rosy Bindi, che emerse negli ultimi anni della Prima Repubblica come una specie di Giovanna d’Arco scelta come commissario da Martinazzoli per bonificare il partito in Veneto («Cerco uomini da mettere intorno non a un interesse, ma a un disinteresse!») ha smesso i musi lunghi che aveva fino all’altro ieri e pare beata come se avessero scelto lei stessa per salire al Colle. La rivincita, per lei, è doppia. Dovesse andar bene la conta di oggi, sarebbe il trionfo di quelli che il cardinale Alfredo Ottaviani, roccioso difensore delle tradizioni cattoliche e teorico di una Dc destrorsa, chiamava con sprezzante ironia i «comunistelli di sacrestia». Quelli che lo stesso Berlusconi, come ricorda il senatore Augusto Minzolini, teme più ancora di quanti ha bollato negli anni come «i figli di Stalin».
Sintesi dell’incubo: l’eventualità che Mattarella diventi «una specie di nuovo Scalfaro». Un cattolico vecchio stampo che chiamava la Madonna «la Mamma, la Padrona, la Splendidissima, la madre del bell’Amore, la castellana d’Italia, la Corredentrice, l’Ancilla» e faceva mostra di monacale umiltà («Il paragone con l’asino nella nostra povera vita vale sempre. Anche per me. Perché la parentela col somaro c’è sempre, non si perde con l’età») ma per sette anni si mise di traverso più o meno a tutti gli obiettivi del Cavaliere.
Questo è l’incubo di Berlusconi. Il timore che ciò che si sta ricostituendo dentro il Pd e dentro il Parlamento e dentro il suo stesso partito grazie alle insubordinazioni «del giovine Raffaele», finisca per stritolare ciò che resta (pochissimo, rispetto ai proclami di una volta) del «partito liberale di massa» che diceva di avere in testa al momento di scendere in campo.
E vedere tutti insieme questi antichi e novelli dicì che stanno un po’ di qua e un po’ di là ma che oggi potrebbero trovare una sintesi due anni fa impensabile, fa tornare in mente quanto spiegò un giorno, in romanesco, il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelisti: «Nella Dc nun se bbutta niente. Mai metterse ‘n testa di dettare i comandamenti del buon diccì. Cominci a dire: primo, devi fa’ così; secondo, non devi fa’ cosà, terzo, parla così, quarto questo, quinto quello e daje a elencà... None! Devi dire: fate come vi pare, basta che portate voti».
31 gennaio 2015 | 07:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/special ... 2eeb.shtml