articolo 18
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Re: articolo 18
http://www.youtube.com/watch?v=YqozRtYc ... e=youtu.be
Ex Agente Dei Servizi Segreti Svela i Piani Degli ILLUMINATI Per L'Italia!
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Paolo11
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Paolo11
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Re: articolo 18
PiazzaPulita
Forchielli ha sentenziato:
<<Negli Stati Uniti ai potenziali investitori l'articolo 18 non interessa un caXXo......anche perché gli Usa ci considerano MORTI>>.
Forchielli in Tv è sempre ruspante. Parla sempre come mangia.
Forchielli è spesso in contatto con gli Usa per lavoro.
Nel giro di 4 mesi è la seconda volta che viene affermato che siamo fottuti. Considerati morti dagli Usa.
Lo ha fatto in precedenza Luttwak.
Personalmente credo che sia Forchielli che Luttwak abbiano ragione.
Alberto Forchielli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Alberto Forchielli
[img]Alberto%20Forchielli.jpg[/img]
Amministratore delegato, presidente e consigliere di amministrazione di medie imprese italiane; è esperto nello sviluppo di affari internazionali, in particolare in Cina e in India.
^^^^^
PS. Forchielli è tanto ruspante che questa sera ha tranquillamente affermato che entrando nel Wto ci siamo giocati le palle nella porta.
Forchielli ha sentenziato:
<<Negli Stati Uniti ai potenziali investitori l'articolo 18 non interessa un caXXo......anche perché gli Usa ci considerano MORTI>>.
Forchielli in Tv è sempre ruspante. Parla sempre come mangia.
Forchielli è spesso in contatto con gli Usa per lavoro.
Nel giro di 4 mesi è la seconda volta che viene affermato che siamo fottuti. Considerati morti dagli Usa.
Lo ha fatto in precedenza Luttwak.
Personalmente credo che sia Forchielli che Luttwak abbiano ragione.
Alberto Forchielli
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Alberto Forchielli
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Amministratore delegato, presidente e consigliere di amministrazione di medie imprese italiane; è esperto nello sviluppo di affari internazionali, in particolare in Cina e in India.
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Re: articolo 18
Invece per gli USA siamo vivi quando si tratta di basi militari o Radar come in Sicilia.Poi ci dicono pure di passare al 2% per le spese militari.
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Re: articolo 18
da Il Fatto quotidiano
Le riforme di Draghi, Renzi e Napolitano sopprimono le tutele contro le discriminazioni
di Roberto Marchesi | 23 settembre 2014
“La ripresa sta perdendo impulso!” dice Draghi. Ma ha detto proprio “ripresa”? E chi l’ha mai vista dopo il 2011? Adesso siamo persino in piena depressione!
A parte le chiacchiere di certi politici e a parte la discesa del famigerato “spread” sui titoli di Stato, che prima del 2012 praticamente nessuno, a parte gli economisti, sapeva nemmeno cosa fosse, di “ripresa” in Italia (e in quasi tutta Europa) proprio non c’è traccia da almeno tre anni. Adesso va di moda però il “pragmatismo“. Non quello giusto, che ogni politico serio sa dosare correttamente, ma quello alla “renzusconi”, che consente a qualunque soggetto dotato di grande disinvoltura morale e dialettica di operare qualunque “colpo basso” pur di conquistare o mantenere il potere.
Ma anche usando il moderno pragmatismo, e aguzzando al massimo la vista, di ripresa economica è dal 2010 che non c’è proprio alcuna traccia. Eppure proprio oggi è sceso in campo, a fianco di Draghi, Renzi e Berlusconi, anche il presidente della repubblica Giorgio Napolitano per dire che “… le riforme sono necessarie ed urgenti…”. E qui comincia la confusione, scientemente adottata da lungo tempo ormai, sul contenuto del termine “riforme”.
E’ evidente che tutti i politici, negli ultimi venticinque anni, hanno giocato molto furbescamente su ciò che deve essere riformato, prendendo così in giro gli elettori. Ma quando si ottengono le maggioranze prendendo in giro gli iscritti e gli elettori, non si può poi reclamare correttamente il diritto democratico a governare (come ha fatto Berlusconi e come fa ora Renzi), perché è vero che il voto è ancora quasi libero (con “porcellum” e “italicum” lo è solo nella forma, non nella sostanza), ma se nella sollecitazione al voto si lascia (principale colpa dei media) che politici scafati ci mettano tutte le loro furbizie e menzogne invece che l’onestà intellettuale di chi realmente vuole servire il popolo, non è più di reale voto democratico che si tratta, ma di spudorato plagio di massa.
Adesso è tornato alla ribalta l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300). Renzi lo chiama “totem”, Squinzi lo chiama “mantra”, nessuno più che lo chiami per quello che è, ovvero una garanzia contro le discriminazioni, conquistata dopo dure lotte dai lavoratori.
Dicono (Renzi, Draghi, Squinzi & C.): “Gli imprenditori che vengono in Italia con la voglia di investire, se ne vanno, perché non si può investire in una impresa che, quando è necessario, non è possibile licenziare“. Mentono, sapendo di mentire! Perché quando é stato veramente necessario le aziende hanno sempre licenziato e sfruttato tutti i sussidi statali possibili, secondo il reale (o presunto) bisogno dell’azienda. Nel mio ventennale lavoro di analista fidi di una banca per investimenti di Milano ho analizzato centinaia di aziende grandi e piccole, e posso garantire che è veramente così. Le crisi aziendali non sono mai state determinate dall’intralcio di una tutela contro le discriminazioni (art. 18), ma da cause generali (come la crisi attuale) o settoriali, o da incapacità o errori manageriali.
L’art. 18 quindi è semplicemente una garanzia per i singoli lavoratori (nelle aziende con più di 14 dipendenti) contro il licenziamento indiscriminato. Con l’art. 18 il singolo lavoratore può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo (è un giudice a decidere se sussistono), quindi per furto, inadempienze gravi, persino per una semplice somma di tre ritardi in un anno. Quando si tratta invece di crisi aziendale per cause economiche il singolo lavoratore non c’entra niente. Se un’azienda, per motivo di crisi, necessita di ridurre il personale, rientrano casomai le norme sui licenziamenti collettivi, quindi non c’entra niente l’art.18.
La difesa dell’art. 18 non è perciò la difesa del “posto fisso”, come malignamente vogliono far credere i Renzi, Squinzi, Napolitano e codazzo di megafoni mediatici ossequienti, ma semplicemente la tutela del singolo lavoratore contro ogni tipo di discriminazione, e sappiamo benissimo che ce ne sono tante: sesso, razza, età, appartenenza o iscrizione ad un sindacato (WalMart, la più grande azienda commerciale del mondo, licenzia chiunque accenni a costituire una rappresentanza sindacale nei propri centri commerciali), rifiuto di svolgere mansioni diverse da quelle per cui si è stati assunti (che include talvolta il rifiuto di concedersi a prestazioni sessuali), ecc.
Il vero imprenditore non ha paura dell’art. 18, non ne ha mai avuta. L’investitore invece cui fa riferimento Squinzi non è un imprenditore, è uno speculatore che vuole comprare e vendere le imprese a suo piacere, come usa oggi, perciò ne ha paura, perchè, discriminazione o no, lui vuole essere libero di disporre di tutti i mezzi aziendali, compreso le persone, a suo totale discrezione e piacimento, usando tutto il moderno pragmatismo di cui e’ capace. E’ il mercato che lo chiede.
Una società civile dovrebbe rifiutare queste aspirazioni con disprezzo. I maggiorenti della nostra povera democrazia allo sfascio reclamano invece l’urgente soppressione di questa efficace tutela contro le discriminazioni come se si trattasse di una malattia grave. Vergogna!
Le riforme di Draghi, Renzi e Napolitano sopprimono le tutele contro le discriminazioni
di Roberto Marchesi | 23 settembre 2014
“La ripresa sta perdendo impulso!” dice Draghi. Ma ha detto proprio “ripresa”? E chi l’ha mai vista dopo il 2011? Adesso siamo persino in piena depressione!
A parte le chiacchiere di certi politici e a parte la discesa del famigerato “spread” sui titoli di Stato, che prima del 2012 praticamente nessuno, a parte gli economisti, sapeva nemmeno cosa fosse, di “ripresa” in Italia (e in quasi tutta Europa) proprio non c’è traccia da almeno tre anni. Adesso va di moda però il “pragmatismo“. Non quello giusto, che ogni politico serio sa dosare correttamente, ma quello alla “renzusconi”, che consente a qualunque soggetto dotato di grande disinvoltura morale e dialettica di operare qualunque “colpo basso” pur di conquistare o mantenere il potere.
Ma anche usando il moderno pragmatismo, e aguzzando al massimo la vista, di ripresa economica è dal 2010 che non c’è proprio alcuna traccia. Eppure proprio oggi è sceso in campo, a fianco di Draghi, Renzi e Berlusconi, anche il presidente della repubblica Giorgio Napolitano per dire che “… le riforme sono necessarie ed urgenti…”. E qui comincia la confusione, scientemente adottata da lungo tempo ormai, sul contenuto del termine “riforme”.
E’ evidente che tutti i politici, negli ultimi venticinque anni, hanno giocato molto furbescamente su ciò che deve essere riformato, prendendo così in giro gli elettori. Ma quando si ottengono le maggioranze prendendo in giro gli iscritti e gli elettori, non si può poi reclamare correttamente il diritto democratico a governare (come ha fatto Berlusconi e come fa ora Renzi), perché è vero che il voto è ancora quasi libero (con “porcellum” e “italicum” lo è solo nella forma, non nella sostanza), ma se nella sollecitazione al voto si lascia (principale colpa dei media) che politici scafati ci mettano tutte le loro furbizie e menzogne invece che l’onestà intellettuale di chi realmente vuole servire il popolo, non è più di reale voto democratico che si tratta, ma di spudorato plagio di massa.
Adesso è tornato alla ribalta l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300). Renzi lo chiama “totem”, Squinzi lo chiama “mantra”, nessuno più che lo chiami per quello che è, ovvero una garanzia contro le discriminazioni, conquistata dopo dure lotte dai lavoratori.
Dicono (Renzi, Draghi, Squinzi & C.): “Gli imprenditori che vengono in Italia con la voglia di investire, se ne vanno, perché non si può investire in una impresa che, quando è necessario, non è possibile licenziare“. Mentono, sapendo di mentire! Perché quando é stato veramente necessario le aziende hanno sempre licenziato e sfruttato tutti i sussidi statali possibili, secondo il reale (o presunto) bisogno dell’azienda. Nel mio ventennale lavoro di analista fidi di una banca per investimenti di Milano ho analizzato centinaia di aziende grandi e piccole, e posso garantire che è veramente così. Le crisi aziendali non sono mai state determinate dall’intralcio di una tutela contro le discriminazioni (art. 18), ma da cause generali (come la crisi attuale) o settoriali, o da incapacità o errori manageriali.
L’art. 18 quindi è semplicemente una garanzia per i singoli lavoratori (nelle aziende con più di 14 dipendenti) contro il licenziamento indiscriminato. Con l’art. 18 il singolo lavoratore può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo (è un giudice a decidere se sussistono), quindi per furto, inadempienze gravi, persino per una semplice somma di tre ritardi in un anno. Quando si tratta invece di crisi aziendale per cause economiche il singolo lavoratore non c’entra niente. Se un’azienda, per motivo di crisi, necessita di ridurre il personale, rientrano casomai le norme sui licenziamenti collettivi, quindi non c’entra niente l’art.18.
La difesa dell’art. 18 non è perciò la difesa del “posto fisso”, come malignamente vogliono far credere i Renzi, Squinzi, Napolitano e codazzo di megafoni mediatici ossequienti, ma semplicemente la tutela del singolo lavoratore contro ogni tipo di discriminazione, e sappiamo benissimo che ce ne sono tante: sesso, razza, età, appartenenza o iscrizione ad un sindacato (WalMart, la più grande azienda commerciale del mondo, licenzia chiunque accenni a costituire una rappresentanza sindacale nei propri centri commerciali), rifiuto di svolgere mansioni diverse da quelle per cui si è stati assunti (che include talvolta il rifiuto di concedersi a prestazioni sessuali), ecc.
Il vero imprenditore non ha paura dell’art. 18, non ne ha mai avuta. L’investitore invece cui fa riferimento Squinzi non è un imprenditore, è uno speculatore che vuole comprare e vendere le imprese a suo piacere, come usa oggi, perciò ne ha paura, perchè, discriminazione o no, lui vuole essere libero di disporre di tutti i mezzi aziendali, compreso le persone, a suo totale discrezione e piacimento, usando tutto il moderno pragmatismo di cui e’ capace. E’ il mercato che lo chiede.
Una società civile dovrebbe rifiutare queste aspirazioni con disprezzo. I maggiorenti della nostra povera democrazia allo sfascio reclamano invece l’urgente soppressione di questa efficace tutela contro le discriminazioni come se si trattasse di una malattia grave. Vergogna!
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Re: articolo 18
il Fatto 23.9.14
Articolo 18, garanzia per poter lottare
di Lino Balza
Mio figlio era un ragazzino quando quel sabato mattina mi consegnarono la lettera di licenziamento. Io pensavo: questa volta sarà dura, preparo subito il ricorso ma mi gioco tutta la mia vita.
Mio figlio mi sentì dire: nessun problema, vincerò in tribunale. Questo licenziamento non arrivava inaspettato, ma era la logica conclusione della “escalation” di una vicenda ventennale fatta di esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, udienze in tribunale, eccetera.
Il licenziamento. Una mazzata.
A questa età non trovi più lavoro. L’unica speranza era il tribunale. Vinsi. E ritornai al lavoro.
Grazie all’articolo 18. Sarei invece stato costretto a troncare questa “missione” se l’azienda, anziché l’obbligo del reintegro in fabbrica, avesse avuto la possibilità di liberarsi di me semplicemente pagando una indennità.
È già così difficile oggi trovare il coraggio per lottare e rischiare sulla propria pelle, che non si può chiedere a nessuno di votarsi al sicuro martirio senza l’articolo 18. Dunque è giusto estendere l’articolo 18 anche a chi lavora nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
Articolo 18, garanzia per poter lottare
di Lino Balza
Mio figlio era un ragazzino quando quel sabato mattina mi consegnarono la lettera di licenziamento. Io pensavo: questa volta sarà dura, preparo subito il ricorso ma mi gioco tutta la mia vita.
Mio figlio mi sentì dire: nessun problema, vincerò in tribunale. Questo licenziamento non arrivava inaspettato, ma era la logica conclusione della “escalation” di una vicenda ventennale fatta di esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, udienze in tribunale, eccetera.
Il licenziamento. Una mazzata.
A questa età non trovi più lavoro. L’unica speranza era il tribunale. Vinsi. E ritornai al lavoro.
Grazie all’articolo 18. Sarei invece stato costretto a troncare questa “missione” se l’azienda, anziché l’obbligo del reintegro in fabbrica, avesse avuto la possibilità di liberarsi di me semplicemente pagando una indennità.
È già così difficile oggi trovare il coraggio per lottare e rischiare sulla propria pelle, che non si può chiedere a nessuno di votarsi al sicuro martirio senza l’articolo 18. Dunque è giusto estendere l’articolo 18 anche a chi lavora nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
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Re: articolo 18
Secondo voi la "minoranza" del pd si opporrà davvero nella direzione alla faccenda dell'art.18 oppure faranno come hanno fatto sempre e ingoieranno tutto?
E, soprattutto, perché non escono dal pd e lo mandano affanculo?
E, soprattutto, perché non escono dal pd e lo mandano affanculo?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: articolo 18
A primo colpo d’occhio, la questione dell’articolo 18 sembra una questione di poco conto, su cui si sta combattendo una battaglia del tutto sproporzionata, forse per obiettivi nascosti e ben diversi da quelli dichiarati. Considerato che, la norma, che tutela i lavoratori dipendenti da aziende private con contratto a tempo indeterminato, si applica alle unità produttive con più di 15 dipendenti (5 se agricole), quelle con meno di 15 dipendenti (5 se agricole) se l'azienda occupa nello stesso comune più di 15 dipendenti o se l’azienda ha complessivamente più di 60 dipendenti, c’è da chiedersi quanto siano i lavoratori interessati al mantenimento di questa norma. Considerato che, di assunzioni a tempo indeterminato, le aziende private ormai ne fanno con il contagocce, preferendo i ben più comodi contratti atipici, a tempo determinato, a progetto ecc, (come nell’azienda del papà di Renzi, dove erano tutti lavoratori Co co co, salvo, il figliolo Matteo che era l’unico a tempo indeterminato… ma si capisce!), considerato che siamo di fronte alla precarizzazione di massa di una intera generazione (i 20-45enni), e ci stiamo avviando a precarizzare una seconda generazione, considerato che le aziende hanno subito un processo di spezzettamento per cui è diventata una fatica trovarne che eccedano i limiti numerici fissati dalla norma, considerato, infine, che siamo in presenza di indici di disoccupazione massimi da mezzo secolo, quanti volete che siano i lavoratori a tempo indeterminato in aziende con quei parametri? E tutti si affannano a dimostrare che pochi “privilegiati” non possono ostacolare la via delle riforme compromettendo le sorti del paese. Primo fra tutti a guidare il coro è il Capo dello Stato che, nella sua delicata sensibilità costituzionale che lo vuole sereno arbitro super partes, mette i piedi nel piatto e si pronuncia esplicitamente per la tesi governativa, invitando a farla finita con corporativismi e conservatorismi e approvare la riforma a tamburo battente. Scusate la divagazione: ma come mai questo ex dirigente di quello che fu il maggior partito dei lavoratori italiani, trova che ad essere corporativi siano i lavoratori e solo loro? Lo avete mai sentito dare del “corporativi” o, “conservatori” ai banchieri, che prendono i soldi della Ue, per investirli in altri titoli finanziari. continuando a negarli ad aziende e famiglie? Ci sono i superpagati dipendenti del Parlamento che stanno facendo un casino d’inferno perché non accettano una spuntatura delle loro ricche retribuzioni, come, peraltro, avevano fatti i manager di Stato, gli alti magistrati ecc. qualche tempo fa: Napolitano ha mai denunciato questi privilegi e particolarismi? Possiamo dire solo una cosa: Presidente si vergogni!
Tornando all’asse principale del nostro ragionamento: ma se la garanzia riguarda una percentuale tanto modesta di lavoratori, quali risolutivi benefici dovrebbero venire ai bilanci delle aziende? E, più ancora, quale sarebbe la ricaduta sull’economia generale del paese? Ed allora perché prenderla così calda?
Questo non lo dice nessuno, ma ci si limita, Renzi in testa, a sostenere che in questo modo si equalizzano i diritti e, poi, la “fluidificazione” del mercato del lavoro porterà a nuove assunzioni di giovani. Sull’equalizzazione dei diritti dobbiamo dire che Renzi ha ragione, solo che lui non vuole estendere i diritti esistenti a quelli che non li hanno, ma toglierli a quelli che li hanno. Geniale!
Quanto poi agli effetti benefici del circolo virtuoso per cui a minori garanzie per i lavoratori corrisponderebbe una dinamizzazione del mercato, con nuove assunzioni, ci limitiamo a dire che è la stessa litania che sentiamo sin dal “pacchetto Treu” (altro regalo del “centro sinistra”) che liquidò una bella fetta delle conquiste degli anni settanta: sul piano occupazionale avete visto niente? A me risulta che i giovani sono sempre più precari, l’occupazione è in caduta libera, i consumi hanno ristagnato a lungo prima di crollare. Questa “riforma” (almeno, la chiamassero per quello che è: “controriforma”) servirà solo a licenziare un po’ di lavoratori “garantiti”, magari quelli sindacalmente più attivi, per costituirli con altrettanti precari sottopagati. I giovani continueranno ad essere precari come sempre e senza neppure il miraggio di una assunzione a tempo indeterminato che, a questo punto, non avrebbe più alcuna differenza dall’attuale regime precario.
Ma quello che conta di più è il senso politico generale dell’operazione: avviare una nuova offensiva di ampia portata contro il lavoro e le sue garanzie. Dopo verrà l’attacco all’illicenziabilità della Pa, l’ulteriore taglio dei salari, l’ulteriore dequalificazione della forza lavoro e la definitiva espulsione del sindacato alle aziende. Tappe che vedremo succedersi rapidamente, una volta ottenuta la legittimazione di una vittoria sulla questione dell’art. 18: quello che conta qui, più che la questione in sé, è la sua valenza simbolica.
La Cgil oggi se ne lamenta, e si può capire, ma in fondo raccoglie quel che ha seminato: per tre anni è stata complice assidua delle sciagurate politiche rigoriste di Monti e di Letta, poi ha servito Renzi con zelo degno di miglior causa, sostenendolo massicciamente anche nelle ultime elezioni europee. Adesso riscuote il prezzo dei suoi servigi: viene licenziata come una colf, senza neanche i sette giorni di preavviso e da un Presidente del Consiglio che è anche il segretario del partito che loro votano.
Ma lo scontro che si sta profilando impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell’azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame “riforma”, quanto l’occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l’azione parlamentare e con l’azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade. Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, lui, segretario del Pd, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?
Questo sarà uno scontro generale che avrà conseguenze che andranno molto oltre la questione in sé, esattamente come si pensa di fare dall’altra parte della barricata." Aldo Giannuli
http://www.beppegrillo.it/2014/09/la_ba ... lo_18.html
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Paolo11
Tornando all’asse principale del nostro ragionamento: ma se la garanzia riguarda una percentuale tanto modesta di lavoratori, quali risolutivi benefici dovrebbero venire ai bilanci delle aziende? E, più ancora, quale sarebbe la ricaduta sull’economia generale del paese? Ed allora perché prenderla così calda?
Questo non lo dice nessuno, ma ci si limita, Renzi in testa, a sostenere che in questo modo si equalizzano i diritti e, poi, la “fluidificazione” del mercato del lavoro porterà a nuove assunzioni di giovani. Sull’equalizzazione dei diritti dobbiamo dire che Renzi ha ragione, solo che lui non vuole estendere i diritti esistenti a quelli che non li hanno, ma toglierli a quelli che li hanno. Geniale!
Quanto poi agli effetti benefici del circolo virtuoso per cui a minori garanzie per i lavoratori corrisponderebbe una dinamizzazione del mercato, con nuove assunzioni, ci limitiamo a dire che è la stessa litania che sentiamo sin dal “pacchetto Treu” (altro regalo del “centro sinistra”) che liquidò una bella fetta delle conquiste degli anni settanta: sul piano occupazionale avete visto niente? A me risulta che i giovani sono sempre più precari, l’occupazione è in caduta libera, i consumi hanno ristagnato a lungo prima di crollare. Questa “riforma” (almeno, la chiamassero per quello che è: “controriforma”) servirà solo a licenziare un po’ di lavoratori “garantiti”, magari quelli sindacalmente più attivi, per costituirli con altrettanti precari sottopagati. I giovani continueranno ad essere precari come sempre e senza neppure il miraggio di una assunzione a tempo indeterminato che, a questo punto, non avrebbe più alcuna differenza dall’attuale regime precario.
Ma quello che conta di più è il senso politico generale dell’operazione: avviare una nuova offensiva di ampia portata contro il lavoro e le sue garanzie. Dopo verrà l’attacco all’illicenziabilità della Pa, l’ulteriore taglio dei salari, l’ulteriore dequalificazione della forza lavoro e la definitiva espulsione del sindacato alle aziende. Tappe che vedremo succedersi rapidamente, una volta ottenuta la legittimazione di una vittoria sulla questione dell’art. 18: quello che conta qui, più che la questione in sé, è la sua valenza simbolica.
La Cgil oggi se ne lamenta, e si può capire, ma in fondo raccoglie quel che ha seminato: per tre anni è stata complice assidua delle sciagurate politiche rigoriste di Monti e di Letta, poi ha servito Renzi con zelo degno di miglior causa, sostenendolo massicciamente anche nelle ultime elezioni europee. Adesso riscuote il prezzo dei suoi servigi: viene licenziata come una colf, senza neanche i sette giorni di preavviso e da un Presidente del Consiglio che è anche il segretario del partito che loro votano.
Ma lo scontro che si sta profilando impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell’azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame “riforma”, quanto l’occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l’azione parlamentare e con l’azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade. Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, lui, segretario del Pd, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?
Questo sarà uno scontro generale che avrà conseguenze che andranno molto oltre la questione in sé, esattamente come si pensa di fare dall’altra parte della barricata." Aldo Giannuli
http://www.beppegrillo.it/2014/09/la_ba ... lo_18.html
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Re: articolo 18
il Fatto 24.9.14
Puntare all’articolo 18 per smontare il Pd
Perché lo Statuto dei lavoratori diventa così importante?
Renzi non è un invasato: ha messo in conto che andrà tutto in frantumi
di Oliviero Beha
NON SFUGGE immagino a nessuno il valore simbolico e strumentale del famigerato art.18, preso da sempre a icona dello Statuto dei lavoratori da qualunque punto di vista. Non poter essere licenziati senza giusta causa, con un giudice che può reintegrarti nel posto di lavoro, non ha solo un importantissimo peso pratico per chi è nelle condizioni di goderne, peraltro sempre di meno come segnalano i dati in materia, ma è un totem in lontananza anche per chi non se ne può avvalere. È il solo fatto che ci sia che può tingere il diritto del lavoro di un colore o di un altro. Le polemiche su questo aspetto si sono affastellate negli anni, rivestendo sempre un contenzioso addirittura più politico che sindacale. Tra chi sosteneva che non si investiva più in Italia per colpa dell’articolo incriminato, chi diceva che non era importante (e dunque perché se ne parlava tanto?), chi lo voleva eliminare come retaggio dell’antica Roma – ma all’epoca c’erano schiavi e liberti… come oggi dunque? –, è da sempre il caposaldo di qualunque posizione sul lavoro, e sul diritto al lavoro. Del resto, che in un Paese senza meritocrazia e decerebrato da tanti punti di vista lavoro e salario/stipendio si siano divaricati, abbiano preso a un bivio due strade diverse, è cosa stranota e ormai vecchia. Ma a questo lieve dettaglio non si fa cenno quando si discute del mercato del lavoro, o del diritto al lavoro. E invece ne sarebbe un aspetto cruciale. Provate ad associarlo alla formula con la quale si vorrebbe sostituire il reintegro eventuale nel posto di lavoro con un indennizzo: di nuovo denaro e lavoro scorporati, stavolta per legge.
CE NE SAREBBE abbastanza per insistere nell’analisi di questo benedetto art. 18, come del resto ci sono nuove avvisaglie che si è intenzionati a fare da parte del governo e dell’opposizione situata ben dentro l’attuale maggioranza, se appunto non esigesse tutta l’attenzione possibile l’aspetto strumentale della faccenda. Prendiamo l’ultima esternazione all’americana di Renzi in proposito: “Serve un cambiamento violento” recita da oltreoceano richiamando l’eco del Colle. Poiché ritengo che fino a quando sarà possibile nella vita e nella vita politica le parole siano importanti e non sostituibili né interscambiabili, magari al di là delle stesse intenzioni psicolinguistiche del premier devo prenderlo sul serio. “Cambiamento” e va bene, da oltre 200 giorni (e anche prima di Palazzo Chigi) non si parla d’altro. Ma poi c’è l’aggettivo “violento” immediatamente riferibile al Jobs Act, alla ferma posizione sul lavoro, dunque ovviamente all’art.18. Non si scherza con il lessico: ha detto proprio “violento”, volendo così manifestare la volontà di andare avanti a qualunque costo. Perché è un invasato anti-art. 18? Lo escluderei, Renzi sta dimostrando di essere tutto fuorché un invasato. Casomai si lascia trascinare dalla corrente della comunicazione e non vede o non vuol vedere le rapide davanti al suo kayak . E allora? E allora politicamente deve aver messo in preventivo che si spacchi il Pd, nel versante di sinistra o sinistro che sia, e magari si frantumi anche Forza Italia con Berlusconi stretto al patto del Nazareno e Fitto in libera uscita. Contando ovviamente sulla grana grossa della questione, cioè il far passare il tutto come la novità di estromettere da qualunque ponte o ponteggio di comando quella che chiama “la vecchia guardia”, cioè Bersani ma non Verdini: l’opinione pubblica esasperata dalla crisi e da tutti gli indicatori economici a capofitto potrebbe seguirlo. Si vedrà. Ma il paradosso è che, per l’ennesima volta, pur in una situazione drammatica la politica parlerà di una cosa mirando a realizzarne un’altra. Niente di nuovo, è solo la musica sul Titanic…
Puntare all’articolo 18 per smontare il Pd
Perché lo Statuto dei lavoratori diventa così importante?
Renzi non è un invasato: ha messo in conto che andrà tutto in frantumi
di Oliviero Beha
NON SFUGGE immagino a nessuno il valore simbolico e strumentale del famigerato art.18, preso da sempre a icona dello Statuto dei lavoratori da qualunque punto di vista. Non poter essere licenziati senza giusta causa, con un giudice che può reintegrarti nel posto di lavoro, non ha solo un importantissimo peso pratico per chi è nelle condizioni di goderne, peraltro sempre di meno come segnalano i dati in materia, ma è un totem in lontananza anche per chi non se ne può avvalere. È il solo fatto che ci sia che può tingere il diritto del lavoro di un colore o di un altro. Le polemiche su questo aspetto si sono affastellate negli anni, rivestendo sempre un contenzioso addirittura più politico che sindacale. Tra chi sosteneva che non si investiva più in Italia per colpa dell’articolo incriminato, chi diceva che non era importante (e dunque perché se ne parlava tanto?), chi lo voleva eliminare come retaggio dell’antica Roma – ma all’epoca c’erano schiavi e liberti… come oggi dunque? –, è da sempre il caposaldo di qualunque posizione sul lavoro, e sul diritto al lavoro. Del resto, che in un Paese senza meritocrazia e decerebrato da tanti punti di vista lavoro e salario/stipendio si siano divaricati, abbiano preso a un bivio due strade diverse, è cosa stranota e ormai vecchia. Ma a questo lieve dettaglio non si fa cenno quando si discute del mercato del lavoro, o del diritto al lavoro. E invece ne sarebbe un aspetto cruciale. Provate ad associarlo alla formula con la quale si vorrebbe sostituire il reintegro eventuale nel posto di lavoro con un indennizzo: di nuovo denaro e lavoro scorporati, stavolta per legge.
CE NE SAREBBE abbastanza per insistere nell’analisi di questo benedetto art. 18, come del resto ci sono nuove avvisaglie che si è intenzionati a fare da parte del governo e dell’opposizione situata ben dentro l’attuale maggioranza, se appunto non esigesse tutta l’attenzione possibile l’aspetto strumentale della faccenda. Prendiamo l’ultima esternazione all’americana di Renzi in proposito: “Serve un cambiamento violento” recita da oltreoceano richiamando l’eco del Colle. Poiché ritengo che fino a quando sarà possibile nella vita e nella vita politica le parole siano importanti e non sostituibili né interscambiabili, magari al di là delle stesse intenzioni psicolinguistiche del premier devo prenderlo sul serio. “Cambiamento” e va bene, da oltre 200 giorni (e anche prima di Palazzo Chigi) non si parla d’altro. Ma poi c’è l’aggettivo “violento” immediatamente riferibile al Jobs Act, alla ferma posizione sul lavoro, dunque ovviamente all’art.18. Non si scherza con il lessico: ha detto proprio “violento”, volendo così manifestare la volontà di andare avanti a qualunque costo. Perché è un invasato anti-art. 18? Lo escluderei, Renzi sta dimostrando di essere tutto fuorché un invasato. Casomai si lascia trascinare dalla corrente della comunicazione e non vede o non vuol vedere le rapide davanti al suo kayak . E allora? E allora politicamente deve aver messo in preventivo che si spacchi il Pd, nel versante di sinistra o sinistro che sia, e magari si frantumi anche Forza Italia con Berlusconi stretto al patto del Nazareno e Fitto in libera uscita. Contando ovviamente sulla grana grossa della questione, cioè il far passare il tutto come la novità di estromettere da qualunque ponte o ponteggio di comando quella che chiama “la vecchia guardia”, cioè Bersani ma non Verdini: l’opinione pubblica esasperata dalla crisi e da tutti gli indicatori economici a capofitto potrebbe seguirlo. Si vedrà. Ma il paradosso è che, per l’ennesima volta, pur in una situazione drammatica la politica parlerà di una cosa mirando a realizzarne un’altra. Niente di nuovo, è solo la musica sul Titanic…
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Re: articolo 18
Caro Renzi in parlamento con le ultime elezioni politiche avete preso il 25%è con questa percentuale che devi governare.
Anche se hai preso il 40% alle europee questo non comporta la tua dittatura.
Ciao
Paolo11
Anche se hai preso il 40% alle europee questo non comporta la tua dittatura.
Ciao
Paolo11
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Re: articolo 18
E alle prossime continuando così neanche il 25% prenderai...
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