COMUNALI
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A Livorno il Pd meritava di perdere'
Il regista Paolo Virzì, il deputato Andrea Romano, il direttore de 'Il Tirreno' Roberto Bernabò raccontano all'Espresso perché nella roccaforte democratica della Toscana questa volta ha vinto il partito di Grillo. E spiegano: "Più che una persona, ha vinto un programma: mandiamoli a casa"
DI SUSANNA TURCO
09 giugno 201
“Se la meritava, questa sconfitta, tutto il gruppo dirigente del Pd. A Livorno si sono avvitati per anni in lotte fratricide tra mediocri notabilati locali mentre il mondo andava da un’altra parte. Ora è arrivato il napalm, ma un cambio ci voleva. Ha vinto il programma di una riga: mandiamoli tutti a casa”.
Il regista Paolo Virzì, livornese trapiantato a Roma, è amareggiato ma ci va giù con la scure. Proprio perché è livornese. Questa città, aggiunge il direttore del Tirreno Roberto Bernabò, “è conservatrice ma capace di grandi gesti di ribellismo: avrebbe votato qualsiasi cosa pur di cambiare”. Così, dopo 68 anni di dominio incontrastato della sinistra, Livorno si è risvegliata grillina e pare quasi che si sia tolta un peso. “Guardi che oggi sono tutti contenti, pure il barista che serve caffè di fronte al municipio”, racconta Bernabò.
Il Cinque stelle Filippo Nogarin ha vinto al ballottaggio con il 53,1 per cento dei consensi, contro il democratico Marco Ruggeri rimasto fermo al 46,9 per cento. Nessuno si stupisce: “Peggio di quegli altri non potranno fare”, è il leitmotiv in città. Insomma, prima che una vittoria di qualcuno, è una sconfitta del Pd.
Sul punto concordano i tre livornesi illustri (un regista, un politico, un giornalista) da cui ci siamo fatti raccontare cos'è che ha terremotato una roccaforte indiscussa del partitone democratico. La cosa più incredibile, a sentire le analisi, è che era tutto già scritto da mesi, se non da anni. E non si capisce ancora se sia un colpo di coda del vecchio (i democratici pre-renzi, per intendersi), o un far capolino del nuovo che avanzerà ancora (come dice Grillo, festeggiando). Di certo nel suo piccolo è una vicenda paradigmatica. Anzi peggio. “Un insegnamento didascalico: se la sinistra si chiude in se stessa e non cambia verso, va a sbattere e anche malamente”, dice Andrea Romano, livornese, ex capogruppo alla Camera di Scelta Civica ora dato in riavvicinamento al Pd.
Il quadro è da film di trama semplice. C’è una città in crisi che patisce la deflazione: le fabbriche chiudono, il porto arranca, il turismo non va (il business delle crociere se l’è aggiudicato La Spezia), i tagli al comune impediscono all’amministrazione di fare da “paciere sociale” come in passato. E poi c'è una sinistra locale incalzata da nessuno e incapace di rinnovarsi da sé, presa a metà di un cambiamento dentro cui non riesce a saltare. Bravissima nell’analisi, paralizzata nell’agire.
“Una sinistra come ossificata, chiusa in se stessa, con figure sempre più endogamiche, interne”, racconta Romano. “C’è stata una guerra, per anni, tra il segretario De Filicaia e il sindaco uscente Cosimi, e in generale un tutti contro tutti che ha portato a un declino vertiginoso. Sul lato della cultura, persino imbarazzante” chiosa Virzì. Nessuno parla male del candidato democratico sconfitto, Marco Ruggeri. Anzi ne parlano come uno che ha dovuto lottare anche contro una parte del proprio partito. Preparato, volenteroso, ma invano. Una sorta di Cuperlo se avesse vinto le primarie. La storia recente che ha portato alla sua candidatura dice già tutto.
Nell’ultimo anno, per dire, proprio per rilanciare l’appeal del partito – anche a Livorno come altrove diviso tra rottamatori renziani e continuisti cuperliani, ma dominato dagli ultimi - si era scatenata fra l’altro la ricerca informale del papa straniero. Un livornese illustre che incarnasse il nuovo, insomma. E a sentirla raccontare, quella ricerca, sembra un po’ un riecheggiare della “mozione Amedeo Nazzari”, quella della satira a cui il Guzzanti travestito da Veltroni rispondeva: “Lo dico per i compagni che non lo sanno: Amedeo Nazzari è morto”.
A Livorno si cercava tra professori di robotica come Paolo Dario, membri dell’Fmi, giornalisti come Concita de Gregorio, politici come lo stesso Romano. Fu sondato in via informale anche Virzì, naturalmente: “Non li feci nemmeno parlare: io non ne sarei capace, sono matto, pigro, cialtrone e soprattutto credo nel valore della politica, che è una cosa seria. Dissi no e aggiunsi anche: spero che perdiate. Livorno non era mai stata contendibile. E non mi pare, a giudicare l’oggi, che le abbia fatto bene”.
Alla fine nessuno accettò, “perché c’erano troppi pretoriani intorno e troppo poco sostegno del partito”, tira breve ill direttore de Il Tirreno Bernabò. “E all’ultimo hanno scelto il migliore di loro: segretario di Ds, poi consigliere comunale, poi regionale. Preparato, in gamba e stimato, Ruggeri. Ma inadeguato a una campagna elettorale che aveva come slogan “punto e a capo”, perché esprimeva in realtà una continuità perfetta. Non era credibile per la sua storia personale l’incarnare il cambiamento”. Nei dibattiti, quando spiegava la sua voglia di tagliare i ponti col passato, la gente gli urlava: “Ma è settant’anni che siete là”.
E così un Pd convinto del fatto che “come sempre avrebbe vinto, anche candidando un cavallo”, è stato stroncato. Hanno vinto i Cinque stelle. Ha vinto il loro, di cavallo. “Filippo Nogarin è un grande punto interrogativo”, racconta Bernabò: “Non è il classico grillino, anzi ha tenuto un profilo molto basso rispetto alle scelte programmatiche. Ha evitato di impegnarsi in cose specifiche”. L’unico no, giusto per cercare un analogo dell’inceneritore per Pizzarotti a Parma, è quello alla costruzione del nuovo ospedale. Il sindaco uscente aveva deciso una collocazione a sud che non è piaciuta ai livornesi: ora sono in corso le gare d’appalto, ma Nogarin ha detto che non se ne parla, l’ospedale là non si farà e piuttosto si paga la penale. Si vedrà.
Può essere un altro Giorgio Guazzaloca, il sindaco che nel 1999 spezzò a Bologna il dominio della sinistra? No, dice Romano. “Guazzaloca vinse a Bologna perché c’era un’ansia di rinnovamento della città, era un esponente del mondo produttivo bolognese, si disse pure che avrebbe potuto candidarlo la sinistra. Qui, invece, è la sconfitta che conta: con Nogarin hanno vinto tutti quelli che non volevano il Pd”
“Questa storia mi fa venire voglia di tornare a Livorno e fare un film per raccontare tutto il male possibile dei livornesi”, concorda Virzì. “Ora staremo a vedere: questa cura al napalm potrebbe definitivamente mettere il sigillo sulla morte della città, oppure chissà. Se il sindaco fa il contrario di quel che dice il blog di Grillo e impara l’arte della politica, se magari lascia perdere l’idea puerile di selezionare gli assessori tra coloro che gli mandano le mail, potrebbe perché no governare le cose, come finora dai Cinque stelle non si è visto fare neanche a Parma. Certo, vederlo innervosirsi davanti ai giornalisti e inciampare coi congiuntivi, non è un bel biglietto da visita”.
© Riproduzione riservata 09 giugno 2014
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