http://www.lastampa.it/2015/05/08/blogs ... agina.html
tra l'altro :
Lettera a Civati
Esiste uno spazio politico per un'operazione di Civati? Esiste, oltre il luogo comune (secondo me trito) su di lui, la possibilità che ne diventi il leader?
E' abbastanza chiaro ai miei occhi che la questione dell'uscita dal Pd di quello che era stato uno dei fondatori (si potrebbe senza esagerare dire: il cofondatore) della prima Leopolda va oltre la sua persona. E va anche oltre le belle parole che gli ha indirizzato Michele Serra ieri, parlando di sé: esistono tantissime persone che amavano Luigi Pintor ma non hanno mai smesso di votare per Berlinguer perché tutto sommato - al netto di tutte le cose che non andavano nel Pci - preferivano il tepore di una maggioranza (per quanto, simmetricamente al detto di Indro Montanelli, turandosi il naso da sinistra) al rischio di una minoranza impotente. Alché Civati gli ha potuto rispondere felicemente che in fondo quello era Berlinguer - era relativamente facile turarsi il naso (anzi, non c'era affatto da turarselo) - non il Pd odierno. Chi amava Pintor viveva, come stile, convinzioni radicate, valori, in un mondo che non era alieno e altro rispetto allo stile-Berlinguer. Pur avendo rotto col Pci (anzi: essendo stato radiato, dal Pci).
Qui però vorrei uscire da questo bel dialogo intergenerazionale, perché ci svia; e parlare a Giuseppe (non lo chiamo Pippo perché mi sembra irrispettoso, non lo conosco così bene da permettermelo e, a dispetto di tantissimi altri commentatori, lo considero potenzialmente anche un leader, o meglio, non vedo nulla che gli precluda geneticamente questa posizione) stando rigorosamente all'interno del presente. Non parlerò, insomma, di Berlinguer, che sommamente stimai anche da ragazzino, anche se probabilmente non avrei votato per lui (feci però in tempo a votare Pci alle ultime amministrative in cui si presentò il simbolo); non parlerò del manifesto, giornale e mondo che ho conosciuto abbastanza, avendo la fortuna di esser ricevuto e poter parlare da giovane con una delle sue fondatrici. Parlerò di oggi.
Esiste lo spazio politico per una sinistra in Italia, nel 2015? La domanda - ecco la sorpresa - secondo me non è posta in modo correttissimo, anzi è quasi una domanda-tranello, e vorrei suggerire a Giuseppe perché. Chi la pone così, si prefigge criteri oculistico-metrici per misurarla, sommando capre, cavoli, vari animali, di solito più o meno improbabili, che affollano il campo politico "di sinistra", e poi sottoponendo a sondaggi - spesso aleatori, se non fallimentari - il verdetto. Di solito quel verdetto, quando è benevolo, può arrivare a stimare un dieci per cento, ma è un computo che non ha nessun senso, e anzi, è il dieci per cento che si ottiene sommando il nulla. Ci credo: sarebbe come chiedere: volete per il vostro tè i biscotti che la sorella di vostra nonna conserva nel cassetto da un anno? La risposta è contenuta nella domanda capziosa.
Ecco: non bisognerebbe assolutamente fare, e partire da domande, così. Non sarà sommando Sel, Landini, meno che mai pezzi di Rifondazione, o di associazionismo sparso, o di ex del M5S, che si potrà costruire qualcosa di sensato. Così si costruisce al massimo un gruppo parlamentare reducistico. Non sarà neanche appoggiandosi alle strutture o a quel che resta della mentalità-Cgil (per quanto io la rispetti, e non la irrida minimamente, pur essendone lontano per tante ragioni). Non sarà saldandosi ai tanti gloriosi leader del passato fatti fuori politicamente da Matteo Renzi.
La sinistra che esiste in Italia è appunto quella che dovrebbe - ma, secondo certi punti di vista, doveva - rappresentare Matteo Renzi, pur cattolico e desideroso di parlare a tutti. Non qualcosa di "più a sinistra di Renzi", semplicemente qualcosa "di nuova sinistra": parlo di politiche sociali e cose come il reddito di cittadinanza, ma non solo; di innovazione rispettando però le regole, di riforme senza forzature, di cambiamenti della Costituzione fatti seguendo procedure e spirito della Costituzione, in definitiva di coerenza tra le promesse e gli atti. E di capacità di parlare all'elettorato, non ai pezzi sparsi delle piccole sinistre residuali. Se c'è qualcosa che in questi venti anni - nelle alternanze tra i tredici di Silvio Berlusconi e gli altri, non lo addebito affatto integralmente a Renzi - è andato perduto, è proprio il fatto che "sinistra" significasse, innanzitutto, una forma di diversità: attenzione, non di "superiorità antropologica", nessuna superiorità. Diciamo un'adeguatezza tra le parole e le azioni, una sobrietà, una certa idea dello stato, la rettitudine nella cosa pubblica, la lontananza dagli affari, e l'idea - quella sì rivoluzionaria (Renzi avrebbe detto "rottamatoria") - che quel che si dice si fa, che la politica è fatta di compromessi se ne vale la pena, ma non è costitutivamente la pratica costante del compromesso al ribasso. Non è imbarcare tutto per vincere. Si vince giocando bene; come predicava Sacchi (uno che ha vinto eccome), non alla Mourinho (già m'immagino che ora mi scriveranno su twitter i tifosi dell'Inter).