I gesti non fanno ancora primavera. Cresce l’attesa per la riforma della Chiesa
DOC-2606. CAMBRIDGE-ADISTA. Archiviato con grandi riconoscimenti il primo anno di pontificato di papa Francesco, le aspettative intorno alla riforma della Chiesa iniziano a farsi più pressanti: dopo aver applaudito i gesti, lo stile, le parole, ora si attendono, insomma, le prime vere riforme strutturali. Perché è vero che, come evidenzia l’analista messicano Bernardo Barranco (La Jornada, 12/3), papa Francesco ha risvegliato l’entusiasmo «in un cattolicesimo che sembrava essersi incapsulato ermeticamente nella tradizione», optando «per il dialogo anziché evangelizzare a colpi di bastone inquisitoriale» e così seminando il panico «tra i vecchi dinosauri della fede» (per quanto «non abbia cambiato neppure una virgola della dottrina della Chiesa»). Ma i gesti, per quanto «importanti nelle società mediatiche», non risolvono, sottolinea Barranco, la crisi della Curia romana, né comportano di per sé «una nuova e sognata primavera ecclesiale». Papa Francesco, dunque, «dovrà andare oltre i gesti», favorendo «una nuova sintesi di fede e cultura», nuove ipotesi pastorali che consentano alla Chiesa di accompagnare «i grandi cambiamenti della nostra civiltà contemporanea», magari convocando «un Concilio Vaticano III che ridefinisca gli orizzonti». A tal proposito, se in molti tracciano un confronto tra papa Francesco e Giovanni XXIII, il teologo argentino Oscar Campana (Alai, 18/3) ricorda però che, «per quanto i gesti del “papa buono” esprimessero vicinanza e misericordia, furono le sue decisioni a modificare il quadro ecclesiale: a due mesi scarsi della sua elezione, papa Roncalli aveva già convocato un concilio ecumenico. E oggi non staremmo a ricordare tanto la sua bontà se questa non avesse condotto a una tale decisione». In ogni caso, come evidenzia il direttore della rivista cattolica statunitense Commonweal Paul Baumann (in un articolo pubblicato su “
www.slate.fr” del 16/3 e riportato in italiano su
http://www.finesettimana.org), «papa Francesco non è un mago, non può modificare il corso della storia profana, né risolvere divisioni ideologiche sempre più profonde in seno alla Chiesa». In questo senso, secondo Baumann, l’attrazione che esercita rischia di essere dannosa, in quanto «favorisce l'illusione che i tormenti della Chiesa possano essere curati da un solo uomo, tanto più se nuovo», mentre «nessun papa possiede un tale potere, grazie a Dio».
Sull’esistenza, dietro a gesti ed atteggiamenti che dischiudono la speranza di una nuova primavera, di «un progetto solido e fattibile di rinnovamento di un’istituzione profondamente e francamente indebolita», si interroga anche l’Osservatorio Ecclesiale (uno spazio di articolazione ecumenica e di formazione sociale, teologica, politica e di genere nato in Messico nel 1999), esaminando «la possibilità reale di cambiamenti profondi e duraturi», anche a fronte del pericolo che le proposte del papa restino «senza eco in una prassi ecclesiale maggioritariamente conservatrice grazie all’eredità dei papi anteriori» (
http://observatorioeclesial.wordpress.com, 13/3). E se un primo ostacolo è dato dal «profilo» e dalla «probità morale» di alcuni dei cardinali chiamati a far parte della commissione per la riforma della Curia romana e di quella per gli affari economici dello Stato vaticano (a cominciare dal filogolpista Oscar Rodríguez Maradiaga), in gioco c’è, soprattutto, secondo l’Osservatorio Ecclesiale, un cambiamento nelle relazioni tra Vaticano ed episcopati nazionali nel segno della collegialità, «per non parlare di una maggiore rappresentatività ed equità di genere a livello di vertici ecclesiastici». E se «un momento decisivo si rivelerà il Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, da cui si attendono decisioni rilevanti in risposta al clamore dei fedeli in temi di morale sessuale e familiare», secondo l’Osservatorio «su nessun altro aspetto della vita ecclesiale Francesco ha dato segnali reali di cambiamento» (senza dimenticare, aggiunge l’Osservatorio, l’infelice dichiarazione del papa secondo cui nessuno, in materia di abusi sessuali sui minori, avrebbe fatto di più della Chiesa cattolica, quando in realtà, «il vaso di Pandora della Chiesa è stato aperto grazie all’instancabile lotta delle vittime di abusi da parte del clero»).
E sull’«imperativo della collegialità» pone anche l’accento Mary McAleese, già presidente della Repubblica d’Irlanda dal 1997 al 2011 e affermata teologa, durante una conferenza sul tema del governo della Chiesa tenuta il 28 febbraio scorso al Von Hugel Institute presso la Cambridge University (e pubblicata l’8 marzo sul sito della Association of Catholic Priests,
www.associationofcatholicpriests.ie). Ne riportiamo di seguito ampi stralci in una nostra traduzione dall’inglese. (claudia fanti)
L’IMPERATIVO DELLA COLLEGIALITÀ
di Mary McAleese
(…). Il termine imperativo indica urgenza e necessità. La parola “collegialità” esprime la modernizzazione del governo della Chiesa e in particolare lo sviluppo o (…) il recupero di un governo collegiale condiviso tra il papa e i vescovi. Il tema è stato vivacemente dibattuto al Concilio Vaticano II, ma nella pratica nulla è cambiato.
Quando Francesco è diventato papa, il governo della Chiesa era espresso dalla stessa monarchia feudale irriformata esistita per generazioni prima del Concilio (…). Il termine “recupero” è importante, perché rimanda al fatto che la Chiesa delle origini era sinodale e collegiale piuttosto che esclusivamente primaziale. (…).
50 anni fa, quando convocò il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII intese aggiornare radicalmente la Chiesa. Come noto, voleva una Chiesa che fosse un giardino e non un museo. Quasi un anno dopo, avvicinandosi alla morte, fece appello all’unità dei cristiani con le parole ut omnes unum sint. Le cose non sono andate come sperava il Concilio e Francesco ha lamentato il fatto che si siano avuti «più legge che grazia, più Chiesa che Cristo, più papa che parola di Dio».
Soggetto all’approvazione del papa, il Concilio aveva il potere di cambiare la dottrina e di legiferare per la Chiesa universale. Attraverso un insieme di dichiarazioni, decreti e costituzioni, la Chiesa elitaria e imperiale veniva spazzata via almeno sulla carta, particolarmente nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. Lasciando intatto il primato papale, la Lumen gentium fondava il futuro governo della Chiesa sul collegio dei vescovi e sul papa al vertice di questo (…). Dovevano aumentare decentramento e sussidiarietà, attraverso un accresciuto potere a livello locale per i vescovi diocesani e per le Conferenze episcopali, ma anche per nuove strutture che impegnassero realmente i laici a livello parrocchiale e diocesano. La vecchia piramide immobile, con un laicato bloccato saldamente in fondo e impegnato a pagare, pregare e obbedire, doveva essere sostituita da una visione della pari dignità di tutto il popolo di Dio, clero e laicato, ognuno con la propria parte da svolgere nei compiti ecclesiali della predicazione, dell’insegnamento e del governo. (…). Ci sono voluti quasi 20 anni per tradurre le decisioni del Concilio nel Nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, ma a quel tempo la forte spinta gravitazionale del conservatorismo centralizzato aveva già esaurito la spinta conciliare. Mentre i fedeli e il mondo avanzavano, la Chiesa curiale restava indietro.
Il grande studioso della Chiesa Ladislas Orsy ha osservato alcuni anni fa come il Concilio vada considerato non tanto una rivoluzione immediata quanto piuttosto una «lenta combustione», con un lungo e complesso processo di ricezione che può durare addirittura secoli. Tuttavia, durante una conferenza a Roma del gennaio 2013, egli ha affermato, dando prova di un certo spirito profetico, che il traguardo del cinquantesimo anniversario si era dimostrato un punto di svolta per altri concilii e che forse avrebbe potuto esserlo anche per il Vaticano II. È questo il punto in cui ci troviamo ora e inaspettatamente i discorsi del nuovo papa riguardano tutti la realizzazione del Concilio.
In modo alquanto disarmante, Francesco ha ammesso alcuni mesi fa di aver imparato che il suo modo, un tempo autoritario, di prendere decisioni creava problemi, aggiungendo che, alla fine, «le persone si stancano dell’autoritarismo». È una sintesi perfetta e stringente del sentire di molti cattolici conciliari contemporanei, vissuti in quello che James Carroll mi aveva descritto come «esilio interno» (…). Un papa non autoritario, tuttavia, non garantisce di per sé che la Chiesa cambi e Francesco ha detto di volere il cambiamento. (…).
Francesco ha dato la priorità prima ai cambiamenti di stile e poi ai cambiamenti strutturali considerati necessari per rendere la Chiesa più pastorale e meno burocratica. Nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium ha delineato un ampio programma di cambiamento a tutti i livelli. Le consultazioni coinvolgeranno tutto il popolo di Dio e non solo i vescovi. Le strutture parrocchiane (EG 28) e diocesane (EG 31) devono diventare più partecipative e inclusive. Si richiedono un “profondo” decentramento (EG 16) e una maggiore sussidiarietà a livello di diocesi e di Conferenze episcopali, le quali (…) devono ancora dispiegare il loro potenziale «acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente» (EG 32).
Non ci vuole un genio per riconoscere la fonte delle proposte di Francesco. Linguaggio e contenuto sono molto familiari, talmente familiari che, per parafrasare Seamus Mallon, l’Evangelii gaudium può davvero essere definita una Lumen gentium “semplificata”.
Il nuovo papa ha stabilito un’agenda chiara di riforma (…), ma le menti più avvertite dal punto di vista ecclesiale si stanno ponendo la grande domanda: continuerà a governare da solo come unica autorità decisionale o condividerà le decisioni con i vescovi come dibattuto al Vaticano II e come richiesto dall’obiettivo dell’unità cristiana? E, in questo secondo caso, come? Papa Francesco ha detto, e questo è decisivo, che i cambiamenti strutturali di governo, specialmente per quanto riguarda il Sinodo dei vescovi, dovranno muoversi in una direzione collegiale ed ecumenica.
Il card. Schönborn ha recentemente sottolineato gli insani effetti censori di un governo esclusivamente primaziale quando si è detto dispiaciuto per il fatto che i vescovi austriaci non avevano avuto il coraggio di parlare apertamente delle necessarie riforme della Chiesa. «Siamo stati – ha detto – troppo esitanti. (...). Di sicuro ci è mancato il coraggio di parlare apertamente». Il nocciolo della questione è dunque se papa Francesco intenda muoversi verso un sistema in cui i vescovi siano incoraggiati a non essere yes men, ma leader che possano parlare liberamente, che non vengano semplicemente consultati ma che si consultino essi stessi a livello locale e prendano decisioni a livello collegiale per la Chiesa univrsale insieme al papa. (…).
Il 29 giugno 2013 (…), papa Francesco ha parlato del «cammino della collegialità» come strada che la Chiesa può percorrere per «crescere in armonia con il servizio del primato», ma poi ha chiesto: «Come possiamo riconciliare in armonia il primato petrino e la collegialità? Quali strade sono percorribili anche da un punto di vista ecumenico?». (…).
LE VIE DELLA COLLEGIALITÀ
Al momento, Francesco prende tutte le decisioni dottrinali e legislative consultando all’uopo due organismi: il collegio dei cardinali (…) e il Sinodo dei vescovi, riunione periodica di delegati episcopali delle Conferenze episcopali di tutto il mondo che hanno il compito di consigliare il papa su un tema specifico. Francesco ha descritto entrambi come spazi importanti di consultazione reale e attiva, ma ritiene che attualmente siano troppo rigidi. Dice di volere una «consultazione reale e non formale» (…) e uno dei suoi primi atti è stato quello di nominare un gruppo di cardinali che possano consigliarlo sulla riforma della Curia. Una consultazione più efficace, però, non equivale alla condivisione delle decisioni. (…).
Il Concilio ha riconosciuto che il papa governa con potestà piena, suprema e universale, ma ha anche insegnato per la prima volta che il collegio dei vescovi «è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice».
Il Concilio e il Diritto Canonico hanno stabilito tre modi in cui il collegio dei vescovi può esercitare questo potere di governo della Chiesa. Nessuno di essi è stato applicato.
Il primo è attraverso un concilio ecumenico. Solo il papa può convocarlo e ogni decisione richiede la sua approvazione. (…). Dal Vaticano II il numero dei vescovi è raddoppiato fino ad arrivare a più di 5mila, rendendo più difficile, dal punto di vista logistico, una convocazione fisica dell’intero collegio, benché le attuali tecnologie della comunicazione permettano di aggirare tale ostacolo.
Il secondo è attraverso l’azione «esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi». I canonisti non sono certi del significato da dare a tale provvedimento, ma anch’esso potrebbe condurre ad un consenso episcopale globale senza necessità di una convocazione fisica.
Il terzo è quello che dà a papa Francesco (…) il completo potere di decidere i modi in cui il collegio dei vescovi può agire collegialmente riguardo alla Chiesa universale, secondo le necessità di quest’ultima. (…). Il papa potrebbe per esempio creare un nuovo procedimento o una nuova struttura attraverso cui il collegio dei vescovi possa co-governare la Chiesa con lui o designare a questo scopo una struttura episcopale già esistente. Il candidato più ovvio per quest’ultima possibilità potrebbe essere l’attuale Sinodo dei vescovi (…). Ma la relazione tra il Sinodo dei vescovi e il collegio dei vescovi (…) non è così semplice come potrebbe sembrare. Per prima cosa, i canonisti non sono d’accordo sulla possibilità che il collegio dei vescovi deleghi legittimamente i suoi poteri di governo a un organismo rappresentativo più piccolo. Secondo, il Sinodo dei vescovi fu creato da Paolo VI durante il Vaticano II, non dal Concilio. In realtà, si sospetta che sia stato creato proprio allo scopo di impedire al Concilio di creare un Sinodo che potesse rappresentare legalmente il collegio dei vescovi. Coloro che più tardi elaborarono il Codice di Diritto Canonico omisero deliberatamente qualsiasi riferimento al Sinodo come organo rappresentativo del collegio dei vescovi per timore delle implicazioni (…). L’argomento utilizzato è che, se il Sinodo fosse davvero il legale rappresentate del collegio dei vescovi, agirebbe in modo effettivo come un miniconcilio ecumenico con i pieni poteri di un concilio. Uno scenario rifiutato con forza dall’allora card. Ratzinger.
Il Sinodo non ha mai agito se non come organismo consultivo (…) e questo ha conseguenze rilevanti per l’unità dei cristiani. La sinodalità e la collegialità in altre tradizioni cristiane come quella anglicana e quella ortodossa hanno un carattere non solo consultivo ma decisionale. La differenza è decisiva. (…).
In base al diritto canonico, il papa può conferire poteri decisionali a qualsiasi Sinodo. Nessun papa lo ha mai fatto e papa Benedetto era notoriamente contrario. Eppure questo è di gran lunga il modo più diretto di creare almeno una forma embrionale di governo episcopale collegiale nella Chiesa cattolica. (…).
IN ATTESA DEL SINODO SULLA FAMIGLIA
Il papa ha convocato un Sinodo dei vescovi straordinario e uno ordinario. Il primo si incontrerà a ottobre per discutere le sfide riguardanti la famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, con il compito di consigliare tempestivamente il papa sullo stato della questione e di avanzare proposte. Il compito del Sinodo ordinario che si incontrerà nel 2015 sarà quello di individuare e suggerire al papa nuove linee guida per l’assistenza pastorale della persona e della famiglia.
Normalmente Sinodi di questo genere offrono consigli al papa, ma è poi lui a prendere le decisioni. Per Francesco, tuttavia, sarebbe un capolavoro politico fare di uno o di entrambi questi sinodi degli organismi deliberativi (restando lui ovviamente a capo ed essendo ogni decisione soggetta alla sua approvazione). (…).
La preparazione del Sinodo straordinario ha comportato la raccolta e l’elaborazione delle opinioni a livello della base su un ampio spettro di argomenti controversi, dalla contraccezione artificiale all’accesso ai sacramenti per i cattolici divorziati e risposati, dall’intercomunione nei matrimoni misti alla convivenza, al matrimonio gay e a molto altro. Quando i risultati verranno analizzati, i vescovi e il papa si troveranno probabilmente di fronte alla prova schiacciante di una forte disconnessione, almeno nel mondo occidentale, tra le opinioni dei fedeli e l’insegnamento e la pratica della Chiesa in molti ambiti. Se deve esserci un cambiamento significativo dal punto di vista dottrinale o procedurale, esso avrebbe un impatto molto maggiore nel caso provenisse da una decisione collegiale del papa e dei padri sinodali. Considerando il contributo della base, filtrato dalle Conferenze episcopali, quelle decisioni potrebbero essere veramente definite come frutto di un processo che ha coinvolto ogni settore del popolo di Dio. (…). Sarebbe un modo per creare una forma strettamente controllata di governo collegiale episcopale cum Petro e sub Petro. Il sinodo, in uno scenario del genere, non sarebbe un organismo deliberativo autonomo, ma, a discrezione del papa, potrebbe di volta in volta essere puramente consultivo o deliberativo.
Un’altra via, assai più interessante, è quella del ricorso da parte del papa alla terza forma prevista dal Concilio, attraverso la designazione di un Sinodo dei vescovi come organismo autonomo deliberativo in rappresentanza del collegio dei vescovi (che sia con delega parziale o piena). I poteri del Sinodo sarebbero quelli delegati dal collegio dei vescovi e non dal papa. Il sinodo potrebbe davvero diventare un miniconcilio ecumenico con potere pieno e supremo di governo o con delega parziale tale da richiedere una maggioranza dell’intero collegio veicolata tramite posta o e-mail. Questa è l’opzione più radicale (…) e per questo meno probabile, nel breve termine, ma risponderebbe meglio ai requisiti richiesti dall’unità cristiana e da un governo collegiale veramente episcopale.
Sappiamo quindi che Francesco può trasformare il Sinodo in un organismo collegiale deliberativo, ma lo farà? Sappiamo che ha intenzione di cambiarlo in qualche modo. Ha detto: «Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità (…)».
Nell’Evangelii Gaudium ha avviato il dibattito dicendo: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Il papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare “una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale».
Lo scorso novembre, alla conferenza stampa di presentazione del Sinodo straordinario, il segretario generale (mons. Lorenzo Baldisseri, ndt) ha dichiarato che «per quanto riguarda il rinnovamento metodologico, l’idea è quella di rendere l’Istituzione sinodale un vero ed efficace strumento di comunione attraverso il quale si esprima e si realizzi la collegialità auspicata dal Concilio Vaticano II». E ha parlato di cambiamenti nella struttura e nella metodologia che permetterebbero al Sinodo di «adempire adeguatamente la sua missione di promuovere la collegialità episcopale, cum Petro e sub Petro, nel governo della Chiesa universale».
Questi forti segnali di cambiamento (…) non hanno alcun senso se il Sinodo non assume un carattere deliberativo. Qualsiasi altra cosa è semplicemente il mantenimento dello status quo, quali che siano le parole impiegate per presentarla.
Francesco ha messo le mani avanti affermando che si muoverà senza fretta. Ha bisogno di quello che descrive come «tempo di discernimento», ritenendo che «ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace». Allo stesso tempo, però, egli ha parlato anche del bisogno urgente di un nuovo equilibrio, senza cui, ha detto, «l'edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte». (…).
E LE DONNE?
La novità di un sinodo deliberativo, benché di portata storica, non cambierebbe tuttavia il fatto che tutte le decisioni continuerebbero ad essere filtrate esclusivamente da un episcopato maschile, celibe e clericale. Ciò rappresenta già un freno considerevole ad un coinvolgimento significativo dei laici e delle donne in particolare.
Il Sinodo sulla famiglia offre al riguardo un esempio particolarmente significativo (…). Si tratta di un organismo consultivo sulla “famiglia” composto esclusivamente da uomini che hanno consapevolmente scelto di non essere né mariti né padri né di vivere una vita familiare. L’assenza del laicato, in particolare delle donne, dalle deliberazioni ecclesiali e dalle alte sfere di potere è una linea non più sostenibile (…). Francesco l’ha apertamente riconosciuto, ma non ha ancora proposto alcuna soluzione pratica (…).
Due anni fa ho scritto un libro sulla collegialità per certi versi scoraggiante, ma in cui osavo sperare che qualcosa avrebbe dato ossigeno alla lenta combustione di Orsy, trasformandola in un fuoco. Alla fine citavo la famosa affermazione di Theilard de Chardin: «Un giorno o l'altro quando avremo il controllo dei venti, delle onde, delle maree e della forza di gravità, imbriglieremo le energie dell'amore. Allora, per la seconda volta nella storia del mondo, l'essere umano avrà scoperto il fuoco».
Un anno dopo è arrivato dall’Argentina un uomo con una torcia nella valigia. Ora i cuori sono riscaldati da qualcosa di molto più impaziente ed esigente che la mera speranza, qualcosa che si chiama aspettativa. (…).
Fonte: Adista n. 13/2014
I gesti sono importanti, ovviamente se sostanziati dalle azioni e papa Francesco in quanto a coerenza non difetta. L'esortazione "Evangelii gaudium" pone basi solide per un programma di profondo rinnovamento.
Un saluto erding