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Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 20/01/2014, 11:57
da erding
Dopo aver letto tante volgarità e gratuite speculazioni sull'argomento, una riflessione onesta:


La solitudine delle “comunità”

Di Simone Chiappetta
– 18 gennaio 2014


Una donna, un imprevisto che spesso volte chiamiamo gioia e tanta solitudine. È questa la notizia che si legge, oltre le righe, nella storia della suora che, qualche giorno fa, ha partorito un bimbo. Doppi sensi, battutine a sesso unico, interrogativi sulle affermazioni di una ragazza troppo furba o troppo ingenua, ma senza dubbio 3 kg che pesano come un macigno nella vita di una donna che non è stata, probabilmente, mai donna e di una comunità che non è mai stata, sicuramente, comunità. Eh sì, perché la sorpresa per un parto così “naturale” fa gridare allo scandalo o affermare quella maschilista affermazione che «in fondo il sesso lo fan tutti», ma ancora non insinua il dubbio sul valore delle comunità e l’“innaturale” stare insieme per essere completamenti soli.

La suora-madre cela, purtroppo, il tacito malessere comune, la sorda testimonianza, il grido afono di confratelli uniti da un “abito” troppo stretto per accogliere cambiamenti e troppo largo per mostrare i profili delle persone. Quella stessa suora e la sua comunità – che continuiamo a chiamar così per consuetudine – come tante suore, come tanti frati e preti, come tanti laici impegnati nelle comunità parrocchiali, mostrano in pubblico il valore della preghiera comune, delle celebrazioni di unità, ma velano di nero, troppo spesso, le relazioni, l’amicizia e la possibilità di sentirsi ascoltati e accolti nelle differenze. Nascondono l’ideale iscritto nel senso più profondo della comunità, la possibilità di poter condividere problemi e gioie e di sentire sincera compassione, reciproco e rispettoso aiuto. Lo scandalo è vivere e pregare fianco a fianco e non accorgersi dei cambiamenti dell’altro.

Il rischio, insomma, è che una suora che rivela la naturalezza fisica di essere donna, insieme all’incapacità di esserlo realmente assumendosi ogni responsabilità ,sia l’ennesima occasione per trovare il capro espiatorio o le Maddalene di turno da allontanare e “lapidare”, invece di un’opportunità – e qui lo Spirito Santo potrebbe davvero averci messo lo “zampino” – per interrogarsi sul senso e il valore dello stare insieme, ripartendo dal principio della realtà e dai fallimenti e per trasformare le nostre “caste” fraternità in “feconde” relazionalità.

http://www.laporzione.it/2014/01/18/la- ... -comunita/

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 26/03/2014, 20:12
da camillobenso
Il potere temporale della Chiesa Cattolica - 1


Don Colmegna gira per la Lombardia per promuovere una campagna contro le slot machine gestite dalla Mafie SpA.

Gestisce inoltre un'associazione che opera nel reinserimento nel mondo del lavoro i detenuti usciti dal carcere.

Don Ciotti è impegnato su tutto il territorio nazionale con Libera, l'associazione che si batte contro le Mafie SpA.

Don Mazzi si occupa da anni nel recupero dei drogati.

Cosa ha fatto Don Gallo è noto a tutti.

Quando si muovono i vertici clericali si finisce per diventare inevitabilmente atei.





"Distruggono la famiglia". Bagnasco
censura i libri scolastici sulla diversità

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Il presidente della Cei chiede al governo Renzi la messa al bando dei nuovi testi destinati a elementari e medie voluti prima da Monti e poi da Letta per combattere bullismo e omofobia. Secondo il capo dei vescovi italiani questi libretti "instillano preconcetti contro la famiglia e la fede religiosa perché trasformano le aule in campi di rieducazione e indottrinamento" di Valerio Cattano

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‘Distruggono la famiglia’. Bagnasco contro l’educazione alla diversità nelle scuole
Il presidente dei vescovi italiani chiede al governo Renzi di mettere al bando i nuovi libri di testo per le elementari e le medie voluti dai governi Monti e Letta per combattere l’omofobia. Secondo l'arcivescovo di Genova che ignora la laicità dello Stato, così si trasformano le aule in "campi di rieducazione e indottrinamento"

di Valerio Cattano | 26 marzo 2014Commenti (325)


Allarme, la scuola italiana apre alla “dittatura di genere”. In altri termini alla normalizzazione dell’omosessualità.

La “colpa” è di tre volumetti dal titolo ‘Educare alla diversità a scuola‘ destinati alle primarie e secondarie di secondo grado.

Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, durante la prolusione di apertura del Consiglio permanente dei vescovi, poi ripresa da Avvenire, non usa mezzi termini: la scuola pubblica sta diventando un immenso campo di rieducazione perché quei libretti “instillano preconcetti contro la famiglia e la fede religiosa”. Un monito indirizzato forte e chiaro al governo Renzi e al ministro competente.


Le copertine dei libri 'incriminati'
Di cosa si tratta? I volumi sono stati autorizzati dalla presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per le Pari opportunità) all’epoca del governo Monti e dall’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero. Il governo di Enrico Letta ha dato seguito nell’ambito delle nuove strategie nazionali anti omofobia. A curare le pubblicazioni l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. La realizzazione è dell’istituto Beck.

Le tematiche si sviluppano in cinque schede che trattano le “linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze” attraverso altrettanti capitoli: le componenti dell’identità sessuale; omofobia: definizione, origini e mantenimento; omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche; bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire; adolescenza e omosessualità. Si legge che non basta più “essere gay friendly (amichevoli nei confronti di gay e lesbiche), ma è necessario essere gay informed (informati sulle tematiche gay e lesbiche).

Lo scopo è avere un manuale contro il bullismo che si accanisce contro i “diversi” tanto che a pagina 18  c’è un vero e proprio manifesto scolastico contro il bullismo. “Bisogna che l’insegnante riveda la scheda sul bullismo. È importante, inoltre, che l’insegnante sia molto chiaro e deciso nello spiegare ai suoi studenti i seguenti punti: la scuola non tollera questo tipo di comportamenti. Il bullismo è sbagliato. Prendere in giro, minacciare, picchiare qualcuno, farlo sentire escluso, perché è grasso, perché è un “secchione”, perché è diverso da noi, perché pensiamo che sia omosessuale, è sbagliato. Ognuno ha diritto di essere com’è, ognuno ha qualcosa da insegnarci. Quanto più qualcuno è diverso da noi, tanto più ha da insegnarci. Essere bulli non è “figo”, è stupido”.

C’è poi uno spazio con le domande frequenti (faq) dove si risponde in modo schematico ai quesiti sulla sessualità. “I rapporti sessuali omosessuali sono naturali? Sì. Il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità, sin dall’antica Grecia. Inoltre, molti eterosessuali possono avere sporadiche fantasie omosessuali, così come molti omosessuali possono avere sporadiche fantasie eterosessuali. Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate. Un altro pregiudizio è che con l’omosessualità si estinguerebbe la società. In realtà, come afferma l’Organizzazione mondiale della sanità, la sessualità è un’espressione fondamentale dell’essere umano. L’unica cosa che conta è il rispetto reciproco dei partner.

Potremmo quindi ribaltare la domanda chiedendoci: “I rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?”. Qui si arriva al terreno di scontro con la Cei, perché sono questi e altri passaggi che hanno fatto fare un salto sulla sedia al cardinale Bagnasco ; ad esempio quelli che riguardano la televisione e i media “che discriminano le famiglie omosessuali”, invitando i docenti a chiedere agli alunni come mai “in Italia non ritraggono diverse strutture familiari”. Passaggio “delicato”, il tentativo di far immaginare “sentimenti ed emozioni che possono provare persone gay o lesbiche”; e la masturbazione fra ragazzi è presentata “come un gioco”.

Bagnasco ha sparato a zero: “Strategia persecutoria contro la famiglia”.

Ancora: “Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei ‘campi di rieducazione’, di indottrinamento. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati?”. E conclude: “I genitori non si facciano intimidire…non c’è autorità che tenga”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... le/927200/

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 26/03/2014, 20:24
da camillobenso
La vox populi



GUIDO BELLI • 31 minuti fa
Già, perchè solo la chiesa e le religioni hanno il diritto di indottrinare! Bell'esempio di democrazia e di pluralismo.
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liberamente • 32 minuti fa
Dio, se davvero esisti, perché non lo fulmini con una saetta?
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picchiarello • 32 minuti fa
La condotta dei vari parrucconi ecclesiastici
è la più diretta prova che quanto van predicando,
Paradiso, riposo eterno, Inferno eccetera, sono
una marea di buaggini: se avessero il solo sentore
che una condotta deprecabile portasse veramente
a marcire tra le fiamme dell'inferno, di certo non la
porrebbero in essere
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FAB • 33 minuti fa
forse il cardinal bagnasco che e' tutto tranne che un gran macho, dovrebbe tollerare il fatto che oggi le persone fanno scelte diverse dalla sue e accettano la propria sessualità.
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Gigi Savadori • 34 minuti fa
Alla domanda se l'omosessualità è naturale,nel testo, avrei riposto aggiungendo,ai riferimenti storici, le motivazioni evolutive- Uno studio che ho letto molti anni fa,arrivava alla conclusione che la sessualità non riproduttiva, nell'uomo e in molti mammiferi, aveva una funzione di salvaguardia della specie in quanto permetteva di acudire la prole di altri simili o di svolgere attività "sociali" per il gruppo, in quanto sciolti da compiti "famigliari"- Questi, come sciamani o guaritori, erano dotati di particolare sensibilità e creatività,a beneficio di tutto il gruppo- Questo spiegherebbe anche perché oggi, molti creativi,artisti o stilisti sono omosessuali-
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macduff • 34 minuti fa
La scuola è laica . Bagnasco legga i giornali e forse capirà che è la famiglia quella più pericolosa . E senza strategie . Silenzio per una volta . poi il governo vi accontenterà
tranquilli . Ma fate silenzio una volta . Che per il futuro possono venir su famiglie migliori.
bonanotte popolo...
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LAURARS • 35 minuti fa
Il ministero dell'istruzione ha ritirato i libretti quindi la censura di Bagnasco ha avuto il suo effetto. In Italia ci si sposa sempre meno ci sono le famiglie allargate e dobbiamo ancora adeguarci alle prescrizioni di un'istituzione medievale ed oscurantista come la chiesa cattolica. Detto questo i bambini vanno a scuola per imparare, bisognerebbe concentrarsi di più sull'insegnamento delle materie piuttosto che sull'educazione all'affettività che dovrebbe essere lasciata ai genitori di qualsiasi credo e genere siano.
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Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 26/03/2014, 20:37
da camillobenso
zone50 • 43 minuti fa
sarebbe ora che questi illustri alti porporati dopo anni di bella e godereccia vita si ritirino a fare i missionari dove serve aiutando quei veri poveri cristi di preti veri che sono in mezzo a chi soffre cominciasse la chiesa e tutte le altre religioni senza esclusione a fare veramente del bene.
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roberto spano • 44 minuti fa
Grazie alle parole come le sue,riportate poi da fanatici religiosi cattolici,che in Africa si stanno mettendo al bando(nel vero senso della parola) personaggi pubblici omsex!Persone che possono rischiare la vita! Bravi,Bravi,continuate cosi,in fondo ogni secolo, dalla fondazione, la chiesa ha avuto modo di esprimere la sua vera natura........................ANTISEMITA!!
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ptud02 • 44 minuti fa
il mondo occidentale, ultimamente, sembra governato direttamente dall'Anticristo
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Michael H. Kenyon • 44 minuti fa
Bagnasco, che Iddio abbia pietà di te
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Paolo ★★★★★ • 44 minuti fa
sono d'accordo con bagnasco
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Divoll79 • 44 minuti fa
Fuori entrambi!
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guydo • 44 minuti fa
proprio voi gonnelloni parlate di famiglia, pfui, matteo hai presente la moglie del pecorino, ecco, sicuramente compreso nel prezzo di presidente, prego accomodati, rappresentaci
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angelo1960 • un'ora fa
Ma cosa ne sanno loro della famiglia? Sono tutti celibi con autista e ricchissimo conto in banca. Non pagano l'imu. Non hanno bisogno di mettere un mutuo. Perché caxxo si impicciano dei fatti nostri?
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zone50 • un'ora fa
aaa..... bagnasco noi avemo appena finito de levacce dalle balls giovanardi........
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massimar66 • un'ora fa
che schifo questa setta di parassi. ti razz.isti che critica l'operato culturale e sociale di un altro paese, mentre loro a carico economico nostro non ti permettono nemmeno di indagare o arrestare i pedofili, ladroni corruttori, di bacaro.zzi vari della setta che nascondono nei loro territori
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Jean-63 • un'ora fa
Discorso a parte per l'indotrinamento politico antifascista e pro comunista (non negarlo è peggio che contestarlo).....detto questo, sottolineiamo; Dal 1948 la Costituzione Repubblicana garantisce, nell'articolo 3, l'uguaglianza degli individui
a prescindere dalla religione, il che rappresenta l'abolizione della
religione di Stato in Italia, cui si giunse ufficialmente con la revisione dei Patti Lateranensi del 1984 (Protocollo addizionale, punto 1), e con la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale, che sancisce che la laicità è il principio supremo dello Stato abolendo così la religione di stato.
Caro Bagnasco, cominci ad indirizzare la scuola all' insegnamento delle religioni e non a "obbligare" a essere cristiani, per suo tornaconto.
Distinti saluti
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Fra P. • un'ora fa
Quando la scuola è stata veicolo dell'indottrinamento della chiesa andava tutto bene, no? Si, i genitori hanno diritto di educare i propri figli, possono mandarli a studiare dalle suore se credono, tutti coloro che la pensano diversamente invece devono tenersi il crocifisso nelle aule. La vostra famosa "equità". Non ho parole sufficienti ad esprimere il disprezzo che provo.
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Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 03/04/2014, 12:19
da erding
I gesti non fanno ancora primavera. Cresce l’attesa per la riforma della Chiesa

DOC-2606. CAMBRIDGE-ADISTA. Archiviato con grandi riconoscimenti il primo anno di pontificato di papa Francesco, le aspettative intorno alla riforma della Chiesa iniziano a farsi più pressanti: dopo aver applaudito i gesti, lo stile, le parole, ora si attendono, insomma, le prime vere riforme strutturali. Perché è vero che, come evidenzia l’analista messicano Bernardo Barranco (La Jornada, 12/3), papa Francesco ha risvegliato l’entusiasmo «in un cattolicesimo che sembrava essersi incapsulato ermeticamente nella tradizione», optando «per il dialogo anziché evangelizzare a colpi di bastone inquisitoriale» e così seminando il panico «tra i vecchi dinosauri della fede» (per quanto «non abbia cambiato neppure una virgola della dottrina della Chiesa»). Ma i gesti, per quanto «importanti nelle società mediatiche», non risolvono, sottolinea Barranco, la crisi della Curia romana, né comportano di per sé «una nuova e sognata primavera ecclesiale». Papa Francesco, dunque, «dovrà andare oltre i gesti», favorendo «una nuova sintesi di fede e cultura», nuove ipotesi pastorali che consentano alla Chiesa di accompagnare «i grandi cambiamenti della nostra civiltà contemporanea», magari convocando «un Concilio Vaticano III che ridefinisca gli orizzonti». A tal proposito, se in molti tracciano un confronto tra papa Francesco e Giovanni XXIII, il teologo argentino Oscar Campana (Alai, 18/3) ricorda però che, «per quanto i gesti del “papa buono” esprimessero vicinanza e misericordia, furono le sue decisioni a modificare il quadro ecclesiale: a due mesi scarsi della sua elezione, papa Roncalli aveva già convocato un concilio ecumenico. E oggi non staremmo a ricordare tanto la sua bontà se questa non avesse condotto a una tale decisione». In ogni caso, come evidenzia il direttore della rivista cattolica statunitense Commonweal Paul Baumann (in un articolo pubblicato su “www.slate.fr” del 16/3 e riportato in italiano su http://www.finesettimana.org), «papa Francesco non è un mago, non può modificare il corso della storia profana, né risolvere divisioni ideologiche sempre più profonde in seno alla Chiesa». In questo senso, secondo Baumann, l’attrazione che esercita rischia di essere dannosa, in quanto «favorisce l'illusione che i tormenti della Chiesa possano essere curati da un solo uomo, tanto più se nuovo», mentre «nessun papa possiede un tale potere, grazie a Dio».

Sull’esistenza, dietro a gesti ed atteggiamenti che dischiudono la speranza di una nuova primavera, di «un progetto solido e fattibile di rinnovamento di un’istituzione profondamente e francamente indebolita», si interroga anche l’Osservatorio Ecclesiale (uno spazio di articolazione ecumenica e di formazione sociale, teologica, politica e di genere nato in Messico nel 1999), esaminando «la possibilità reale di cambiamenti profondi e duraturi», anche a fronte del pericolo che le proposte del papa restino «senza eco in una prassi ecclesiale maggioritariamente conservatrice grazie all’eredità dei papi anteriori» (http://observatorioeclesial.wordpress.com, 13/3). E se un primo ostacolo è dato dal «profilo» e dalla «probità morale» di alcuni dei cardinali chiamati a far parte della commissione per la riforma della Curia romana e di quella per gli affari economici dello Stato vaticano (a cominciare dal filogolpista Oscar Rodríguez Maradiaga), in gioco c’è, soprattutto, secondo l’Osservatorio Ecclesiale, un cambiamento nelle relazioni tra Vaticano ed episcopati nazionali nel segno della collegialità, «per non parlare di una maggiore rappresentatività ed equità di genere a livello di vertici ecclesiastici». E se «un momento decisivo si rivelerà il Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, da cui si attendono decisioni rilevanti in risposta al clamore dei fedeli in temi di morale sessuale e familiare», secondo l’Osservatorio «su nessun altro aspetto della vita ecclesiale Francesco ha dato segnali reali di cambiamento» (senza dimenticare, aggiunge l’Osservatorio, l’infelice dichiarazione del papa secondo cui nessuno, in materia di abusi sessuali sui minori, avrebbe fatto di più della Chiesa cattolica, quando in realtà, «il vaso di Pandora della Chiesa è stato aperto grazie all’instancabile lotta delle vittime di abusi da parte del clero»).

E sull’«imperativo della collegialità» pone anche l’accento Mary McAleese, già presidente della Repubblica d’Irlanda dal 1997 al 2011 e affermata teologa, durante una conferenza sul tema del governo della Chiesa tenuta il 28 febbraio scorso al Von Hugel Institute presso la Cambridge University (e pubblicata l’8 marzo sul sito della Association of Catholic Priests,www.associationofcatholicpriests.ie). Ne riportiamo di seguito ampi stralci in una nostra traduzione dall’inglese. (claudia fanti)


L’IMPERATIVO DELLA COLLEGIALITÀ
di Mary McAleese

(…). Il termine imperativo indica urgenza e necessità. La parola “collegialità” esprime la modernizzazione del governo della Chiesa e in particolare lo sviluppo o (…) il recupero di un governo collegiale condiviso tra il papa e i vescovi. Il tema è stato vivacemente dibattuto al Concilio Vaticano II, ma nella pratica nulla è cambiato.

Quando Francesco è diventato papa, il governo della Chiesa era espresso dalla stessa monarchia feudale irriformata esistita per generazioni prima del Concilio (…). Il termine “recupero” è importante, perché rimanda al fatto che la Chiesa delle origini era sinodale e collegiale piuttosto che esclusivamente primaziale. (…).

50 anni fa, quando convocò il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII intese aggiornare radicalmente la Chiesa. Come noto, voleva una Chiesa che fosse un giardino e non un museo. Quasi un anno dopo, avvicinandosi alla morte, fece appello all’unità dei cristiani con le parole ut omnes unum sint. Le cose non sono andate come sperava il Concilio e Francesco ha lamentato il fatto che si siano avuti «più legge che grazia, più Chiesa che Cristo, più papa che parola di Dio».

Soggetto all’approvazione del papa, il Concilio aveva il potere di cambiare la dottrina e di legiferare per la Chiesa universale. Attraverso un insieme di dichiarazioni, decreti e costituzioni, la Chiesa elitaria e imperiale veniva spazzata via almeno sulla carta, particolarmente nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. Lasciando intatto il primato papale, la Lumen gentium fondava il futuro governo della Chiesa sul collegio dei vescovi e sul papa al vertice di questo (…). Dovevano aumentare decentramento e sussidiarietà, attraverso un accresciuto potere a livello locale per i vescovi diocesani e per le Conferenze episcopali, ma anche per nuove strutture che impegnassero realmente i laici a livello parrocchiale e diocesano. La vecchia piramide immobile, con un laicato bloccato saldamente in fondo e impegnato a pagare, pregare e obbedire, doveva essere sostituita da una visione della pari dignità di tutto il popolo di Dio, clero e laicato, ognuno con la propria parte da svolgere nei compiti ecclesiali della predicazione, dell’insegnamento e del governo. (…). Ci sono voluti quasi 20 anni per tradurre le decisioni del Concilio nel Nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, ma a quel tempo la forte spinta gravitazionale del conservatorismo centralizzato aveva già esaurito la spinta conciliare. Mentre i fedeli e il mondo avanzavano, la Chiesa curiale restava indietro.

Il grande studioso della Chiesa Ladislas Orsy ha osservato alcuni anni fa come il Concilio vada considerato non tanto una rivoluzione immediata quanto piuttosto una «lenta combustione», con un lungo e complesso processo di ricezione che può durare addirittura secoli. Tuttavia, durante una conferenza a Roma del gennaio 2013, egli ha affermato, dando prova di un certo spirito profetico, che il traguardo del cinquantesimo anniversario si era dimostrato un punto di svolta per altri concilii e che forse avrebbe potuto esserlo anche per il Vaticano II. È questo il punto in cui ci troviamo ora e inaspettatamente i discorsi del nuovo papa riguardano tutti la realizzazione del Concilio.

In modo alquanto disarmante, Francesco ha ammesso alcuni mesi fa di aver imparato che il suo modo, un tempo autoritario, di prendere decisioni creava problemi, aggiungendo che, alla fine, «le persone si stancano dell’autoritarismo». È una sintesi perfetta e stringente del sentire di molti cattolici conciliari contemporanei, vissuti in quello che James Carroll mi aveva descritto come «esilio interno» (…). Un papa non autoritario, tuttavia, non garantisce di per sé che la Chiesa cambi e Francesco ha detto di volere il cambiamento. (…).

Francesco ha dato la priorità prima ai cambiamenti di stile e poi ai cambiamenti strutturali considerati necessari per rendere la Chiesa più pastorale e meno burocratica. Nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium ha delineato un ampio programma di cambiamento a tutti i livelli. Le consultazioni coinvolgeranno tutto il popolo di Dio e non solo i vescovi. Le strutture parrocchiane (EG 28) e diocesane (EG 31) devono diventare più partecipative e inclusive. Si richiedono un “profondo” decentramento (EG 16) e una maggiore sussidiarietà a livello di diocesi e di Conferenze episcopali, le quali (…) devono ancora dispiegare il loro potenziale «acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente» (EG 32).

Non ci vuole un genio per riconoscere la fonte delle proposte di Francesco. Linguaggio e contenuto sono molto familiari, talmente familiari che, per parafrasare Seamus Mallon, l’Evangelii gaudium può davvero essere definita una Lumen gentium “semplificata”.

Il nuovo papa ha stabilito un’agenda chiara di riforma (…), ma le menti più avvertite dal punto di vista ecclesiale si stanno ponendo la grande domanda: continuerà a governare da solo come unica autorità decisionale o condividerà le decisioni con i vescovi come dibattuto al Vaticano II e come richiesto dall’obiettivo dell’unità cristiana? E, in questo secondo caso, come? Papa Francesco ha detto, e questo è decisivo, che i cambiamenti strutturali di governo, specialmente per quanto riguarda il Sinodo dei vescovi, dovranno muoversi in una direzione collegiale ed ecumenica.

Il card. Schönborn ha recentemente sottolineato gli insani effetti censori di un governo esclusivamente primaziale quando si è detto dispiaciuto per il fatto che i vescovi austriaci non avevano avuto il coraggio di parlare apertamente delle necessarie riforme della Chiesa. «Siamo stati – ha detto – troppo esitanti. (...). Di sicuro ci è mancato il coraggio di parlare apertamente». Il nocciolo della questione è dunque se papa Francesco intenda muoversi verso un sistema in cui i vescovi siano incoraggiati a non essere yes men, ma leader che possano parlare liberamente, che non vengano semplicemente consultati ma che si consultino essi stessi a livello locale e prendano decisioni a livello collegiale per la Chiesa univrsale insieme al papa. (…).

Il 29 giugno 2013 (…), papa Francesco ha parlato del «cammino della collegialità» come strada che la Chiesa può percorrere per «crescere in armonia con il servizio del primato», ma poi ha chiesto: «Come possiamo riconciliare in armonia il primato petrino e la collegialità? Quali strade sono percorribili anche da un punto di vista ecumenico?». (…).


LE VIE DELLA COLLEGIALITÀ

Al momento, Francesco prende tutte le decisioni dottrinali e legislative consultando all’uopo due organismi: il collegio dei cardinali (…) e il Sinodo dei vescovi, riunione periodica di delegati episcopali delle Conferenze episcopali di tutto il mondo che hanno il compito di consigliare il papa su un tema specifico. Francesco ha descritto entrambi come spazi importanti di consultazione reale e attiva, ma ritiene che attualmente siano troppo rigidi. Dice di volere una «consultazione reale e non formale» (…) e uno dei suoi primi atti è stato quello di nominare un gruppo di cardinali che possano consigliarlo sulla riforma della Curia. Una consultazione più efficace, però, non equivale alla condivisione delle decisioni. (…).

Il Concilio ha riconosciuto che il papa governa con potestà piena, suprema e universale, ma ha anche insegnato per la prima volta che il collegio dei vescovi «è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice».

Il Concilio e il Diritto Canonico hanno stabilito tre modi in cui il collegio dei vescovi può esercitare questo potere di governo della Chiesa. Nessuno di essi è stato applicato.

Il primo è attraverso un concilio ecumenico. Solo il papa può convocarlo e ogni decisione richiede la sua approvazione. (…). Dal Vaticano II il numero dei vescovi è raddoppiato fino ad arrivare a più di 5mila, rendendo più difficile, dal punto di vista logistico, una convocazione fisica dell’intero collegio, benché le attuali tecnologie della comunicazione permettano di aggirare tale ostacolo.

Il secondo è attraverso l’azione «esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi». I canonisti non sono certi del significato da dare a tale provvedimento, ma anch’esso potrebbe condurre ad un consenso episcopale globale senza necessità di una convocazione fisica.

Il terzo è quello che dà a papa Francesco (…) il completo potere di decidere i modi in cui il collegio dei vescovi può agire collegialmente riguardo alla Chiesa universale, secondo le necessità di quest’ultima. (…). Il papa potrebbe per esempio creare un nuovo procedimento o una nuova struttura attraverso cui il collegio dei vescovi possa co-governare la Chiesa con lui o designare a questo scopo una struttura episcopale già esistente. Il candidato più ovvio per quest’ultima possibilità potrebbe essere l’attuale Sinodo dei vescovi (…). Ma la relazione tra il Sinodo dei vescovi e il collegio dei vescovi (…) non è così semplice come potrebbe sembrare. Per prima cosa, i canonisti non sono d’accordo sulla possibilità che il collegio dei vescovi deleghi legittimamente i suoi poteri di governo a un organismo rappresentativo più piccolo. Secondo, il Sinodo dei vescovi fu creato da Paolo VI durante il Vaticano II, non dal Concilio. In realtà, si sospetta che sia stato creato proprio allo scopo di impedire al Concilio di creare un Sinodo che potesse rappresentare legalmente il collegio dei vescovi. Coloro che più tardi elaborarono il Codice di Diritto Canonico omisero deliberatamente qualsiasi riferimento al Sinodo come organo rappresentativo del collegio dei vescovi per timore delle implicazioni (…). L’argomento utilizzato è che, se il Sinodo fosse davvero il legale rappresentate del collegio dei vescovi, agirebbe in modo effettivo come un miniconcilio ecumenico con i pieni poteri di un concilio. Uno scenario rifiutato con forza dall’allora card. Ratzinger.

Il Sinodo non ha mai agito se non come organismo consultivo (…) e questo ha conseguenze rilevanti per l’unità dei cristiani. La sinodalità e la collegialità in altre tradizioni cristiane come quella anglicana e quella ortodossa hanno un carattere non solo consultivo ma decisionale. La differenza è decisiva. (…).

In base al diritto canonico, il papa può conferire poteri decisionali a qualsiasi Sinodo. Nessun papa lo ha mai fatto e papa Benedetto era notoriamente contrario. Eppure questo è di gran lunga il modo più diretto di creare almeno una forma embrionale di governo episcopale collegiale nella Chiesa cattolica. (…).


IN ATTESA DEL SINODO SULLA FAMIGLIA

Il papa ha convocato un Sinodo dei vescovi straordinario e uno ordinario. Il primo si incontrerà a ottobre per discutere le sfide riguardanti la famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, con il compito di consigliare tempestivamente il papa sullo stato della questione e di avanzare proposte. Il compito del Sinodo ordinario che si incontrerà nel 2015 sarà quello di individuare e suggerire al papa nuove linee guida per l’assistenza pastorale della persona e della famiglia.

Normalmente Sinodi di questo genere offrono consigli al papa, ma è poi lui a prendere le decisioni. Per Francesco, tuttavia, sarebbe un capolavoro politico fare di uno o di entrambi questi sinodi degli organismi deliberativi (restando lui ovviamente a capo ed essendo ogni decisione soggetta alla sua approvazione). (…).

La preparazione del Sinodo straordinario ha comportato la raccolta e l’elaborazione delle opinioni a livello della base su un ampio spettro di argomenti controversi, dalla contraccezione artificiale all’accesso ai sacramenti per i cattolici divorziati e risposati, dall’intercomunione nei matrimoni misti alla convivenza, al matrimonio gay e a molto altro. Quando i risultati verranno analizzati, i vescovi e il papa si troveranno probabilmente di fronte alla prova schiacciante di una forte disconnessione, almeno nel mondo occidentale, tra le opinioni dei fedeli e l’insegnamento e la pratica della Chiesa in molti ambiti. Se deve esserci un cambiamento significativo dal punto di vista dottrinale o procedurale, esso avrebbe un impatto molto maggiore nel caso provenisse da una decisione collegiale del papa e dei padri sinodali. Considerando il contributo della base, filtrato dalle Conferenze episcopali, quelle decisioni potrebbero essere veramente definite come frutto di un processo che ha coinvolto ogni settore del popolo di Dio. (…). Sarebbe un modo per creare una forma strettamente controllata di governo collegiale episcopale cum Petro e sub Petro. Il sinodo, in uno scenario del genere, non sarebbe un organismo deliberativo autonomo, ma, a discrezione del papa, potrebbe di volta in volta essere puramente consultivo o deliberativo.

Un’altra via, assai più interessante, è quella del ricorso da parte del papa alla terza forma prevista dal Concilio, attraverso la designazione di un Sinodo dei vescovi come organismo autonomo deliberativo in rappresentanza del collegio dei vescovi (che sia con delega parziale o piena). I poteri del Sinodo sarebbero quelli delegati dal collegio dei vescovi e non dal papa. Il sinodo potrebbe davvero diventare un miniconcilio ecumenico con potere pieno e supremo di governo o con delega parziale tale da richiedere una maggioranza dell’intero collegio veicolata tramite posta o e-mail. Questa è l’opzione più radicale (…) e per questo meno probabile, nel breve termine, ma risponderebbe meglio ai requisiti richiesti dall’unità cristiana e da un governo collegiale veramente episcopale.

Sappiamo quindi che Francesco può trasformare il Sinodo in un organismo collegiale deliberativo, ma lo farà? Sappiamo che ha intenzione di cambiarlo in qualche modo. Ha detto: «Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità (…)».

Nell’Evangelii Gaudium ha avviato il dibattito dicendo: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Il papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare “una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale».

Lo scorso novembre, alla conferenza stampa di presentazione del Sinodo straordinario, il segretario generale (mons. Lorenzo Baldisseri, ndt) ha dichiarato che «per quanto riguarda il rinnovamento metodologico, l’idea è quella di rendere l’Istituzione sinodale un vero ed efficace strumento di comunione attraverso il quale si esprima e si realizzi la collegialità auspicata dal Concilio Vaticano II». E ha parlato di cambiamenti nella struttura e nella metodologia che permetterebbero al Sinodo di «adempire adeguatamente la sua missione di promuovere la collegialità episcopale, cum Petro e sub Petro, nel governo della Chiesa universale».

Questi forti segnali di cambiamento (…) non hanno alcun senso se il Sinodo non assume un carattere deliberativo. Qualsiasi altra cosa è semplicemente il mantenimento dello status quo, quali che siano le parole impiegate per presentarla.

Francesco ha messo le mani avanti affermando che si muoverà senza fretta. Ha bisogno di quello che descrive come «tempo di discernimento», ritenendo che «ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace». Allo stesso tempo, però, egli ha parlato anche del bisogno urgente di un nuovo equilibrio, senza cui, ha detto, «l'edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte». (…).


E LE DONNE?

La novità di un sinodo deliberativo, benché di portata storica, non cambierebbe tuttavia il fatto che tutte le decisioni continuerebbero ad essere filtrate esclusivamente da un episcopato maschile, celibe e clericale. Ciò rappresenta già un freno considerevole ad un coinvolgimento significativo dei laici e delle donne in particolare.

Il Sinodo sulla famiglia offre al riguardo un esempio particolarmente significativo (…). Si tratta di un organismo consultivo sulla “famiglia” composto esclusivamente da uomini che hanno consapevolmente scelto di non essere né mariti né padri né di vivere una vita familiare. L’assenza del laicato, in particolare delle donne, dalle deliberazioni ecclesiali e dalle alte sfere di potere è una linea non più sostenibile (…). Francesco l’ha apertamente riconosciuto, ma non ha ancora proposto alcuna soluzione pratica (…).

Due anni fa ho scritto un libro sulla collegialità per certi versi scoraggiante, ma in cui osavo sperare che qualcosa avrebbe dato ossigeno alla lenta combustione di Orsy, trasformandola in un fuoco. Alla fine citavo la famosa affermazione di Theilard de Chardin: «Un giorno o l'altro quando avremo il controllo dei venti, delle onde, delle maree e della forza di gravità, imbriglieremo le energie dell'amore. Allora, per la seconda volta nella storia del mondo, l'essere umano avrà scoperto il fuoco».

Un anno dopo è arrivato dall’Argentina un uomo con una torcia nella valigia. Ora i cuori sono riscaldati da qualcosa di molto più impaziente ed esigente che la mera speranza, qualcosa che si chiama aspettativa. (…).


Fonte: Adista n. 13/2014

I gesti sono importanti, ovviamente se sostanziati dalle azioni e papa Francesco in quanto a coerenza non difetta. L'esortazione "Evangelii gaudium" pone basi solide per un programma di profondo rinnovamento.

Un saluto erding

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 07/04/2014, 17:39
da peanuts
Comunque, il papa attuale il 27 Aprile (due giorni dopo la festa della liberazione) farà santo uno che beatificò in croazia un criminale di guerra
La chiesa nuova, come no

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 30/04/2014, 12:05
da erding
Roncalli e Wojtyła santi: un enorme ossimoro

di don Paolo Farinella

«Santo subito», gridava lo striscione a caratteri cubitali al quadrato che emergeva sulle teste della folla, il giorno del funerale di papa Giovanni Paolo II, il 5 aprile del 2005. «È morto un santo» disse la folla di credenti, non credenti e agnostici che gremivano piazza san Pietro il 3 giugno del 1963 alla morte di papa Giovanni XXIII. La differenza tra i due sta tutta qua: il polacco deve essere dichiarato «santo», il bergamasco lo è sempre stato senza bisogno di dimostrarlo.

Chi ha avuto l’idea di abbinare nello stesso giorno i due papi per la proclamazione della santità ufficiale, è stato un genio del maligno. Mettere insieme il papa del concilio Vaticano II e quello che scientemente e scientificamente l’ha abolito, svuotandolo di ogni residuo di vita, è il massimo del sadismo religioso, una nuova forma di tortura teologica. La curia romana della Chiesa cattolica, che Francesco non ha ancora scalfito, se non in minima parte, è riuscita ancora nel suo intento, imponendo al nuovo papa un calendario e una manifestazione politica che è più importante di qualsiasi altro gesto o dichiarazione ufficiale. La vendetta curiale è servita sempre fredda.

Il Vaticano sotto il papa polacco si trasformò in «santificio» fuori di ogni controllo e contro ogni decenza: più di mille santi e beati sono stati dichiarati da Giovanni Paolo II, superando da solo la somma di tutti i papi del II millennio. Un’orgia di santi e beati che annoverano figure dubbie o equivoche come Escrivá de Balaguer, padre Pio, Madre Teresa, per limitarci solo a tre nomi conosciuti e che ne escludono altre come il vescovo Óscar Arnulfo Romero, lasciato solo e isolato, offerto allo squadrone della morte del governo del Salvador che lo ammazzò senza problema.

Papa Giovanni XXIII non ha avuto fortuna da morto. Il 3 settembre dell’anno giubilare 2000 è stato dichiarato beato insieme a Pio IX, il papa del concilio Vaticano I, il papa che impose al concilio la dichiarazione sull’infallibilità pontificia, il papa del caso Mortara, il papa del «Sillabo», il papa che in quanto sovrano temporale faceva ammazzare i detenuti politici perché combattevano contro il «papa re». Il mite Roncalli, storico di professione, fu – perché lo era nel profondo – pastore e prete, il papa del Vaticano II che disse il contrario di quanto Pio IX aveva dichiarato e condannato in materia di coscienza, di libertà e di dignità: il primo s’identificava con la Chiesa, il secondo stimolava la Chiesa tutta a cercare Dio nella storia e nella vita. Accomunarli insieme aveva un solo significato: esaltare il potere temporale di Pio IX e ridimensionare il servizio pastorale di Giovanni XXIII. Un sistema di contrappeso: se avessero fatto beato solo Pio IX, probabilmente piazza san Pietro sarebbe stata vuota; papa Giovanni, al contrario, con il suo appeal ancora vivo e vegeto, la riempiva per tutti e due.

A distanza di quattordici anni, per la dichiarazione di santità, papa Giovanni si trova accomunato di nuovo con un altro papa agli antipodi dei suoi metodi e del suo pensiero, con Giovanni Paolo II, re di Polonia, Imperatore della Chiesa cattolica, idolo dei reazionari dichiarati e di quelli travestiti da innovatori. Wojtyła fu «Giano bifronte» nel bene e nel male. Nel bene, fu un papa con un carisma umano eccezionale perché aveva un rapporto con le persone che oserei definire «carnale»; non era finto e quando abbracciava, abbracciava in maniera vera, fisica. Diede della persona del papa un’immagine umana, carica di sentimenti e così facendo demitizzò il papato, accostandolo al mondo e alle persone reali. Fu un uomo vero e questo nessuno può negarglielo.

Come papa e quindi come guida della teologia ufficiale, come modello di pensiero e di prassi teologica fu un disastro, forse il papa peggiore dell’intero secondo millennio. Mise la Chiesa nelle mani delle nuove sètte che s’impadronirono di essa e la trasformarono in un campo di battaglie per bande. Gli scandali, scoppiati nel pontificato di Benedetto XVI, il papa insussistente, ebbero tutti origine nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II, che ebbe la colpa di non rendersi conto che le persone di cui si era circondato, lo usavano per fini ignobili, corruzione compresa. Durante il suo pontificato, uccise i teologi della liberazione in America Latina, decapitò le Comunità di Base che vedeva come fumo negli occhi, estromise santi, ma in compenso nominò vescovi omologati e cardinali dal pensiero presocratico, più dediti a tramare che a pregare.

Il suo pontificato fu un ritorno di corsa verso il passato, ma lasciando le apparenze della modernità per confondere le acque, eclissò e tolse dall’agenda della Chiesa il Concilio Vaticano II e la sua attuazione, vanificando così i timidi sforzi di Paolo VI, il papa Amleto che non sapeva – o non volle? – nuotare, preferendo restare in mezzo al guado, né carne né pesce e lasciando al suo successore, il papa polacco – papa Luciani fu una meteora senza traccia visibile – la possibilità del colpo di grazia, ritardando il cammino della Chiesa che volle somigliante a sé e non a Cristo.

Il cardinale Carlo Maria Martini, interrogato al processo di santificazione, disse con il suo tatto e il suo stile, che sarebbe stato meglio non procedere alla santificazione di Giovanni Paolo II, lasciando alla storia la valutazione del suo operato che, con qualche luce, è pieno di ombre. Il cardinale disse che non fu oculato nella scelta di molti suoi collaboratori, ai quali, di fatto, delegò la gestione della Chiesa e questi ne approfittarono per fare i propri e spesso sporchi interessi. Per sé il papa scelse la «geopolitica»: fu padre e promotore di Solidarność, il sindacato polacco che scardinò il sistema sovietico e che Giovanni Paolo finanziò sottobanco, facendo alleanze, moralmente illecite: Comunione e Liberazione, l’Opus Dei e i Legionari di Cristo (e tanti altri) furono tra i principali finanziatori e sostenitori della politica papale, in cambio ebbero riconoscimento, santi propri e anche condoni morali come il fondatore dei Legionari, padre Marcial Maciel Degollado, stupratore, drogato, donnaiolo, puttaniere, sulle cui malefatte il papa non solo passò sopra, ma arrivò persino a proporre questo ignobile figuro di depravazione «modello per i giovani».

In compenso ricevette una sola volta mons. Romero, dopo una lotta titanica di questi per parlare con lui ed esporgli le prove delle violenze e degli assassinii che il governo salvadoregno ordinava tra il popolo e i suoi preti. Il papa non lo ascoltò nemmeno, ma davanti alla foto dello sfigurato prete padre Rutilio, segretario di mons. Romero, assassinato senza pietà e con violenza inaudita, il papa invitò il vescovo a ridimensionarsi e ad andare d’accordo con il governo. Il vescovo, racconta lui stesso, capì che al papa nulla interessava della verità, ma solo gl’importava di non disturbare il governo. Raccolse le sue foto e le sue prove e tornò piangendo in patria, dove fu assassinato mentre celebrava la Messa. No, non può essere santo chi ha fatto questo.

Papa Wojtyła ha esaltato lo spirito militare e militarista, vanificando l’enciclica «Pacem in Terris» di papa Roncalli. Con la costituzione pastorale «Spirituali Militum Curae» del 21 aprile 1986 fonda le diocesi militari e i seminari militari e la teologia militare e la formazione di preti militari che devono «provvedere con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari» che «costituiscono un determinato ceto sociale “per le peculiari condizioni della loro vita”». In altre parole la Chiesa assiste «spiritualmente» chi va in nome della pace ad ammazzare gli altri, con professionalità e «in peculiari condizioni». Passi che fuori dell’accampamento ci sia un prete con indosso la stola viola, pronto a confessare e a convertire alla obiezione di coscienza, ma che addirittura i preti e i vescovi debbano essere «soldati tra i soldati», con le stellette sugli abiti liturgici, funzionari del ministero della guerra, è troppo e ne avanza per fare pensare che la dichiarazione di santità si può rimandare a tempi migliori.

Il pontificato di Giovanni Paolo II ha bloccato la Chiesa, l’ha degenerata, l’ha fatta sprofondare in un abisso di desolazione e di guerre fratricide, esasperando il culto della personalità del papa che divenne con lui, idolo pagano e necessario alle folle assetate di religione, ma digiune di fede. La gerarchia e la curia alimentarono codesto culto che più si esaltava più permetteva alle bande vaticane di sbranarsi in vista della divisioni delle vesti di Cristo come bottino di potere, condiviso con corrotti e corruttori, miscredenti e amorali. La storia del ventennio berlusconista ne è prova sufficientemente laida per fare rabbrividire i vivi e i morti di oggi, di ieri e di domani.

Avremmo preferito che papa Francesco avesse avuto il coraggio di sospendere questa sceneggiata, ma se non l’ha fatto, è segno che si rende conto che la lotta dentro le mura leonine è solo all’inizio e lui, da vecchio gesuita, è determinato, ma è anche cauto e prudente. Il 27 aprile, dopo avere chiesto scusa a papa Giovanni, io celebrerò l’Eucaristia, chiedendo a Dio che ci liberi dai vitelli d’oro e di metallo, anche se portano il nome di un papa. Quel giorno pregherò per tutte le vittime, colpite da Giovanni Paolo II direttamente o per mano del suo esecutore, il card. Joseph Ratzinger, che, da suo successore, perfezionò e completò l’opera come papa Benedetto XVI.

(27 aprile 2014)

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... -ossimoro/

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 04/06/2014, 0:25
da camillobenso
Sempre più in contraddizione dall'Oltretevere. Fate figli!!!

Già e poi chi li mantiene?

Chi li alleva se non c'è lavoro e ce ne sarà sempre meno?

Da fonti svizzere il Vaticano detiene il 67 % dei depositi di oro nelle banche mondiali. Perché non se ne disfa per aiutare i fratelli?

Perché ha fatto di tutto per non pagare l'Imu?



la Repubblica 3.6.14
Vaticano
“Fate figli, non accontentatevi di cani e gatti”
di Paolo Rodari

CITTÀ DEL VATICANO. Chi si sposa e non fa figli volutamente passerà «la vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine ». Sono alcune delle parole che Papa Francesco ha pronunciato ieri mattina alla messa celebrata nel convitto di Santa Marta in Vaticano. Il richiamo del Papa è rivolto alla «cultura del benessere» per la quale «è meglio non avere i figli. È meglio!». Così, ha detto Francesco, «tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo... Ma è meglio forse, più comodo, avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. È vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine».
È grazie alla Radio Vaticana che ogni giorno è possibile conoscere una sintesi delle omelie che Papa Bergoglio pronuncia a braccio a Santa Marta. Parole che ieri sono state rivolte a un uditorio insolito. Davanti a Francesco c’erano una quindicina di coppie, «di storie matrimoniali – spiega l’emittente vaticana -, di famiglia, cominciate 25, 50, 60 anni fa davanti a un altare». Per il Papa le caratteristiche di un autentico matrimonio cristiano sono nel suo essere «fedele, perseverante, fecondo ». Modello di riferimento, sono i «tre amori di Gesù» per il Padre, per sua Madre, per la Chiesa. «La fedeltà è proprio l’essere dell’amore di Gesù», ha detto. Fedele sempre, ma anche sempre «instancabile nella sua perseveranza». Infine, la «fecondità» che «può essere talvolta messa alla prova». In queste prove, «ci sono coppie che guardano Gesù e prendono la forza della fecondità che Gesù ha con la sua Chiesa». Mentre, sul versante opposto, «ci sono cose che a Gesù non piacciono», ovvero i matrimoni sterili per scelta.
Nelle ultime settimane Francesco ha parlato più volte della famiglia. Sul volo di ritorno dalla Terra Santa, dialogando con i giornalisti, a una domanda circa la comunione ai divorziati risposati, ha ricordato che il Sinodo del prossimo autunno «è sulla famiglia» e che soltanto un capitolo della relazione preliminare del cardinale Walter Kasper è dedicato al problema pastorale delle separazioni. «E a me non è piaciuto — ha spiegato — che tante persone, anche di Chiesa, preti, hanno detto: “Ah, il Sinodo per dare la comunione ai divorziati”. Ho sentito come se tutto si riducesse a una casistica. No, la cosa è più e più ampia».
L’altro ieri, invece, il Papa ha ricordato agli aderenti del Rinnovamento nello Spirito convocato allo stadio Olimpico che «le famiglie sono la chiesa domestica dove Gesù cresce nell'amore», ma «il nemico attacca tanto la famiglia, il demonio non la vuole».

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 04/06/2014, 0:30
da camillobenso
il Fatto 3.6.14
Quanto da fastidio Papa Francesco
di Dario Fo

Vi dirò la verità, in un primo tempo non pensavo di inserire Papa Bergoglio in questa rappresentazione con tanta evidenza. Ma alcuni spietati commenti che ho sentito fare su di lui recentemente da intellettuali con la I maiuscola mi hanno indignato fortemente.
Domenica sera, nel corso dello spettacolo “Arena di Verona 2014”, Dario Fo ha recitato un’anteprima di “Papa Francesco”. Oltre al pubblico da casa (quattro milioni), altre 13 mila persone hanno assistito dal vivo all’anticipazione del nuovo lavoro teatrale di Fo, che verrà trasmesso integralmente da RaiUno domenica 22 giugno in prima serata. Vi riproponiamo l’anteprima.
Vi dirò la verità, in un primo tempo non pensavo di inserire Papa Bergoglio in questa rappresentazione con tanta evidenza. Ma alcuni spietati commenti che ho sentito fare su di lui recentemente da intellettuali con la I maiuscola mi hanno indignato fortemente. Notate bene, è risaputo, io sono ateo, marxista, leninista e seguace di Darwin. E ora, qui, mi trovo paradossalmente a difendere il rappresentante massimo della chiesa cattolica, apostolica e romana nel mondo.
Pochi giorni fa mi è capitato in televisione di avere un dialogo a due con un importante personaggio della cultura italiana, un po’ conservatore, moderato, il quale, lasciando all’istante perdere la moderazione, ha letteralmente aggredito Bergoglio, Papa Francesco, dicendo tutto quello che il nuovo papa mette in scena: il suo abbigliarsi quasi sciattamente con le scarpe nere e la tunica bianca, sempre la stessa; il rifiutare il sontuoso palazzo in Vaticano che gli è stato offerto e l’andare a vivere in una comunità di preti di rango comune; il rifiutare la pomposa macchina di rappresentanza; l’andarsene in giro senza scorta e invitare a tavola con sé i barboni e le prostitute.
TUTTO QUESTO – ha dichiarato l’intellettuale moderatamente moderato – non sarebbe altro che una strategia pubblicitaria, di marketing, e in fondo Papa Francesco non sarebbe altro che un furbacchione (proprio così ha detto il moderato, furbacchione), il quale induce la gente con questo imitare San Francesco a vederlo come un uomo dolcissimo e pieno di affetto per ognuno.
E perché? Come mai tanta acredine verso quest’uomo venuto dall’altra parte del mondo, da un paese spesso sconvolto da violenze e crisi economiche da apocalisse? Ma è semplicissimo : perché troppe volte in questo primo anno egli ha preso posizione contro il mondo degli affari e del grande business internazionale. In poche parole ha accusato le banche e l’avidità dei poteri forti, fanatici del profitto a costo di far strage della dignità di chi arranca per sopravvivere. Ecco le ragioni del linciaggio, per questo lo si vuole distruggere perché è un uomo che tenta di migliorare questo mondo.
E non parliamo poi di quando Papa Bergoglio si rivolge direttamente ai politici.
Due mesi fa, il 27 marzo, Papa Francesco ha parlato davanti a 492 parlamentari italiani, svegliati alle 6 del mattino, fra i quali vi erano 9 ministri, 19 sottosegretari, la presidente della Camera, il presidente del Senato e, senza mai levare il tono, ha detto: “Al tempo di Gesù c’era una classe dirigente, quella dei farisei, che si era allontanata dal popolo, lo aveva abbandonato, incapace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivolare verso la corruzione. Dominavano soltanto interessi di partito e lotte interne”. Proprio così ha detto. Il cuore di questa gente di potere con il tempo si era indurito tanto che era a loro impossibile sentire la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. È tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore, sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti – insiste Bergoglio –. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.
E anche Bergoglio oggi dà fastidio, a quelli!
Il nostro Papa non s’è limitato ad assumere il nome di Francesco, ma egualmente ha pronunciato critiche di violenza inaudita, proprio qualche giorno fa, all’apertura della Conferenza dei Vescovi, la Cei. Non era mai successo in tutta la storia della chiesa che un papa imponesse ai suoi vescovi di aprire lui di persona l’assemblea episcopale.
Ha esordito dinnanzi a una folla di vescovi e cardinali abbigliati di viola, rosso e oro, dicendo: “Non restate seduti ai piedi del campanile lasciando che il mondo vada dove gli pare. Voi dovete fuggire la tentazione della mediocrità”. Attenzione, nessun Pontefice ha mai imposto ai propri Vescovi di “fuggire alla mediocrità”. E continua: “Evitate la litania delle lamentele, della gestione personalistica del presente, delle chiacchiere, delle mezze verità che diventano menzogne, della durezza di chi giudica, fuggite il rodersi della gelosia, l’invidia! L’accidia! Il lassismo!”. E ha concluso: “Quanto è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso.”
Insisto, fate mente al significato di quello che dice: “Quanto è sbagliato il ripiegamento di chi vorrebbe che un triste passato divenisse il nostro futuro”.

Re: THE NEW CATHOLIC QUESTION

Inviato: 16/07/2014, 8:20
da camillobenso
VATICANO
Cardinali milionari: la mappa delle proprietà private del clero
Appartamenti, ville, vigneti, uliveti, boschi. I risultati di mesi di ricerche catastali sui patrimoni personali di oltre cento alti prelati: una collezione di fortune private (regolarmente dichiarate al fisco), alla faccia dell'umiltà e alla modestia di Papa Francesco
DI PAOLO BIONDANI
15 luglio 2014


Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli, insegnava Gesù di Nazareth nel Discorso della Montagna. Dopo duemila anni di predicazioni nel nome di Cristo, però, sulla terra continuano a passarsela meglio i ricchi. Non solo i laici, agnostici o miscredenti. Anche tra i cattolici più devoti c’è chi ostenta patrimoni invidiabili. E perfino tra gli alti prelati di Santa Romana Chiesa ora spunta una specie di club dei milionari: cardinali e vescovi che sono proprietari di grandi fortune private. Palazzi, appartamenti, monolocali, fabbricati rurali, capannoni, cantine, fattorie, agrumeti, uliveti, frutteti, boschi e pascoli sterminati.

Si tratta di ricchezze assolutamente lecite, spesso frutto di lasciti testamentari o eredità familiari, che non si possono in alcun modo accostare alle fortune illegali accumulate da quelle pecore nere che, ieri come oggi, non sono mai mancate neppure nelle greggi cattoliche. Dopo l’avvento di Papa Bergoglio, il pontefice che ha scelto di ispirarsi già dal nome a San Francesco d’Assisi e che non perde occasione per richiamarsi alla «Chiesa dei poveri», ammonire che «San Pietro non aveva il conto in banca», scagliarsi contro «il peccato della corruzione» e «certi preti untuosi, sontuosi e presuntuosi» che sfoggiano «macchine di lusso», però, anche in Vaticano c’è chi comincia a chiedersi quante ricchezze personali possiedano i prelati più potenti. Chi riuscirà a passare dall’evangelica cruna dell’ago?

A regalare le prime risposte documentate è il nuovo libro-inchiesta di Mario Guarino (“Vaticash”, ed. Koinè), il giornalista investigativo che più di vent’anni fa svelò molti segreti di Silvio Berlusconi quando era solo “il signor tv”. Dopo aver ripercorso i vecchi e nuovi intrighi ecclesiastici, dall’Ambrosiano allo Ior, dalle collusioni mafiose alle cricche edilizie e finanziarie, Guarino espone i risultati di mesi di ricerche catastali sui patrimoni personali di oltre cento alti prelati, con dati aggiornati all’aprile 2014. Una collezione di fortune private regolarmente dichiarate al fisco, che non ha nulla a che fare, dunque, con le polemiche sulle leggi di favore per le istituzioni religiose o sull’esenzione dalle tasse riservata ai beni degli enti ecclesiastici. Nessuno scandalo giudiziario, insomma: solo un viaggio ragionato, tra citazioni dei vangeli e appelli all’umiltà e alla modestia di Papa Francesco, alla scoperta delle fortune immobiliari, schedate nei pubblici registri del catasto italiano, che fanno capo alle persone fisiche di cardinali e vescovi. Un’inchiesta giornalistica che sfata e riserva parecchie sorprese.

Monsignor Liberio Andreatta è da molti anni il responsabile dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), l’agenzia vaticana per il turismo religioso, che organizza i viaggi di milioni di pellegrini verso mete di culto come Assisi, Fatima o Medjugorje. Nato nel 1941 in provincia di Treviso, il religioso proviene da una famiglia molto in vista e oggi risulta titolare di un notevolissimo patrimonio personale: a suo nome, il catasto italiano rilascia ben 38 fogli di visure immobiliari. Monsignor Andreatta infatti possiede a titolo personale svariate centinaia di ettari di terreni, coltivati a uliveti, frutteti, boschi da taglio e castagneti, sparsi tra la Maremma e le campagne di Treviso. Nella provincia natia, precisamente a Crespano del Grappa, possiede anche un edificio di 1432 metri quadrati e, insieme ad alcuni parenti, ha altri tre immobili in usufrutto. Inoltre risulta proprietario di una serie di fabbricati rurali tra Fibbianello e Semproniano, sulle colline toscane attorno a Saturnia. Stando ai registri catastali, ha accresciuto il suo patrimonio anche in tempi recenti, acquistando tra il 2008 e il 2011 altre centinaia di ettari di uliveti in Maremma.

Grande possidente, specializzato però nell’edilizia residenziale, è anche l’attuale arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo, nato nel 1938 ad Acireale: nella sua cittadina d’origine risulta aver acquistato, dal 1995 al 2013, otto appartamenti e quattro monolocali in via Felice Paradiso, oltre ad alcune abitazioni per complessivi 22 vani e altri due monolocali in corso Italia. Le visure catastali, inoltre, attribuiscono all’arcivescovo la proprietà di altri nove appartamenti (più un monolocale) in otto diversi stabili in via Giuliani; tre abitazioni e due monolocali in via Kennedy; altri cinque appartamenti (il più grande di 15 vani) in via San Carlo; un altro edificio residenziale e tre monolocali in altre strade sempre di Acireale, dove è intestatario di un ulteriore appartamento in via Miracoli. Nella stesso comune siciliano, il cardinale possiede anche decine di ettari di terreni seminativi, oltre a un vastissimo agrumeto che però è in comproprietà con alcuni familiari.

Più diversificato il patrimonio personale del cardinale Camillo Ruini: l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), nato a Sassuolo nel 1931, è proprietario di tre appartamenti e tre monolocali a Modena, in via Fratelli Rosselli. A Reggio Emilia possiede un ulteriore appartamento, più un monolocale e un seminterrato. Insieme a una sorella, inoltre, è cointestatario di un’abitazione (con pertinenze immobiliari) nella natia Sassuolo. Il catasto infine attribuisce all’ex rappresentante dei vescovi italiani la proprietà di altri tre appartamenti e un monolocale a Verona.

Il cardinale Fiorenzo Angelini, nato a Roma nel 1916, storico sponsor di Giulio Andreotti ed ex responsabile della sanità vaticana, si accontenta invece della proprietà di due appartamenti su due piani a Roma, per complessivi 16,5 vani, in via Anneo Lucano, zona Monte Mario.

Molto meglio se la passano alcuni prelati che hanno assunto cariche importanti negli ultimi anni. L’arcivescovo ciellino Ettore Balestrero, nato a Genova nel 1966, che si schierò al fianco del cardinale Tarcisio Bertone nella contesa sullo Ior, è un poliglotta che ha girato il mondo e ora è nunzio apostolico in Colombia. Eppure conserva numerose proprietà in Italia, tra cui una residenza di dieci vani a Roma, in via Lucio Afranio, alle spalle dell’Hotel Hilton Cavalieri, altre quattro unità immobiliari a Genova tra le vie Tassorelli e Pirandello (la più grande è di 9,5 vani) e un appartamento in nuda proprietà a Stazzano, nell’Alessandrino, dove però possiede anche molti terreni agricoli e boschi da taglio.

Monsignor Carlo Maria Viganò, nato a Varese nel 1941, che sotto papa Ratzinger si era conquistato la fama di incorruttibile moralizzatore, proviene da una famiglia più che benestante: insieme a un familiare è comproprietario di circa mille ettari di terreni a Cassina de’ Pecchi, vicino a Milano. Nello stesso comune possiede inoltre quattro appartamenti e tre fabbricati.

Anche il vescovo Giorgio Corbellini, nato a Travo (Piacenza) nel 1947, attuale presidente dell’Autorità d’informazione finanziaria (Aif, cioè l’antiriciclaggio) dopo le dimissioni di Attilio Nicora, appartiene a una famiglia ricca. Con alcuni parenti è comproprietario, sulle colline di Bettola (Piacenza), di circa 500 ettari di boschi, due fabbricati e altre centinaia di ettari di pascoli e terreni seminativi. Inoltre possiede tre appartamenti e un fabbricato nel suo paese natale.

Il cardinale Domenico Calcagno, nato a Parodi Ligure (Alessandria) nel 1943, ha dovuto lasciare in gennaio la commissione di vigilanza sullo Ior, mentre mantiene dal 2011 la carica di presidente dell’Apsa, l’ente che amministra gli immobili dello Stato vaticano. Ma anche il suo patrimonio privato non è trascurabile: il catasto italiano gli attribuisce, tra l’altro, un appartamento di 6,5 vani in via della Stazione di San Pietro e altri quattro edifici residenziali nel suo paese natale. Inoltre, insieme a due parenti, è comproprietario di oltre 70 ettari di campi e vigneti in Piemonte.

I terreni agricoli sono un bene-rifugio molto apprezzato anche da altri prelati. L’arcivescovo Michele Castoro, presidente dal 2010 della fondazione che controlla tra l’altro il grande ospedale di San Giovanni Rotondo, possiede 43 ettari di terreni a Gravina di Puglia, oltre a vari fabbricati rurali e a due appartamenti (il più grande di 12,5 vani). Ad Altamura, dove è nato nel 1952, risulta inoltre comproprietario, con cinque familiari, di altri 63 ettari di vigneti. Mentre l’ex decano dei cerimonieri pontificali, monsignor Paolo Camaldo, possiede insieme a due parenti nella natia Basilicata, tra Lagonegro e Rivello, un totale di 281 ettari di campi e vigneti.

Il libro di Guarino riporta correttamente che decine di cardinali italiani anche con ruoli di prim’ordine, come Angelo Bagnasco, Pio Laghi, Giovan Battista Re o Angelo Sodano, non hanno alcuna proprietà immobiliare.

Nullatenente risulta, come molti altri, anche l’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, criticato però per la scelta di una lussuosa abitazione intestata al Vaticano: un attico di circa 700 metri quadrati a Palazzo San Carlo, ricavato dall’accorpamento di due residenze (la prima di un monsignore morto nel 2013, l’altra di una vedova convinta a sgomberare). Va ricordato che Papa Francesco vive in un semplice bilocale di 70 metri quadrati, così come monsignor Pietro Parolin, il nuovo segretario di Stato vaticano.

Gli archivi del catasto gettano nuova luce anche sulle ricchezze personali di alcuni dei personaggi più controversi della Chiesa siciliana. Monsignor Salvatore Cassisa, l’ex vescovo di Monreale più volte inquisito dai magistrati di Palermo ma sempre assolto in Cassazione, risulta tuttora contitolare, insieme a una parente, di due immobili per complessivi 18 vani a Palermo. Con altri familiari, inoltre, ha un appartamento in comproprietà e tre in usufrutto a Erice, che si aggiungono a 26 ettari di terreni e 14 unità immobiliari (per complessivi 54 vani) a Trapani.

Un vero mistero (errore della burocrazia o qualcosa di peggio?) riguarda don Agostino Coppola, l’ex parroco di Carini che fu arrestato e condannato come complice dei mafiosi corleonesi di Luciano Liggio nella sanguinosa stagione dei sequestri di persona. Gettata la tonaca e sposatosi, si era visto sequestrare tutti i beni scoperti dai giudici di Palermo e Milano, tra cui una villa da un miliardo di lire, prima di morire nel 1995. Eppure l’ex sacerdote, che celebrò le nozze in latitanza di Totò Riina, compare tuttora come proprietario di 83 ettari di uliveti e 14 di agrumeti a Carini. A nome del defunto e dei suoi familiari è registrato pure il possesso perpetuo (con l’antico sistema dell’enfiteusi) di altri 49 ettari di campagne e due fabbricati a Partinico. Terreni concessi al prete mafioso, stando ai dati del catasto siciliano, da due proprietari istituzionali: il Demanio statale e l’Amministrazione del fondo per il culto.

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