I partiti di oggi sono COMITATI D’AFFARI
Remo Bodei
Come inizia una guerra civile – 138
La cruna dell’ago – 103
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 103
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 83
http://www.youtube.com/watch?v=7kVbnAR4CUY
Cronaca di un affondamento annunciato - 83
In mezzo alla tempesta - 20
l’Unità 30.4.13
Letta ricompatta i democratici Epifani: «Mettiamoci la faccia»
Sì Pd-Pdl, Lega astenuta
Il grazie a Bersani. L’ex segretario: «Ora aiutiamolo»
Rientrati i cinquanta dissidenti sul voto di fiducia
il Fatto 30.4.13
I Democrats si allineano. Inizia il post-Bersani
Speranza evoca l’”interesse nazionale”
di Wanda Marra
Non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio così impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi, con generosità e senso antico della parola lealtà, mi ha sostenuto anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani”. Enrico Letta parla da Presidente del Consiglio. L’altro, che era il candidato elettorale, è seduto tra i banchi del Pd. I due si erano presentati in ticket alle primarie del 2009. Insieme hanno gestito questa fase politica. Il vice è diventato premier. L’ex segretario, deputato semplice, sorride, fa il segno di vittoria. Applaude tutta l’Aula (eccettuati i grillini). Passaggio di consegne storico: il Pd ha non vinto le elezioni, l’ex comunista Bersani non è andato a Palazzo Chigi a fare il governo col Pdl, ma ha assicurato “sostegno leale” all’ex Dc con il quale ha lavorato fino all’altroieri. Un Pd che per 60 giorni non ha fatto che litigare, sabotarsi, impallinare i suoi vertici, e in una parola autodistruggersi, cede la sua sovranità, rinuncia alla sua alterità, si rassegna all’inciucio finale. Senza uno strappo ufficiale, se non quello di Pippo Civati (che alla fine, piuttosto che dire no alla fiducia e di fatto mettersi fuori dal partito sceglie di uscire dall’Aula). E del neo eletto piemontese Davide Mattiello, proveniente da Libera, che si dimette dal gruppo.
QUALCHE distinguo c’è. Interviene in Aula Stefano Fassina, responsabile Economico del Pd (e ancora in corsa per un posto da vice Ministro): “I 4 miliardi di euro necessari a cancellare l’Imu, premesso che li abbiamo trovati, possiamo utilizzarli per evitare l’aumento dell’Iva? ”, chiede. “Oppure abbiamo trovato, oltre ai 7-8 miliardi per affrontare i provvedimenti urgenti lasciati scoperti da Monti, altri 8 miliardi all’anno per cancellare l’Imu e per cancellare l’aumento dell’Iva? E come li finanziamo? Con ulteriori ticket sulla sanità? Con ulteriori tagli alla scuola pubblica e all’università? Con ulteriore deindicizzazione delle pensioni basse? ”.
Un intervento da opposizione lo fa Rosy Bindi: “Per molti di noi non è giusto sospendere l’Imu sulla prima casa”. Perché “le priorità sono la riforma delle pensioni, gli esodati. Per l’Imu c’è una data certa, per questi altri temi caldi no”. Mettono il dito nella piaga Fassina e Bindi e preannunciano problemi: Letta è andato incontro al Pdl. E il Pd? Per ora il Pd nel complesso sorride e ingoia. Gozi (fino all’ultimo dissidente) inneggia all’europeismo di Letta, i più critici, come Orfini e Zampa, si allineano. Nel frattempo, qualcuno s’interroga. Mineo: “Ma come si fa a preservare la sinistra? Quando facciamo il congresso? ”, chiede a Orfini. La risposta è un’altra domanda: “Facciamo l’Assemblea. Se no, chi lo convoca il congresso? ”. L’Assemblea prevista per sabato è stata rimandata all’11. Meglio finire la partita dei sottosegretari prima, per sedare qualche malumore. E poi si brancola nel buio. Segretario dimissionario, vicesegretario premier. Si parla di un reggente, Guglielmo Epifani, che dovrebbe traghettare il partito fino al congresso (che è a ottobre e probabilmente non si anticiperà: il tempo serve a tutti). Ieri applauditissimo all’assemblea del gruppo mentre invitava a metterci la faccia, sull’operazione larghe intese e non a subirla. È in pole position. Oppure un Triumvirato, con un renziano, un Giovane turco e un rappresentante di un’altra area.
POCO entusiasmo generale per la leadership del partito. Matteo Renzi si dichiara non interessato. “Può fare tutti i capricci che vuole, ma ora c’è una sola cosa da fare, ed è questa: impegnarsi nel partito”, dice uno dei suoi. L’ultima vittima del governo Letta sembra proprio lui: rottamati i big, il governo dei giovani, moderato e post ideologico, l’ha fatto un altro. Se dura, per Matteo rischiano di diventare guai definitivi. Nell’intervento a nome del Pd il capogruppo, Roberto Speranza ripete il nuovo mantra democratico. Facciamo questa scelta “eccezionale, in un tempo eccezionale”, “nell’interesse nazionale”. Il Pd “farà la sua parte fino in fondo”. E ringraziando il “faro Napolitano” cita Don Milani: “A che serve avere le mani pulite se poi le tieni in tasca? ”. Tutti in piedi ad applaudire. L’era del post Pd è iniziata.
il Fatto 30.4.13
Stralunati e un po’ sorpresi tra le braccia del Caimano
Traversata verso l’ignoto
Il ministro Pd: “Se sei nella melma meglio stare ai posti di comando”
di Antonello Caporale
Clima contratto, bicipiti in tiro, istinto difensivo. Nella traversata verso l’ignoto il Transatlantico sembra una nave senza nocchiero, un po’ concordia e un po’ discordia. “Chissà che ne sarà di noi domani”, dice Andrea Orlando, ligure mite e neo ministro che ha colto l’attimo a modo suo. Ora dà un saggio di politica zen: “Visto che siamo nella melma meglio stare dentro il governo che fuori. La contieni meglio. Alla peggio si rompe tutto e si ritorna come prima”. Come piano non è male. Se uno deve proprio buttarsi a mare meglio scegliere una bella tempesta che l’alba chiara. Prima che Enrico Letta si accomodi in poltrona, arriva la vocina di Silvio Berlusconi via Mediaset (oggi titolo in smagliante risalita): “Vorrei presiedere la convenzione per le Riforme, come da accordi”. Il grande B. reintegrato nelle funzioni di statista e padre della Patria è pronto e sorridente. “E io non lo voto”, dice Orlando che tira verso sinistra. “Io forse sì”, spiega Pierpaolo Baretta che tira verso il centro. Faranno confusione anche questa volta: “Anch’io penso che ci dobbiamo chiarire le idee su chi siamo e su dove andiamo”. “Io ancora non so cosa fare”, ammette Ermete Realacci. C’è mal di mare alla Camera. Brunetta trotterella, Verdini sorride, Santanchè tambureggia. E sono quelli di là. Vogliono subito passare all’incasso, e abbattere l’Imu già oggi. Rosy Bindi, contiene a fatica la bile: “Ho letto della richiesta di Berlusconi, potrò mai votarlo? E poi anche l’Imu: è proprio un’urgenza, una condizione imprescindibile? Non sarebbe stato meglio iniziare dagli esodati? Non ci capisco granchè”.
GIRA LA TESTA e girano le scatole. “Certo, Berlusconi farà quel che meglio sa fare. Incasso immediato degli utili, e con l’Imu non si risparmierà. Spetta a noi trovare una strategia, una quadra, un’idea”. Neanche termina la frase Gianni Cuperlo, inquieto, e spunta in televisione il solito Brunetta che canta vittoria. “L’Imu, la nostra grande battaglia è vinta”. E i soldi? Dove sono i soldi? “Lo vedrà il ministro Saccomanni”. Risposta efferata, veleno puro. Letta, il premier dell’emergenza, ha appena illustrato un programma megagalattico, onnicomprensivo. I soldi sono l’ultimo assillo. Nell’arco delle cose da fare mancano gli impegni di target più berlusconiano (felicità per tutti, o anche il sole tutti i giorni) ma ci sarà ogni cosa possibile, dall’Erasmus in poi. Il centrosinistra batte le mani all’inizio e con più convinzione, quegli altri con più sofferenza. Mano a mano che si allunga e si impasta il lavoro la fatica di fare clap clap si fa notare e la vigoria inizia a scemare. “È stato un discorso un po’ pastoso”, dice il giovane democristiano Valiante (Pd). Un po’ obliquo, anche un po’ ambiguo, sulle energie rinnovabili appena una pennellata, ma una cosina proprio”, annota Realacci. Ci sono tutti e sono un po’ felici e un po’ scontenti, un po’ allarmati, un po’ stralunati. “Venga in Sicilia dottore”, propone a sorpresa l’onorevole Cardinale, ora ex, ora accompagnatore della figliola Claudia, molto giovane e già al secondo mandato da deputata. Non c’è commozione, manca l’ardore, si naviga a vista ma insomma si parte. Le amazzoni del Pdl fanno due conti: la Ravetto per esempio, sarà sottosegretario? E alle altre? Chi fa la lista dei nomi è il solito Denis, a lui bisogna bussare. “Io non so se sarò dentro, temo che l’amicizia con Angelino Alfano produca un ostacolo. Sa, lui non vuol far mai vedere di promuovere gli amici”.
DORINA BIANCHI, crotonese, è in controllata attesa e tanti maschi, più di lei, confabulano e non si arrendono al destino di non prendere parte verso l’ignoto. “Enrico ha messo in fila in meno di un’ora spese per oltre quaranta miliardi di euro. Domani va a Berlino dalla Merkel e le dirà chiaro che ce li deve permettere di spendere, altrimenti finiremo in bocca ai cinquestelle”. L’ignoto è un salto carpiato e Lapo Pistelli non ha motivi per non essere pronto al tuffo: “Fino a una settimana fa tu avresti mai previsto uno scenario simile? Ti dico che se le cose vanno al posto giusto Letta siederà a palazzo Chigi per l’intera legislatura. La ruota è girata troppo velocemente che anche Berlusconi è fuori gioco. Ma lo vedi dov’è finito? ”. A dire la verità il Cavaliere si gode la scena, trasmette sicurezza, sorridente e finalmente rilassato. Guarda il suo Angelino e gli altri intrepidi ministri suoi. Quagliariello e Lupi e Lorenzin. Tolto Alfano erano tutti fuggitivi. A novembre scorso sembravano voler lasciare l’amato Padre per via della sconfitta imminente. Fuggitivi ripresi nell’ultimo miglio e premiati. Perchè premiare i traditori, come disse Verdini? “Facile, perchè noi siamo su un gommone e Berlusconi ha uno spillone in mano, ci bucherà quando vorrà e senza troppi dispiaceri” ha spiegato Gaetano Quagliariello, oggi felicissimo pentito. La quarta della squadra, un po’ qui e un po’ là, è gasatissima: “Cercavo proprio lei. Ricorda quando anni fa mi intervistò (ero appena giunta da Benevento) e mi chiese della mia ambizione più grande, del mio sogno nel cassetto? Le risposi: fare il ministro dell’Agricoltura. Eccomi qua”. Eccola qua Nunzia De Girolamo, con un sorriso smacchia paure e la convinzione che sia salita in groppa al cavallo giusto al momento giusto.
il Fatto 30.4.13
La “coesione” fra Pd e Pdl farà trionfare le ingiustizie
di Maurizio Viroli
Dobbiamo essere tutti sinceramente riconoscenti al governo Letta e a coloro che l’hanno generosamente auspicato, tenacemente voluto e saggiamente realizzato: il capo dello Stato, Berlusconi e il Pd. Essi hanno regalato agli italiani una certezza, che Pd e Pdl non devono più incontrarsi e frequentarsi di nascosto fingendo in pubblico di detestarsi cordialmente, ma possono convivere alla luce del sole. Si sono tolti la maschera, è crollata la menzogna del Pd avversario – incerto, timido, balbettante – ma pur sempre avversario, con la quale i dirigenti di quel partito hanno ottenuto i voti di tanti italiani onesti e saggi e come tali nemici di Berlusconi e dei suoi servi. Di questi tempi, una verità fra tante menzogne, e tanta simulazione e dissimulazione, non è poco.
“GOVERNO politico, unico possibile”, ha commentato il capo dello Stato. Con il più sentito rispetto per l’Istituzione e per l’uomo mi permetto di rilevare che la prima affermazione non è davvero un esempio di chiarezza. Non si capisce che cosa possa mai essere un governo non politico. È vero che il linguaggio italiano abbonda di sciocchezze quali ‘governo tecnico’, ‘governo del presidente’, ‘governo elettorale’ e via di questo passo. Ma sono tutte espressioni che confondono, anziché chiarire la realtà delle cose. Qualsiasi governo attua e concorre a formare leggi, più spesso decreti, che valgono per tutta la comunità e dunque sono atti politici della più bell’acqua. Certo che anche quello attuale è un governo politico, ma che bisogno c’era di dirlo? Se invece quel “politico” indica qualcos’altro lo si spieghi con parole chiare.
La seconda affermazione che il governo Letta è l’unico possibile è probabilmente vera, dopo che il Pd ha deciso di non votare per Rodotà. Il presunto ‘stato di necessità’, diciamo così, che costringe a formare un governo con Berlusconi se lo sono creati il capo dello Stato e il Pd, e dunque non è affatto tale. Ora, potrebbe qualcuno spiegare agli italiani per quale motivo Berlusconi presidente del Consiglio era alla fine del 2011 causa delle patrie sventure, mentre oggi un governo con il suo più fedele yes man quale vice di Letta e capo del ministero degli Interni sarebbe benefico? Si suppone indipendenza di pensiero all’Alfano? Si fantastica di un diverso orientamento di Berlusconi? Insomma, se allora il bene dell’Italia esigeva di allontanare Berlusconi e i suoi da Palazzo Chigi, quale ragione impone oggi di richiamarli?
Coesione! coesione! coesione! È il nuovo imperativo categorico. Non se ne potrebbe trovare uno peggiore. Perché la coesione, ma meglio sarebbe parlare di concordia, è benefica se c’è giustizia. E quale giustizia possiamo aspettarci da un esecutivo che deve operare sotto il comando, o a essere benevoli, il forte condizionamento, del peggior nemico del governo delle leggi, dell’indipendenza della magistratura e soprattutto della Costituzione repubblicana? Quale giustizia da chi ha portato in Parlamento corruttori di giudici, collusi con la mafia, corrotti di ogni tipo e li ha poi difesi con tutte le sue forze? Quale giustizia da chi ha approvato le peggiori leggi a favore dei gaglioffi? Essere concordi o coesi con figuri siffatti vuol dire essere complici di ingiustizie, e così crescono non la concordia ma la discordia, e perfino la rabbia e il furore, due passioni pericolosissime per l’ordine repubblicano.
È TEMPO di gite scolastiche. Suggerisco ai sostenitori del nuovo governo di mettere i panini e la Coca-cola nello zainetto e andare a visitare la mostra su Machiavelli al Vittoria-no, dove spero gli organizzatori abbiano dedicato adeguato spazio a questo aureo pensiero del Segretario: “Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella republica”. Si riferiva alla Roma antica. Dovremmo seguire il suo consiglio: per rendere libera e civile la nostra Repubblica scegliere non la coesione ma il conflitto: pacifico, nel più rigoroso rifiuto della violenza, civile, meditato e pacato, ma intransigente contro Berlusconi e ai suoi servi e i suoi nuovi alleati. Il nuovo governo gode di un’ampia maggioranza. Proprio per questo la Repubblica ha bisogno di opposizione vera.
il Fatto 30.4.13
La prima cambiale pagata al Caimano
di Stefano Feltri
La politica è l’arte di scegliere come distribuire risorse scarse sapendo che non si possono accontentare tutti. Che qualcuno protesterà, ma non sempre chi urla più forte ha anche ragione. Il governo di Enrico Letta nasce invece promettendo tutto a tutti. Il primo risultato concreto lo incassano Silvio Berlusconi e il suo Pdl che avevano vincolato la fiducia alla cancellazione dell’Imu. L’odiata imposta sugli immobili viene sospesa, a giugno non si pagherà in attesa di una riforma complessiva. Eppure Letta impronta il suo discorso di insediamento su un’altra linea: la priorità del Paese è il lavoro, la coesione sociale dipende dalla capacità del governo di arginare il numero dei disoccupati. Non c’è razionalità economica nel cominciare invece dall’Imu. Secondo i calcoli del centro studi Nens, bastano 400 milioni di euro per esentare dall’Imu il 20 per cento degli italiani più poveri, restituendo loro anche quanto pagato nel 2012. Per ragioni elettorali Berlusconi impone invece un’operazione da almeno 2 miliardi (4 se si arriva alla abolizione completa, 8 restituendo le quote 2012). Il Pd subisce, incapace perfino di ricordare che aveva proposto più o meno la stessa cosa prima del voto. Non c’è un solo economista in buona fede che veda nell’Imu l’origine dei mali italiani. Anche il Berlusconi di una volta chiedeva di spostare le tasse dalle persone alle cose, meglio penalizzare la ricchezza improduttiva piuttosto che imprenditori e lavoratori. Ma il problema è che le larghe intese sono in realtà uno stretto cappio al collo di Letta. Il nuovo premier dimostra di avere la caratura per il compito che è chiamato a svolgere: ha una solida convinzione europeista, rinnega l’approccio da ragioniere che ha caratterizzato spesso il governo Monti, con stangate a ogni zero virgola di deficit in più, capisce l’esigenza di rinnovamento, nel Palazzo e fuori. Ma l’ampiezza della coalizione gli impone di aprire un libro dei sogni in cui non ci sono cifre ma soltanto suggestioni. I soli interventi quantificabili valgono almeno 10 miliardi, che diventeranno molti di più se ai tanti annunci seguiranno provvedimenti concreti. Dove si trovano i soldi? Letta non chiede sacrifici, non annuncia patrimoniali o liberalizzazioni che potrebbero preoccupare le lobby, ma promette: ai giovani, ai pensionati, agli assunti, ai disoccupati, agli esodati, ai precari, ai produttori di energia rinnovabile. I “saggi” riuniti da Napolitano avevano un altro approccio: i soldi disponibili devono andare ai redditi da lavoro più bassi, inutile disperdere le poche risorse tra mille voci. Ma ora sono tornati i politici che amano l’effetto annuncio. Enrico Letta prende impegni che sa di non poter mantenere. Ma d’altra parte, il Pd aveva anche promesso che non si sarebbe mai alleato con Berlusconi. E gli elettori ormai hanno capito quanto possono fidarsi.
il Fatto 30.4.13
Con Letta vince l’incesto Pd-Pdl
Discorso incolore e buonista
di Fabrizio d’Esposito
Sono i due nuovi gemelli quarantenni dell’italico andreottismo. Uno parla per 45 minuti e l’altro subito commenta: “È musica per le mie orecchie”. Enrico Letta, premier. Angelino Alfano, vicepremier. Il governo dell’inciucio si presenta alla Camera per la fiducia, che passa con 453 sì, 153 no e l’astensione leghista, e il discorso rotondo, senza spigoli e senza picchi, buonista e inclusivo del presidente del Consiglio pone le basi per la democristianizzazione di Pd e Pdl e della Terza Repubblica. Un progetto dalla durata di almeno 18 mesi, come spiega Letta, in cui magari si pensionerà B. con un salvacondotto da padre della patria e si combatterà il temuto Renzi, leader annunciato del Pd, con una Cosa neodc e bipartisan. Si sa, dai governi d’emergenza può nascere un nuovo partito. Monti docet.
ENRICO LETTA entra a Montecitorio alle tre del pomeriggio, che i suoi ministri sono quasi già tutti seduti nei due banchi riservati all’esecutivo. Il premier si sistema tra Alfano e la Bonino e il suo discorso della pacificazione si apre con un ringraziamento a Giorgio Napolitano, fautore del nuovo compromesso storico. L’effetto da noia democristiana è accentuato anche dalla tragedia di domenica scorsa, davanti Palazzo Chigi. Alcune frasi di Letta sono citazioni musicali, dei Tiromancino (“due destini che si uniscono” a proposito di Italia ed Europa) e di Ligabue (“bellezza senza navigatore” per la scontata apologia del turismo e del made in Italy”). Visto che c’era poteva anche ricordare il Vasco Rossi degli spari sopra . Lo spavento per gli otto colpi di Preiti è l’incipit del capitolo su “giovani e territorio, risorse per la crescita”. Frase chiave: “Di solo risanamento si muore”. Sulla giustizia pesa l’ambizione dei due nuovi gemelli scudocrociati. Scandisce Letta, nel suo andreottismo versione due punto zero: “Vent’anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra i partiti e l’opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta, delle risse inconcludenti”. E soprattutto, immedesimandosi in Davide nella valle di Elah, prima di affrontare Golia: “Come Davide in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che in questi anni abbiamo indossato”. È il cuore politico dell’intervento. Uscire dalla Seconda Repubblica con Berlusconi, non senza, la vera ossessione di Napolitano, ma anche il ritorno del vecchio riformismo di Massimo D’Alema degli anni Novanta, in salsa centrista però. Non a caso il premier punta sulla Convenzione per le riforme, sinonimo di bicamerale. Sulla “convergenza” tra forze politiche “alternative”, e che sulla carta “dev’essere un’eccezione”, Letta rispolvera il pensiero del suo padre politico Nino Andreatta: “Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, come soluzioni concrete ai problemi comuni”. Ovviamente, lui, il giovane Letta, preferisce le seconde alla prima.
Il Pantheon lettiano comprende Andreatta, Papa Francesco (ai giovani: “Scommettete su cose grandi”), Davide e Golia, finanche Cesare Beccaria. “Ricordiamoci che siamo il Paese di Cesare Beccaria” . Ma anche di Silvio Berlusconi e delle sue leggi ad personam, potrebbe aggiungere. È la sostanza però quella che conta e il pragmatismo che dice tutto ma non dice niente del premier sulla giustizia non va oltre una possibile amnistia per liberare le carceri e fare qualche altro favore ai neoalleati della “banda degli onesti” di B..
Letta parla e gli applausi sono 42 in tutto. Il Pd batte le mani compatto, senza eccezione alcuna. Un po’ fredda, invece, l’accoglienza del Pdl: parecchie assenze e il malcontento di falchi ed esclusi dal governo. Esemplare la fila Santanchè, Gelmini, Carfagna che rimane seduta durante l’ovazione finale. I grillini si uniscono solo nella solidarietà ai due carabinieri feriti domenica. Il discorso di Letta è diviso in capitoli: lavoro, futuro industriale, riforma della politica e delle istituzioni (Senato delle Regioni e abolizione delle province). La promessa più hard la “rivoluzione” dei rimborsi, “un finanziamento mascherato” ai partiti, che è costato dal 1994 al 2012 due miliardi e mezzo di euro a fronte di spese certificate di mezzo miliardo.
Le parole d’ordine sono quattro, per evitare il “canto del cigno” di un sistema: “Decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell’onore e del servizio”. Tre quarti d’ora di discorso. Poi il dibattito. Un grillino tira in ballo l’inciucio di famiglia (zio Gianni e il nipote Enrico) ma l’intervento più forte è di Giorgia Meloni, che da destra (Fratelli d’Italia) prende in mano quella che fu un tempo la bandiera comunista del manifesto di Pintor: “Non voglio morire democristiana, perciò voto no”. La fiducia arriva in serata. Una formalità. Prime delle 22 è tutto finito. Oggi tocca al Senato.
il Fatto 30.4.13
Vago sulla corruzione, evoca l’amnistia. E Berlusconi incassa
di Marco Lillo
Conflitto di interessi, intercettazioni, lotta alla corruzione e riforma del finanziamento pubblico ai partiti sono quattro scogli difficili da evitare per un presidente del Consiglio che vuole ottenere i voti del Pdl e anche del Pd. Enrico Letta se l’è cavata da buon democristiano. Chi lo nominò presidente dei giovani Dc a 25 anni, nel lontano 1991, sarebbe stato orgoglioso di lui. Nel suo lungo discorso Enrico Letta non ha citato nemmeno di striscio le parole ‘conflitto di interesse’ e ‘intercettazioni’. Ha accennato solo di sfuggita alla corruzione, come fosse un tema minore. Infine ha promesso l’abolizione dell’ultima legge sul finanziamento pubblico approvata solo a luglio (con il suo assenso) guardandosi bene dal prendere impegni sulla nuova legge, tutta da scrivere con il Pd e il Pdl, cioé i partiti che hanno approvato la legge da gettare nel cestino. Non manca un riferimento all’emergenza carceri che offre una speranza ai fautori dell’amnistia e del condono. Il tono deciso sostiene un contenuto leggero e vago come zucchero filato. Sembrava di ascoltare l’imitazione dei politici del Pd fatta da Crozza. “Nessuno – ripeto nessuno – può sentirsi esentato dal dovere dell'autorevolezza”, premette il premier incaricato ricordando che “11 milioni e mezzo di cittadini hanno deciso di non votare alle elezioni dello scorso febbraio. L'astensione è il primo partito: o lo capiamo o la politica scompare”. Il deputato M5S Cristian Iannuzzi gli urla un suggerimento concreto: “Rinunciate ai rimborsi elettorali!”. Troppo facile, sembra dire Letta che riprende proprio da lì con il tono del professore: “pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 a oggi sono state ipocrite e fallimentari , non rimborsi ma finanziamento mascherato, per di più di ammontare decisamente troppo elevato”. Quindi “il sistema va rivoluzionato abolendo la legge approvata e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali”. I fondi per i rimborsi ai partiti non è chiaro che fine faranno, mentre quelli per i gruppi, sono salvi. Aumenteranno solo i controlli. C’è poi l’abolizione del doppio stipendio per i ministri-parlamentari e la promessa di ridurre il numero dei parlamentari. L’unico annuncio concreto sul fronte del finanziamento ai partiti arriva non contro ma a favore della politica. Letta promette alle imprese private un’agevolazione “sul versante fiscale” alla “contribuzione all'attività politica dei partiti”. Nessun impegno invece sulle riforme contro mafia e corruzione proposte per esempio dal presidente del Senato Piero Grasso in una proposta di legge presentata nel primo giorno di legislatura. Sulla “lotta alla corruzione che distorce regole e incentivi” il Letta-Davide mostra poco coraggio pur di ottenere la fiducia e concede solo una citazione vuota accompagnata da ovvietà come “la giustizia che deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini”. Quando Alessandro Di Battista del Movimento 5 Stelle gli chiede di punire severamente il falso in bilancio lui glissa. Mentre a Claudio Fava di Sel che tenta di stringerlo sul concreto (“la priorità non è l'evocazione di una lotta alla corruzione, ma una vera, buona legge sulla corruzione nei primi cento giorni del suo governo”) Letta concede solo “riprendo le parole di Fava sulla corruzione, sarà uno dei grandi temi sui quali lavoreremo”. Fava può star tranquillo: “il confronto ci sarà e sarà forte e importante. Non è possibile che il nostro Paese su questi temi sia un Paese che dà l'idea di una labilità del diritto”. Anche se ieri la labilità che emergeva era quella della politica.