Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 224
La cruna dell’ago – 190
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 190
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 170
Cronaca di un affondamento annunciato - 170
In mezzo alla tempesta - 107
Cari defunti - 1
Epifani propone di separare
i ruoli di segretario e premier
Incontro con i deputati Pd: apertura dei renziani mentre Veltroni resta contrario.
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Il segretario Pd, l'ineleggibilità di Berlusconi è «tema già affrontato».
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Di Maria Zegarelli 23 maggio 2013
Separare «i due ruoli», quello di segretario e quello di candidato premier, ed allargare la base elettorale del primo, andando oltre la sola platea degli iscritti Pd. Sono queste le due coordinate tracciate ieri dal segretario Guglielmo Epifani nel corso della riunione con il gruppo dei deputati democratici a Montecitorio, con un invito a fare «le cose con la testa, distendere il clima, fare una verifica del tesseramento e stabilire le regole» per il congresso.
Romano Prodi
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Epifani propone di separare
i ruoli di segretario e premier
Incontro con i deputati Pd: apertura dei renziani mentre Veltroni resta contrario.
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Il segretario Pd, l'ineleggibilità di Berlusconi è «tema già affrontato».
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Di Maria Zegarelli 23 maggio 2013
Separare «i due ruoli», quello di segretario e quello di candidato premier, ed allargare la base elettorale del primo, andando oltre la sola platea degli iscritti Pd. Sono queste le due coordinate tracciate ieri dal segretario Guglielmo Epifani nel corso della riunione con il gruppo dei deputati democratici a Montecitorio, con un invito a fare «le cose con la testa, distendere il clima, fare una verifica del tesseramento e stabilire le regole» per il congresso.
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 225
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Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
Repubblica 23.5.13
Il conflitto d’interessi
Epifani apre a Berlusconi “Non è ineleggibile” e nel Pd scoppia la fronda
“Il congresso? Rinviamolo o sarà guerra tra bande”
di Tommaso Ciriaco
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ROMA — La base, è probabile, non gradirà. Ma Guglielmo Epifani è convinto che Silvio Berlusconi sia eleggibile. (Se lo sso scelti bbono er sor Caronte gli zombie tour - ndt)
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E, soprattutto, che il Pd debba votare contro l’esclusione del Cavaliere nella giunta per le elezioni.
Perché il nodo, ricorda il segretario parlando al gruppo dem della Camera, «è già stato affrontato altre volte» e i democratici non possono che attestarsi sulle posizioni assunte già in passato.
Senza «fragilità identitarie».
Non tutti però apprezzano, a partire da Felice Casson e Stefania Pezzopane, due dei membri Pd che decideranno il destino dell’ex premier.
La linea del segretario interpreta l’anima maggioritaria tra i parlamentari.
Nonostante le proteste sul web e nonostante l’allergia dei militanti verso il ventennale avversario di Arcore.
Nicola Latorre, ad esempio, si incarica di indicare le priorità.
Fra le quali non emerge l’ineleggibilità: «È ormai acclarato che Berlusconi è il titolare di Mediaset. Ma l’attuale sistema di verifica che la legge costituzionale affida al Parlamento ha consentito in tutti questi anni di considerarlo eleggibile.
Noi esamineremo con rigore anche questa ulteriore richiesta — promette — tenendo conto della prassi fin qui seguita.
Ma è chiaro che occorre con urgenza una legge sul conflitto di interessi».
Sconsolata, Laura Puppato ammette: «Il problema di Berlusconi in Parlamento non esiste, perché lui in Parlamento non c’è mai: è un assenteista cronico».
Come se non bastasse, i democratici sono alle prese anche con una delicata vigilia congressuale.
L’ultima assemblea ha sancito con un voto che l’assise debba tenersi entro ottobre. Eppure potrebbe slittare, forse al 2014. Un cenno l’ha fatto ieri Epifani, rivolgendosi ai deputati e chiedendo di non comprimere i tempi del tesseramento. In privato, poi, il segretario è stato ancora più esplicito: «Dobbiamo affrontare un’ampia discussione politica. E solo dopo mettere in campo i nomi, perché farlo subito significherebbe innescare una guerra tra bande. Non è quello di cui il Pd ha bisogno».
Nel partito Matteo Renzi non si metterà di traverso, né Enrico Letta ha interesse a bruciare le tappe. I giovani turchi, invece, non gradiranno. Pronti con Gianni Cuperlo a tentare la scalata alla segreteria, insisteranno per rispettare gli impegni già assunti. Proprio Cuperlo mette in chiaro: «Il congresso si deve tenere al più presto. Nei circoli c’è delusione e sconcerto. Ma è assurdo aspettare che la rabbia si plachi. E comunque meglio militanti arrabbiati che abbandoni silenziosi». E anche Enzo Amendola si schiera: «Sono contrario al rinvio».
Prima di stabilire una data congressuale, comunque, il board democratico dovrà decidere se sdoppiare le figure di segretario e candidato premier.
Se i veltroniani vogliono mantenere lo schema attuale — come anche D’Alema e Renzi — i giovani turchi spingono per dividere i destini dei due ruoli chiave. Davanti ai suoi deputati anche Epifani si è speso per questa seconda tesi, mostrandosi disponibile anche a ragionare sulla possibilità di non far votare solo gli iscritti. Magari attraverso una registrazione.
In attesa della decisiva direzione di martedì, nella quale il Pd è chiamato a sciogliere il rebus della riforma elettorale, Epifani ha cercato di motivare un gruppo parlamentare ancora scosso dal complicatissimo avvio di legislatura: «Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi — ha detto — Il governo non può fare miracoli, non ha un euro, bisogna che lo dica. Il quadro economico è difficilissimo. Non siamo alla fine di un tunnel ma ad un bivio». Non è mancato neanche un richiamo tutto interno, dopo l’incidente sul provvedimento sui partiti presentato da Zanda e Finocchiaro: «Andiamo subito in crisi per qualunque pressione esterna. La vicenda di ieri al Senato è emblematica, prima di presentare i provvedimenti pensiamoci bene. Se li presentiamo, difendiamoli».
***
Repubblica 23.5.13
L’intervista
“Il segretario ha cambiato idea si vede che teme per il governo”
Civati: vittime del pasticcio in cui ci siamo cacciati
di Umberto Rosso
ROMA — Per Epifani il caso ineleggibilità di Berlusconi è stato già affrontato in passato, e quindi non è il caso di tornarci su.
E Per lei, onorevole Civati?
«Dipendesse da me, con la macchina del tempo quella decisione l’avrei presa in modo un po’ diverso».
Fuori dal Parlamento Berlusconi, in base alla legge del ‘57?
«Esattamente. Tra l’altro, il segretario del Pd ancora qualche giorno fa mi pareva dicesse cose diverse».
E cioè?
«Mah, rimandava alle decisioni dei commissari pd nella giunta per le elezioni, pur precisando che non si tratta di questione da poter risolvere con un colpo d’accetta, con un sì o con no».
Il segretario ha cambiato idea, lo trova ora troppo rinunciatario?
«Non so dire se in 48 ore è cambiato qualcosa. Capisco l’imbarazzo politico e le difficoltà. Ma il problema è che non possiamo fare le discussioni al rovescio».
Ovvero?
«Evitiamo le ipocrisie, e diciamo le cose come stanno. La verità è che non si può affrontare l’ineleggibilità di Berlusconi perché se no cade il governo Letta. Ed è così, purtroppo, quasi per tutto.
E quindi il Pd non riesce a discutere quasi di niente».
Sarà per questo che fra i democratici quasi nessuno, sinistra compresa, e a parte Zanda
che parla a titolo personale, reclama la non eleggibilità del Cavaliere?
«Anche i giovani turchi sono al governo. E siccome, come dicevo, si parte sempre dal must della sopravvivenza dell’esecutivo prima di affrontare qualunque nodo, temo che non ne usciamo. E non solo sulla ineleggibilità».
Su che altro?
«Se Berlusconi occupa il palazzo di Giustizia di Milano, che facciamo? Facciamo finta di niente perché se protestiamo cade il governo? E se lo condannano? Ci giriamo dall’altra parte per la stessa ragione?
Purtroppo siamo vittime di noi stessi».
Di cosa esattamente?
«Del pasticcio in cui ci siamo cacciati, a causa dei nostri errori, che ci ha portato al governo delle larghe intese».
Teme la spina Grillo che invece martella per cacciare Berlusconi dal Parlamento?
«Una spina più o meno, con tutte quelle che abbiamo addosso, francamente non fa differenza».
Ma, come dice Renzi, non è assurdo cavalcare ora l’ineleggibilità visto che da 20 anni gli italiani mandano regolarmente Berlusconi in Parlamento?
«L’obiezione ha un fondamento. (Nanucapione - ndt)Ma secondo me dovrebbe essere proprio l’oggetto di una discussione libera e aperta in giunta delle elezioni. Anche sul nodo più generale del conflitto di interessi, a prescindere da Berlusconi. Partiamo da qui, rimettiamo il confronto sul binari giusti. Partiamo dalla testa e non dal fondo».
Solo che la giunta non decolla.
«Guarda un po’ che strano... Ma è chiaro, se tocchi i fili il governo casca. Però io vorrei sapere: il passato è andato, ma per il futuro che fa il Pd? Una legge sul conflitto di interessi che regoli il rapporto fra affari privati e politica, e che riguardi nuovi possibili casi, la vogliamo o no?».
Ma fra crisi di governo e Berlusconi che decade, cos’è più importante?
«Ecco, appunto. L’aut aut. Il diktat. La scelta obbligata. Col governissimo nel Pd non discutiamo più».
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 225
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La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 171
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Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
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anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
Repubblica 23.5.13
Il conflitto d’interessi
Epifani apre a Berlusconi “Non è ineleggibile” e nel Pd scoppia la fronda
“Il congresso? Rinviamolo o sarà guerra tra bande”
di Tommaso Ciriaco
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ROMA — La base, è probabile, non gradirà. Ma Guglielmo Epifani è convinto che Silvio Berlusconi sia eleggibile. (Se lo sso scelti bbono er sor Caronte gli zombie tour - ndt)
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E, soprattutto, che il Pd debba votare contro l’esclusione del Cavaliere nella giunta per le elezioni.
Perché il nodo, ricorda il segretario parlando al gruppo dem della Camera, «è già stato affrontato altre volte» e i democratici non possono che attestarsi sulle posizioni assunte già in passato.
Senza «fragilità identitarie».
Non tutti però apprezzano, a partire da Felice Casson e Stefania Pezzopane, due dei membri Pd che decideranno il destino dell’ex premier.
La linea del segretario interpreta l’anima maggioritaria tra i parlamentari.
Nonostante le proteste sul web e nonostante l’allergia dei militanti verso il ventennale avversario di Arcore.
Nicola Latorre, ad esempio, si incarica di indicare le priorità.
Fra le quali non emerge l’ineleggibilità: «È ormai acclarato che Berlusconi è il titolare di Mediaset. Ma l’attuale sistema di verifica che la legge costituzionale affida al Parlamento ha consentito in tutti questi anni di considerarlo eleggibile.
Noi esamineremo con rigore anche questa ulteriore richiesta — promette — tenendo conto della prassi fin qui seguita.
Ma è chiaro che occorre con urgenza una legge sul conflitto di interessi».
Sconsolata, Laura Puppato ammette: «Il problema di Berlusconi in Parlamento non esiste, perché lui in Parlamento non c’è mai: è un assenteista cronico».
Come se non bastasse, i democratici sono alle prese anche con una delicata vigilia congressuale.
L’ultima assemblea ha sancito con un voto che l’assise debba tenersi entro ottobre. Eppure potrebbe slittare, forse al 2014. Un cenno l’ha fatto ieri Epifani, rivolgendosi ai deputati e chiedendo di non comprimere i tempi del tesseramento. In privato, poi, il segretario è stato ancora più esplicito: «Dobbiamo affrontare un’ampia discussione politica. E solo dopo mettere in campo i nomi, perché farlo subito significherebbe innescare una guerra tra bande. Non è quello di cui il Pd ha bisogno».
Nel partito Matteo Renzi non si metterà di traverso, né Enrico Letta ha interesse a bruciare le tappe. I giovani turchi, invece, non gradiranno. Pronti con Gianni Cuperlo a tentare la scalata alla segreteria, insisteranno per rispettare gli impegni già assunti. Proprio Cuperlo mette in chiaro: «Il congresso si deve tenere al più presto. Nei circoli c’è delusione e sconcerto. Ma è assurdo aspettare che la rabbia si plachi. E comunque meglio militanti arrabbiati che abbandoni silenziosi». E anche Enzo Amendola si schiera: «Sono contrario al rinvio».
Prima di stabilire una data congressuale, comunque, il board democratico dovrà decidere se sdoppiare le figure di segretario e candidato premier.
Se i veltroniani vogliono mantenere lo schema attuale — come anche D’Alema e Renzi — i giovani turchi spingono per dividere i destini dei due ruoli chiave. Davanti ai suoi deputati anche Epifani si è speso per questa seconda tesi, mostrandosi disponibile anche a ragionare sulla possibilità di non far votare solo gli iscritti. Magari attraverso una registrazione.
In attesa della decisiva direzione di martedì, nella quale il Pd è chiamato a sciogliere il rebus della riforma elettorale, Epifani ha cercato di motivare un gruppo parlamentare ancora scosso dal complicatissimo avvio di legislatura: «Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi — ha detto — Il governo non può fare miracoli, non ha un euro, bisogna che lo dica. Il quadro economico è difficilissimo. Non siamo alla fine di un tunnel ma ad un bivio». Non è mancato neanche un richiamo tutto interno, dopo l’incidente sul provvedimento sui partiti presentato da Zanda e Finocchiaro: «Andiamo subito in crisi per qualunque pressione esterna. La vicenda di ieri al Senato è emblematica, prima di presentare i provvedimenti pensiamoci bene. Se li presentiamo, difendiamoli».
***
Repubblica 23.5.13
L’intervista
“Il segretario ha cambiato idea si vede che teme per il governo”
Civati: vittime del pasticcio in cui ci siamo cacciati
di Umberto Rosso
ROMA — Per Epifani il caso ineleggibilità di Berlusconi è stato già affrontato in passato, e quindi non è il caso di tornarci su.
E Per lei, onorevole Civati?
«Dipendesse da me, con la macchina del tempo quella decisione l’avrei presa in modo un po’ diverso».
Fuori dal Parlamento Berlusconi, in base alla legge del ‘57?
«Esattamente. Tra l’altro, il segretario del Pd ancora qualche giorno fa mi pareva dicesse cose diverse».
E cioè?
«Mah, rimandava alle decisioni dei commissari pd nella giunta per le elezioni, pur precisando che non si tratta di questione da poter risolvere con un colpo d’accetta, con un sì o con no».
Il segretario ha cambiato idea, lo trova ora troppo rinunciatario?
«Non so dire se in 48 ore è cambiato qualcosa. Capisco l’imbarazzo politico e le difficoltà. Ma il problema è che non possiamo fare le discussioni al rovescio».
Ovvero?
«Evitiamo le ipocrisie, e diciamo le cose come stanno. La verità è che non si può affrontare l’ineleggibilità di Berlusconi perché se no cade il governo Letta. Ed è così, purtroppo, quasi per tutto.
E quindi il Pd non riesce a discutere quasi di niente».
Sarà per questo che fra i democratici quasi nessuno, sinistra compresa, e a parte Zanda
che parla a titolo personale, reclama la non eleggibilità del Cavaliere?
«Anche i giovani turchi sono al governo. E siccome, come dicevo, si parte sempre dal must della sopravvivenza dell’esecutivo prima di affrontare qualunque nodo, temo che non ne usciamo. E non solo sulla ineleggibilità».
Su che altro?
«Se Berlusconi occupa il palazzo di Giustizia di Milano, che facciamo? Facciamo finta di niente perché se protestiamo cade il governo? E se lo condannano? Ci giriamo dall’altra parte per la stessa ragione?
Purtroppo siamo vittime di noi stessi».
Di cosa esattamente?
«Del pasticcio in cui ci siamo cacciati, a causa dei nostri errori, che ci ha portato al governo delle larghe intese».
Teme la spina Grillo che invece martella per cacciare Berlusconi dal Parlamento?
«Una spina più o meno, con tutte quelle che abbiamo addosso, francamente non fa differenza».
Ma, come dice Renzi, non è assurdo cavalcare ora l’ineleggibilità visto che da 20 anni gli italiani mandano regolarmente Berlusconi in Parlamento?
«L’obiezione ha un fondamento. (Nanucapione - ndt)Ma secondo me dovrebbe essere proprio l’oggetto di una discussione libera e aperta in giunta delle elezioni. Anche sul nodo più generale del conflitto di interessi, a prescindere da Berlusconi. Partiamo da qui, rimettiamo il confronto sul binari giusti. Partiamo dalla testa e non dal fondo».
Solo che la giunta non decolla.
«Guarda un po’ che strano... Ma è chiaro, se tocchi i fili il governo casca. Però io vorrei sapere: il passato è andato, ma per il futuro che fa il Pd? Una legge sul conflitto di interessi che regoli il rapporto fra affari privati e politica, e che riguardi nuovi possibili casi, la vogliamo o no?».
Ma fra crisi di governo e Berlusconi che decade, cos’è più importante?
«Ecco, appunto. L’aut aut. Il diktat. La scelta obbligata. Col governissimo nel Pd non discutiamo più».
Ultima modifica di camillobenso il 24/05/2013, 12:30, modificato 4 volte in totale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
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Come inizia una guerra civile – 226
La cruna dell’ago – 192
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Cronaca di un affondamento annunciato - 172
In mezzo alla tempesta - 109
Disegno criminale - 5
“Officine ferroviarie del Salento”, dalle commesse di Trenitalia al fallimento
Conti in ordine e in cassa milioni di euro. Ciononostante, l’Omfesa, gioiello industriale leccese e tra le aziende più importanti d’Italia nel settore della manutenzione ferroviaria, è fallita. A casa 104 operai. Ora vengono a galla le anomalie: azienda svenduta per appena 1.750 euro e corsa all’asta giudiziaria
di Tiziana Colluto
| 23 maggio 2013Commenti (6)
Da Mantova al Salento, dall’alta finanza lombarda ai piccoli interessi di bottega pugliesi. È deragliato, forse è stato fatto deragliare, su questo binario il treno degli affari di una delle tre aziende più importanti d’Italia nel settore della manutenzione ferroviaria, l’Omfesa di Trepuzzi, in provincia di Lecce. Ha prima licenziato 104 dipendenti e poi è fallita, lo scorso 22 marzo. Su questa strana disfatta, adesso, inizia ad affinare la lente d’ingrandimento la guardia di finanza di Lecce, già delegata ad indagini relative alla stessa società e riguardanti presunti mancati versamenti contributivi. L’inchiesta inizia ad allargarsi. E promette di ingrossare il fascicolo per appropriazione indebita già aperto a settembre, al momento a carico di ignoti, ma che il procuratore capo Cataldo Motta ha voluto rimanesse nelle sue mani. È alla sua porta che continuano a bussare, anche in questi giorni, gli operai rimasti senza lavoro. È a lui che si sono affidati, come fosse l’ultimo santo al quale votarsi. Il sospetto serio è che finora, sulla loro pelle, sia stata recitata una farsa.
Non è questa la solita storia di un’azienda che non ha lavoro o che ha delocalizzato all’estero. Omfesa è morta, nonostante avesse in portafoglio 27milioni di euro di commesse appaltate da Trenitalia e nonostante l’ultimo bilancio chiuso in attivo. E’ morta, sebbene tutta la rappresentanza parlamentare salentina e la Prefettura di Lecce siano scese in campo per salvarla. “Stretta creditizia”. È stata questa la spiegazione ufficiale che ha accompagnato l’apertura delle procedure concorsuali. Serviva un prestito da 1,9milioni di euro per acquistare materie prime. Dopo un primo sì, a ottobre è arrivato il dietrofront di quattro banche. E amen. La colpa è stata addossata tutta a loro. Oltre che agli stessi lavoratori, che avevano osato raccontare i propri dubbi a Motta. Una situazione kafkiana, che adesso inizia a sbattere contro le anomalie contenute nei documenti ufficiali portati alla luce. Quelli, ad esempio, relativi alla cessione delle quote societarie.
Fino alla scorsa estate, le “Officine meccaniche ferroviarie del Salento” erano in mano ai Pacchioni di Mantova, noti imprenditori del settore, proprietari della Ci.ma. Riparazioni spa, coinvolti nel processo per la strage di Viareggio, traghettatori della Banca agricola mantovana all’interno di Mps. Nel luglio 2012, hanno ceduto quasi tutte le loro quote, tranne una da 19mila euro, a chi, per dieci anni, è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda: Ennio De Leo. Commercialista, già assessore al bilancio del Comune di Lecce, esponente di punta della giunta allora guidata dall’ex senatrice Adriana Poli Bortone, coinvolto negli scandali finanziari più importanti della città, dai Boc a Via Brenta. Dopo il suo subentro nella proprietà, per Omfesa è stato il tracollo. Sul perché spetterà agli inquirenti fare luce. Ciò che è certo è un dato: 1.750 euro. E’ a questa cifra choc che i Pacchioni gli hanno ceduto quote societarie del valore di 2.353.165 euro. 345volte in più rispetto a quanto sono state acquistate. A quel prezzo stracciato, otto mesi prima della dichiarazione di fallimento, ma pochi giorni dopo l’approvazione di un bilancio perfetto, sono stati svenduti capannoni, terreni, macchinari, crediti, commesse. Il compito di De Leo sarebbe stato quello di “ponte per la vendita dell’azienda a nuovi acquirenti”.
La storia è andata in altro modo. Omfesa è morta e ha fatto ben poco per salvarsi. Decisamente troppo fragili le due proposte di concordato depositate in Tribunale. Perché? Forse una risposta l’ha data lo stesso proprietario, quando, negli ultimi giorni, ha svelato incautamente la costituzione già avvenuta, su suo impulso, di una “newco”. Questa nuova società avrebbe dovuto rilevare la parte buona dell’azienda, lasciando al commissario del Tribunale la gestione dei debiti. Nelle intenzioni, il licenziamento dei lavoratori sarebbe stato funzionale a questo: la newco li avrebbe riassunti, “godendo degli sgravi contributivi”. Non è escluso che la stessa nuova società, sempre per ammissione di De Leo, si ripresenti “per chiedere l’affitto del ramo d’azienda, per poi eventualmente rilevare, se non al primo, al secondo o terzo incanto, l’intera Omfesa”. “Un piano allucinante e spregiudicato”, secondo l’ assessore al Lavoro della Regione Puglia, Leo Caroli, che ha in mano la patata bollente della vertenza operaia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... to/603950/
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 226
La cruna dell’ago – 192
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 192
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 172
Cronaca di un affondamento annunciato - 172
In mezzo alla tempesta - 109
Disegno criminale - 5
“Officine ferroviarie del Salento”, dalle commesse di Trenitalia al fallimento
Conti in ordine e in cassa milioni di euro. Ciononostante, l’Omfesa, gioiello industriale leccese e tra le aziende più importanti d’Italia nel settore della manutenzione ferroviaria, è fallita. A casa 104 operai. Ora vengono a galla le anomalie: azienda svenduta per appena 1.750 euro e corsa all’asta giudiziaria
di Tiziana Colluto
| 23 maggio 2013Commenti (6)
Da Mantova al Salento, dall’alta finanza lombarda ai piccoli interessi di bottega pugliesi. È deragliato, forse è stato fatto deragliare, su questo binario il treno degli affari di una delle tre aziende più importanti d’Italia nel settore della manutenzione ferroviaria, l’Omfesa di Trepuzzi, in provincia di Lecce. Ha prima licenziato 104 dipendenti e poi è fallita, lo scorso 22 marzo. Su questa strana disfatta, adesso, inizia ad affinare la lente d’ingrandimento la guardia di finanza di Lecce, già delegata ad indagini relative alla stessa società e riguardanti presunti mancati versamenti contributivi. L’inchiesta inizia ad allargarsi. E promette di ingrossare il fascicolo per appropriazione indebita già aperto a settembre, al momento a carico di ignoti, ma che il procuratore capo Cataldo Motta ha voluto rimanesse nelle sue mani. È alla sua porta che continuano a bussare, anche in questi giorni, gli operai rimasti senza lavoro. È a lui che si sono affidati, come fosse l’ultimo santo al quale votarsi. Il sospetto serio è che finora, sulla loro pelle, sia stata recitata una farsa.
Non è questa la solita storia di un’azienda che non ha lavoro o che ha delocalizzato all’estero. Omfesa è morta, nonostante avesse in portafoglio 27milioni di euro di commesse appaltate da Trenitalia e nonostante l’ultimo bilancio chiuso in attivo. E’ morta, sebbene tutta la rappresentanza parlamentare salentina e la Prefettura di Lecce siano scese in campo per salvarla. “Stretta creditizia”. È stata questa la spiegazione ufficiale che ha accompagnato l’apertura delle procedure concorsuali. Serviva un prestito da 1,9milioni di euro per acquistare materie prime. Dopo un primo sì, a ottobre è arrivato il dietrofront di quattro banche. E amen. La colpa è stata addossata tutta a loro. Oltre che agli stessi lavoratori, che avevano osato raccontare i propri dubbi a Motta. Una situazione kafkiana, che adesso inizia a sbattere contro le anomalie contenute nei documenti ufficiali portati alla luce. Quelli, ad esempio, relativi alla cessione delle quote societarie.
Fino alla scorsa estate, le “Officine meccaniche ferroviarie del Salento” erano in mano ai Pacchioni di Mantova, noti imprenditori del settore, proprietari della Ci.ma. Riparazioni spa, coinvolti nel processo per la strage di Viareggio, traghettatori della Banca agricola mantovana all’interno di Mps. Nel luglio 2012, hanno ceduto quasi tutte le loro quote, tranne una da 19mila euro, a chi, per dieci anni, è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda: Ennio De Leo. Commercialista, già assessore al bilancio del Comune di Lecce, esponente di punta della giunta allora guidata dall’ex senatrice Adriana Poli Bortone, coinvolto negli scandali finanziari più importanti della città, dai Boc a Via Brenta. Dopo il suo subentro nella proprietà, per Omfesa è stato il tracollo. Sul perché spetterà agli inquirenti fare luce. Ciò che è certo è un dato: 1.750 euro. E’ a questa cifra choc che i Pacchioni gli hanno ceduto quote societarie del valore di 2.353.165 euro. 345volte in più rispetto a quanto sono state acquistate. A quel prezzo stracciato, otto mesi prima della dichiarazione di fallimento, ma pochi giorni dopo l’approvazione di un bilancio perfetto, sono stati svenduti capannoni, terreni, macchinari, crediti, commesse. Il compito di De Leo sarebbe stato quello di “ponte per la vendita dell’azienda a nuovi acquirenti”.
La storia è andata in altro modo. Omfesa è morta e ha fatto ben poco per salvarsi. Decisamente troppo fragili le due proposte di concordato depositate in Tribunale. Perché? Forse una risposta l’ha data lo stesso proprietario, quando, negli ultimi giorni, ha svelato incautamente la costituzione già avvenuta, su suo impulso, di una “newco”. Questa nuova società avrebbe dovuto rilevare la parte buona dell’azienda, lasciando al commissario del Tribunale la gestione dei debiti. Nelle intenzioni, il licenziamento dei lavoratori sarebbe stato funzionale a questo: la newco li avrebbe riassunti, “godendo degli sgravi contributivi”. Non è escluso che la stessa nuova società, sempre per ammissione di De Leo, si ripresenti “per chiedere l’affitto del ramo d’azienda, per poi eventualmente rilevare, se non al primo, al secondo o terzo incanto, l’intera Omfesa”. “Un piano allucinante e spregiudicato”, secondo l’ assessore al Lavoro della Regione Puglia, Leo Caroli, che ha in mano la patata bollente della vertenza operaia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... to/603950/
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 227
La cruna dell’ago – 193
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 193
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 173
Cronaca di un affondamento annunciato - 173
In mezzo alla tempesta - 110
Cari defunti - 3
Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
Ineleggibilità: l’imbarazzo avvelena il Pd (Federica Geremicca)
24/05/2013 di triskel182
Un coro. Con qualche voce dissonante, certo, e qualche tono più basso, più imbarazzato di altri.
Ma se si dovesse fotografare la reazione della cittadella politica romana alle motivazioni con le quali la Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere ed a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, quella del coro è un’immagine che regge a sufficienza.
Il coro recita: per questa sentenza, nessuna ripercussione sul governo. Il Pdl lo annuncia senza tentennamenti; il Pd, invece, se lo augura. E in tutta evidenza, c’è qualcosa che non torna.
Non sorprende, naturalmente – un po’ perché non nuova, un po’ perché politicamente comprensibile – la posizione del partito di Berlusconi, da sempre schierato in difesa del proprio leader e in campo (fin dal 1994) contro la magistratura milanese, accusata di voler – né più né meno – liquidare il Cavaliere.
Diverso, invece, il discorso per quel che riguarda il Pd che – da quando ha assunto la guida del governo con Enrico Letta pare improntare la propria azione ad un «realismo» che – dall’Imu al «porcellinum» fino, appunto, alle vicende giudiziarie del leader del Pdl – rischia di apparire sempre meno comprensibile (e condivisibile) dall’elettorato democratico.
Nelle motivazioni di conferma della condanna di primo grado, infatti, i giudici milanesi scrivono – a proposito della frode fiscale nella vicenda dei diritti televisivi che Berlusconi avrebbe creato «un sistema portato avanti per molti anni… e proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice»: cioè da Presidente del Consiglio.
In queste affermazioni si può ravvisare la conferma di due questioni sulle quali il centrosinistra ha per anni – con più o meno forza – molto polemizzato e attaccato Berlusconi: e cioè il suo essere, una volta al governo, quasi inevitabilmente in perenne conflitto di interessi; e la conferma del fatto che, al di là di escamotage societari, in realtà è lui il titolare di concessioni governative che lo renderebbero – per legge – ineleggibile.
Stando così le cose, ci si sarebbe attesi dopo quanto scritto dai giudici della Corte d’Appello di Milano – la riproposizione delle tesi fin qui sostenute: invece, molti silenzi e qualche dichiarazione tesa a sdrammatizzare ed a preservare la vita e la tenuta del governo.
È una posizione che rivela, naturalmente, un palpabile imbarazzo: e che, soprattutto, espone il Pd a nuove fibrillazioni sia nel rapporto con il proprio elettorato, sia nella dialettica con le altre forze politiche, Movimento Cinque Stelle in testa a tutti.
È noto, infatti, che appena la Giunta per le elezioni sarà finalmente nella sua piena operatività, i parlamentari di Beppe Grillo chiederanno di discutere e decidere sulla presunta ineleggibilità di Silvio Berlusconi.
Come si regolerà, il Pd, anche alla luce delle motivazioni dei giudici milanesi? È senz’altro vero, infatti, che è meglio – e democraticamente più normale – sconfiggere l’avversario politico nelle urne, piuttosto che per questo o quel cavillo giudiziario.
Ma è anche vero che, come si dice, la legge è uguale per tutti: e si può arrivare al punto di transigere su questo principio in nome dell’alleanza di governo stipulata e di qualche mese di sopravvivenza in più?
Alle prese con divisioni interne sempre più insanabili e con un Congresso da avviare, è facile immaginare per il Partito democratico settimane non facili. Il problema, in apparenza semplice, sarebbe quello di darsi una rotta e seguirla con la necessaria coerenza.
Ma darsi una rotta è difficile, quando a bordo ognuno rema in direzione diversa.
Del resto, fosse stato facile decidere una linea su Berlusconi e poi seguirla, probabilmente si sarebbe già fatta – e da anni – una legge sensata sul conflitto di interessi.
Col risultato di evitare al partito gli imbarazzi di oggi: e al Paese, quel che più conta, un clima di guerriglia del quale tra non molto festeggeremo addirittura il secondo decennio…
Da La Stampa del 24/05/2013.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 227
La cruna dell’ago – 193
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 193
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 173
Cronaca di un affondamento annunciato - 173
In mezzo alla tempesta - 110
Cari defunti - 3
Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
Ineleggibilità: l’imbarazzo avvelena il Pd (Federica Geremicca)
24/05/2013 di triskel182
Un coro. Con qualche voce dissonante, certo, e qualche tono più basso, più imbarazzato di altri.
Ma se si dovesse fotografare la reazione della cittadella politica romana alle motivazioni con le quali la Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere ed a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, quella del coro è un’immagine che regge a sufficienza.
Il coro recita: per questa sentenza, nessuna ripercussione sul governo. Il Pdl lo annuncia senza tentennamenti; il Pd, invece, se lo augura. E in tutta evidenza, c’è qualcosa che non torna.
Non sorprende, naturalmente – un po’ perché non nuova, un po’ perché politicamente comprensibile – la posizione del partito di Berlusconi, da sempre schierato in difesa del proprio leader e in campo (fin dal 1994) contro la magistratura milanese, accusata di voler – né più né meno – liquidare il Cavaliere.
Diverso, invece, il discorso per quel che riguarda il Pd che – da quando ha assunto la guida del governo con Enrico Letta pare improntare la propria azione ad un «realismo» che – dall’Imu al «porcellinum» fino, appunto, alle vicende giudiziarie del leader del Pdl – rischia di apparire sempre meno comprensibile (e condivisibile) dall’elettorato democratico.
Nelle motivazioni di conferma della condanna di primo grado, infatti, i giudici milanesi scrivono – a proposito della frode fiscale nella vicenda dei diritti televisivi che Berlusconi avrebbe creato «un sistema portato avanti per molti anni… e proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice»: cioè da Presidente del Consiglio.
In queste affermazioni si può ravvisare la conferma di due questioni sulle quali il centrosinistra ha per anni – con più o meno forza – molto polemizzato e attaccato Berlusconi: e cioè il suo essere, una volta al governo, quasi inevitabilmente in perenne conflitto di interessi; e la conferma del fatto che, al di là di escamotage societari, in realtà è lui il titolare di concessioni governative che lo renderebbero – per legge – ineleggibile.
Stando così le cose, ci si sarebbe attesi dopo quanto scritto dai giudici della Corte d’Appello di Milano – la riproposizione delle tesi fin qui sostenute: invece, molti silenzi e qualche dichiarazione tesa a sdrammatizzare ed a preservare la vita e la tenuta del governo.
È una posizione che rivela, naturalmente, un palpabile imbarazzo: e che, soprattutto, espone il Pd a nuove fibrillazioni sia nel rapporto con il proprio elettorato, sia nella dialettica con le altre forze politiche, Movimento Cinque Stelle in testa a tutti.
È noto, infatti, che appena la Giunta per le elezioni sarà finalmente nella sua piena operatività, i parlamentari di Beppe Grillo chiederanno di discutere e decidere sulla presunta ineleggibilità di Silvio Berlusconi.
Come si regolerà, il Pd, anche alla luce delle motivazioni dei giudici milanesi? È senz’altro vero, infatti, che è meglio – e democraticamente più normale – sconfiggere l’avversario politico nelle urne, piuttosto che per questo o quel cavillo giudiziario.
Ma è anche vero che, come si dice, la legge è uguale per tutti: e si può arrivare al punto di transigere su questo principio in nome dell’alleanza di governo stipulata e di qualche mese di sopravvivenza in più?
Alle prese con divisioni interne sempre più insanabili e con un Congresso da avviare, è facile immaginare per il Partito democratico settimane non facili. Il problema, in apparenza semplice, sarebbe quello di darsi una rotta e seguirla con la necessaria coerenza.
Ma darsi una rotta è difficile, quando a bordo ognuno rema in direzione diversa.
Del resto, fosse stato facile decidere una linea su Berlusconi e poi seguirla, probabilmente si sarebbe già fatta – e da anni – una legge sensata sul conflitto di interessi.
Col risultato di evitare al partito gli imbarazzi di oggi: e al Paese, quel che più conta, un clima di guerriglia del quale tra non molto festeggeremo addirittura il secondo decennio…
Da La Stampa del 24/05/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 228
La cruna dell’ago – 194
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 194
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 174
Cronaca di un affondamento annunciato - 174
In mezzo alla tempesta - 111
Il buio oltre la siepe - 18
Modesta proposta per la crisi
di Pierfranco Pellizzetti
| 24 maggio 2013Commenti (28)
Precettando la compagine ministeriale nella clausura monastica dell’abbazia Vallombrosiana di Sartiano, lo spelacchiato chierichetto Enrico Letta confidava – dato il luogo – in un’illuminazione dello Spirito Santo per accendere la lampadina; ossia la manna di qualche ricetta d’uscita dalla crisi in avvitamento verticale che affligge inesorabilmente il Bel Paese, fino a soffocarlo.
Purtroppo pare che l’austerity sia arrivata anche lassù, tanto che ormai perfino in cielo si preferisce risparmiare sulla bolletta dell’Enel lasciando al buio il povero premier devoto e la sua banda. Sicché – non sapendo i nostri eroi a che santi votarsi in materia di innovazione politica – divenne conseguentemente inevitabile cercare ispirazione in collaudate ricette del passato; e magari riportarle a nuovo.
Tra le varie ipotesi prese in esame, molto apprezzata – in particolare dai ministri economici – fu il remake della veneranda “Modesta proposta” di Jonathan Swift, che risale al 1729; inizialmente studiata per il “caso Irlanda”, ma facilmente applicabile anche in ambito nazionale. Come sottolineato da Michele Boldrin e dagli altri mercatisti di Noise from AmeriKa, in sostanza, tale proposta consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Quindi i figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione. Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione.
A fronte dell’approvazione entusiastica da parte della ministro di Grazia e Giustizia Pantagruel Cancellieri (nota buongustaia, che già si prefigurava delizie gastronomiche sull’iberico, tipo cochinillo asado), nella sua qualità di responsabile degli Interni il vice premier Ascarino Alfano – pur esprimendo apprezzamento per lo spirito non divisivo insito nella proposta – avanzava qualche timore in materia di gestione dell’ordine pubblico nell’istituendo emporio nazionale delle carni.
A questo punto risultò decisivo il lodo di Nosferatu Quagliariello, quale responsabile del dicastero delle Riforme Costituzionali e soprattutto in quanto fervente propugnatore delle politiche della vita (come ebbe modo di manifestare, senza ipocriti infingimenti e contraendo meriti indelebili a futura memoria ministeriale, quando accolse al grido di “assassino” la notizia della pietosa eutanasia di una ragazza ridotta a stato vegetale da decenni, Eluana Englaro). Infatti l’ex pannelliano trasmutato in papista, mise subito a frutto una certa francofonia appresa dall’antico maestro allo scopo di individuare un’uscita di sicurezza dall’impasse: la soluzione era contenuta in un importante contributo, risalente agli anni Sessanta, della celebre rivista accademica di sociologia economica e politiche pubbliche “Canard enchainé”. Infatti la testata d’oltralpe, creata nel1915 da Maurice Maréchal, a quell’epoca aveva ospitato un approfondito dibattito sull’attualizzazione del paradigma Swift, conclusosi con il colpo di genio di un antropologo centroafricano che avrebbe fatto anche una certa carriera politica, Jean-Bédel Bokassa.
Una vera quadra: il problema si risolveva macellando soltanto la metà degli affamati, con cui sfamare la restante metà. Indubbiamente una scelta molto più umanitaria e risparmiosa di quella propugnata dallo studioso settecentesco. A quel punto la soddisfazione dell’aver messo a punto efficaci soluzioni alla crescente miseria italica senza arrecare il minimo disturbo a plutocrati e banchieri, nella consapevolezza di aver favorito il blocco sociale degli abbienti nemici del populismo (e del popolo in generale) con cui Berlusconi si avvia a vincere a man bassa le prossime elezioni, dimostrò che era stato centrato l’obiettivo di “fare spogliatoio”, con cui si era partiti alla volta del monastero di Sartiano.
L’ottimismo si diffuse in maniera incontenibile. Peccato non ne fosse stato informato l’ennesimo disoccupato che nel frattempo si era dato fuoco per la disperazione.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... si/604478/
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 228
La cruna dell’ago – 194
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La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 174
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In mezzo alla tempesta - 111
Il buio oltre la siepe - 18
Modesta proposta per la crisi
di Pierfranco Pellizzetti
| 24 maggio 2013Commenti (28)
Precettando la compagine ministeriale nella clausura monastica dell’abbazia Vallombrosiana di Sartiano, lo spelacchiato chierichetto Enrico Letta confidava – dato il luogo – in un’illuminazione dello Spirito Santo per accendere la lampadina; ossia la manna di qualche ricetta d’uscita dalla crisi in avvitamento verticale che affligge inesorabilmente il Bel Paese, fino a soffocarlo.
Purtroppo pare che l’austerity sia arrivata anche lassù, tanto che ormai perfino in cielo si preferisce risparmiare sulla bolletta dell’Enel lasciando al buio il povero premier devoto e la sua banda. Sicché – non sapendo i nostri eroi a che santi votarsi in materia di innovazione politica – divenne conseguentemente inevitabile cercare ispirazione in collaudate ricette del passato; e magari riportarle a nuovo.
Tra le varie ipotesi prese in esame, molto apprezzata – in particolare dai ministri economici – fu il remake della veneranda “Modesta proposta” di Jonathan Swift, che risale al 1729; inizialmente studiata per il “caso Irlanda”, ma facilmente applicabile anche in ambito nazionale. Come sottolineato da Michele Boldrin e dagli altri mercatisti di Noise from AmeriKa, in sostanza, tale proposta consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Quindi i figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione. Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione.
A fronte dell’approvazione entusiastica da parte della ministro di Grazia e Giustizia Pantagruel Cancellieri (nota buongustaia, che già si prefigurava delizie gastronomiche sull’iberico, tipo cochinillo asado), nella sua qualità di responsabile degli Interni il vice premier Ascarino Alfano – pur esprimendo apprezzamento per lo spirito non divisivo insito nella proposta – avanzava qualche timore in materia di gestione dell’ordine pubblico nell’istituendo emporio nazionale delle carni.
A questo punto risultò decisivo il lodo di Nosferatu Quagliariello, quale responsabile del dicastero delle Riforme Costituzionali e soprattutto in quanto fervente propugnatore delle politiche della vita (come ebbe modo di manifestare, senza ipocriti infingimenti e contraendo meriti indelebili a futura memoria ministeriale, quando accolse al grido di “assassino” la notizia della pietosa eutanasia di una ragazza ridotta a stato vegetale da decenni, Eluana Englaro). Infatti l’ex pannelliano trasmutato in papista, mise subito a frutto una certa francofonia appresa dall’antico maestro allo scopo di individuare un’uscita di sicurezza dall’impasse: la soluzione era contenuta in un importante contributo, risalente agli anni Sessanta, della celebre rivista accademica di sociologia economica e politiche pubbliche “Canard enchainé”. Infatti la testata d’oltralpe, creata nel1915 da Maurice Maréchal, a quell’epoca aveva ospitato un approfondito dibattito sull’attualizzazione del paradigma Swift, conclusosi con il colpo di genio di un antropologo centroafricano che avrebbe fatto anche una certa carriera politica, Jean-Bédel Bokassa.
Una vera quadra: il problema si risolveva macellando soltanto la metà degli affamati, con cui sfamare la restante metà. Indubbiamente una scelta molto più umanitaria e risparmiosa di quella propugnata dallo studioso settecentesco. A quel punto la soddisfazione dell’aver messo a punto efficaci soluzioni alla crescente miseria italica senza arrecare il minimo disturbo a plutocrati e banchieri, nella consapevolezza di aver favorito il blocco sociale degli abbienti nemici del populismo (e del popolo in generale) con cui Berlusconi si avvia a vincere a man bassa le prossime elezioni, dimostrò che era stato centrato l’obiettivo di “fare spogliatoio”, con cui si era partiti alla volta del monastero di Sartiano.
L’ottimismo si diffuse in maniera incontenibile. Peccato non ne fosse stato informato l’ennesimo disoccupato che nel frattempo si era dato fuoco per la disperazione.
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 228
La cruna dell’ago – 194
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La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 174
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Il buio oltre la siepe - 18
Modesta proposta per la crisi
di Pierfranco Pellizzetti
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Precettando la compagine ministeriale nella clausura monastica dell’abbazia Vallombrosiana di Sartiano, lo spelacchiato chierichetto Enrico Letta confidava – dato il luogo – in un’illuminazione dello Spirito Santo per accendere la lampadina; ossia la manna di qualche ricetta d’uscita dalla crisi in avvitamento verticale che affligge inesorabilmente il Bel Paese, fino a soffocarlo.
Purtroppo pare che l’austerity sia arrivata anche lassù, tanto che ormai perfino in cielo si preferisce risparmiare sulla bolletta dell’Enel lasciando al buio il povero premier devoto e la sua banda. Sicché – non sapendo i nostri eroi a che santi votarsi in materia di innovazione politica – divenne conseguentemente inevitabile cercare ispirazione in collaudate ricette del passato; e magari riportarle a nuovo.
Tra le varie ipotesi prese in esame, molto apprezzata – in particolare dai ministri economici – fu il remake della veneranda “Modesta proposta” di Jonathan Swift, che risale al 1729; inizialmente studiata per il “caso Irlanda”, ma facilmente applicabile anche in ambito nazionale. Come sottolineato da Michele Boldrin e dagli altri mercatisti di Noise from AmeriKa, in sostanza, tale proposta consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Quindi i figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione. Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione.
A fronte dell’approvazione entusiastica da parte della ministro di Grazia e Giustizia Pantagruel Cancellieri (nota buongustaia, che già si prefigurava delizie gastronomiche sull’iberico, tipo cochinillo asado), nella sua qualità di responsabile degli Interni il vice premier Ascarino Alfano – pur esprimendo apprezzamento per lo spirito non divisivo insito nella proposta – avanzava qualche timore in materia di gestione dell’ordine pubblico nell’istituendo emporio nazionale delle carni.
A questo punto risultò decisivo il lodo di Nosferatu Quagliariello, quale responsabile del dicastero delle Riforme Costituzionali e soprattutto in quanto fervente propugnatore delle politiche della vita (come ebbe modo di manifestare, senza ipocriti infingimenti e contraendo meriti indelebili a futura memoria ministeriale, quando accolse al grido di “assassino” la notizia della pietosa eutanasia di una ragazza ridotta a stato vegetale da decenni, Eluana Englaro). Infatti l’ex pannelliano trasmutato in papista, mise subito a frutto una certa francofonia appresa dall’antico maestro allo scopo di individuare un’uscita di sicurezza dall’impasse: la soluzione era contenuta in un importante contributo, risalente agli anni Sessanta, della celebre rivista accademica di sociologia economica e politiche pubbliche “Canard enchainé”. Infatti la testata d’oltralpe, creata nel1915 da Maurice Maréchal, a quell’epoca aveva ospitato un approfondito dibattito sull’attualizzazione del paradigma Swift, conclusosi con il colpo di genio di un antropologo centroafricano che avrebbe fatto anche una certa carriera politica, Jean-Bédel Bokassa.
Una vera quadra: il problema si risolveva macellando soltanto la metà degli affamati, con cui sfamare la restante metà. Indubbiamente una scelta molto più umanitaria e risparmiosa di quella propugnata dallo studioso settecentesco. A quel punto la soddisfazione dell’aver messo a punto efficaci soluzioni alla crescente miseria italica senza arrecare il minimo disturbo a plutocrati e banchieri, nella consapevolezza di aver favorito il blocco sociale degli abbienti nemici del populismo (e del popolo in generale) con cui Berlusconi si avvia a vincere a man bassa le prossime elezioni, dimostrò che era stato centrato l’obiettivo di “fare spogliatoio”, con cui si era partiti alla volta del monastero di Sartiano.
L’ottimismo si diffuse in maniera incontenibile. Peccato non ne fosse stato informato l’ennesimo disoccupato che nel frattempo si era dato fuoco per la disperazione.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... si/604478/
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 228
La cruna dell’ago – 194
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 194
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 174
Cronaca di un affondamento annunciato - 174
In mezzo alla tempesta - 111
Il buio oltre la siepe - 18
Modesta proposta per la crisi
di Pierfranco Pellizzetti
| 24 maggio 2013Commenti (28)
Precettando la compagine ministeriale nella clausura monastica dell’abbazia Vallombrosiana di Sartiano, lo spelacchiato chierichetto Enrico Letta confidava – dato il luogo – in un’illuminazione dello Spirito Santo per accendere la lampadina; ossia la manna di qualche ricetta d’uscita dalla crisi in avvitamento verticale che affligge inesorabilmente il Bel Paese, fino a soffocarlo.
Purtroppo pare che l’austerity sia arrivata anche lassù, tanto che ormai perfino in cielo si preferisce risparmiare sulla bolletta dell’Enel lasciando al buio il povero premier devoto e la sua banda. Sicché – non sapendo i nostri eroi a che santi votarsi in materia di innovazione politica – divenne conseguentemente inevitabile cercare ispirazione in collaudate ricette del passato; e magari riportarle a nuovo.
Tra le varie ipotesi prese in esame, molto apprezzata – in particolare dai ministri economici – fu il remake della veneranda “Modesta proposta” di Jonathan Swift, che risale al 1729; inizialmente studiata per il “caso Irlanda”, ma facilmente applicabile anche in ambito nazionale. Come sottolineato da Michele Boldrin e dagli altri mercatisti di Noise from AmeriKa, in sostanza, tale proposta consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Quindi i figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione. Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione.
A fronte dell’approvazione entusiastica da parte della ministro di Grazia e Giustizia Pantagruel Cancellieri (nota buongustaia, che già si prefigurava delizie gastronomiche sull’iberico, tipo cochinillo asado), nella sua qualità di responsabile degli Interni il vice premier Ascarino Alfano – pur esprimendo apprezzamento per lo spirito non divisivo insito nella proposta – avanzava qualche timore in materia di gestione dell’ordine pubblico nell’istituendo emporio nazionale delle carni.
A questo punto risultò decisivo il lodo di Nosferatu Quagliariello, quale responsabile del dicastero delle Riforme Costituzionali e soprattutto in quanto fervente propugnatore delle politiche della vita (come ebbe modo di manifestare, senza ipocriti infingimenti e contraendo meriti indelebili a futura memoria ministeriale, quando accolse al grido di “assassino” la notizia della pietosa eutanasia di una ragazza ridotta a stato vegetale da decenni, Eluana Englaro). Infatti l’ex pannelliano trasmutato in papista, mise subito a frutto una certa francofonia appresa dall’antico maestro allo scopo di individuare un’uscita di sicurezza dall’impasse: la soluzione era contenuta in un importante contributo, risalente agli anni Sessanta, della celebre rivista accademica di sociologia economica e politiche pubbliche “Canard enchainé”. Infatti la testata d’oltralpe, creata nel1915 da Maurice Maréchal, a quell’epoca aveva ospitato un approfondito dibattito sull’attualizzazione del paradigma Swift, conclusosi con il colpo di genio di un antropologo centroafricano che avrebbe fatto anche una certa carriera politica, Jean-Bédel Bokassa.
Una vera quadra: il problema si risolveva macellando soltanto la metà degli affamati, con cui sfamare la restante metà. Indubbiamente una scelta molto più umanitaria e risparmiosa di quella propugnata dallo studioso settecentesco. A quel punto la soddisfazione dell’aver messo a punto efficaci soluzioni alla crescente miseria italica senza arrecare il minimo disturbo a plutocrati e banchieri, nella consapevolezza di aver favorito il blocco sociale degli abbienti nemici del populismo (e del popolo in generale) con cui Berlusconi si avvia a vincere a man bassa le prossime elezioni, dimostrò che era stato centrato l’obiettivo di “fare spogliatoio”, con cui si era partiti alla volta del monastero di Sartiano.
L’ottimismo si diffuse in maniera incontenibile. Peccato non ne fosse stato informato l’ennesimo disoccupato che nel frattempo si era dato fuoco per la disperazione.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Nelle vostre città si vota per le comunali?
A Roma penso che voterò per Medici, per il secondo turno potrei anche sostenere Marino. Forse. Comunque non voterò Pd, non questo Pd alleato di quelli là
A Roma penso che voterò per Medici, per il secondo turno potrei anche sostenere Marino. Forse. Comunque non voterò Pd, non questo Pd alleato di quelli là
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 229
La cruna dell’ago – 195
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 195
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 175
Cronaca di un affondamento annunciato - 175
In mezzo alla tempesta - 112
Il buio oltre la siepe - 19
SUPER INCIUCIO DI SOLDI&FAVORI
(Antonio Massari, Giorgio Meletti e Davide Vecchi).
25/05/2013 di triskel182
RESTA CU 'MME - DOMENICO MODUGNO
Resta cu' mme
pe' carità
stattè cu' mme
nun me lassà
famme penà,
famme 'mpazzi'
famme dannà,
ma dimme si
moro pe' tte'....
vive pe' tte...
....
vita 'dda vita mia
nun 'me 'mporta do passato
nun 'me 'mporta e chi t'ha avuto
resta cu'... mme...
cu... 'mme
http://www.youtube.com/watch?v=FaXBPc82H1w
****
TE VOGLIO BENE ASSAJE - RENZO ARBORE - ORCHESTRA ITALIANA
Io te voglio bene assaje...
e tu nun pienze a me!
http://www.youtube.com/watch?v=eSjrCOiiJMQ
ALL’ORIGINE DELLE LARGHE INTESE SUL GOVERNO LETTA C’È LA PIÙ LARGA DELLE INTESE TRA PD E PDL FONDATA SU DUE REGOLE: “TUTTI SANNO TUTTO DI TUTTI” E “CANE NON MORDE CANE” INCROCI PERICOLOSI DALL’ILVA AL MONTE PASCHI, DAL CASO PENATI ALLE ESCORT IN PUGLIA.
Sono i silenzi che colpiscono. Il 2013 si è aperto con una campagna elettorale preceduta e accompagnata da una raffica di scandali. Mentre più di un osservatore si spingeva a valutare la nuova stagione del malaffare ancora più grave di quella di Tangentopoli (1992-1994), l’argomento è stato cancellato dal dibattito politico tra le forze nominalmente contrapposte che si sono poi riunite sotto la cupola del governo Letta. E anche dopo le elezioni si è visto il Pd inchinarsi disciplinatamente all’elezione del pluriindagato Roberto Formigoni alla presidenza della commissione agricoltura del Senato. E del resto, se nei lunghi mesi di agonia della giunta regionale lombarda distrutta dagli scandali l’opposizione di centrosinistra non ha mai affondato il colpo, come dimenticare che da parte sua il centrodestra nordista ha sempre accompagnato con signorile distacco le disavventure giudiziarie dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati? Distrazioni, afasie, minimizzazioni e garantismi pelosi trovano un comune punto di caduta. Nelle grandi storie (giudiziarie e non) all’incrocio tra politica e affari i big di Pd e Pdl si ritrovano sempre fianco a fianco. Che sia complicità o semplice buon vicinato, l’effetto non cambia: tutti sanno tutto di tutti e cane non morde cane.
I PATTI D’ACCIAIO SU TARANTO INQUINATA
Anche gli ultimi eclatanti sviluppi dell’inchiesta di Taranto sul gruppo Riva-Ilva sono caduti nel silenzio. Nessun esponente politico della larga maggioranza di governo sembra avere niente da dire. Guardiamo l’antefatto. Emilio Riva, 86 anni, è antico e buon amico di Silvio Berlusconi. Nel 1994 è il primo governo del centrodestra, nei suoi soli sette mesi di vita, a spianargli la strada verso la conquista dell’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria europea svenduta dall’Iri per 1649 miliardi di lire, meno degli utili del primo anno di gestione Riva (oltre 1800 miliardi). Ai Riva piace Forza Italia, che finanziano negli anni 2003-2004 con 330 mila euro. Anche Pier Luigi Bersani piace ai siderurgici: nel 2004 la Federacciai (la Confindustria del settore) lo finanzia con 20 mila euro, nel 2006, alla vigilia della sua seconda incoronazione a ministro dell’Industria, gli dà altri 50 mila euro. Nel 2008 la Federacciai versa a Bersani altri 40 mila euro. Nella campagna elettorale del 2006 sono scesi in campo anche i Riva: mano al portafoglio e 98 mila euro per Bersani. Due anni dopo, quando Berlusconi invoca i “patrioti” per salvare l’Alitalia, Riva risponde prontamente, e investe 120 milioni nella nuova Cai di Roberto Colaninno. Dai loro luoghi di detenzione più o meno domicialiari Riva e i suoi figli si sono sbracciati in questi mesi a minacciare querele a chiunque insinuasse che in cambio della partecipazione al salvataggio dell’Alitalia “italiana” l’Ilva abbia ottenuto un occhio benevolo del ministero dell’Ambiente retto da Stefania Prestigiacomo (2008-2001) per l’Autorizzazione integrata ambientale che le ha permesso di inquinare spensieratamente fino all’estate del 2012. Buoni rapporti a destra, buoni rapporti a sinistra, un modo tutto sommato classico di vivere bene in Italia. Quando l’emergenza ambientale comincia a farsi veramente calda, a luglio del 2012, Riva cede la presidenza dell’Ilva di Taranto al prefetto Bruno Ferrante, già candidato del centrosinistra a sindaco di Milano nel 2006. Quando il deputato ambientalista del Pd Roberto Della Seta dà fastidio con la sua attività parlamentare, Riva scrive una lettera a Bersani per chiedergli un intervento. Bersani non se ne dà per inteso, ma è un fatto che alle elezioni dello scorso febbraio nelle liste del Pd non si è trovato posto per Della Seta. Nel frattempo l’inchiesta giudiziaria rivela che il deputato Pd di Taranto Ludo-vico Vico discuteva al telefono con il capo delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà, poi arrestato, come “far buttare il sangue” a Della Seta. In tanta armonia l’unico disturbo è la magistratura, che certe volte non rinuncia a fare il suo dovere. Toghe rosse? Il primo politico arrestato per il caso Ilva è stato, a novembre scorso, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva, del Pd. Il 15 maggio scorso è stato arrestato nuovamente insieme al presidente della Provincia di Taranto, un altro Pd, Gianni Florido. Quest’ultimo ha alle spalle una vita da dirigente sindacale della Cisl di Taranto, iniziata proprio dal settore metalmeccanico. Partiti di destra, di centro, di sinistra, sindacati. Tutti dentro fino al collo, per questo nessuno fiata.
DALLE COOP A PONZELLINI TUTTI I TIFOSI DI SESTOGRAD
Luca Ronconi scelse Sesto San Giovanni per mettere in scena lo spettacolo “Il silenzio dei comunisti”. Mai location fu più azzeccata. Su quanto accaduto nell’ex Stalingrado d’Italia, travolta dallo scandalo del compagno Filippo Penati, non una voce s’è alzata. Da sinistra. Ma neanche da destra. Solo la classica “fiducia nella magistratura”. Le maglie dell’inchiesta ribattezzata “sistema Sesto”, del resto, hanno avvolto tutti. I filoni sono diversi. Come i livelli di coinvolgimento. Nel processo a carico dell’ex capo della segreteria politica di Bersani, oltre all’acquisto delle quote dell’autostrada Milano-Serravalle, ci sono le presunte tangenti per l’acquisto dell’area Falck e il finanziamento illecito attraverso la sua fondazione Fare Metropoli. Nella prima si va dalle coop rosse agli uomini di Berlusconi. Uno in particolare: Mario Resca, ex direttore generale del ministero dei Beni culturali ai tempi di Sandro Bondi, consigliere dell’Eni, designato dal governo guidato dall’amico Silvio, e della Mondadori del gruppo Fininvest. Resca compra anche una quota del 5 per cento della holding che possiede la Sesto Immobiliare, di cui è vicepresidente. La società guidata da Davide Bizzi nel 2010 compra i terreni al centro dell’inchiesta penale sulle mazzette a Penati, e affida a Massimo Cavrini i poteri per “la gestione di tutti i rapporti con l’amministrazione” comunale. Cavrini è un manager coop. Lavora per il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, una delle aziende più importanti della Legacoop. A sinistra dunque le coop, a destra la copertura è assicurata da Berlusconi. Quando nel luglio 2011 i giornali resero nota l’indagine a carico di Penati, l’ex sindaco di Sesto e presidente della Provincia di Milano era seduto comodo nel Consiglio regionale della Lombardia e furono pochi “ribelli” del Pd a chiederne le dimissioni. Il Pdl gli dimostrò piena solidarietà. Del resto, il “leghista di sinistra”, era simpatico a molti. Tanto da sfiorare la vittoria sul Celeste Formigoni, superandolo nei risultati a Milano. Pochi mesi dopo il Fatto rese nota l’esistenza della fondazione Fare Metropoli, creata da Penati per finanziare le sue campagne elettorali e foraggiata da amici noti di sinistra e altri, insospettabilmente interessati al successo politico di Penati, di destra. Come Massimo Ponzellini, indagato per finanziamento illecito. L’ex presidente della Banca Popolare di Milano, poi arrestato, con una mano dava all’ex sindaco di Sesto e con l’altra aiutava, sempre attraverso la banca, gli amici del Pdl, da Ignazio La Russa a Daniela Santanchè, da Paolo Berlusconi a Michela Vittoria Brambilla. Oltre a Ponzellini, Fare Metropoli poteva contare su un altro banchiere: Enrico Corali, alla guida della Banca di Legnano e membro del cda di Expo 2015 come rappresentante della Provincia di Milano. Infine gli amici di sempre: Renato Sarno, Enrico Intini e Roberto De Santis. Il primo è l’architetto indicato da Piero Di Caterina come il “collettore e gestore degli affari di Penati” nonché potente funzionario in Serravalle. Intini, indagato a Bari per turbativa d’asta, è azionista di maggioranza della Milano Pace. Infine De Santis, anche lui nel mirino dei pm per gli appalti nella sanità pugliese. I tre investono a Sesto 100 milioni di euro in un progetto immobiliare. E non dimenticano di finanziare Fare Metropoli.
SPARTIZIONE ALLA SENESE DI UNA BANCA IN COMUNE
Un consigliere d’amministrazione in Monte dei Paschi a te e due a me. Ma ti garantisco anche la conferma della presidenza di Antonveneta e altri incarichi. Denis Verdini e Franco Ceccuzzi l’accordo di spartizione di poltrone e incarichi nella Siena che viveva attorno a Rocca Salimbeni lo hanno messo proprio per scritto. Due paginette dettagliatissime che illustrano con sconcertante precisione la divisione tra Pd e Pdl redatto il 12 novembre 2008. Tutto ciò che è scritto in quelle due pagine si è poi avverato nei mesi successivi con assoluta precisione. Il documento, pubblicato dal Fatto il 16 febbraio scorso, è stato smentito dai diretti interessati. Ceccuzzi, ex deputato e primo cittadino di Siena, ha vinto le primarie del centrosinistra ma è stato costretto a rinunciare alla corsa a sindaco dalle polemiche che lo hanno travolto a seguito dell’inchiesta partita sull’acquisto di Antonveneta. E per il papello che oltre a spartire poltrone con il Pdl sigla un “patto di non belligeranza” tra i due partiti. Quindi incarichi nella banca e nella fondazione Mps ma anche nei consorzi , nelle municipalizzate, nella società della gestione delle terme di Chianciano e l’accordo politico: “L’onorevole Verdini si impegna in vista delle elezioni amminsitrative 2009 a ricercare una candidatura del Pdl per la presidenza della provincia di Siena che non tenti di sconvolgere gli attuali equilibri e a presentare liste del Pdl nei Comuni rifuggendo da qualsiasi accordo destabilizzante con le liste civiche”. Non che nell’anno 2013, a pochi mesi dallo scandalo che ha travolto l’istituto di credito, la situazione cambi. Al voto di domani si presentano liste civiche che ospitano insieme esponenti sia del centrosinistra sia del centrodestra. In terra di Siena ha messo radici il romanissimo volemose bene. Del resto basta guardare a chi la Fondazione, che controlla la banca e i cui vertici sono nominati dalla politica cittadina, ha elargito a piene mani milioni di euro nel corso degli anni. Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta da Stefania Craxi. Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai (legale nel caso Ampugnano). Ma non solo Toscana e Roma. I fondi arrivano anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro), varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare a Lorenzo Gorgoni, membro del cda di Mps. Ma è anche terra politica di MassimoD’Alema e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo. Finita l’era di Giuseppe Mussari, scoperta la banda del 5% guidata da Gianluca Baldassarri e gli artifizi compiuti sui bilanci, la pioggia di denaro è finita. L’ente che controlla la banca senese ha chiuso il 2012 con un disavanzo notevole: 193,7 milioni di euro. Mps? Ha chiuso il bilancio con 3,1 miliardi di perdite.
TUTTI PAZZI PER GIANPI E PER LE SUE BELLE AMICHE
“Ricordati che io a vent’anni andavo in barca con D’Alema e a trenta dormivo da Berlusconi”. Così Gianpi Tarantini si vantava con il sodale Valter Lavitola. Millanterie che però mostrano l’importanza dei legami trasversali per il malaffare del terzo millennio. Certo è che alcune delle donne presentate a Berlusconi nell’estate 2009 per ingraziarsi l’allora premier furono poi presentata anche a un esponente del Pd, Sandro Frisullo, ex braccio destro di Nichi Vendola in Regione Puglia,condannato a due anni e otto mesi per reati vari. La “bicamerale del piacere” organizzata da Tarantini è poca cosa rispetto alla “bicamerale degli affari” che stava mettendo su, sfruttando da un lato il debole di Berlusconi per le donne, dall’altro il fiuto di alcuni dalemiani per il business. L’obiettivo: gli affari con la Protezione Civile. Si attornia di imprenditori in buoni rapporti con D’Alema, come Enrico Intini, e per raggiungere l’uomo decisivo per le sue mire – Guido Bertolaso, all’epoca capo della Protezione Civile – fa leva su Berlusconi.
Alle spalle di Tarantini c’era già una storia di affari trasversali nella sanità pugliese. Un sodalizio con l’assessore alla Sanità Alberto Tedesco (Pd) diventato poi rivalità acuta, mentre l’esponente dalemiano finirà nei guai per i suoi affari sanitari: prima salvato con un seggio al Senato, poi finito agli arresti. Gianpi si muove con scioltezza su tutto lo scacchiere politico. Celebre la cena organizzata nel 2007 a Bari da Gianpi in collaborazione con l’amico di D’Alema Roberto De Santis, con un scelto gruppo di medici e dirigenti sanitari. Ospite d’onore proprio D’Alema. Tedesco, già in rotta con l’amico di Berlusconi, si sfoga al telefono: “Sta cosa l’ha organizzata, mi ha richiamato adesso adesso il vice segretario regionale del Pd tale Michele Mazzarano, sta cosa l’ha organizzata De Santis con Tarantini (…) Allora voi volete avere i rapporti, che caXXo volete avere con i Tarantini, li abbiate, abbiateli pure a me non me ne fotte niente”. Racconterà poi il sindaco di Bari Michele Emiliano: “D’Alema arrivò verso le 11. Rimase 10 minuti, non di più, il tempo dei saluti. Poi scappammo via: non si poteva essere commensali di quel signore”. E Tarantini insiste con Berlusconi. Vuole entrare nella partita grandi opere utilizzando la società di Intini, che pochi mesi prima lo premia con un contratto da promoter, per 150mi-la euro. Quando il premier si dimostra disponibile a presentargli Bertolaso, secondo la Guardia di finanza, Gianpi lo tempesta di telefonate per “coinvolgerlo in nuove serate, in compagnia di giovani e disponibili donne”: “Stasera è a Roma? Vogliamo organizzare una cena? Volevo presentarle, un’amica mulatta, fantastica”. I pm chiedono a Gianpi: “Ma prima di fargli questa proposta, con Intini aveva parlato?”. “Certo!”, risponde lui: “Intini sapeva che frequentavo Berlusconi”.
Da Il Fatto Quotidiano del 25/05/2013.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 229
La cruna dell’ago – 195
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 195
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 175
Cronaca di un affondamento annunciato - 175
In mezzo alla tempesta - 112
Il buio oltre la siepe - 19
SUPER INCIUCIO DI SOLDI&FAVORI
(Antonio Massari, Giorgio Meletti e Davide Vecchi).
25/05/2013 di triskel182
RESTA CU 'MME - DOMENICO MODUGNO
Resta cu' mme
pe' carità
stattè cu' mme
nun me lassà
famme penà,
famme 'mpazzi'
famme dannà,
ma dimme si
moro pe' tte'....
vive pe' tte...
....
vita 'dda vita mia
nun 'me 'mporta do passato
nun 'me 'mporta e chi t'ha avuto
resta cu'... mme...
cu... 'mme
http://www.youtube.com/watch?v=FaXBPc82H1w
****
TE VOGLIO BENE ASSAJE - RENZO ARBORE - ORCHESTRA ITALIANA
Io te voglio bene assaje...
e tu nun pienze a me!
http://www.youtube.com/watch?v=eSjrCOiiJMQ
ALL’ORIGINE DELLE LARGHE INTESE SUL GOVERNO LETTA C’È LA PIÙ LARGA DELLE INTESE TRA PD E PDL FONDATA SU DUE REGOLE: “TUTTI SANNO TUTTO DI TUTTI” E “CANE NON MORDE CANE” INCROCI PERICOLOSI DALL’ILVA AL MONTE PASCHI, DAL CASO PENATI ALLE ESCORT IN PUGLIA.
Sono i silenzi che colpiscono. Il 2013 si è aperto con una campagna elettorale preceduta e accompagnata da una raffica di scandali. Mentre più di un osservatore si spingeva a valutare la nuova stagione del malaffare ancora più grave di quella di Tangentopoli (1992-1994), l’argomento è stato cancellato dal dibattito politico tra le forze nominalmente contrapposte che si sono poi riunite sotto la cupola del governo Letta. E anche dopo le elezioni si è visto il Pd inchinarsi disciplinatamente all’elezione del pluriindagato Roberto Formigoni alla presidenza della commissione agricoltura del Senato. E del resto, se nei lunghi mesi di agonia della giunta regionale lombarda distrutta dagli scandali l’opposizione di centrosinistra non ha mai affondato il colpo, come dimenticare che da parte sua il centrodestra nordista ha sempre accompagnato con signorile distacco le disavventure giudiziarie dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati? Distrazioni, afasie, minimizzazioni e garantismi pelosi trovano un comune punto di caduta. Nelle grandi storie (giudiziarie e non) all’incrocio tra politica e affari i big di Pd e Pdl si ritrovano sempre fianco a fianco. Che sia complicità o semplice buon vicinato, l’effetto non cambia: tutti sanno tutto di tutti e cane non morde cane.
I PATTI D’ACCIAIO SU TARANTO INQUINATA
Anche gli ultimi eclatanti sviluppi dell’inchiesta di Taranto sul gruppo Riva-Ilva sono caduti nel silenzio. Nessun esponente politico della larga maggioranza di governo sembra avere niente da dire. Guardiamo l’antefatto. Emilio Riva, 86 anni, è antico e buon amico di Silvio Berlusconi. Nel 1994 è il primo governo del centrodestra, nei suoi soli sette mesi di vita, a spianargli la strada verso la conquista dell’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria europea svenduta dall’Iri per 1649 miliardi di lire, meno degli utili del primo anno di gestione Riva (oltre 1800 miliardi). Ai Riva piace Forza Italia, che finanziano negli anni 2003-2004 con 330 mila euro. Anche Pier Luigi Bersani piace ai siderurgici: nel 2004 la Federacciai (la Confindustria del settore) lo finanzia con 20 mila euro, nel 2006, alla vigilia della sua seconda incoronazione a ministro dell’Industria, gli dà altri 50 mila euro. Nel 2008 la Federacciai versa a Bersani altri 40 mila euro. Nella campagna elettorale del 2006 sono scesi in campo anche i Riva: mano al portafoglio e 98 mila euro per Bersani. Due anni dopo, quando Berlusconi invoca i “patrioti” per salvare l’Alitalia, Riva risponde prontamente, e investe 120 milioni nella nuova Cai di Roberto Colaninno. Dai loro luoghi di detenzione più o meno domicialiari Riva e i suoi figli si sono sbracciati in questi mesi a minacciare querele a chiunque insinuasse che in cambio della partecipazione al salvataggio dell’Alitalia “italiana” l’Ilva abbia ottenuto un occhio benevolo del ministero dell’Ambiente retto da Stefania Prestigiacomo (2008-2001) per l’Autorizzazione integrata ambientale che le ha permesso di inquinare spensieratamente fino all’estate del 2012. Buoni rapporti a destra, buoni rapporti a sinistra, un modo tutto sommato classico di vivere bene in Italia. Quando l’emergenza ambientale comincia a farsi veramente calda, a luglio del 2012, Riva cede la presidenza dell’Ilva di Taranto al prefetto Bruno Ferrante, già candidato del centrosinistra a sindaco di Milano nel 2006. Quando il deputato ambientalista del Pd Roberto Della Seta dà fastidio con la sua attività parlamentare, Riva scrive una lettera a Bersani per chiedergli un intervento. Bersani non se ne dà per inteso, ma è un fatto che alle elezioni dello scorso febbraio nelle liste del Pd non si è trovato posto per Della Seta. Nel frattempo l’inchiesta giudiziaria rivela che il deputato Pd di Taranto Ludo-vico Vico discuteva al telefono con il capo delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà, poi arrestato, come “far buttare il sangue” a Della Seta. In tanta armonia l’unico disturbo è la magistratura, che certe volte non rinuncia a fare il suo dovere. Toghe rosse? Il primo politico arrestato per il caso Ilva è stato, a novembre scorso, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva, del Pd. Il 15 maggio scorso è stato arrestato nuovamente insieme al presidente della Provincia di Taranto, un altro Pd, Gianni Florido. Quest’ultimo ha alle spalle una vita da dirigente sindacale della Cisl di Taranto, iniziata proprio dal settore metalmeccanico. Partiti di destra, di centro, di sinistra, sindacati. Tutti dentro fino al collo, per questo nessuno fiata.
DALLE COOP A PONZELLINI TUTTI I TIFOSI DI SESTOGRAD
Luca Ronconi scelse Sesto San Giovanni per mettere in scena lo spettacolo “Il silenzio dei comunisti”. Mai location fu più azzeccata. Su quanto accaduto nell’ex Stalingrado d’Italia, travolta dallo scandalo del compagno Filippo Penati, non una voce s’è alzata. Da sinistra. Ma neanche da destra. Solo la classica “fiducia nella magistratura”. Le maglie dell’inchiesta ribattezzata “sistema Sesto”, del resto, hanno avvolto tutti. I filoni sono diversi. Come i livelli di coinvolgimento. Nel processo a carico dell’ex capo della segreteria politica di Bersani, oltre all’acquisto delle quote dell’autostrada Milano-Serravalle, ci sono le presunte tangenti per l’acquisto dell’area Falck e il finanziamento illecito attraverso la sua fondazione Fare Metropoli. Nella prima si va dalle coop rosse agli uomini di Berlusconi. Uno in particolare: Mario Resca, ex direttore generale del ministero dei Beni culturali ai tempi di Sandro Bondi, consigliere dell’Eni, designato dal governo guidato dall’amico Silvio, e della Mondadori del gruppo Fininvest. Resca compra anche una quota del 5 per cento della holding che possiede la Sesto Immobiliare, di cui è vicepresidente. La società guidata da Davide Bizzi nel 2010 compra i terreni al centro dell’inchiesta penale sulle mazzette a Penati, e affida a Massimo Cavrini i poteri per “la gestione di tutti i rapporti con l’amministrazione” comunale. Cavrini è un manager coop. Lavora per il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, una delle aziende più importanti della Legacoop. A sinistra dunque le coop, a destra la copertura è assicurata da Berlusconi. Quando nel luglio 2011 i giornali resero nota l’indagine a carico di Penati, l’ex sindaco di Sesto e presidente della Provincia di Milano era seduto comodo nel Consiglio regionale della Lombardia e furono pochi “ribelli” del Pd a chiederne le dimissioni. Il Pdl gli dimostrò piena solidarietà. Del resto, il “leghista di sinistra”, era simpatico a molti. Tanto da sfiorare la vittoria sul Celeste Formigoni, superandolo nei risultati a Milano. Pochi mesi dopo il Fatto rese nota l’esistenza della fondazione Fare Metropoli, creata da Penati per finanziare le sue campagne elettorali e foraggiata da amici noti di sinistra e altri, insospettabilmente interessati al successo politico di Penati, di destra. Come Massimo Ponzellini, indagato per finanziamento illecito. L’ex presidente della Banca Popolare di Milano, poi arrestato, con una mano dava all’ex sindaco di Sesto e con l’altra aiutava, sempre attraverso la banca, gli amici del Pdl, da Ignazio La Russa a Daniela Santanchè, da Paolo Berlusconi a Michela Vittoria Brambilla. Oltre a Ponzellini, Fare Metropoli poteva contare su un altro banchiere: Enrico Corali, alla guida della Banca di Legnano e membro del cda di Expo 2015 come rappresentante della Provincia di Milano. Infine gli amici di sempre: Renato Sarno, Enrico Intini e Roberto De Santis. Il primo è l’architetto indicato da Piero Di Caterina come il “collettore e gestore degli affari di Penati” nonché potente funzionario in Serravalle. Intini, indagato a Bari per turbativa d’asta, è azionista di maggioranza della Milano Pace. Infine De Santis, anche lui nel mirino dei pm per gli appalti nella sanità pugliese. I tre investono a Sesto 100 milioni di euro in un progetto immobiliare. E non dimenticano di finanziare Fare Metropoli.
SPARTIZIONE ALLA SENESE DI UNA BANCA IN COMUNE
Un consigliere d’amministrazione in Monte dei Paschi a te e due a me. Ma ti garantisco anche la conferma della presidenza di Antonveneta e altri incarichi. Denis Verdini e Franco Ceccuzzi l’accordo di spartizione di poltrone e incarichi nella Siena che viveva attorno a Rocca Salimbeni lo hanno messo proprio per scritto. Due paginette dettagliatissime che illustrano con sconcertante precisione la divisione tra Pd e Pdl redatto il 12 novembre 2008. Tutto ciò che è scritto in quelle due pagine si è poi avverato nei mesi successivi con assoluta precisione. Il documento, pubblicato dal Fatto il 16 febbraio scorso, è stato smentito dai diretti interessati. Ceccuzzi, ex deputato e primo cittadino di Siena, ha vinto le primarie del centrosinistra ma è stato costretto a rinunciare alla corsa a sindaco dalle polemiche che lo hanno travolto a seguito dell’inchiesta partita sull’acquisto di Antonveneta. E per il papello che oltre a spartire poltrone con il Pdl sigla un “patto di non belligeranza” tra i due partiti. Quindi incarichi nella banca e nella fondazione Mps ma anche nei consorzi , nelle municipalizzate, nella società della gestione delle terme di Chianciano e l’accordo politico: “L’onorevole Verdini si impegna in vista delle elezioni amminsitrative 2009 a ricercare una candidatura del Pdl per la presidenza della provincia di Siena che non tenti di sconvolgere gli attuali equilibri e a presentare liste del Pdl nei Comuni rifuggendo da qualsiasi accordo destabilizzante con le liste civiche”. Non che nell’anno 2013, a pochi mesi dallo scandalo che ha travolto l’istituto di credito, la situazione cambi. Al voto di domani si presentano liste civiche che ospitano insieme esponenti sia del centrosinistra sia del centrodestra. In terra di Siena ha messo radici il romanissimo volemose bene. Del resto basta guardare a chi la Fondazione, che controlla la banca e i cui vertici sono nominati dalla politica cittadina, ha elargito a piene mani milioni di euro nel corso degli anni. Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta da Stefania Craxi. Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai (legale nel caso Ampugnano). Ma non solo Toscana e Roma. I fondi arrivano anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro), varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare a Lorenzo Gorgoni, membro del cda di Mps. Ma è anche terra politica di MassimoD’Alema e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo. Finita l’era di Giuseppe Mussari, scoperta la banda del 5% guidata da Gianluca Baldassarri e gli artifizi compiuti sui bilanci, la pioggia di denaro è finita. L’ente che controlla la banca senese ha chiuso il 2012 con un disavanzo notevole: 193,7 milioni di euro. Mps? Ha chiuso il bilancio con 3,1 miliardi di perdite.
TUTTI PAZZI PER GIANPI E PER LE SUE BELLE AMICHE
“Ricordati che io a vent’anni andavo in barca con D’Alema e a trenta dormivo da Berlusconi”. Così Gianpi Tarantini si vantava con il sodale Valter Lavitola. Millanterie che però mostrano l’importanza dei legami trasversali per il malaffare del terzo millennio. Certo è che alcune delle donne presentate a Berlusconi nell’estate 2009 per ingraziarsi l’allora premier furono poi presentata anche a un esponente del Pd, Sandro Frisullo, ex braccio destro di Nichi Vendola in Regione Puglia,condannato a due anni e otto mesi per reati vari. La “bicamerale del piacere” organizzata da Tarantini è poca cosa rispetto alla “bicamerale degli affari” che stava mettendo su, sfruttando da un lato il debole di Berlusconi per le donne, dall’altro il fiuto di alcuni dalemiani per il business. L’obiettivo: gli affari con la Protezione Civile. Si attornia di imprenditori in buoni rapporti con D’Alema, come Enrico Intini, e per raggiungere l’uomo decisivo per le sue mire – Guido Bertolaso, all’epoca capo della Protezione Civile – fa leva su Berlusconi.
Alle spalle di Tarantini c’era già una storia di affari trasversali nella sanità pugliese. Un sodalizio con l’assessore alla Sanità Alberto Tedesco (Pd) diventato poi rivalità acuta, mentre l’esponente dalemiano finirà nei guai per i suoi affari sanitari: prima salvato con un seggio al Senato, poi finito agli arresti. Gianpi si muove con scioltezza su tutto lo scacchiere politico. Celebre la cena organizzata nel 2007 a Bari da Gianpi in collaborazione con l’amico di D’Alema Roberto De Santis, con un scelto gruppo di medici e dirigenti sanitari. Ospite d’onore proprio D’Alema. Tedesco, già in rotta con l’amico di Berlusconi, si sfoga al telefono: “Sta cosa l’ha organizzata, mi ha richiamato adesso adesso il vice segretario regionale del Pd tale Michele Mazzarano, sta cosa l’ha organizzata De Santis con Tarantini (…) Allora voi volete avere i rapporti, che caXXo volete avere con i Tarantini, li abbiate, abbiateli pure a me non me ne fotte niente”. Racconterà poi il sindaco di Bari Michele Emiliano: “D’Alema arrivò verso le 11. Rimase 10 minuti, non di più, il tempo dei saluti. Poi scappammo via: non si poteva essere commensali di quel signore”. E Tarantini insiste con Berlusconi. Vuole entrare nella partita grandi opere utilizzando la società di Intini, che pochi mesi prima lo premia con un contratto da promoter, per 150mi-la euro. Quando il premier si dimostra disponibile a presentargli Bertolaso, secondo la Guardia di finanza, Gianpi lo tempesta di telefonate per “coinvolgerlo in nuove serate, in compagnia di giovani e disponibili donne”: “Stasera è a Roma? Vogliamo organizzare una cena? Volevo presentarle, un’amica mulatta, fantastica”. I pm chiedono a Gianpi: “Ma prima di fargli questa proposta, con Intini aveva parlato?”. “Certo!”, risponde lui: “Intini sapeva che frequentavo Berlusconi”.
Da Il Fatto Quotidiano del 25/05/2013.
Ultima modifica di camillobenso il 25/05/2013, 23:03, modificato 1 volta in totale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
L’altra Italia,….quella che cercava di sopravvivere e sorridere, spesso senza bisogno di volgarità……
Un mondo che non c’è più, forse sopravvive attraverso Crozza, ma il lessico è cambiato.
1) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro secondo
http://www.youtube.com/watch?v=hLr_8e_A3SI
2) Indietro tutta: Volante 1 a volante 2 - Il barbiere
http://www.youtube.com/watch?feature=en ... FP8ZagSvSA
3) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro quarto
http://www.youtube.com/watch?v=yItJDoHBW8s
4) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro primo s
http://www.youtube.com/watch?v=OKdaZCU6uKY
5) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro quinto sp
http://www.youtube.com/watch?v=U5rSh5yefqo
6) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro terzo spe
http://www.youtube.com/watch?v=YMldRW24J4o
Un mondo che non c’è più, forse sopravvive attraverso Crozza, ma il lessico è cambiato.
1) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro secondo
http://www.youtube.com/watch?v=hLr_8e_A3SI
2) Indietro tutta: Volante 1 a volante 2 - Il barbiere
http://www.youtube.com/watch?feature=en ... FP8ZagSvSA
3) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro quarto
http://www.youtube.com/watch?v=yItJDoHBW8s
4) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro primo s
http://www.youtube.com/watch?v=OKdaZCU6uKY
5) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro quinto sp
http://www.youtube.com/watch?v=U5rSh5yefqo
6) massimo troisi a indietro tutta come eugenio cugino di gennaro terzo spe
http://www.youtube.com/watch?v=YMldRW24J4o
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 230
La cruna dell’ago – 196
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 196
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 176
Cronaca di un affondamento annunciato - 176
In mezzo alla tempesta - 113
Il buio oltre la siepe - 20
Potrebbe essere diversamente? Il consenso verso i partiti è al 2,3%, evidentemente lo zoccolo duro dei politici, più familiari e amanti. Non si possono pretendere piazze piene.
Anche perché "porcata continua" è uno spettacolino di tutti i giorni.
Gli struzzimerli Pasquali cominciano ad averne piene le tasche.
La Stampa 25.5.13
Il giorno triste delle piazze senza popolo
Comizi finali privi di entusiasmo, spettacoli raggelanti Il Pd ricorre al romanesco, il Pdl alle donne, Marchini a Venditti
di Mattia Feltri
Se ci si mettono gli dèi e gli uomini insieme, sanno combinare danni inenarrabili. Quattro piazze malinconiche ma adeguatamente blindate, il solito sciopero dei mezzi pubblici, due moldavi che litigano in metropolitana e cascano sui binari bloccando la linea A, fin lì miracolosamente funzionante. Poi un vento novembrino che ha abbattuto gli alberi e ostruito alcune strade. Qualora i fantastici quattro - Ignazio Marino del Pd, Gianni Alemanno del Pdl, Marcello De Vito del M5S e Alfio Marchini di sé stesso - speravano di conquistare gli indecisi con le rispettive adunate, competitive nella simultaneità, dovranno riconsiderare le loro strategie. Intanto perché il problema immediato pare piuttosto di contare i decisi, pochini a vedere l’affluenza. Il dato di ieri - oltre alla solita giornataccia della viabilità - è la tristezza infinita delle festicciole, in realtà convocazioni raccogliticce e stanche. Al Colosseo, sotto l’arco di Costantino, ad ascoltare Alemanno e il suo grande sponsor, Silvio Berlusconi, erano in duemila a essere molto buoni. Pareva la rappresentazione in miniatura della folla oceanica, il presepe del popolo dell’amore, e a dare un minimo di scossa - diciamo così - gli altoparlanti che squassavano la sacralità delle pietre con «Meno male che Silvio c’è».
Come possono i romani avere voglia dell’eterno replay, ancora adesso, tre mesi dopo le Politiche, al centomillesimo appuntamento con le urne che arriva per di più al termine della campagna elettorale più moscia, banale e malinconica del ventennio? A San Giovanni c’era giusto un po’ più di vita grazie ai cantanti sul palco, i cui numeri di telefono stanno tutti nell’agendina di Goffredo Bettini, l’inesauribile totem della sinistra e del Pd romano. Ma anche lì le presenze erano quelle che erano. Senz’altro più che dai rivali di centrodestra sotto il Palatino, e sui quali gli speaker di Marino invocavano la pioggia. Un cliché raggelante e globale. Le band delle periferie della Capitale salivano sul palco con programmatica spettinatura, barbette pensose, pashmine come divise. Anche bravini, simpatici. Uno cantava così: «Ho avuto tanti uomini...». La perfezione assoluta di stampo equo solidale, insomma. Sul palco si alternavano ragazzi che parlavano il linguaggio dei segni per i sordomuti (in piazza?). C’era il gonfiabile per i bambini. L’artista che dipingeva il murale. E poi il terrificante recupero della romanità - forse per le polemiche sul genovese Marino - con la profusione dei «daje», dei «famose senti’», dei «nun se ne po’ più». Naturalmente gli immancabili stand con le t-shrit sopravvissute a tutto, quelle della guerrilla, del Che, quando dentro alle sedi del Pd gli under cinquanta vanno cercati con la lente. Ma San Giovanni, per come si era abituati, stringeva il cuore.
Intanto al Colosseo arrivava Berlusconi. Svogliato. Con quattro gatti sotto gli occhi. Non ha rinunciato alla piacioneria ganassa, le ragazze belle, oh quanto erano belle, guardate qui, sapete come sono fatto io. Non ha rinunciato nemmeno al tocco evangelico-manageriale: «Andate e convertite le genti». Troppo facile per Marchini, trainato del suo campione Antonello Venditti (e delle migliaia di fan del cantautore) rendere il suo parco Schuster, a San Paolo fuori le Mura, più convincente e persino più pop, altro che glamour. Altro che la romanità pretesa di Marino, o la romanità adottiva di Alemanno: lì c’era la romanità der Cupolone di Venditti. E troppo facile vincere per Beppe Grillo, che ha un seguito giovane e ancora incuriosito. Piazza del Popolo a cinque stelle aveva spazi vuoti, ma mancava un’ora e mezzo alle 21, orario previsto dell’arrivo del comico, e già sotto il palco si accalcavano numerosi in quell’ansia di farsi raccontare un mondo che non s’è mai sentito. Un tipetto piccolo e brioso, una specie di sosia di Paolo Rossi (non il bomber, l’umorista) interrogava quelli sotto sulla velocità della terra. Cioè, sapete voi a che velocità viaggia il nostro pianeta? No che non lo sapevano. Non lo sa nessuno. Non che non sia interessante ma che c’entra? C’entra, diceva il tipetto, perché la terra si muove a 104 mila chilometri orari e la nozione dovrebbe colmarci di meraviglia per la bellezza del cosmo e la bellezza del nostro corpo, e sarebbe folle lasciare queste bellezze alla gestione della casta. Di tutte le caste. Ecco, i soliti squinternati, verrebbe voglia di dire, ma anche lì, come nel popolo di Marchini, si sentiva sangue scorrere nelle vene. E però le acclamazioni raccontano soltanto una piccola verità, come sempre. Al ballottaggio, dicono i sondaggi (se per una volta ci pigliano) ci vanno Alemanno e Marino con le loro piazze vuote.
La Stampa 25.5.13
Epifani: “Pentito? No I luoghi sono simboli”
Il Pd si riappropria di piazza San Giovanni Il leader: “È vero, la città sembra indifferente”
di Carlo Bertini
Se l’intenzione era quella di riappropiarsi di piazza San Giovanni, scippata da Grillo per la chiusura delle politiche di febbraio, la riconquista della storica roccaforte della sinistra romana si può dire riuscita neanche a metà, il colpo d’occhio non è esaltante per i militanti che si son portati dietro pure la bandiera. Ignazio Marino mette in scena la sua «festa» di chiusura, si fa «intervistare» da Dario Vergassola per strappare qualche risata, ma la guerra delle piazze che combattono i leader nazionali rimanda un’immagine desolante: così i «compagni» si consolano, il tam tam è che anche da Alemanno «sono ancora di meno». E pazienza se nel pratone antistante la Basilica quelli che da qualche lustro hanno più dimestichezza con questi eventi stimano vi siano non più di cinquemila persone. Epifani non sale sul palco, i suoi ricordano che fece così anche Bersani a Milano con Pisapia, il neo segretario cerca di ridare coraggio ai militanti sconfortati. Ma la paura del flop d’immagine di un Pd che tenta di risollevarsi, già alta alla vigilia, trova conferma, complice lo sciopero dei mezzi pubblici nella capitale. E se pure la Cgil era pronta a mobilitare i suoi dalle regioni più vicine, i pullman li avrebbe dovuti pagare il partito che fondi non ne ha, «ormai la realtà è questa», è lo scambio di battute di due dirigenti, condito da risata amara.
«Pentito?, No, per nulla», risponde pacato Epifani a chi glielo chiede mentre passeggia dietro al palco di una piazza semivuota. «I luoghi sono importanti, hanno un valore simbolico, e i simboli parlano al cuore delle persone». Poco più in là Gianni Cuperlo, forse il suo sfidante al congresso, chiacchiera con Vincenzo Vita. Si affacciano Sassoli, Gentiloni, Gozi, Meta, Tocci, brillano per la loro assenza Veltroni e D’Alema, i due big romani per eccellenza. Epifani non si scompone e fa notare che se nel parterre molti non ci sono «è perché Marino ha assunto un profilo molto civico, è una scelta sua, d’altronde Roma è un po’ un laboratorio in questo. Certo è vero, la città sembra indifferente, vive con distacco questo voto». E quanto si è impegnato il Pd per Marino? «Certo, il Pd ha vissuto giorni difficili, la mancata vittoria, il problema del Colle, era un partito piegato su sè stesso. Ma sono convinto che il primo turno andrà bene e la sfida ai ballottaggi la possiamo vincere ovunque, anche da Siena e Brescia abbiamo buoni segnali». Ci saranno effetti sul governo da questo voto? «No, perché riguarda solo l’8% degli italiani e risponde più a pulsioni locali. Alla fine i romani sceglieranno se vogliono tenersi Alemanno o no e anche questo è un test per capire se le città tengono..»
Intanto Marino si ripara dalla tramontana tirandosi su il bavero. «Siamo qui perché Roma torni a sorridere. Siamo qui perché Roma torni a occuparsi dei più deboli e torni capitale mondiale della cultura e del turismo. I romani sono stanchi degli scandali di Alemanno», scandisce dal palco. Usa toni alati e un piglio da vincente, «non esiste criminalità dove c’è luce, non esiste dove c’è passione e dove c’è entusiasmo, entusiasmo», ripete. Proprio quello che sembra scarseggiare di più in questo popolo che non diventa massa.
IL RACCONTO
Le solite promesse, accuse e canzoni
Ma in piazza Pd e Pdl fanno flop
Roma al voto domenica e lunedì. Semivuoti i comizi di Epifani e Berlusconi, il più seguito è Grillo.
ROMA - Un flop clamoroso. Al Colosseo, l'ex presidente del Consiglio e il sindaco della capitale parlano a una folla sparuta e immalinconita. A San Giovanni, la sinistra che doveva riconquistare la sua piazza si ritrova in una spianata semideserta, con il candidato costretto ad alzare la voce per sovrastare i clacson del traffico che prosegue indisturbato. Persino piazza del Popolo, dove Grillo ha annunciato un comizio di un'ora e mezza come il Castro dei giorni più belli, alle 8 di sera è ancora vuota; si riempirà, ma con calma.
I comizi di chiusura campagna elettorale a Roma
I pochi ad avere il tempo e la pazienza di ascoltare i vari leader, apprendono che la capitale considerata più bella al mondo è in realtà «una vittima da sbranare data in pasto alla cattiva politica» (Nicola Zingaretti), percorsa da «radical chic con la erre moscia, palazzinari in doppio petto e centri sociali occupati» (Giorgia Meloni), intralciata dall'«ostruzionismo ottuso, cieco, bestiale della sinistra» (Gianni Alemanno), «sfinita da una destra cupa legata ai poteri forti che innalzano quartieri in mezzo al nulla» (Ignazio Marino), «degradata sotto ogni punto di vista» (Guglielmo Epifani). Un «inferno fiscale» (Berlusconi), che «si attraversa in tempi incompatibili con la vita umana» (Marino), in cui «la gente è assuefatta a restare per ore bloccata nel traffico e a essere sommersa dai rifiuti» (Zingaretti), i bambini sono «costretti dalla follia del menu etnico voluto da Veltroni a mangiare gulasch» (Meloni), «drogarsi diventerà un diritto» (Francesco Storace, in gran forma: «I banchieri dovranno inginocchiarsi davanti al sindaco di Roma! Equitalia non sarà più il mostro che divora le famiglie! Fuori i nomadi dai centri abitati!»). Il paradosso è che simili lamentazioni tipo villaggio africano in tempo di carestia salgono da luoghi di commovente bellezza, sullo sfondo dell'arco di Costantino, degli scenari neoclassici del Valadier, delle statue degli apostoli, sotto un cielo finalmente terso, in piazze meravigliose per quanto semivuote.
Intendiamoci: Roma ha gravi problemi e non è sempre all'altezza di se stessa e delle sue potenzialità. Ma nessuna delle grandi questioni è emersa nell'ultima giornata di campagna elettorale. L'unico a entrare nel merito è stato «Arfio» Marchini, nel suo comizio in romanesco: «Mortacci, io ve porto fuori da questo casino! E ora sentiamoci Antonello», che sarebbe ovviamente Venditti («Grazie Romaaa...»).
In tutto questo si è ritagliato uno spot Silvio Berlusconi. Ha preteso e ottenuto di concludere il comizio di Alemanno, relegando il sindaco in pochi minuti di un discorso tutto gridato a voce roca. Il Cavaliere ha rivolto allo sparuto pubblico le sue consuete domande - «Siete pronti a evitare i soliti brogli che tanti danni ci hanno fatto in passato?» - accolte dai consueti «Sììì», divenuti a un certo punto: «Sì, Silvio!». Ha spiegato le ragioni per cui si è fatto il governo di larghe intese, «che ha il nostro programma». Chiusura da predicatore: «Vi proclamo tutti missionari di verità e di libertà! Andate e convertite le genti!». Segue il canto di «Meno male che Silvio c'è» accanto ad Alemanno, che Silvio aveva tentato di sostituire in corsa con la Meloni, presentata alla folla come «bravissima e birichina» (il sindaco invece la definisce sobriamente «la nostra Giovanna d'Arco»; «speriamo di non fare la stessa fine» risponde lei)
La destra era al Colosseo, dove Veltroni aveva concluso la campagna del 2001. La sinistra invece ha cercato di riprendersi piazza San Giovanni, mai vista così vuota. Per guadagnare tempo si dilungano Alessandro Gassman, Silvia Salemi, i «Ladri di carrozzelle». Giulio Scarpati recita una poesia contro Alemanno. Marino si fa prima intervistare dal comico Vergassola, che gli porge domande tipo «è vero che Alemanno dopo aver tagliato i nastri tagliava la corda?» (risposta: «Ale chi?»). Poi finalmente parla e chiede «parità di occasioni per chi è nato a Tor Bella Monaca come per chi è nato ai Parioli», cominciando con «un buono da 500 euro al mese e una tessera per far viaggiare gratis» i bisognosi. Con quali soldi? «Il Comune ha un grande patrimonio immobiliare: ad esempio l'ex centro carni sulla Collatina...». Pure Marino chiude in romanesco - «dajeee!» -, anche se è nato a Genova da padre siciliano e madre svizzera. «Noi semo romani, non come Marino che viene da fuori e Alemanno che è de Bari» ride Marchini. Poi cede la parola a Venditti mentre parte il coro: «Antonello!».
Alla fine l'unica piazza quasi piena è quella di Grillo. Piazza del Popolo, che di solito a Roma è della destra. Introdotto dai simpatici Vito Crimi e Roberta Lombardi, il «capocomico sconclusionato» come l'ha chiamato Berlusconi aveva il compito più difficile. Tre mesi fa, la capitale si era mobilitata per lui, alla vigilia dell'exploit elettorale. Nel frattempo il grillismo si è impantanato nelle secche parlamentari, nei litigi sulla diaria, nella ricerca degli scontrini perduti. Stasera però il capo ritorna e si fa precedere da un video, scandito dagli insulti della folla, sui sette collaboratori di Alemanno arrestati o indagati. E si comprende come la politica continui a fornire a Grillo combustibile per accendere il suo falò di invettive e di utopie: «Io esprimo la vostra rabbia, la contengo, e questa rabbia che ci unisce è una cosa buona, per cambiare non solo la politica ma il mondo, la civiltà...». Nell'attesa, se la prende con Pierluigi Battista e con il Corriere .
Aldo Cazzullo
25 maggio 2013 | 14:41
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://roma.corriere.it/roma/notizie/po ... 0727.shtml
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 230
La cruna dell’ago – 196
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 196
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 176
Cronaca di un affondamento annunciato - 176
In mezzo alla tempesta - 113
Il buio oltre la siepe - 20
Potrebbe essere diversamente? Il consenso verso i partiti è al 2,3%, evidentemente lo zoccolo duro dei politici, più familiari e amanti. Non si possono pretendere piazze piene.
Anche perché "porcata continua" è uno spettacolino di tutti i giorni.
Gli struzzimerli Pasquali cominciano ad averne piene le tasche.
La Stampa 25.5.13
Il giorno triste delle piazze senza popolo
Comizi finali privi di entusiasmo, spettacoli raggelanti Il Pd ricorre al romanesco, il Pdl alle donne, Marchini a Venditti
di Mattia Feltri
Se ci si mettono gli dèi e gli uomini insieme, sanno combinare danni inenarrabili. Quattro piazze malinconiche ma adeguatamente blindate, il solito sciopero dei mezzi pubblici, due moldavi che litigano in metropolitana e cascano sui binari bloccando la linea A, fin lì miracolosamente funzionante. Poi un vento novembrino che ha abbattuto gli alberi e ostruito alcune strade. Qualora i fantastici quattro - Ignazio Marino del Pd, Gianni Alemanno del Pdl, Marcello De Vito del M5S e Alfio Marchini di sé stesso - speravano di conquistare gli indecisi con le rispettive adunate, competitive nella simultaneità, dovranno riconsiderare le loro strategie. Intanto perché il problema immediato pare piuttosto di contare i decisi, pochini a vedere l’affluenza. Il dato di ieri - oltre alla solita giornataccia della viabilità - è la tristezza infinita delle festicciole, in realtà convocazioni raccogliticce e stanche. Al Colosseo, sotto l’arco di Costantino, ad ascoltare Alemanno e il suo grande sponsor, Silvio Berlusconi, erano in duemila a essere molto buoni. Pareva la rappresentazione in miniatura della folla oceanica, il presepe del popolo dell’amore, e a dare un minimo di scossa - diciamo così - gli altoparlanti che squassavano la sacralità delle pietre con «Meno male che Silvio c’è».
Come possono i romani avere voglia dell’eterno replay, ancora adesso, tre mesi dopo le Politiche, al centomillesimo appuntamento con le urne che arriva per di più al termine della campagna elettorale più moscia, banale e malinconica del ventennio? A San Giovanni c’era giusto un po’ più di vita grazie ai cantanti sul palco, i cui numeri di telefono stanno tutti nell’agendina di Goffredo Bettini, l’inesauribile totem della sinistra e del Pd romano. Ma anche lì le presenze erano quelle che erano. Senz’altro più che dai rivali di centrodestra sotto il Palatino, e sui quali gli speaker di Marino invocavano la pioggia. Un cliché raggelante e globale. Le band delle periferie della Capitale salivano sul palco con programmatica spettinatura, barbette pensose, pashmine come divise. Anche bravini, simpatici. Uno cantava così: «Ho avuto tanti uomini...». La perfezione assoluta di stampo equo solidale, insomma. Sul palco si alternavano ragazzi che parlavano il linguaggio dei segni per i sordomuti (in piazza?). C’era il gonfiabile per i bambini. L’artista che dipingeva il murale. E poi il terrificante recupero della romanità - forse per le polemiche sul genovese Marino - con la profusione dei «daje», dei «famose senti’», dei «nun se ne po’ più». Naturalmente gli immancabili stand con le t-shrit sopravvissute a tutto, quelle della guerrilla, del Che, quando dentro alle sedi del Pd gli under cinquanta vanno cercati con la lente. Ma San Giovanni, per come si era abituati, stringeva il cuore.
Intanto al Colosseo arrivava Berlusconi. Svogliato. Con quattro gatti sotto gli occhi. Non ha rinunciato alla piacioneria ganassa, le ragazze belle, oh quanto erano belle, guardate qui, sapete come sono fatto io. Non ha rinunciato nemmeno al tocco evangelico-manageriale: «Andate e convertite le genti». Troppo facile per Marchini, trainato del suo campione Antonello Venditti (e delle migliaia di fan del cantautore) rendere il suo parco Schuster, a San Paolo fuori le Mura, più convincente e persino più pop, altro che glamour. Altro che la romanità pretesa di Marino, o la romanità adottiva di Alemanno: lì c’era la romanità der Cupolone di Venditti. E troppo facile vincere per Beppe Grillo, che ha un seguito giovane e ancora incuriosito. Piazza del Popolo a cinque stelle aveva spazi vuoti, ma mancava un’ora e mezzo alle 21, orario previsto dell’arrivo del comico, e già sotto il palco si accalcavano numerosi in quell’ansia di farsi raccontare un mondo che non s’è mai sentito. Un tipetto piccolo e brioso, una specie di sosia di Paolo Rossi (non il bomber, l’umorista) interrogava quelli sotto sulla velocità della terra. Cioè, sapete voi a che velocità viaggia il nostro pianeta? No che non lo sapevano. Non lo sa nessuno. Non che non sia interessante ma che c’entra? C’entra, diceva il tipetto, perché la terra si muove a 104 mila chilometri orari e la nozione dovrebbe colmarci di meraviglia per la bellezza del cosmo e la bellezza del nostro corpo, e sarebbe folle lasciare queste bellezze alla gestione della casta. Di tutte le caste. Ecco, i soliti squinternati, verrebbe voglia di dire, ma anche lì, come nel popolo di Marchini, si sentiva sangue scorrere nelle vene. E però le acclamazioni raccontano soltanto una piccola verità, come sempre. Al ballottaggio, dicono i sondaggi (se per una volta ci pigliano) ci vanno Alemanno e Marino con le loro piazze vuote.
La Stampa 25.5.13
Epifani: “Pentito? No I luoghi sono simboli”
Il Pd si riappropria di piazza San Giovanni Il leader: “È vero, la città sembra indifferente”
di Carlo Bertini
Se l’intenzione era quella di riappropiarsi di piazza San Giovanni, scippata da Grillo per la chiusura delle politiche di febbraio, la riconquista della storica roccaforte della sinistra romana si può dire riuscita neanche a metà, il colpo d’occhio non è esaltante per i militanti che si son portati dietro pure la bandiera. Ignazio Marino mette in scena la sua «festa» di chiusura, si fa «intervistare» da Dario Vergassola per strappare qualche risata, ma la guerra delle piazze che combattono i leader nazionali rimanda un’immagine desolante: così i «compagni» si consolano, il tam tam è che anche da Alemanno «sono ancora di meno». E pazienza se nel pratone antistante la Basilica quelli che da qualche lustro hanno più dimestichezza con questi eventi stimano vi siano non più di cinquemila persone. Epifani non sale sul palco, i suoi ricordano che fece così anche Bersani a Milano con Pisapia, il neo segretario cerca di ridare coraggio ai militanti sconfortati. Ma la paura del flop d’immagine di un Pd che tenta di risollevarsi, già alta alla vigilia, trova conferma, complice lo sciopero dei mezzi pubblici nella capitale. E se pure la Cgil era pronta a mobilitare i suoi dalle regioni più vicine, i pullman li avrebbe dovuti pagare il partito che fondi non ne ha, «ormai la realtà è questa», è lo scambio di battute di due dirigenti, condito da risata amara.
«Pentito?, No, per nulla», risponde pacato Epifani a chi glielo chiede mentre passeggia dietro al palco di una piazza semivuota. «I luoghi sono importanti, hanno un valore simbolico, e i simboli parlano al cuore delle persone». Poco più in là Gianni Cuperlo, forse il suo sfidante al congresso, chiacchiera con Vincenzo Vita. Si affacciano Sassoli, Gentiloni, Gozi, Meta, Tocci, brillano per la loro assenza Veltroni e D’Alema, i due big romani per eccellenza. Epifani non si scompone e fa notare che se nel parterre molti non ci sono «è perché Marino ha assunto un profilo molto civico, è una scelta sua, d’altronde Roma è un po’ un laboratorio in questo. Certo è vero, la città sembra indifferente, vive con distacco questo voto». E quanto si è impegnato il Pd per Marino? «Certo, il Pd ha vissuto giorni difficili, la mancata vittoria, il problema del Colle, era un partito piegato su sè stesso. Ma sono convinto che il primo turno andrà bene e la sfida ai ballottaggi la possiamo vincere ovunque, anche da Siena e Brescia abbiamo buoni segnali». Ci saranno effetti sul governo da questo voto? «No, perché riguarda solo l’8% degli italiani e risponde più a pulsioni locali. Alla fine i romani sceglieranno se vogliono tenersi Alemanno o no e anche questo è un test per capire se le città tengono..»
Intanto Marino si ripara dalla tramontana tirandosi su il bavero. «Siamo qui perché Roma torni a sorridere. Siamo qui perché Roma torni a occuparsi dei più deboli e torni capitale mondiale della cultura e del turismo. I romani sono stanchi degli scandali di Alemanno», scandisce dal palco. Usa toni alati e un piglio da vincente, «non esiste criminalità dove c’è luce, non esiste dove c’è passione e dove c’è entusiasmo, entusiasmo», ripete. Proprio quello che sembra scarseggiare di più in questo popolo che non diventa massa.
IL RACCONTO
Le solite promesse, accuse e canzoni
Ma in piazza Pd e Pdl fanno flop
Roma al voto domenica e lunedì. Semivuoti i comizi di Epifani e Berlusconi, il più seguito è Grillo.
ROMA - Un flop clamoroso. Al Colosseo, l'ex presidente del Consiglio e il sindaco della capitale parlano a una folla sparuta e immalinconita. A San Giovanni, la sinistra che doveva riconquistare la sua piazza si ritrova in una spianata semideserta, con il candidato costretto ad alzare la voce per sovrastare i clacson del traffico che prosegue indisturbato. Persino piazza del Popolo, dove Grillo ha annunciato un comizio di un'ora e mezza come il Castro dei giorni più belli, alle 8 di sera è ancora vuota; si riempirà, ma con calma.
I comizi di chiusura campagna elettorale a Roma
I pochi ad avere il tempo e la pazienza di ascoltare i vari leader, apprendono che la capitale considerata più bella al mondo è in realtà «una vittima da sbranare data in pasto alla cattiva politica» (Nicola Zingaretti), percorsa da «radical chic con la erre moscia, palazzinari in doppio petto e centri sociali occupati» (Giorgia Meloni), intralciata dall'«ostruzionismo ottuso, cieco, bestiale della sinistra» (Gianni Alemanno), «sfinita da una destra cupa legata ai poteri forti che innalzano quartieri in mezzo al nulla» (Ignazio Marino), «degradata sotto ogni punto di vista» (Guglielmo Epifani). Un «inferno fiscale» (Berlusconi), che «si attraversa in tempi incompatibili con la vita umana» (Marino), in cui «la gente è assuefatta a restare per ore bloccata nel traffico e a essere sommersa dai rifiuti» (Zingaretti), i bambini sono «costretti dalla follia del menu etnico voluto da Veltroni a mangiare gulasch» (Meloni), «drogarsi diventerà un diritto» (Francesco Storace, in gran forma: «I banchieri dovranno inginocchiarsi davanti al sindaco di Roma! Equitalia non sarà più il mostro che divora le famiglie! Fuori i nomadi dai centri abitati!»). Il paradosso è che simili lamentazioni tipo villaggio africano in tempo di carestia salgono da luoghi di commovente bellezza, sullo sfondo dell'arco di Costantino, degli scenari neoclassici del Valadier, delle statue degli apostoli, sotto un cielo finalmente terso, in piazze meravigliose per quanto semivuote.
Intendiamoci: Roma ha gravi problemi e non è sempre all'altezza di se stessa e delle sue potenzialità. Ma nessuna delle grandi questioni è emersa nell'ultima giornata di campagna elettorale. L'unico a entrare nel merito è stato «Arfio» Marchini, nel suo comizio in romanesco: «Mortacci, io ve porto fuori da questo casino! E ora sentiamoci Antonello», che sarebbe ovviamente Venditti («Grazie Romaaa...»).
In tutto questo si è ritagliato uno spot Silvio Berlusconi. Ha preteso e ottenuto di concludere il comizio di Alemanno, relegando il sindaco in pochi minuti di un discorso tutto gridato a voce roca. Il Cavaliere ha rivolto allo sparuto pubblico le sue consuete domande - «Siete pronti a evitare i soliti brogli che tanti danni ci hanno fatto in passato?» - accolte dai consueti «Sììì», divenuti a un certo punto: «Sì, Silvio!». Ha spiegato le ragioni per cui si è fatto il governo di larghe intese, «che ha il nostro programma». Chiusura da predicatore: «Vi proclamo tutti missionari di verità e di libertà! Andate e convertite le genti!». Segue il canto di «Meno male che Silvio c'è» accanto ad Alemanno, che Silvio aveva tentato di sostituire in corsa con la Meloni, presentata alla folla come «bravissima e birichina» (il sindaco invece la definisce sobriamente «la nostra Giovanna d'Arco»; «speriamo di non fare la stessa fine» risponde lei)
La destra era al Colosseo, dove Veltroni aveva concluso la campagna del 2001. La sinistra invece ha cercato di riprendersi piazza San Giovanni, mai vista così vuota. Per guadagnare tempo si dilungano Alessandro Gassman, Silvia Salemi, i «Ladri di carrozzelle». Giulio Scarpati recita una poesia contro Alemanno. Marino si fa prima intervistare dal comico Vergassola, che gli porge domande tipo «è vero che Alemanno dopo aver tagliato i nastri tagliava la corda?» (risposta: «Ale chi?»). Poi finalmente parla e chiede «parità di occasioni per chi è nato a Tor Bella Monaca come per chi è nato ai Parioli», cominciando con «un buono da 500 euro al mese e una tessera per far viaggiare gratis» i bisognosi. Con quali soldi? «Il Comune ha un grande patrimonio immobiliare: ad esempio l'ex centro carni sulla Collatina...». Pure Marino chiude in romanesco - «dajeee!» -, anche se è nato a Genova da padre siciliano e madre svizzera. «Noi semo romani, non come Marino che viene da fuori e Alemanno che è de Bari» ride Marchini. Poi cede la parola a Venditti mentre parte il coro: «Antonello!».
Alla fine l'unica piazza quasi piena è quella di Grillo. Piazza del Popolo, che di solito a Roma è della destra. Introdotto dai simpatici Vito Crimi e Roberta Lombardi, il «capocomico sconclusionato» come l'ha chiamato Berlusconi aveva il compito più difficile. Tre mesi fa, la capitale si era mobilitata per lui, alla vigilia dell'exploit elettorale. Nel frattempo il grillismo si è impantanato nelle secche parlamentari, nei litigi sulla diaria, nella ricerca degli scontrini perduti. Stasera però il capo ritorna e si fa precedere da un video, scandito dagli insulti della folla, sui sette collaboratori di Alemanno arrestati o indagati. E si comprende come la politica continui a fornire a Grillo combustibile per accendere il suo falò di invettive e di utopie: «Io esprimo la vostra rabbia, la contengo, e questa rabbia che ci unisce è una cosa buona, per cambiare non solo la politica ma il mondo, la civiltà...». Nell'attesa, se la prende con Pierluigi Battista e con il Corriere .
Aldo Cazzullo
25 maggio 2013 | 14:41
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