E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 230
La cruna dell’ago – 196
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 196
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 176
Cronaca di un affondamento annunciato - 176
In mezzo alla tempesta - 113
Il buio oltre la siepe - 20
Potrebbe essere diversamente? Il consenso verso i partiti è al 2,3%, evidentemente lo zoccolo duro dei politici, più familiari e amanti. Non si possono pretendere piazze piene.
Anche perché "porcata continua" è uno spettacolino di tutti i giorni.
Gli struzzimerli Pasquali cominciano ad averne piene le tasche.
La Stampa 25.5.13
Il giorno triste delle piazze senza popolo
Comizi finali privi di entusiasmo, spettacoli raggelanti Il Pd ricorre al romanesco, il Pdl alle donne, Marchini a Venditti
di Mattia Feltri
Se ci si mettono gli dèi e gli uomini insieme, sanno combinare danni inenarrabili. Quattro piazze malinconiche ma adeguatamente blindate, il solito sciopero dei mezzi pubblici, due moldavi che litigano in metropolitana e cascano sui binari bloccando la linea A, fin lì miracolosamente funzionante. Poi un vento novembrino che ha abbattuto gli alberi e ostruito alcune strade. Qualora i fantastici quattro - Ignazio Marino del Pd, Gianni Alemanno del Pdl, Marcello De Vito del M5S e Alfio Marchini di sé stesso - speravano di conquistare gli indecisi con le rispettive adunate, competitive nella simultaneità, dovranno riconsiderare le loro strategie. Intanto perché il problema immediato pare piuttosto di contare i decisi, pochini a vedere l’affluenza. Il dato di ieri - oltre alla solita giornataccia della viabilità - è la tristezza infinita delle festicciole, in realtà convocazioni raccogliticce e stanche. Al Colosseo, sotto l’arco di Costantino, ad ascoltare Alemanno e il suo grande sponsor, Silvio Berlusconi, erano in duemila a essere molto buoni. Pareva la rappresentazione in miniatura della folla oceanica, il presepe del popolo dell’amore, e a dare un minimo di scossa - diciamo così - gli altoparlanti che squassavano la sacralità delle pietre con «Meno male che Silvio c’è».
Come possono i romani avere voglia dell’eterno replay, ancora adesso, tre mesi dopo le Politiche, al centomillesimo appuntamento con le urne che arriva per di più al termine della campagna elettorale più moscia, banale e malinconica del ventennio? A San Giovanni c’era giusto un po’ più di vita grazie ai cantanti sul palco, i cui numeri di telefono stanno tutti nell’agendina di Goffredo Bettini, l’inesauribile totem della sinistra e del Pd romano. Ma anche lì le presenze erano quelle che erano. Senz’altro più che dai rivali di centrodestra sotto il Palatino, e sui quali gli speaker di Marino invocavano la pioggia. Un cliché raggelante e globale. Le band delle periferie della Capitale salivano sul palco con programmatica spettinatura, barbette pensose, pashmine come divise. Anche bravini, simpatici. Uno cantava così: «Ho avuto tanti uomini...». La perfezione assoluta di stampo equo solidale, insomma. Sul palco si alternavano ragazzi che parlavano il linguaggio dei segni per i sordomuti (in piazza?). C’era il gonfiabile per i bambini. L’artista che dipingeva il murale. E poi il terrificante recupero della romanità - forse per le polemiche sul genovese Marino - con la profusione dei «daje», dei «famose senti’», dei «nun se ne po’ più». Naturalmente gli immancabili stand con le t-shrit sopravvissute a tutto, quelle della guerrilla, del Che, quando dentro alle sedi del Pd gli under cinquanta vanno cercati con la lente. Ma San Giovanni, per come si era abituati, stringeva il cuore.
Intanto al Colosseo arrivava Berlusconi. Svogliato. Con quattro gatti sotto gli occhi. Non ha rinunciato alla piacioneria ganassa, le ragazze belle, oh quanto erano belle, guardate qui, sapete come sono fatto io. Non ha rinunciato nemmeno al tocco evangelico-manageriale: «Andate e convertite le genti». Troppo facile per Marchini, trainato del suo campione Antonello Venditti (e delle migliaia di fan del cantautore) rendere il suo parco Schuster, a San Paolo fuori le Mura, più convincente e persino più pop, altro che glamour. Altro che la romanità pretesa di Marino, o la romanità adottiva di Alemanno: lì c’era la romanità der Cupolone di Venditti. E troppo facile vincere per Beppe Grillo, che ha un seguito giovane e ancora incuriosito. Piazza del Popolo a cinque stelle aveva spazi vuoti, ma mancava un’ora e mezzo alle 21, orario previsto dell’arrivo del comico, e già sotto il palco si accalcavano numerosi in quell’ansia di farsi raccontare un mondo che non s’è mai sentito. Un tipetto piccolo e brioso, una specie di sosia di Paolo Rossi (non il bomber, l’umorista) interrogava quelli sotto sulla velocità della terra. Cioè, sapete voi a che velocità viaggia il nostro pianeta? No che non lo sapevano. Non lo sa nessuno. Non che non sia interessante ma che c’entra? C’entra, diceva il tipetto, perché la terra si muove a 104 mila chilometri orari e la nozione dovrebbe colmarci di meraviglia per la bellezza del cosmo e la bellezza del nostro corpo, e sarebbe folle lasciare queste bellezze alla gestione della casta. Di tutte le caste. Ecco, i soliti squinternati, verrebbe voglia di dire, ma anche lì, come nel popolo di Marchini, si sentiva sangue scorrere nelle vene. E però le acclamazioni raccontano soltanto una piccola verità, come sempre. Al ballottaggio, dicono i sondaggi (se per una volta ci pigliano) ci vanno Alemanno e Marino con le loro piazze vuote.
La Stampa 25.5.13
Epifani: “Pentito? No I luoghi sono simboli”
Il Pd si riappropria di piazza San Giovanni Il leader: “È vero, la città sembra indifferente”
di Carlo Bertini
Se l’intenzione era quella di riappropiarsi di piazza San Giovanni, scippata da Grillo per la chiusura delle politiche di febbraio, la riconquista della storica roccaforte della sinistra romana si può dire riuscita neanche a metà, il colpo d’occhio non è esaltante per i militanti che si son portati dietro pure la bandiera. Ignazio Marino mette in scena la sua «festa» di chiusura, si fa «intervistare» da Dario Vergassola per strappare qualche risata, ma la guerra delle piazze che combattono i leader nazionali rimanda un’immagine desolante: così i «compagni» si consolano, il tam tam è che anche da Alemanno «sono ancora di meno». E pazienza se nel pratone antistante la Basilica quelli che da qualche lustro hanno più dimestichezza con questi eventi stimano vi siano non più di cinquemila persone. Epifani non sale sul palco, i suoi ricordano che fece così anche Bersani a Milano con Pisapia, il neo segretario cerca di ridare coraggio ai militanti sconfortati. Ma la paura del flop d’immagine di un Pd che tenta di risollevarsi, già alta alla vigilia, trova conferma, complice lo sciopero dei mezzi pubblici nella capitale. E se pure la Cgil era pronta a mobilitare i suoi dalle regioni più vicine, i pullman li avrebbe dovuti pagare il partito che fondi non ne ha, «ormai la realtà è questa», è lo scambio di battute di due dirigenti, condito da risata amara.
«Pentito?, No, per nulla», risponde pacato Epifani a chi glielo chiede mentre passeggia dietro al palco di una piazza semivuota. «I luoghi sono importanti, hanno un valore simbolico, e i simboli parlano al cuore delle persone». Poco più in là Gianni Cuperlo, forse il suo sfidante al congresso, chiacchiera con Vincenzo Vita. Si affacciano Sassoli, Gentiloni, Gozi, Meta, Tocci, brillano per la loro assenza Veltroni e D’Alema, i due big romani per eccellenza. Epifani non si scompone e fa notare che se nel parterre molti non ci sono «è perché Marino ha assunto un profilo molto civico, è una scelta sua, d’altronde Roma è un po’ un laboratorio in questo. Certo è vero, la città sembra indifferente, vive con distacco questo voto». E quanto si è impegnato il Pd per Marino? «Certo, il Pd ha vissuto giorni difficili, la mancata vittoria, il problema del Colle, era un partito piegato su sè stesso. Ma sono convinto che il primo turno andrà bene e la sfida ai ballottaggi la possiamo vincere ovunque, anche da Siena e Brescia abbiamo buoni segnali». Ci saranno effetti sul governo da questo voto? «No, perché riguarda solo l’8% degli italiani e risponde più a pulsioni locali. Alla fine i romani sceglieranno se vogliono tenersi Alemanno o no e anche questo è un test per capire se le città tengono..»
Intanto Marino si ripara dalla tramontana tirandosi su il bavero. «Siamo qui perché Roma torni a sorridere. Siamo qui perché Roma torni a occuparsi dei più deboli e torni capitale mondiale della cultura e del turismo. I romani sono stanchi degli scandali di Alemanno», scandisce dal palco. Usa toni alati e un piglio da vincente, «non esiste criminalità dove c’è luce, non esiste dove c’è passione e dove c’è entusiasmo, entusiasmo», ripete. Proprio quello che sembra scarseggiare di più in questo popolo che non diventa massa.
IL RACCONTO
Le solite promesse, accuse e canzoni
Ma in piazza Pd e Pdl fanno flop
Roma al voto domenica e lunedì. Semivuoti i comizi di Epifani e Berlusconi, il più seguito è Grillo.
ROMA - Un flop clamoroso. Al Colosseo, l'ex presidente del Consiglio e il sindaco della capitale parlano a una folla sparuta e immalinconita. A San Giovanni, la sinistra che doveva riconquistare la sua piazza si ritrova in una spianata semideserta, con il candidato costretto ad alzare la voce per sovrastare i clacson del traffico che prosegue indisturbato. Persino piazza del Popolo, dove Grillo ha annunciato un comizio di un'ora e mezza come il Castro dei giorni più belli, alle 8 di sera è ancora vuota; si riempirà, ma con calma.
I comizi di chiusura campagna elettorale a Roma
I pochi ad avere il tempo e la pazienza di ascoltare i vari leader, apprendono che la capitale considerata più bella al mondo è in realtà «una vittima da sbranare data in pasto alla cattiva politica» (Nicola Zingaretti), percorsa da «radical chic con la erre moscia, palazzinari in doppio petto e centri sociali occupati» (Giorgia Meloni), intralciata dall'«ostruzionismo ottuso, cieco, bestiale della sinistra» (Gianni Alemanno), «sfinita da una destra cupa legata ai poteri forti che innalzano quartieri in mezzo al nulla» (Ignazio Marino), «degradata sotto ogni punto di vista» (Guglielmo Epifani). Un «inferno fiscale» (Berlusconi), che «si attraversa in tempi incompatibili con la vita umana» (Marino), in cui «la gente è assuefatta a restare per ore bloccata nel traffico e a essere sommersa dai rifiuti» (Zingaretti), i bambini sono «costretti dalla follia del menu etnico voluto da Veltroni a mangiare gulasch» (Meloni), «drogarsi diventerà un diritto» (Francesco Storace, in gran forma: «I banchieri dovranno inginocchiarsi davanti al sindaco di Roma! Equitalia non sarà più il mostro che divora le famiglie! Fuori i nomadi dai centri abitati!»). Il paradosso è che simili lamentazioni tipo villaggio africano in tempo di carestia salgono da luoghi di commovente bellezza, sullo sfondo dell'arco di Costantino, degli scenari neoclassici del Valadier, delle statue degli apostoli, sotto un cielo finalmente terso, in piazze meravigliose per quanto semivuote.
Intendiamoci: Roma ha gravi problemi e non è sempre all'altezza di se stessa e delle sue potenzialità. Ma nessuna delle grandi questioni è emersa nell'ultima giornata di campagna elettorale. L'unico a entrare nel merito è stato «Arfio» Marchini, nel suo comizio in romanesco: «Mortacci, io ve porto fuori da questo casino! E ora sentiamoci Antonello», che sarebbe ovviamente Venditti («Grazie Romaaa...»).
In tutto questo si è ritagliato uno spot Silvio Berlusconi. Ha preteso e ottenuto di concludere il comizio di Alemanno, relegando il sindaco in pochi minuti di un discorso tutto gridato a voce roca. Il Cavaliere ha rivolto allo sparuto pubblico le sue consuete domande - «Siete pronti a evitare i soliti brogli che tanti danni ci hanno fatto in passato?» - accolte dai consueti «Sììì», divenuti a un certo punto: «Sì, Silvio!». Ha spiegato le ragioni per cui si è fatto il governo di larghe intese, «che ha il nostro programma». Chiusura da predicatore: «Vi proclamo tutti missionari di verità e di libertà! Andate e convertite le genti!». Segue il canto di «Meno male che Silvio c'è» accanto ad Alemanno, che Silvio aveva tentato di sostituire in corsa con la Meloni, presentata alla folla come «bravissima e birichina» (il sindaco invece la definisce sobriamente «la nostra Giovanna d'Arco»; «speriamo di non fare la stessa fine» risponde lei)
La destra era al Colosseo, dove Veltroni aveva concluso la campagna del 2001. La sinistra invece ha cercato di riprendersi piazza San Giovanni, mai vista così vuota. Per guadagnare tempo si dilungano Alessandro Gassman, Silvia Salemi, i «Ladri di carrozzelle». Giulio Scarpati recita una poesia contro Alemanno. Marino si fa prima intervistare dal comico Vergassola, che gli porge domande tipo «è vero che Alemanno dopo aver tagliato i nastri tagliava la corda?» (risposta: «Ale chi?»). Poi finalmente parla e chiede «parità di occasioni per chi è nato a Tor Bella Monaca come per chi è nato ai Parioli», cominciando con «un buono da 500 euro al mese e una tessera per far viaggiare gratis» i bisognosi. Con quali soldi? «Il Comune ha un grande patrimonio immobiliare: ad esempio l'ex centro carni sulla Collatina...». Pure Marino chiude in romanesco - «dajeee!» -, anche se è nato a Genova da padre siciliano e madre svizzera. «Noi semo romani, non come Marino che viene da fuori e Alemanno che è de Bari» ride Marchini. Poi cede la parola a Venditti mentre parte il coro: «Antonello!».
Alla fine l'unica piazza quasi piena è quella di Grillo. Piazza del Popolo, che di solito a Roma è della destra. Introdotto dai simpatici Vito Crimi e Roberta Lombardi, il «capocomico sconclusionato» come l'ha chiamato Berlusconi aveva il compito più difficile. Tre mesi fa, la capitale si era mobilitata per lui, alla vigilia dell'exploit elettorale. Nel frattempo il grillismo si è impantanato nelle secche parlamentari, nei litigi sulla diaria, nella ricerca degli scontrini perduti. Stasera però il capo ritorna e si fa precedere da un video, scandito dagli insulti della folla, sui sette collaboratori di Alemanno arrestati o indagati. E si comprende come la politica continui a fornire a Grillo combustibile per accendere il suo falò di invettive e di utopie: «Io esprimo la vostra rabbia, la contengo, e questa rabbia che ci unisce è una cosa buona, per cambiare non solo la politica ma il mondo, la civiltà...». Nell'attesa, se la prende con Pierluigi Battista e con il Corriere .
Aldo Cazzullo
25 maggio 2013 | 14:41
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