Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 25/05/2013, 23:27
E' molto grande la distanza tra il mio progetto di un centrosinistra di governo capace di convincere gli italiani che vincere si può e l’attuale disastro.
Romano Prodi
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Corriere 25.5.13
Roma al voto, le occasioni mancate
di Antonio Macaluso
Come esclamò Giulio Cesare passando il Rubicone e avviandosi a diventare il padrone assoluto di Roma, «il dado è tratto». Qualche anno dopo quel 49 avanti Cristo, il dado è tratto anche per i quattro candidati a guidare il Comune di Roma. Vietato qualsiasi paragone con Giulio Cesare, uno di loro sarà sindaco di una Roma che di quei tempi conserva (male) alcuni pezzi unici come il Colosseo, l'arco di Costantino, i Fori. Un eccentrico come Andy Warhol sosteneva che Roma è l'esempio di ciò che accade quando i monumenti di una città durano troppo a lungo. Ma del resto: che città eterna sarebbe se non fosse sopravvissuta alle crescenti sevizie della civiltà «moderna» e di amministratori modesti quando non deleteri?
Il voto di domani va ben oltre un qualunque test amministrativo. Perché Roma è la storia, perché è la Capitale, perché c'è il Papa e perché tutti i potenti della terra — qualsiasi sia il motivo per il quale ci approdino — chiedono al sindaco di affacciarsi dal balconcino del suo ufficio, a picco sul cuore del Fori. I romani decideranno — domenica al primo turno e il 9 giugno in via definitiva al ballottaggio — chi tra Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Alfio Marchini e Marcello De Vito sia il più adatto a ridare luce a questa metropoli con pochi soldi ed enormi problemi. Vinca il migliore e vinca con la promessa di non girare per salotti ma per le strade — troppo spesso sporche, buie e scassate — di una città vedova di un grande progetto di sviluppo. Incapace di sfruttare al meglio il proprio passato, non ha avuto la fortuna di qualcuno che volesse davvero traghettarla tra le grandi capitali moderne.
Chi ci vive sa di cosa scriviamo, chi ci è capitato anche una sola volta, pure. Dovessimo dar credito a tutto quel che abbiamo sentito in campagna elettorale, chiunque vinca farà di tutto e di più. E Roma sarà un po' come Londra e Parigi, ma anche New York e perfino Shanghai. Luci della ribalta e non più — come ebbe a dire un sindaco bravo e colto come Giulio Carlo Argan — «polenta molle». Promette il sindaco uscente Gianni Alemanno — forte di un Pdl che raccoglie un centrodestra storicamente solido in città — che l'eventuale secondo mandato sarà ben altra cosa: ha imparato la lezione al prezzo di molti errori (il conto lo paghiamo tutti). Dice il dottor Ignazio Marino, medico-candidato di un Pd simile alla Jugoslavia del dopo Tito, che per cinque anni e solo per cinque (la gaffe è insita nella promessa) sarà un corpo e un'anima con la città. Il grillino De Vito fa il grillino: scardinare, spezzare, tagliare, rivoltare e via dicendo. Ma se finisse come i colleghi approdati in Parlamento? Altro che «polenta molle». Infine c'è Marchini: un giovane imprenditore che ha deciso di «prestarsi» — gratis — alla sua città. Dietro non ha né un partito né un movimento. Il fegato non gli manca.
Lunedì arriveranno le prime risposte. E saranno interessanti sopra e sotto il Rubicone perché per Pd, Pdl e Movimento 5 Stelle questo voto si annuncia come il primo test dopo le elezioni politiche di febbraio, che non ci hanno regalato un vincitore, dividendo in tre grandi gruppi il Parlamento. Il voto dei romani sarà una sorta di pagella di questo primo scorcio di legislatura ma anche delle prime mosse del governo di Enrico Letta. Un esecutivo sostenuto da una maggioranza forte più di numeri che di anima e attraversato dai sospetti e dalle trame dei molti che vorrebbero tornare presto, prestissimo, alle elezioni politiche.
Repubblica 25.5.13
Roma, le piazze flop dei partiti in pochi a San Giovanni per il Pd il Colosseo vuoto per Berlusconi
Epifani: la città sembra indifferente, ma non è un voto sul governo
di Giovanna Casadio e Carmelo Lopapa
ROMA — «La città sembra indifferente, vive con distacco questo voto...». Guglielmo Epifani guarda piazza San Giovanni dal sotto palco. È stato il neo segretario del Pd a volere che il centrosinistra si riprendesse la piazza dei lavoratori, la piazza-simbolo della sinistra per la chiusura della campagna elettorale di Ignazio Marino. La piazza è un flop, è quasi vuota. E accade la stessa cosa a pochi chilometri di distanza, ai piedi del Colosseo. Non ci sono più di duetre mila aficionados a salutare Silvio Berlusconi e Gianni Alemanno.
Loro dicono «siamo tantissimi». A San Giovanni invece il segretario democratico prende atto, ma non è «per niente pentito» della scelta. Sostiene che «la politica
si serve di simboli, i quali parlano al cuore delle persone», e perciò avere visto quella piazza occupata da Grillo per le politiche «ha dato un forte senso di disagio». Torna a San Giovanni dopo tre anni, Epifani: «L’ultima volta è stato nell’autunno del 2010 a una manifestazione Fiom», racconta, sorvolando sul fatto che una settimana fa a piazza San Giovanni all’appuntamento sempre della Fiom di Landini, ha evitato di andare. Sul palco il candidato sindaco del centrosinistra, Marino parla della speranza di riprendersi la città. Saluta i romani: «Ho bisogno di voi, daje». Lancia un affondo «contro la politica di parentopoli», quella di Alemanno, e un appello ai dubbiosi. Sventolano bandiere nella piazza semivuota. Il segretario del Pd parla del «profilo civico» di Marino, così giustificando l’assenza dei big del partito, tranne pochi. Sul palco Marino ha voluto che parlasse solo il neo “governatore” Zingaretti: è anche questa una presa di distanza dall’apparato del partito.
Ai piedi del Colosseo, invece, al fianco di Alemanno (presentato dalla commossa moglie Isabella Rauti) comizio spento, svogliato che il Cavaliere sembra si sarebbe volentieri risparmiato. Sarà il discorso elettorale più breve della sua carriera politica: 22 minuti. Con un leader del Pdl ormai quasi irriconoscibile, nei nuovi panni di moderato. Non nomina nemmeno una volta la “sinistra”, li chiama “loro”. Rinuncia a qualsiasi tirata polemica sui giudici nonostante le batoste di Cassazione e Consulta di due giorni fa. Accenna solo: «Della magistratura parliamo un’altra volta». E nel discorso più soft che si ricordi, il capo rivendica la nascita del governo Letta. «Lo sosteniamo e lo sosterremo con lealtà, riponiamo tanta speranza» dice stroncando i “falchi” Pdl. «È un accadimento epocale: non è mai successo dal '47 che destra e sinistra si mettessero d’accordo per dare vita a un governo di coalizione». Ma subito rivendica una vittoria quasi personale: «Si è deciso di posticipare a settembre la rata dell’Imu. Questi sono i primi passi per l’abrogazione totale. Si tratta di un successo importante». Di Ignazio Marino dice che non è romano e «ci metterebbe due o tre anni a capire dove mettere le mani», riservando gli attacchi più duri ai grillini: «Burattini manovrati via internet da un capo comico sconclusionato».
Dall’altra parte, piazza San Giovanni è stata pensata dal Pd come una festa di musica e parole, e si scalda alla fine sulle note di “Bella ciao”. Epifani è convinto che le larghe intese non turbino il voto per le amministrative, né viceversa. «Questo è un voto che riguarda l’8%degli elettori». Il Pd rischia un bagno di sangue a queste amministrative? Epifani è ottimista: «Sappiamo amministrare e sono convinto che arriveremo al ballottaggio dappertutto, compresa Siena, e Brescia dove ci sono buoni segnali. Roma comunque è un laboratorio». E qui, la posta in gioco è il sì o il no alla «destra vorace» di Alemanno.
Amministrative, i comizi finali
Grillo vince la sfida delle piazze
Le piazze e i luoghi simbolo della capitale hanno ospitato la serata conclusiva della campagna elettorale per il sindaco e l'Assemblea capitolina. Berlusconi con Alemanno al Colosseo, il candidato Pd Marino a piazza San Giovannni con Epifani e Zingaretti. De Vito (M5S) con Grillo al suo fianco in piazza del Popolo, la più affollata, dove si sono radunate circa 10mila persone. Santa Maria in Trastevere la piazza scelta da Medici, mentre Marchini al parco Schuster con Venditti
di MONICA RUBINO
ROMA - Ancora una volta è Beppe Grillo ad aver vinto la sfida delle piazze. Circa 10mila persone si sono radunate in piazza del Popolo per ascoltare il suo intervento a sostegno del candidato sindaco del M5S Marcello De Vito. Solo 3mila al Colosseo, dove Gianni Alemanno ha tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale assieme a Silvio Berlusconi. Piazza san Giovanni, luogo 'simbolo' della sinistra riconquistato da Ignazio Marino, era piena solo a metà. Alfio Marchini ha invece radunato poco più di 3500 persone al Parco Schuster, nel quartiere San Paolo. Ma, grazie alla partecipazione di Antonello Venditti, la folla è cresciuta fino a toccare le 10mila presenze.
Poi, domani, il silenzio imposto dalle regole prima dell'apertura delle urne domenica mattina alle 8 in punto.
La giornata dei comizi. Ogni candidato aveva organizzato un momento che andasse oltre il tradizionale comizio: spazio per i comici saliti sui palchi prima di politici e gruppi musicali che quasi tutti hanno voluto come supporto per l'ultima giornata. A sottrarsi a questo rito Alemanno e De Vito, che hanno preferito puntare tutto sui leader dei due schieramenti: Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Per il resto, festa e passerella per i tanti candidati alle Comunali. In ognuno dei luoghi scelti per le chiusure sono stati dispiegati centinaia di agenti delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza. Con uno sciopero dei mezzi pubblici che ha complicato la situazione del traffico.
Marino a San Giovanni.
Il candidato sindaco del centrosinistra Ignazio Marino si "è ripreso" piazza San Giovanni che, a febbraio, anticipò il grande risultato alle Politiche dei 5 Stelle, ma è riuscito a riempirla solo per metà. La manifestazione è cominciata alle 17.30, con la partecipazione di Nicola Zingaretti, governatore della Regione Lazio, e Guglielmo Epifani, neo segretario del Pd. Quest'ultimo, però, non è salito sul palco con il candidato del centrosinistra. Una scelta precisa per marcare la differenza, fanno sapere dal Pd, con le piazze di Alemanno e De Vito.
Sul palco di San Giovanni, invece, il comico Dario Vergassola ha intervistato Marino intorno alle 20. Prima di lui spazio dedicato anche agli attori, da Giulio Scarpati a Stefania Sandrelli, da Leo Gullotta a Giobbe Covatta, da Max Bruno ad Alessandro Gassman, da Max Paiella a Dado. La scaletta delle esibizioni musicali invece ha previsto Silvia Salemi, Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, i Velvet, Stefano Di Battista e Danilo Rea, Nicola Piovani, Grazia Di Michele ed er Piotta.
Alemanno al Colosseo. Messe da parte le polemiche con la Soprintendenza, invece, Gianni Alemanno ha chiuso la sua campagna elettorale al Colosseo, con un palco allestito vicino all'Arco di Costantino. Non più di tremila persone hanno preso parte al comizio, e anche l'intervento di Silvio Berlusconi è stato definito "sotto tono": contrariamente al suo solito, il Cavaliere non ha parlato a braccio ma ha letto un testo dalla prima all'ultima parola. Ha parlato di "lealtà al governo Letta", della necessità di procedere con le riforme per la crescita e per "modificare l'architettura dello Stato", con un riferimento diretto alla trasformazione del Paese in una repubblica presidenziale. Col sindaco in carica, oltre al leader Pdl, anche numerosi esponenti del centrodestra, da Francesco Storace a Giorgia Meloni, da Luciano Ciocchetti alle liste civiche che appoggiano Alemanno.
Marchini a San Paolo. Preceduto da un lancio di cuori di schiuma (il cuore è infatti il simbolo della sua campagna elettorale), il comizio di Alfio Marchini si è tenuto invece nel popolare quartiere di San Paolo, al parco Schuster. Circa 3500 persone vi hanno partecipato, attratte anche dalla presenza del comico Maurizio Battista e del cantante Antonello Venditti, che si è esibito sul palco dopo il discorso del candidato sindaco.
De Vito e Grillo a piazza del Popolo. I 5 Stelle questa volta hanno scelto piazza del Popolo dove intorno alle 21.30 è arrivato Beppe Grillo. Prima di lui, spazio a Marcello De Vito e ai candidati al consiglio comunale. Circa 10mila persone (ma gli organizzatori ne hanno dichiarate 50mila) hanno seguito l'intervento del leader del Movimento, che ha parlato a tutto campo, sfoderando il repertorio completo degli attacchi a tutte le altre forze politiche, senza quasi mai citare Roma (se non in qualche battuta finale) e i temi riguardanti la città. "Abbiamo il 25 per cento, ci hanno messo in un angolo - ha detto fra l'altro - Ma hanno una paura fottuta, perché andiamo a vedere tutto, i bilanci. Dicono che siamo al 15 per cento, ma se è così perchè Finocchiaro fa una legge contro di noi?". E rivolto a Berlusconi: "Attento, perchè alla fine ne rimarrà uno solo, per ora ci siamo noi, il 'capocomico' e il 'nano'".
Medici a Trastevere. Il candidato della lista "Repubblica romana" Sandro Medici ha organizzato invece la manifestazione di chiusura in piazza di santa Maria in Trastevere, con il concerto del Ponentino Trio e di The Mojaf and The working class heroes e una serata di tango popolare.
Bianchi a Campo dè Fiori. Infine Alessandro Bianchi, candidato di una lista civica, ha chiuso la campagna a piazza Campo dè Fiori e a Santa Maria Maggiore.
http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/ ... ref=HREA-1
Repubblica 25.5.13
Il cuore freddo della politica
Il triste ritorno nell’ex roccaforte rossa il governissimo non scalda i cuori
di Curzio Maltese
RIPRENDERSI piazza San Giovanni, come da slogan, non è stato difficile per la sinistra. Difficile era riempirla. Infatti in tanti anni di comizi non s’era mai vista così vuota. Poche migliaia, stretti nel freddo di un improvviso autunno, a sventolare nella tramontana le bandiere di Sel, dei Verdi, del pacifismo e perfino qualcuna del Pd.
IL CONFRONTO con la folla Cinque Stelle dell’ultima vigilia elettorale è imbarazzante. Ma quello era il Grillo di ieri. Il Grillo di oggi, anche lui, fatica a colmare i buchi della più modesta piazza del Popolo, un salotto al confronto. Per non dire del comizio di Berlusconi, ampiamente disertato dal popolo di destra, nonostante l’enorme lancio pubblicitario, le migliaia di manifesti sparsi per la città ad annunciare «Tutti al Colosseo con Alemanno e Berlusconi». Corretti qua e là da allegre pasquinate, del tipo: «Portate i leoni».
Le piazze vuote della capitale non sono soltanto il segno che il governissimo non scalda i cuori. Sembrano tanto l’annuncio di una nuova e forse definitiva ondata di gelo intorno alla politica. Nel caos e spesso nella volgarità dello scontro personale, le elezioni di febbraio avevano comunque sollevato qualche confusa speranza di cambiamento,
agitato le acque di una nomenclatura politica uguale a se stessa da un ventennio. Ora che il mare si è richiuso, tutto è tornato come prima, i delusi si contano a milioni in tutte le fila. Delusi di sinistra, di destra, di centro e delusi da Grillo, che a conti fatti, scontrini compresi, si è rivelato il miglior alleato dello status quo. E i delusi non vanno in piazza, stanno a casa, tanto più se c’è sciopero dei mezzi pubblici e tira vento. Molti non andranno neppure a votare domani e alla fine, fra un due per cento in più o in meno per questo o quello, vincerà ancora una volta il partito degli astenuti.
Ignazio Marino parte favorito e ci mancherebbe, contro la peggior giunta della storia della capitale. Fare campagne elettorali non è proprio il suo mestiere e si è visto anche nel giorno della chiusura, con discorso un po’ così, concluso con l’urlo urlato: «Daje!». Uno slogan che intenerisce noi zemaniani, per quanto non fortunatissimo. Ma l’uomo è capace e intelligente ed è stato un eccellente chirurgo, esattamente quel che occorre a una città malatissima e bisognosa di una serie di trapianti. Il principale avversario di Marino, a parte l’inconsistente Alemanno, è il Pd, che è quasi sempre il vero ostacolo dei propri candidati. Nel retropalco del comizio finale di San Giovanni il neo presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, commentava: «Bisognerebbe avvisare i nostri dirigenti che domenica votano sette milioni di italiani e quindi magari per qualche giorno potrebbero decretare il cessate il fuoco sul fronte interno. Nelle vigilie elettorali capita anche nelle zone di guerra». Intorno sfilano appunto i dirigenti, ovviamente in ordine sparso. Sono tutti molto ottimisti sul voto romano, il che non è un bel segno. Molti invece sono pessimisti sulla durata del governo Letta, che quindi potrebbe concludere serenamente la legislatura. Il segretario reggente Gugliemo Epifani, a proposito della nuova legge elettorale, ribadisce che il partito rimane favorevole al ripristino del Mattarellum e dei collegi elettorali, ma anche no, dipende. Negli anni hanno imparato un po’ tutti la tecnica dell’avversario Berlusconi, quella di stare al governo fingendo che la faccenda non li riguardi.
Alle otto e un quarto, quando il candidato Marino si decide a parlare, con il ritardo giusto per bucare le aperture dei telegiornali, dalla piazza si solleva comunque un’onda di entusiasmo. Almeno quelli che sono venuti erano contenti di stare qui, ad ascoltare qualcosa di sinistra, con Berlusconi da un’altra parte.
Repubblica 25.5.13
Nella scheda-mostro da 1 metro e 20 la mappa del degrado della Capitale
di Francesco Merlo
ESE fosse vivo Andy Warhol sicuramente plastificherebbe queste mostruose schede per metterle in cornice e magari le vulcanizzerebbe pure per farne degli ombrelli.
La sola cosa che non si può fare è usarle come schede, cioè portarsele in cabina, aprirle, leggerle ed esprimere i propri voti al candidato sindaco e al raggruppamento, poi aggiungere le eventuali preferenze. E non è facile, tenendo bene aperti questi mussoliniani “ludi cartacei”, decodificare i 19 simboli che sono i geroglifici che mistificano la realtà. Si va da “Salviamo Roma” a “Forza Roma”, da “Italia cristiana” a “No alla chiusura degli ospedali”, da “Cantiere Italia” a “Roma capitale è tua”, e ci sono ben 12 simboli che fanno capo a Ignazio Marino e a Gianni Alemanno, 6 a testa quindi per la famosa pesca di voti a strascico. L’operazione più difficile è rimettere a posto la scheda, un vero test di capacità manuale che, tra calcolo e ripiegatura, richiede dodici movimenti (né uno di più né uno di meno), stando molto attenti quando si gira la scheda sottosopra (bisogna farlo almeno due volte) perché è facile sbagliare e ottenere così delle “tasche” che, incastrando i lati, formerebbero due orecchie di coniglio o due ali di farfalla che obbligherebbero poi gli scrutatori e il presidente di seggio ad annullare il voto a coniglio o il voto a farfalla.
Ma, come dicevamo, è come metafora della politica sempre meno in sintonia con il Paese, e soprattutto del pittoresco di Roma, che la scheda va guardata e appunto valorizzata. Una volta dispiegata, meglio di un saggio la scheda infatti spiega la tristissima bruttezza della nostra bellissima capitale che, come già scriveva il Gibbon, nel suo celebre e ineguagliato trattato di storia, «tra le rovine del Campidoglio contempliamo, prima con ammirazione e poi con pietà». E chissà cosa scriverebbe oggi se potesse annettere la scheda elettorale più lunga del mondo nell’iconografia del suo libro.
Questa scheda infatti è la mappa della nostra degradazione. Aprendola, leggiamo, al di là dei nomi di Ignazio Marino e Alfio Marchini, di Marcello De Vito e Gianni Alemanno, i simboli anonimi e tutti uguali delle periferie anonime e tutte uguali, la periferia di Roma che non è città che comincia o finisce ma città che si sfinisce, e persino nei luoghi del pasolinismo, da Ostia sino a Torbellamonica e Torpignattara il sottoproletariato, con felpa e cappellino, è pronto ai reality. E nella stramberia della scheda ci sono gli ambulanti di piazza Navona che vendono le cose più brutte nel posto più bello, e le facciate sbrecciate delle case storiche, la finta vita bohemienne di Trastevere con gli orribili graffiti spacciati per creatività, e le auto dei vigili urbani posteggiate sui marciapiedi come documenta il benedetto sito www. romafaschifo (sottotitolo: “chi ha ridotto così la città più bella del mondo?”), e i camion vela elettorali posteggiati all’Eur, e le bambine borseggiatrici della Stazione Termini e l’illegalità dei furgoncini-bar che smerciano immangiabili panini davanti al Colosseo e a tutti gli altri monumenti, e la cartellonistica abusiva, e i finti gladiatori attorno alle vestigia, e gli autobus che non arrivano mai e sono così affollati che «un povero ma onesto borseggiatore non sa come muoversi» è la battuta che raccolgo da un vecchio pizzardone che ha lavorato con il fratello di Andreotti. E si intravedono nella scheda i guasti della giunta Alemanno, l’inchiesta giudiziaria su 850 assunzioni all’Atac e altrettanti all’Ama, e infine il buco di bilancio di decine di miliardi di euro che fonti autorevoli di Bruxellles definiscono «un rischio sistemico che la città di Roma pone all’intera eurozona», « un debito pari a quello dell’Austria».
L’idea forte del film “La Grande Bellezza” è il meraviglioso dettaglio fermo, lo splendido fotogramma inanimato, lo sguardo su Trinità dei Monti per esempio o la passeggiata al Gianicolo, una grande bellezza morta come i tempi di chi aspetta un autobus o vuole andare al mare o pretende di risolvere una pratica, i lunghi tempi della morte lunga, lunghi come la scheda elettorale.
il Fatto 25.5.13
I leader parlano, piazze semivuote
Domani si vota, ma a Roma in poche migliaia ad ascoltare Berlusconi, il Pd e M5S
Record negativo per il Cavaliere, al Colosseo fra pochi intimi
Delusi anche i democratici in piazza San Giovanni
Vince la sfida piazza del Popolo che si “scalda” all’arrivo di Grillo
di Antonello Caporale
Roma non ha fatto la stupida stasera. Non ha piovuto. Certo fa il freddo d’ottobre e già tutti i maglioni sono traslocati nell’armadio, “e con questa camicetta come fai?, non gliela facciamo più ad aspettare”. Marisa e Lina sono venute a San Giovanni ma si arrendono alla brezza gelata. È la prima fuga dalla prima delle quattro piazze che si rifiutano di riempirsi malgrado abbiano sistemato il castello gonfiabile con gli scivoli e topolini sorridenti e bambini al centro del prato, con gli stand a stringere l’inquadratura. “Macchè, siamo pochi stasera”. La mestizia con la quale Simone porta la sua bandiera non cancella l’amore meraviglioso che ancora lo costringe ad essere qua, nonostante il dolore. “E quando vi vedo in televisione, voi del Fatto, mi viene paura perchè ci date tante legnate. Non conto niente ma anch’io le sento addosso perchè il partito è la mia famiglia, papà si chiamava Palmiro. Dimmi un po’, ma cos’hanno veramente combinato quelli? ”. Simone è come quei genitori in pena che sono alla ricerca della verità sui figli, la rivelazione. Epifani non si vede, neanche Ignazio Marino. “C’avemo tanti professori universitari, tanti intellettuali”: la coppia di compagni maturi non si capacita, la scelta non sembra la migliore, malgrado quel che dice Goffredo Bettini, il dominus del partito romano: “È l’Argan della scienza. Non ha il sacro fuoco del candidato, questo è vero... ”. Da via Merulana sparute avanguardie della terza età, con la bandierina bianca e il Daje, il motto elettorale stampato su cartoncino che oggi è un’esclamazione fuori posto. “Sto andando a vedere chi c’è in piazza, ma certo la città è sfiancata, lo senti”. È Mimmo Calopresti, il regista, e si sta avviando col passo lento del militante recidivo che non ce la fa a fermarsi. Malinconico tango in questa piazza, “eppure Ignazio ha una sua caratteristica: agguanta i problemi e se carbura non lo fermi più. Ha difficoltà nel rompere il clima, forse perchè è genovese e lo vediamo estraneo alla città”.
FLAVIO, MEDICO OTORINO al Sant’Eugenio, sicuro del sol dell’avvenire. Si sta larghi sul prato. Ne siamo tremila? Quattromila? Anche di più? “Miei cojoni! ” esclama un uomo con la barba del sessantotto. Sarcasmo freddo, disorientamento della classe operaia: chi siamo, dove andiamo. Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria: “Il nostro problema è la base che non si fa sentire, che non protesta, dileguata in una depressione solitaria”. Ecco quel che rimane di un popolo, che pure è doppio rispetto a quel che si annuncia laggiù, appena conclusa la discesa della bellissima via dei Santissimi Quattro Coronati. Roma è a quattro piazze stasera e per raggiungere la seconda, quella di Berlusconi e di Alemanno, passo davanti a Pasqualino al Colosseo, il ristorante dove l’egregio onorevole Fiorito ordinava per sé e i numerosi amici spaghettini all’astice, calamari, tonno, frittura mista, gnocchetti, qualche volta la carne alla brace, l’ottimo abbacchio. Una ricevutona di poco inferiore ai ventimila euro: ha pagato Pantalone per tutti. Pasqualino è stato il punto ristoro del Pdl laziale, ora è deserto. Un signore solo al tavolino ascolta la radio: “Basta con le bande! ”, dicono nel talk elettorale. Il palco di Alemanno è ancora più mesto di quello di Marino. Impalato davanti l’Arco di Costantino, consente al migliaio di passanti un largo passeggio. Una coppia di sposi smamma, le foto sono impossibili oggi, bisogna salire verso Colle Oppio. Turisti americani interdetti, giungla di poliziotti sfaccendati, pochi fascisti ma comunque resistono anch’essi all’oblìo. Se vince Alemanno non sarà grazie a loro, ma ai mille imprenditori che per esempio hanno sborsato mille euro a testa alla cena di degustazione elettorale. Una sola cena è valsa, complice Silvio Berlusconi, un milione di euro. Gli assegni sono stati prontamente sganciati e l’attesa ripagata. Non qui, non stasera, ma due pomeriggi fa, al Tempio di Adriano, sede della Camera di Commercio. Lì Alemanno ha spiegato, con la voce di Andrea Augello, il suo spin doctor, la meraviglia che attende tutti: “Sono stati sbloccati 571 milioni di euro che andranno ai creditori del comune di Roma. Dal 21 maggio sono iniziati i pagamenti, e tutti gli uffici sono impegnati allo spasimo per dare risposte concrete, adempiere a un obbligo, risollevare il morale e il portafogli di tanti imprenditori che hanno lavorato per Roma e attendono il frutto di quel lavoro”.
“Questo è voto di scambio, un interminabile voto di scambio con il quale si condizione il voto”. È un imprenditore danaroso, capostipite di una famiglia che ha vissuto nell’era e nell’ombra della sinistra, a parlare. Alfio Marchini, il quarto dei gareggianti, si concede agli amici nel parco Schuster. Lo affianca Antonello Venditti, anch’egli traslocato dalle storiche posizioni, nel finale di partita che ha giocato al meglio. L’aria qui è più festosa, il clima è più ottimista. Sul taxi Parigi 48: “La metà di noi voterà Marchini. Alemanno ha deluso. E senza i tassisti Alemanno perde”. Voteranno Mar-chini anche la borghesia, anche i Caltagirone, anche Casini e Ma-rio Monti. Un po’ di centro, un po’ di sinistra, un po’ di destra. Un mix che conduce a cifre misteriose, più elevate del prevedibile. Marchini ha avuto buoni consiglieri per la comunicazione, e il suo “Roma ti amo” è divenuto un refrain che ha collegato il volto del ricco e bello a un impegno che è sembrato sincero. “La borghesia vota me perchè ha trovato un pazzo che si mette in gioco. Ma con me si mette in gioco tutto quel mondo”.
“Amici, sono a Radio Popolare e cerco di capire dov’è la sauna. Roma ti amo”, scrive il suo alter ego “Arfio”. Lui ci gioca. L’autoironia produce consensi. Ce la farà? “Se vado al ballottaggio scelgo come vice sindaco De Vito, il candidato dei cinquestelle”, ha infine dichiarato. Non è certo, anzi non è proprio così. Ma insomma è l'affermazione della potenza del voto irregolare. Nè Pd, né Pdl. Lo sciopero dei bus chiama tutti al metrò. Siamo a piazza del Popolo. Per metà è vuota, ma Beppe Grillo parlerà intorno alle nove di sera, e basta già questa metà a rendere questo popolo il più numeroso dei quattro in gara. Fosse questione di numeri, la classifica sarebbe presto detta: primo Grillo, secondo Marchini, poi Marino e infine Alemanno. Ma i voti si contano nell’urna. “Vuoi fare il rappresentante di lista? ”, mi chiede una militante “Ma è un giornalista! ” la rimprovera Luciano Emili, candidato al consiglio comunale. La ragazza retrocede: il giornalista è la figura più temuta e odiata dalla tribù grillina. Un po’ di preoccupazione c’è e si vede: “Paghiamo la rappresentazione che avete fatto di noi”. “Siamo inesperti, capite che per noi è difficile fare ogni cosa per bene? ”. Certo che sì, capiamo. “Ah, ma non aspetti Grillo? ”.
il Fatto 25.5.13
San Giovanni è troppo grande per il Pd
di Wanda Marra
“L’ultima volta che sono salito sul palco di San Giovanni? Nell’autunno 2010 alla manifestazione della Fiom, come segretario della Cgil”. Altri tempi, quando Guglielmo Epifani a manifestare con i metalmeccanici ci poteva andare. Da segretario Pd ha l’aria infreddolita, compressa. Nella piazza in cui Ignazio Marino chiude la sua campagna elettorale arriva alle 18. Foto col candidato sindaco. Dichiarazioni ai tg. Chiacchierata con i giornalisti. Sul palco non sale. Non si fa neanche un giro in piazza. Ai militanti - molto pochi - che accorrono non parla. È un flop. La manifestazione inizia alle 17 e 30. Gruppi musicali. In scaletta addirittura Dario Vergassola e Piovani. All’inizio, poche centinaia di persone, poi si arriva a qualche migliaio. “Grazie per averci fatto ritornare e ritrovare questa nostra piazza”. Alle 20 Marino inizia così il suo comizio. Parole dissonanti con quello che ha intorno. Il palco è in un angolo, taglia mignon. Le bandiere che spiccano sono quelle dei Verdi. “Non è politica è Roma”, recita uno dei suoi slogan. Difficile prendere le distanze più di così. Dietro al palco Epifani mette le mani avanti: “Il voto amministrativo è un voto locale. Ma naturalmente poi ha una valenza nazionale, soprattutto quello di Roma”. Un pronostico? “Noi siamo bravi ad amministrare le città, almeno questo giudizio non può cambiare in poco tempo. Andremo al ballottaggio un po’ ovunque. Poi ce la giochiamo”. Ricadute sul governo? “No, è iniziato da troppo poco. Al voto ci va solo l’8% degli italiani”. L’atmosfera è moscia che più non si può. “No, non sono pentito di aver scelto San Giovanni. Ha un valore simbolico. La gente va e viene”. Un’ammissione. E comunque, “poi conteremo i voti... ”. La scelta di non salire sul palco? Marino si presenta come una sorta di candidato civico, ha preferito così.
“FORSE sarebbe stato meglio non venire qui, magari se vincevamo al ballottaggio aveva un’altra valenza”, bisbigliano nell’organizzazione. “Ma poi come si fa a mettere solo musica? Nessun candidato che parla, ore di concerto”, commentano in piazza. Epifani osserva: “C’è molto distacco, molta indifferenza per queste elezioni”. Poi si riprende: “Però, i romani giudicheranno anche l’operato di Alemanno. E uno sciopero dei mezzi nel giorno della chiusura della campagna elettorale: che scelta da parte sua! ”. Se non si vede gente, non si vedono neanche i dirigenti Pd. Dietro al palco, il volto sponsor Alessandro Gassman regala foto. A salutare Epifani arriva Armando Cossutta, in carrozzella. La storia del Pci e delle sue divisioni (“l’Armando” con la svolta della Bolognina fondò Rifondazione, quando Bertinotti fece cadere Prodi il Pdci) che si materializza. Nell’assenza generale si presentano Sassoli e Vita, Fassina e Gentiloni. Spicca Gianni Cuperlo. Candidato in pectore al congresso. Con lui Walter Tocci commenta: “Venire qui? C’era voglia di rivincita”. La scelta di Bersani di chiudere all’Ambra Jovinelli la campagna per le politiche mentre Grillo gli soffiava San Giovanni era stata duramente criticata. Ma l’ultima manifestazione del Pd in questa piazza, nel novembre del 2011, al confronto appare oceanica.
CUPERLO si guarda intorno e ricorda un aneddoto, che, spiega, Massimo D’Alema amava raccontare: “Quando nel 1996 l’Ulivo vinse le elezioni, a un certo punto della sera lui scese da Botteghe Oscure. Gli andò incontro una vecchia militante, lo abbracciò dicendo ‘Abbiamo vinto! Faremo una bella opposizione’. E lui: ‘No, stavolta veramente ci tocca governare’”. Il presidente della Regione Zingaretti dal palco recita da copione: “Marino ce la farà a cambiare Roma”. Il candidato, lontanissimo dalla tradizione comunista, che arriva in Bmw e sorride continuamente, esorta la folla: “Entusiasmo, entusiasmo”. E da genovese mentre chiude urlando il romanissimo “Daje” quasi cade disteso sul palco.
Romano Prodi
Come inizia una guerra civile – 231
La cruna dell’ago – 197
La danza macabra dei nanetti continua senza sosta – 197
La lunga agonia della Repubblica italiana continua inarrestabile. Siamo all’ultimo atto? - 177
Cronaca di un affondamento annunciato - 177
In mezzo alla tempesta - 114
Il buio oltre la siepe - 21
Corriere 25.5.13
Roma al voto, le occasioni mancate
di Antonio Macaluso
Come esclamò Giulio Cesare passando il Rubicone e avviandosi a diventare il padrone assoluto di Roma, «il dado è tratto». Qualche anno dopo quel 49 avanti Cristo, il dado è tratto anche per i quattro candidati a guidare il Comune di Roma. Vietato qualsiasi paragone con Giulio Cesare, uno di loro sarà sindaco di una Roma che di quei tempi conserva (male) alcuni pezzi unici come il Colosseo, l'arco di Costantino, i Fori. Un eccentrico come Andy Warhol sosteneva che Roma è l'esempio di ciò che accade quando i monumenti di una città durano troppo a lungo. Ma del resto: che città eterna sarebbe se non fosse sopravvissuta alle crescenti sevizie della civiltà «moderna» e di amministratori modesti quando non deleteri?
Il voto di domani va ben oltre un qualunque test amministrativo. Perché Roma è la storia, perché è la Capitale, perché c'è il Papa e perché tutti i potenti della terra — qualsiasi sia il motivo per il quale ci approdino — chiedono al sindaco di affacciarsi dal balconcino del suo ufficio, a picco sul cuore del Fori. I romani decideranno — domenica al primo turno e il 9 giugno in via definitiva al ballottaggio — chi tra Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Alfio Marchini e Marcello De Vito sia il più adatto a ridare luce a questa metropoli con pochi soldi ed enormi problemi. Vinca il migliore e vinca con la promessa di non girare per salotti ma per le strade — troppo spesso sporche, buie e scassate — di una città vedova di un grande progetto di sviluppo. Incapace di sfruttare al meglio il proprio passato, non ha avuto la fortuna di qualcuno che volesse davvero traghettarla tra le grandi capitali moderne.
Chi ci vive sa di cosa scriviamo, chi ci è capitato anche una sola volta, pure. Dovessimo dar credito a tutto quel che abbiamo sentito in campagna elettorale, chiunque vinca farà di tutto e di più. E Roma sarà un po' come Londra e Parigi, ma anche New York e perfino Shanghai. Luci della ribalta e non più — come ebbe a dire un sindaco bravo e colto come Giulio Carlo Argan — «polenta molle». Promette il sindaco uscente Gianni Alemanno — forte di un Pdl che raccoglie un centrodestra storicamente solido in città — che l'eventuale secondo mandato sarà ben altra cosa: ha imparato la lezione al prezzo di molti errori (il conto lo paghiamo tutti). Dice il dottor Ignazio Marino, medico-candidato di un Pd simile alla Jugoslavia del dopo Tito, che per cinque anni e solo per cinque (la gaffe è insita nella promessa) sarà un corpo e un'anima con la città. Il grillino De Vito fa il grillino: scardinare, spezzare, tagliare, rivoltare e via dicendo. Ma se finisse come i colleghi approdati in Parlamento? Altro che «polenta molle». Infine c'è Marchini: un giovane imprenditore che ha deciso di «prestarsi» — gratis — alla sua città. Dietro non ha né un partito né un movimento. Il fegato non gli manca.
Lunedì arriveranno le prime risposte. E saranno interessanti sopra e sotto il Rubicone perché per Pd, Pdl e Movimento 5 Stelle questo voto si annuncia come il primo test dopo le elezioni politiche di febbraio, che non ci hanno regalato un vincitore, dividendo in tre grandi gruppi il Parlamento. Il voto dei romani sarà una sorta di pagella di questo primo scorcio di legislatura ma anche delle prime mosse del governo di Enrico Letta. Un esecutivo sostenuto da una maggioranza forte più di numeri che di anima e attraversato dai sospetti e dalle trame dei molti che vorrebbero tornare presto, prestissimo, alle elezioni politiche.
Repubblica 25.5.13
Roma, le piazze flop dei partiti in pochi a San Giovanni per il Pd il Colosseo vuoto per Berlusconi
Epifani: la città sembra indifferente, ma non è un voto sul governo
di Giovanna Casadio e Carmelo Lopapa
ROMA — «La città sembra indifferente, vive con distacco questo voto...». Guglielmo Epifani guarda piazza San Giovanni dal sotto palco. È stato il neo segretario del Pd a volere che il centrosinistra si riprendesse la piazza dei lavoratori, la piazza-simbolo della sinistra per la chiusura della campagna elettorale di Ignazio Marino. La piazza è un flop, è quasi vuota. E accade la stessa cosa a pochi chilometri di distanza, ai piedi del Colosseo. Non ci sono più di duetre mila aficionados a salutare Silvio Berlusconi e Gianni Alemanno.
Loro dicono «siamo tantissimi». A San Giovanni invece il segretario democratico prende atto, ma non è «per niente pentito» della scelta. Sostiene che «la politica
si serve di simboli, i quali parlano al cuore delle persone», e perciò avere visto quella piazza occupata da Grillo per le politiche «ha dato un forte senso di disagio». Torna a San Giovanni dopo tre anni, Epifani: «L’ultima volta è stato nell’autunno del 2010 a una manifestazione Fiom», racconta, sorvolando sul fatto che una settimana fa a piazza San Giovanni all’appuntamento sempre della Fiom di Landini, ha evitato di andare. Sul palco il candidato sindaco del centrosinistra, Marino parla della speranza di riprendersi la città. Saluta i romani: «Ho bisogno di voi, daje». Lancia un affondo «contro la politica di parentopoli», quella di Alemanno, e un appello ai dubbiosi. Sventolano bandiere nella piazza semivuota. Il segretario del Pd parla del «profilo civico» di Marino, così giustificando l’assenza dei big del partito, tranne pochi. Sul palco Marino ha voluto che parlasse solo il neo “governatore” Zingaretti: è anche questa una presa di distanza dall’apparato del partito.
Ai piedi del Colosseo, invece, al fianco di Alemanno (presentato dalla commossa moglie Isabella Rauti) comizio spento, svogliato che il Cavaliere sembra si sarebbe volentieri risparmiato. Sarà il discorso elettorale più breve della sua carriera politica: 22 minuti. Con un leader del Pdl ormai quasi irriconoscibile, nei nuovi panni di moderato. Non nomina nemmeno una volta la “sinistra”, li chiama “loro”. Rinuncia a qualsiasi tirata polemica sui giudici nonostante le batoste di Cassazione e Consulta di due giorni fa. Accenna solo: «Della magistratura parliamo un’altra volta». E nel discorso più soft che si ricordi, il capo rivendica la nascita del governo Letta. «Lo sosteniamo e lo sosterremo con lealtà, riponiamo tanta speranza» dice stroncando i “falchi” Pdl. «È un accadimento epocale: non è mai successo dal '47 che destra e sinistra si mettessero d’accordo per dare vita a un governo di coalizione». Ma subito rivendica una vittoria quasi personale: «Si è deciso di posticipare a settembre la rata dell’Imu. Questi sono i primi passi per l’abrogazione totale. Si tratta di un successo importante». Di Ignazio Marino dice che non è romano e «ci metterebbe due o tre anni a capire dove mettere le mani», riservando gli attacchi più duri ai grillini: «Burattini manovrati via internet da un capo comico sconclusionato».
Dall’altra parte, piazza San Giovanni è stata pensata dal Pd come una festa di musica e parole, e si scalda alla fine sulle note di “Bella ciao”. Epifani è convinto che le larghe intese non turbino il voto per le amministrative, né viceversa. «Questo è un voto che riguarda l’8%degli elettori». Il Pd rischia un bagno di sangue a queste amministrative? Epifani è ottimista: «Sappiamo amministrare e sono convinto che arriveremo al ballottaggio dappertutto, compresa Siena, e Brescia dove ci sono buoni segnali. Roma comunque è un laboratorio». E qui, la posta in gioco è il sì o il no alla «destra vorace» di Alemanno.
Amministrative, i comizi finali
Grillo vince la sfida delle piazze
Le piazze e i luoghi simbolo della capitale hanno ospitato la serata conclusiva della campagna elettorale per il sindaco e l'Assemblea capitolina. Berlusconi con Alemanno al Colosseo, il candidato Pd Marino a piazza San Giovannni con Epifani e Zingaretti. De Vito (M5S) con Grillo al suo fianco in piazza del Popolo, la più affollata, dove si sono radunate circa 10mila persone. Santa Maria in Trastevere la piazza scelta da Medici, mentre Marchini al parco Schuster con Venditti
di MONICA RUBINO
ROMA - Ancora una volta è Beppe Grillo ad aver vinto la sfida delle piazze. Circa 10mila persone si sono radunate in piazza del Popolo per ascoltare il suo intervento a sostegno del candidato sindaco del M5S Marcello De Vito. Solo 3mila al Colosseo, dove Gianni Alemanno ha tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale assieme a Silvio Berlusconi. Piazza san Giovanni, luogo 'simbolo' della sinistra riconquistato da Ignazio Marino, era piena solo a metà. Alfio Marchini ha invece radunato poco più di 3500 persone al Parco Schuster, nel quartiere San Paolo. Ma, grazie alla partecipazione di Antonello Venditti, la folla è cresciuta fino a toccare le 10mila presenze.
Poi, domani, il silenzio imposto dalle regole prima dell'apertura delle urne domenica mattina alle 8 in punto.
La giornata dei comizi. Ogni candidato aveva organizzato un momento che andasse oltre il tradizionale comizio: spazio per i comici saliti sui palchi prima di politici e gruppi musicali che quasi tutti hanno voluto come supporto per l'ultima giornata. A sottrarsi a questo rito Alemanno e De Vito, che hanno preferito puntare tutto sui leader dei due schieramenti: Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Per il resto, festa e passerella per i tanti candidati alle Comunali. In ognuno dei luoghi scelti per le chiusure sono stati dispiegati centinaia di agenti delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza. Con uno sciopero dei mezzi pubblici che ha complicato la situazione del traffico.
Marino a San Giovanni.
Il candidato sindaco del centrosinistra Ignazio Marino si "è ripreso" piazza San Giovanni che, a febbraio, anticipò il grande risultato alle Politiche dei 5 Stelle, ma è riuscito a riempirla solo per metà. La manifestazione è cominciata alle 17.30, con la partecipazione di Nicola Zingaretti, governatore della Regione Lazio, e Guglielmo Epifani, neo segretario del Pd. Quest'ultimo, però, non è salito sul palco con il candidato del centrosinistra. Una scelta precisa per marcare la differenza, fanno sapere dal Pd, con le piazze di Alemanno e De Vito.
Sul palco di San Giovanni, invece, il comico Dario Vergassola ha intervistato Marino intorno alle 20. Prima di lui spazio dedicato anche agli attori, da Giulio Scarpati a Stefania Sandrelli, da Leo Gullotta a Giobbe Covatta, da Max Bruno ad Alessandro Gassman, da Max Paiella a Dado. La scaletta delle esibizioni musicali invece ha previsto Silvia Salemi, Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, i Velvet, Stefano Di Battista e Danilo Rea, Nicola Piovani, Grazia Di Michele ed er Piotta.
Alemanno al Colosseo. Messe da parte le polemiche con la Soprintendenza, invece, Gianni Alemanno ha chiuso la sua campagna elettorale al Colosseo, con un palco allestito vicino all'Arco di Costantino. Non più di tremila persone hanno preso parte al comizio, e anche l'intervento di Silvio Berlusconi è stato definito "sotto tono": contrariamente al suo solito, il Cavaliere non ha parlato a braccio ma ha letto un testo dalla prima all'ultima parola. Ha parlato di "lealtà al governo Letta", della necessità di procedere con le riforme per la crescita e per "modificare l'architettura dello Stato", con un riferimento diretto alla trasformazione del Paese in una repubblica presidenziale. Col sindaco in carica, oltre al leader Pdl, anche numerosi esponenti del centrodestra, da Francesco Storace a Giorgia Meloni, da Luciano Ciocchetti alle liste civiche che appoggiano Alemanno.
Marchini a San Paolo. Preceduto da un lancio di cuori di schiuma (il cuore è infatti il simbolo della sua campagna elettorale), il comizio di Alfio Marchini si è tenuto invece nel popolare quartiere di San Paolo, al parco Schuster. Circa 3500 persone vi hanno partecipato, attratte anche dalla presenza del comico Maurizio Battista e del cantante Antonello Venditti, che si è esibito sul palco dopo il discorso del candidato sindaco.
De Vito e Grillo a piazza del Popolo. I 5 Stelle questa volta hanno scelto piazza del Popolo dove intorno alle 21.30 è arrivato Beppe Grillo. Prima di lui, spazio a Marcello De Vito e ai candidati al consiglio comunale. Circa 10mila persone (ma gli organizzatori ne hanno dichiarate 50mila) hanno seguito l'intervento del leader del Movimento, che ha parlato a tutto campo, sfoderando il repertorio completo degli attacchi a tutte le altre forze politiche, senza quasi mai citare Roma (se non in qualche battuta finale) e i temi riguardanti la città. "Abbiamo il 25 per cento, ci hanno messo in un angolo - ha detto fra l'altro - Ma hanno una paura fottuta, perché andiamo a vedere tutto, i bilanci. Dicono che siamo al 15 per cento, ma se è così perchè Finocchiaro fa una legge contro di noi?". E rivolto a Berlusconi: "Attento, perchè alla fine ne rimarrà uno solo, per ora ci siamo noi, il 'capocomico' e il 'nano'".
Medici a Trastevere. Il candidato della lista "Repubblica romana" Sandro Medici ha organizzato invece la manifestazione di chiusura in piazza di santa Maria in Trastevere, con il concerto del Ponentino Trio e di The Mojaf and The working class heroes e una serata di tango popolare.
Bianchi a Campo dè Fiori. Infine Alessandro Bianchi, candidato di una lista civica, ha chiuso la campagna a piazza Campo dè Fiori e a Santa Maria Maggiore.
http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/ ... ref=HREA-1
Repubblica 25.5.13
Il cuore freddo della politica
Il triste ritorno nell’ex roccaforte rossa il governissimo non scalda i cuori
di Curzio Maltese
RIPRENDERSI piazza San Giovanni, come da slogan, non è stato difficile per la sinistra. Difficile era riempirla. Infatti in tanti anni di comizi non s’era mai vista così vuota. Poche migliaia, stretti nel freddo di un improvviso autunno, a sventolare nella tramontana le bandiere di Sel, dei Verdi, del pacifismo e perfino qualcuna del Pd.
IL CONFRONTO con la folla Cinque Stelle dell’ultima vigilia elettorale è imbarazzante. Ma quello era il Grillo di ieri. Il Grillo di oggi, anche lui, fatica a colmare i buchi della più modesta piazza del Popolo, un salotto al confronto. Per non dire del comizio di Berlusconi, ampiamente disertato dal popolo di destra, nonostante l’enorme lancio pubblicitario, le migliaia di manifesti sparsi per la città ad annunciare «Tutti al Colosseo con Alemanno e Berlusconi». Corretti qua e là da allegre pasquinate, del tipo: «Portate i leoni».
Le piazze vuote della capitale non sono soltanto il segno che il governissimo non scalda i cuori. Sembrano tanto l’annuncio di una nuova e forse definitiva ondata di gelo intorno alla politica. Nel caos e spesso nella volgarità dello scontro personale, le elezioni di febbraio avevano comunque sollevato qualche confusa speranza di cambiamento,
agitato le acque di una nomenclatura politica uguale a se stessa da un ventennio. Ora che il mare si è richiuso, tutto è tornato come prima, i delusi si contano a milioni in tutte le fila. Delusi di sinistra, di destra, di centro e delusi da Grillo, che a conti fatti, scontrini compresi, si è rivelato il miglior alleato dello status quo. E i delusi non vanno in piazza, stanno a casa, tanto più se c’è sciopero dei mezzi pubblici e tira vento. Molti non andranno neppure a votare domani e alla fine, fra un due per cento in più o in meno per questo o quello, vincerà ancora una volta il partito degli astenuti.
Ignazio Marino parte favorito e ci mancherebbe, contro la peggior giunta della storia della capitale. Fare campagne elettorali non è proprio il suo mestiere e si è visto anche nel giorno della chiusura, con discorso un po’ così, concluso con l’urlo urlato: «Daje!». Uno slogan che intenerisce noi zemaniani, per quanto non fortunatissimo. Ma l’uomo è capace e intelligente ed è stato un eccellente chirurgo, esattamente quel che occorre a una città malatissima e bisognosa di una serie di trapianti. Il principale avversario di Marino, a parte l’inconsistente Alemanno, è il Pd, che è quasi sempre il vero ostacolo dei propri candidati. Nel retropalco del comizio finale di San Giovanni il neo presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, commentava: «Bisognerebbe avvisare i nostri dirigenti che domenica votano sette milioni di italiani e quindi magari per qualche giorno potrebbero decretare il cessate il fuoco sul fronte interno. Nelle vigilie elettorali capita anche nelle zone di guerra». Intorno sfilano appunto i dirigenti, ovviamente in ordine sparso. Sono tutti molto ottimisti sul voto romano, il che non è un bel segno. Molti invece sono pessimisti sulla durata del governo Letta, che quindi potrebbe concludere serenamente la legislatura. Il segretario reggente Gugliemo Epifani, a proposito della nuova legge elettorale, ribadisce che il partito rimane favorevole al ripristino del Mattarellum e dei collegi elettorali, ma anche no, dipende. Negli anni hanno imparato un po’ tutti la tecnica dell’avversario Berlusconi, quella di stare al governo fingendo che la faccenda non li riguardi.
Alle otto e un quarto, quando il candidato Marino si decide a parlare, con il ritardo giusto per bucare le aperture dei telegiornali, dalla piazza si solleva comunque un’onda di entusiasmo. Almeno quelli che sono venuti erano contenti di stare qui, ad ascoltare qualcosa di sinistra, con Berlusconi da un’altra parte.
Repubblica 25.5.13
Nella scheda-mostro da 1 metro e 20 la mappa del degrado della Capitale
di Francesco Merlo
ESE fosse vivo Andy Warhol sicuramente plastificherebbe queste mostruose schede per metterle in cornice e magari le vulcanizzerebbe pure per farne degli ombrelli.
La sola cosa che non si può fare è usarle come schede, cioè portarsele in cabina, aprirle, leggerle ed esprimere i propri voti al candidato sindaco e al raggruppamento, poi aggiungere le eventuali preferenze. E non è facile, tenendo bene aperti questi mussoliniani “ludi cartacei”, decodificare i 19 simboli che sono i geroglifici che mistificano la realtà. Si va da “Salviamo Roma” a “Forza Roma”, da “Italia cristiana” a “No alla chiusura degli ospedali”, da “Cantiere Italia” a “Roma capitale è tua”, e ci sono ben 12 simboli che fanno capo a Ignazio Marino e a Gianni Alemanno, 6 a testa quindi per la famosa pesca di voti a strascico. L’operazione più difficile è rimettere a posto la scheda, un vero test di capacità manuale che, tra calcolo e ripiegatura, richiede dodici movimenti (né uno di più né uno di meno), stando molto attenti quando si gira la scheda sottosopra (bisogna farlo almeno due volte) perché è facile sbagliare e ottenere così delle “tasche” che, incastrando i lati, formerebbero due orecchie di coniglio o due ali di farfalla che obbligherebbero poi gli scrutatori e il presidente di seggio ad annullare il voto a coniglio o il voto a farfalla.
Ma, come dicevamo, è come metafora della politica sempre meno in sintonia con il Paese, e soprattutto del pittoresco di Roma, che la scheda va guardata e appunto valorizzata. Una volta dispiegata, meglio di un saggio la scheda infatti spiega la tristissima bruttezza della nostra bellissima capitale che, come già scriveva il Gibbon, nel suo celebre e ineguagliato trattato di storia, «tra le rovine del Campidoglio contempliamo, prima con ammirazione e poi con pietà». E chissà cosa scriverebbe oggi se potesse annettere la scheda elettorale più lunga del mondo nell’iconografia del suo libro.
Questa scheda infatti è la mappa della nostra degradazione. Aprendola, leggiamo, al di là dei nomi di Ignazio Marino e Alfio Marchini, di Marcello De Vito e Gianni Alemanno, i simboli anonimi e tutti uguali delle periferie anonime e tutte uguali, la periferia di Roma che non è città che comincia o finisce ma città che si sfinisce, e persino nei luoghi del pasolinismo, da Ostia sino a Torbellamonica e Torpignattara il sottoproletariato, con felpa e cappellino, è pronto ai reality. E nella stramberia della scheda ci sono gli ambulanti di piazza Navona che vendono le cose più brutte nel posto più bello, e le facciate sbrecciate delle case storiche, la finta vita bohemienne di Trastevere con gli orribili graffiti spacciati per creatività, e le auto dei vigili urbani posteggiate sui marciapiedi come documenta il benedetto sito www. romafaschifo (sottotitolo: “chi ha ridotto così la città più bella del mondo?”), e i camion vela elettorali posteggiati all’Eur, e le bambine borseggiatrici della Stazione Termini e l’illegalità dei furgoncini-bar che smerciano immangiabili panini davanti al Colosseo e a tutti gli altri monumenti, e la cartellonistica abusiva, e i finti gladiatori attorno alle vestigia, e gli autobus che non arrivano mai e sono così affollati che «un povero ma onesto borseggiatore non sa come muoversi» è la battuta che raccolgo da un vecchio pizzardone che ha lavorato con il fratello di Andreotti. E si intravedono nella scheda i guasti della giunta Alemanno, l’inchiesta giudiziaria su 850 assunzioni all’Atac e altrettanti all’Ama, e infine il buco di bilancio di decine di miliardi di euro che fonti autorevoli di Bruxellles definiscono «un rischio sistemico che la città di Roma pone all’intera eurozona», « un debito pari a quello dell’Austria».
L’idea forte del film “La Grande Bellezza” è il meraviglioso dettaglio fermo, lo splendido fotogramma inanimato, lo sguardo su Trinità dei Monti per esempio o la passeggiata al Gianicolo, una grande bellezza morta come i tempi di chi aspetta un autobus o vuole andare al mare o pretende di risolvere una pratica, i lunghi tempi della morte lunga, lunghi come la scheda elettorale.
il Fatto 25.5.13
I leader parlano, piazze semivuote
Domani si vota, ma a Roma in poche migliaia ad ascoltare Berlusconi, il Pd e M5S
Record negativo per il Cavaliere, al Colosseo fra pochi intimi
Delusi anche i democratici in piazza San Giovanni
Vince la sfida piazza del Popolo che si “scalda” all’arrivo di Grillo
di Antonello Caporale
Roma non ha fatto la stupida stasera. Non ha piovuto. Certo fa il freddo d’ottobre e già tutti i maglioni sono traslocati nell’armadio, “e con questa camicetta come fai?, non gliela facciamo più ad aspettare”. Marisa e Lina sono venute a San Giovanni ma si arrendono alla brezza gelata. È la prima fuga dalla prima delle quattro piazze che si rifiutano di riempirsi malgrado abbiano sistemato il castello gonfiabile con gli scivoli e topolini sorridenti e bambini al centro del prato, con gli stand a stringere l’inquadratura. “Macchè, siamo pochi stasera”. La mestizia con la quale Simone porta la sua bandiera non cancella l’amore meraviglioso che ancora lo costringe ad essere qua, nonostante il dolore. “E quando vi vedo in televisione, voi del Fatto, mi viene paura perchè ci date tante legnate. Non conto niente ma anch’io le sento addosso perchè il partito è la mia famiglia, papà si chiamava Palmiro. Dimmi un po’, ma cos’hanno veramente combinato quelli? ”. Simone è come quei genitori in pena che sono alla ricerca della verità sui figli, la rivelazione. Epifani non si vede, neanche Ignazio Marino. “C’avemo tanti professori universitari, tanti intellettuali”: la coppia di compagni maturi non si capacita, la scelta non sembra la migliore, malgrado quel che dice Goffredo Bettini, il dominus del partito romano: “È l’Argan della scienza. Non ha il sacro fuoco del candidato, questo è vero... ”. Da via Merulana sparute avanguardie della terza età, con la bandierina bianca e il Daje, il motto elettorale stampato su cartoncino che oggi è un’esclamazione fuori posto. “Sto andando a vedere chi c’è in piazza, ma certo la città è sfiancata, lo senti”. È Mimmo Calopresti, il regista, e si sta avviando col passo lento del militante recidivo che non ce la fa a fermarsi. Malinconico tango in questa piazza, “eppure Ignazio ha una sua caratteristica: agguanta i problemi e se carbura non lo fermi più. Ha difficoltà nel rompere il clima, forse perchè è genovese e lo vediamo estraneo alla città”.
FLAVIO, MEDICO OTORINO al Sant’Eugenio, sicuro del sol dell’avvenire. Si sta larghi sul prato. Ne siamo tremila? Quattromila? Anche di più? “Miei cojoni! ” esclama un uomo con la barba del sessantotto. Sarcasmo freddo, disorientamento della classe operaia: chi siamo, dove andiamo. Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria: “Il nostro problema è la base che non si fa sentire, che non protesta, dileguata in una depressione solitaria”. Ecco quel che rimane di un popolo, che pure è doppio rispetto a quel che si annuncia laggiù, appena conclusa la discesa della bellissima via dei Santissimi Quattro Coronati. Roma è a quattro piazze stasera e per raggiungere la seconda, quella di Berlusconi e di Alemanno, passo davanti a Pasqualino al Colosseo, il ristorante dove l’egregio onorevole Fiorito ordinava per sé e i numerosi amici spaghettini all’astice, calamari, tonno, frittura mista, gnocchetti, qualche volta la carne alla brace, l’ottimo abbacchio. Una ricevutona di poco inferiore ai ventimila euro: ha pagato Pantalone per tutti. Pasqualino è stato il punto ristoro del Pdl laziale, ora è deserto. Un signore solo al tavolino ascolta la radio: “Basta con le bande! ”, dicono nel talk elettorale. Il palco di Alemanno è ancora più mesto di quello di Marino. Impalato davanti l’Arco di Costantino, consente al migliaio di passanti un largo passeggio. Una coppia di sposi smamma, le foto sono impossibili oggi, bisogna salire verso Colle Oppio. Turisti americani interdetti, giungla di poliziotti sfaccendati, pochi fascisti ma comunque resistono anch’essi all’oblìo. Se vince Alemanno non sarà grazie a loro, ma ai mille imprenditori che per esempio hanno sborsato mille euro a testa alla cena di degustazione elettorale. Una sola cena è valsa, complice Silvio Berlusconi, un milione di euro. Gli assegni sono stati prontamente sganciati e l’attesa ripagata. Non qui, non stasera, ma due pomeriggi fa, al Tempio di Adriano, sede della Camera di Commercio. Lì Alemanno ha spiegato, con la voce di Andrea Augello, il suo spin doctor, la meraviglia che attende tutti: “Sono stati sbloccati 571 milioni di euro che andranno ai creditori del comune di Roma. Dal 21 maggio sono iniziati i pagamenti, e tutti gli uffici sono impegnati allo spasimo per dare risposte concrete, adempiere a un obbligo, risollevare il morale e il portafogli di tanti imprenditori che hanno lavorato per Roma e attendono il frutto di quel lavoro”.
“Questo è voto di scambio, un interminabile voto di scambio con il quale si condizione il voto”. È un imprenditore danaroso, capostipite di una famiglia che ha vissuto nell’era e nell’ombra della sinistra, a parlare. Alfio Marchini, il quarto dei gareggianti, si concede agli amici nel parco Schuster. Lo affianca Antonello Venditti, anch’egli traslocato dalle storiche posizioni, nel finale di partita che ha giocato al meglio. L’aria qui è più festosa, il clima è più ottimista. Sul taxi Parigi 48: “La metà di noi voterà Marchini. Alemanno ha deluso. E senza i tassisti Alemanno perde”. Voteranno Mar-chini anche la borghesia, anche i Caltagirone, anche Casini e Ma-rio Monti. Un po’ di centro, un po’ di sinistra, un po’ di destra. Un mix che conduce a cifre misteriose, più elevate del prevedibile. Marchini ha avuto buoni consiglieri per la comunicazione, e il suo “Roma ti amo” è divenuto un refrain che ha collegato il volto del ricco e bello a un impegno che è sembrato sincero. “La borghesia vota me perchè ha trovato un pazzo che si mette in gioco. Ma con me si mette in gioco tutto quel mondo”.
“Amici, sono a Radio Popolare e cerco di capire dov’è la sauna. Roma ti amo”, scrive il suo alter ego “Arfio”. Lui ci gioca. L’autoironia produce consensi. Ce la farà? “Se vado al ballottaggio scelgo come vice sindaco De Vito, il candidato dei cinquestelle”, ha infine dichiarato. Non è certo, anzi non è proprio così. Ma insomma è l'affermazione della potenza del voto irregolare. Nè Pd, né Pdl. Lo sciopero dei bus chiama tutti al metrò. Siamo a piazza del Popolo. Per metà è vuota, ma Beppe Grillo parlerà intorno alle nove di sera, e basta già questa metà a rendere questo popolo il più numeroso dei quattro in gara. Fosse questione di numeri, la classifica sarebbe presto detta: primo Grillo, secondo Marchini, poi Marino e infine Alemanno. Ma i voti si contano nell’urna. “Vuoi fare il rappresentante di lista? ”, mi chiede una militante “Ma è un giornalista! ” la rimprovera Luciano Emili, candidato al consiglio comunale. La ragazza retrocede: il giornalista è la figura più temuta e odiata dalla tribù grillina. Un po’ di preoccupazione c’è e si vede: “Paghiamo la rappresentazione che avete fatto di noi”. “Siamo inesperti, capite che per noi è difficile fare ogni cosa per bene? ”. Certo che sì, capiamo. “Ah, ma non aspetti Grillo? ”.
il Fatto 25.5.13
San Giovanni è troppo grande per il Pd
di Wanda Marra
“L’ultima volta che sono salito sul palco di San Giovanni? Nell’autunno 2010 alla manifestazione della Fiom, come segretario della Cgil”. Altri tempi, quando Guglielmo Epifani a manifestare con i metalmeccanici ci poteva andare. Da segretario Pd ha l’aria infreddolita, compressa. Nella piazza in cui Ignazio Marino chiude la sua campagna elettorale arriva alle 18. Foto col candidato sindaco. Dichiarazioni ai tg. Chiacchierata con i giornalisti. Sul palco non sale. Non si fa neanche un giro in piazza. Ai militanti - molto pochi - che accorrono non parla. È un flop. La manifestazione inizia alle 17 e 30. Gruppi musicali. In scaletta addirittura Dario Vergassola e Piovani. All’inizio, poche centinaia di persone, poi si arriva a qualche migliaio. “Grazie per averci fatto ritornare e ritrovare questa nostra piazza”. Alle 20 Marino inizia così il suo comizio. Parole dissonanti con quello che ha intorno. Il palco è in un angolo, taglia mignon. Le bandiere che spiccano sono quelle dei Verdi. “Non è politica è Roma”, recita uno dei suoi slogan. Difficile prendere le distanze più di così. Dietro al palco Epifani mette le mani avanti: “Il voto amministrativo è un voto locale. Ma naturalmente poi ha una valenza nazionale, soprattutto quello di Roma”. Un pronostico? “Noi siamo bravi ad amministrare le città, almeno questo giudizio non può cambiare in poco tempo. Andremo al ballottaggio un po’ ovunque. Poi ce la giochiamo”. Ricadute sul governo? “No, è iniziato da troppo poco. Al voto ci va solo l’8% degli italiani”. L’atmosfera è moscia che più non si può. “No, non sono pentito di aver scelto San Giovanni. Ha un valore simbolico. La gente va e viene”. Un’ammissione. E comunque, “poi conteremo i voti... ”. La scelta di non salire sul palco? Marino si presenta come una sorta di candidato civico, ha preferito così.
“FORSE sarebbe stato meglio non venire qui, magari se vincevamo al ballottaggio aveva un’altra valenza”, bisbigliano nell’organizzazione. “Ma poi come si fa a mettere solo musica? Nessun candidato che parla, ore di concerto”, commentano in piazza. Epifani osserva: “C’è molto distacco, molta indifferenza per queste elezioni”. Poi si riprende: “Però, i romani giudicheranno anche l’operato di Alemanno. E uno sciopero dei mezzi nel giorno della chiusura della campagna elettorale: che scelta da parte sua! ”. Se non si vede gente, non si vedono neanche i dirigenti Pd. Dietro al palco, il volto sponsor Alessandro Gassman regala foto. A salutare Epifani arriva Armando Cossutta, in carrozzella. La storia del Pci e delle sue divisioni (“l’Armando” con la svolta della Bolognina fondò Rifondazione, quando Bertinotti fece cadere Prodi il Pdci) che si materializza. Nell’assenza generale si presentano Sassoli e Vita, Fassina e Gentiloni. Spicca Gianni Cuperlo. Candidato in pectore al congresso. Con lui Walter Tocci commenta: “Venire qui? C’era voglia di rivincita”. La scelta di Bersani di chiudere all’Ambra Jovinelli la campagna per le politiche mentre Grillo gli soffiava San Giovanni era stata duramente criticata. Ma l’ultima manifestazione del Pd in questa piazza, nel novembre del 2011, al confronto appare oceanica.
CUPERLO si guarda intorno e ricorda un aneddoto, che, spiega, Massimo D’Alema amava raccontare: “Quando nel 1996 l’Ulivo vinse le elezioni, a un certo punto della sera lui scese da Botteghe Oscure. Gli andò incontro una vecchia militante, lo abbracciò dicendo ‘Abbiamo vinto! Faremo una bella opposizione’. E lui: ‘No, stavolta veramente ci tocca governare’”. Il presidente della Regione Zingaretti dal palco recita da copione: “Marino ce la farà a cambiare Roma”. Il candidato, lontanissimo dalla tradizione comunista, che arriva in Bmw e sorride continuamente, esorta la folla: “Entusiasmo, entusiasmo”. E da genovese mentre chiude urlando il romanissimo “Daje” quasi cade disteso sul palco.