Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Gli italiani corrono sempre sul carro del vincitore
Ennio Flaiano
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16
Fronti di guerra - 14
http://www.youtube.com/watch?v=ZJE-onnw2gM
Secondo fronte di guerra
Pierluigi Battista è certo della fine politica di Berlusconi. Lo ha affermato stamani ad Agorà.
Quando la Corte d’Appello di Milano stabilirà i tempi dell’interdizione dai pubblici uffici, per Berlusconi in questa fase non ci sarà scampo.
“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Questo aforisma del defunto Giulio è sempre valido, e Silvietto ha deciso di applicarlo fino in fondo.
Tutto può accadere nella finestra temporale da qui a dicembre.
Compresa l’ipotesi che il conflitto siriano si estenda secondo quanto ritengono alcuni analisti del settore.
Se ipoteticamente ci sarà un cataclisma, Silvietto potrà evitare di scontare la pena.
Il bombardamento delle opinioni in questi giorni, in queste ore è notevole e spesso generano parecchia,…….troppa confusione.
Stamani, Marco Palombi ha redatto un’ipotesi che più di altre potrebbe essere vicina alla realtà.
**
Berlusconi va alla guerra Il Colle prova a fermarlo
(Marco Palombi).
06/09/2013 di triskel182
VERDINI HA CONVINTO IL CAPO CHE NON CI SARÀ NESSUN LETTA BIS, I SONDAGGI CHE VINCERÀ LE ELEZIONI. NAPOLITANO: “RIPETO: CON LA CRISI RISCHI GRAVISSIMI”.
Stavolta sembra deciso”. Diverse fonti di centrodestra, anche non ascrivibili ai cosiddetti falchi, hanno avuto modo di vedere o sentire un Silvio Berlusconi ormai indirizzato alla rottura: “Dall’incontro con Angelino di martedì, quando ha capito che il Pd non cedeva e Napolitano non avrebbe rispettato i patti sulla grazia, non ha cambiato idea: il problema a questo punto è come addossare al Pd la colpa della crisi”.
Il Cavaliere insomma – che ieri sera ha visto di nuovo il vicepremier Alfano – sembra deciso a far cadere Enrico Letta: Denis Verdini gli ha garantito che al Senato non ci saranno defezioni nel gruppo Pdl e gli ultimi sondaggi commissionati lo accreditano di un 35% dei consensi.
Guerra sia, allora, forse già da lunedì pomeriggio, quando Berlusconi è atteso sul palco della kermesse “Controcorrente” organizzata a Sanremo da Il Giornale.
“Vedo la crisi avvicinarsi”, ha messo a varbale ieri Renato Schifani. Il canovaccio della campagna elettorale è già scritto: la giustizia, i referendum radicali. L’unica cosa che potrebbe fermare Silvio è la grazia, ma non una qualunque: “esaustiva” la vuole Sandro Bondi, cioè comprensiva della pena accessoria (che, però, ancora non è stata comminata , come ha fatto notare il Colle all’interessato).
L’EX PREMIER, comunque, ha un problema sulla via delle elezioni: Giorgio Napolitano.
Ieri il capo dello Stato ha diffuso un’anomala velina tramite le agenzie di stampa: il presidente “non sta studiando o meditando il da farsi nel caso venga aperta una crisi di governo perché, avendo già messo in massima evidenza che l’insorgere di una crisi precipiterebbe il paese in gravissimi rischi, conserva fiducia nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi in base alle quali il governo continua ad avere il suo sostegno”.
La nota viene interpretata nel centrodestra come una minaccia nascosta da apertura.
Un concetto vicino a “meglio che non ci provi”. O, più gentilmente, come fa Pino Pisicchio, capogruppo del Misto alla Camera: “I falchi tornino ai nidi”. La cosa, ovviamente, non è piaciuta all’autorecluso di Arcore: Napolitano è l’unico che può fare qualcosa e deve farla. E che sia “esaustiva”, ovviamente.
In realtà, la velina quirinalizia serve anche a smentire la “guerra dei videomessaggi” su cui si stavano esercitando le chiacchiere da corridoio dei palazzi romani.
L’indiscrezione è questa : visto che Silvio Berlusconi ha registrato il suo “video della crisi” da mandare in onda quanto prima (“è imminente”, ha detto ieri Santanchè), circolava voce che Napolitano avrebbe reagito con un messaggio al Parlamento – magari corredato da registrazione per le tv – in cui scaricare la colpa della crisi su Berlusconi e disegnare in qualche modo un percorso per tenere Enrico Letta a palazzo Chigi.
IL PREMIER, peraltro, ieri ha cantato – con Fabrizio Saccomanni ai cori – sullo spartito caro al Colle: la crisi ci costerebbe il treno della ripresa e riporterebbe l’Italia tra i paesi inaffidabili (e da lì alla guerriglia dello spread il passo è breve). Non che qualcuno si illuda che saranno le preoccupazioni sull’economia a frenare Berlusconi. L’unico vero spauracchio per il Cavaliere è non riuscire ad arrivare al voto e rimanere bloccato all’opposizione per chissà quanto.
Il lavorio in Senato per il Letta bis non è infatti mai finito e continua ancora: nella nuova dinamica, però, i “governativi” non puntano più sul pattuglione in uscita dal Pdl, gente che arriverebbe solo se la prospettiva politica fosse a lungo termine, ma a rimediare una maggioranza anche risicata (un conto è avere un paio di sottosegretari in più, un altro dover garantire un seggio a venti o trenta persone).
D’altronde servono una decina di persone e qualcuno potrebbe arrivare anche dal gruppo M5S, come dimostra il caso Orellana.
Così sarebbe, però, un esecutivo diverso, una riedizione in salsa responsabile del “governo del cambiamento” di Bersani.
Dice Nichi Vendola: Sel ci sta solo se “si assume la povertà come la questione principale che oggi è sulle spalle del paese, mentre col decreto Imu per i ricchi ormai siamo al Letta-Berlusconi”.
I più dubbiosi nel centrodestra speravano almeno, per stare più tranquilli, nel desiderio di Matteo Renzi di andare al voto subito. Invece il sindaco di Firenze pare aver deciso per la conquista del partito e ancora ieri profetava: “Il governo non casca”.
Per questo, nonostante le rassicurazioni di Verdini, nel Pdl continua il dibattito sui traditori.
Se il ministro Nunzia De Girolamo, sempre indiziata di “intelligenza col nemico” sulla stampa, promette fedeltà eterna a Berlusconi, Fabrizio Cicchitto usa parole assai rivelatrici della profondità del problema: “Guai a introdurre in un dibattito serio la nozione del traditore e del tradimento. Il partito unito non è una sorta di caserma agli ordini di qualche caporale, ma può essere attraversato da riflessioni politiche che possono anche essere diverse”.
Da Il Fatto Quotidiano del 06/09/2013.
Ennio Flaiano
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Pierluigi Battista è certo della fine politica di Berlusconi. Lo ha affermato stamani ad Agorà.
Quando la Corte d’Appello di Milano stabilirà i tempi dell’interdizione dai pubblici uffici, per Berlusconi in questa fase non ci sarà scampo.
“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Questo aforisma del defunto Giulio è sempre valido, e Silvietto ha deciso di applicarlo fino in fondo.
Tutto può accadere nella finestra temporale da qui a dicembre.
Compresa l’ipotesi che il conflitto siriano si estenda secondo quanto ritengono alcuni analisti del settore.
Se ipoteticamente ci sarà un cataclisma, Silvietto potrà evitare di scontare la pena.
Il bombardamento delle opinioni in questi giorni, in queste ore è notevole e spesso generano parecchia,…….troppa confusione.
Stamani, Marco Palombi ha redatto un’ipotesi che più di altre potrebbe essere vicina alla realtà.
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06/09/2013 di triskel182
VERDINI HA CONVINTO IL CAPO CHE NON CI SARÀ NESSUN LETTA BIS, I SONDAGGI CHE VINCERÀ LE ELEZIONI. NAPOLITANO: “RIPETO: CON LA CRISI RISCHI GRAVISSIMI”.
Stavolta sembra deciso”. Diverse fonti di centrodestra, anche non ascrivibili ai cosiddetti falchi, hanno avuto modo di vedere o sentire un Silvio Berlusconi ormai indirizzato alla rottura: “Dall’incontro con Angelino di martedì, quando ha capito che il Pd non cedeva e Napolitano non avrebbe rispettato i patti sulla grazia, non ha cambiato idea: il problema a questo punto è come addossare al Pd la colpa della crisi”.
Il Cavaliere insomma – che ieri sera ha visto di nuovo il vicepremier Alfano – sembra deciso a far cadere Enrico Letta: Denis Verdini gli ha garantito che al Senato non ci saranno defezioni nel gruppo Pdl e gli ultimi sondaggi commissionati lo accreditano di un 35% dei consensi.
Guerra sia, allora, forse già da lunedì pomeriggio, quando Berlusconi è atteso sul palco della kermesse “Controcorrente” organizzata a Sanremo da Il Giornale.
“Vedo la crisi avvicinarsi”, ha messo a varbale ieri Renato Schifani. Il canovaccio della campagna elettorale è già scritto: la giustizia, i referendum radicali. L’unica cosa che potrebbe fermare Silvio è la grazia, ma non una qualunque: “esaustiva” la vuole Sandro Bondi, cioè comprensiva della pena accessoria (che, però, ancora non è stata comminata , come ha fatto notare il Colle all’interessato).
L’EX PREMIER, comunque, ha un problema sulla via delle elezioni: Giorgio Napolitano.
Ieri il capo dello Stato ha diffuso un’anomala velina tramite le agenzie di stampa: il presidente “non sta studiando o meditando il da farsi nel caso venga aperta una crisi di governo perché, avendo già messo in massima evidenza che l’insorgere di una crisi precipiterebbe il paese in gravissimi rischi, conserva fiducia nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi in base alle quali il governo continua ad avere il suo sostegno”.
La nota viene interpretata nel centrodestra come una minaccia nascosta da apertura.
Un concetto vicino a “meglio che non ci provi”. O, più gentilmente, come fa Pino Pisicchio, capogruppo del Misto alla Camera: “I falchi tornino ai nidi”. La cosa, ovviamente, non è piaciuta all’autorecluso di Arcore: Napolitano è l’unico che può fare qualcosa e deve farla. E che sia “esaustiva”, ovviamente.
In realtà, la velina quirinalizia serve anche a smentire la “guerra dei videomessaggi” su cui si stavano esercitando le chiacchiere da corridoio dei palazzi romani.
L’indiscrezione è questa : visto che Silvio Berlusconi ha registrato il suo “video della crisi” da mandare in onda quanto prima (“è imminente”, ha detto ieri Santanchè), circolava voce che Napolitano avrebbe reagito con un messaggio al Parlamento – magari corredato da registrazione per le tv – in cui scaricare la colpa della crisi su Berlusconi e disegnare in qualche modo un percorso per tenere Enrico Letta a palazzo Chigi.
IL PREMIER, peraltro, ieri ha cantato – con Fabrizio Saccomanni ai cori – sullo spartito caro al Colle: la crisi ci costerebbe il treno della ripresa e riporterebbe l’Italia tra i paesi inaffidabili (e da lì alla guerriglia dello spread il passo è breve). Non che qualcuno si illuda che saranno le preoccupazioni sull’economia a frenare Berlusconi. L’unico vero spauracchio per il Cavaliere è non riuscire ad arrivare al voto e rimanere bloccato all’opposizione per chissà quanto.
Il lavorio in Senato per il Letta bis non è infatti mai finito e continua ancora: nella nuova dinamica, però, i “governativi” non puntano più sul pattuglione in uscita dal Pdl, gente che arriverebbe solo se la prospettiva politica fosse a lungo termine, ma a rimediare una maggioranza anche risicata (un conto è avere un paio di sottosegretari in più, un altro dover garantire un seggio a venti o trenta persone).
D’altronde servono una decina di persone e qualcuno potrebbe arrivare anche dal gruppo M5S, come dimostra il caso Orellana.
Così sarebbe, però, un esecutivo diverso, una riedizione in salsa responsabile del “governo del cambiamento” di Bersani.
Dice Nichi Vendola: Sel ci sta solo se “si assume la povertà come la questione principale che oggi è sulle spalle del paese, mentre col decreto Imu per i ricchi ormai siamo al Letta-Berlusconi”.
I più dubbiosi nel centrodestra speravano almeno, per stare più tranquilli, nel desiderio di Matteo Renzi di andare al voto subito. Invece il sindaco di Firenze pare aver deciso per la conquista del partito e ancora ieri profetava: “Il governo non casca”.
Per questo, nonostante le rassicurazioni di Verdini, nel Pdl continua il dibattito sui traditori.
Se il ministro Nunzia De Girolamo, sempre indiziata di “intelligenza col nemico” sulla stampa, promette fedeltà eterna a Berlusconi, Fabrizio Cicchitto usa parole assai rivelatrici della profondità del problema: “Guai a introdurre in un dibattito serio la nozione del traditore e del tradimento. Il partito unito non è una sorta di caserma agli ordini di qualche caporale, ma può essere attraversato da riflessioni politiche che possono anche essere diverse”.
Da Il Fatto Quotidiano del 06/09/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Gli italiani corrono sempre sul carro del vincitore
Ennio Flaiano
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Fronti di guerra - 15
http://www.youtube.com/watch?v=ZJE-onnw2gM
Secondo fronte di guerra
Questo di Giannini è uno dei più lucidi interventi degli ultimi giorni.
****
BATTAGLIA FINALE
(Massimo Giannini).
06/09/2013 di triskel182
PRIMA o poi doveva succedere. Il bipolarismo propiziato dal ventennio berlusconiano ha assunto un profilo “psichico” più che politico.
Destabilizzato dalla condanna in Cassazione e dalla mancata “pacificazione”, per lui unico movente che giustifica le Larghe Intese, il Cavaliere alterna i giorni dell’ira a quelli della paura.
La sera siede a tavola con la pitonessa Santanchè e annuncia la crisi. La mattina siede sul divano con il barboncino Dudù e si rimangia tutto.
====================
Così non si può andare avanti.
====================
E dunque, a tre giorni da un 9 settembre italiano che la destra tinge con i colori dell’Apocalisse, è fatale che il presidente della Repubblica sia costretto a riscendere in campo.
Per presidiare ancora una volta le istituzioni. E per inchiodare Berlusconi alle sue responsabilità. Non solo verso il governo, ma verso il Paese.
La nota diffusa da Giorgio Napolitano è un tentativo estremo, forse l’ultimo, per evitare una rottura finora solo possibile, ma a questo punto sempre più probabile.
Il fatto stesso che il Capo dello Stato abbia dovuto compiere un atto politicamente così impegnativo conferma che stavolta l’allarme è eccezionale, perché la minaccia è reale.
Il piano inclinato sul quale scivola il voto della Giunta del Senato (da lunedì prossimo convocata per dibattere sulla decadenza dell’ex premier) porta dritto alla caduta del governo.
I segnali che filtrano, tra Arcore e Palazzo Grazioli, evocano scenari dirompenti.
Come sempre, quando c’è da salvare il soldato Silvio.
Ministri del Pdl usati come scudi umani, che si dimettono o si autosospendono.
Video-messaggi usati come armi improprie, che riecheggiano ed esasperano il grido di battaglia del 1994.
======================================================
Un clima di guerra(civile - ndt), verrebbe da dire, se non suonasse blasfemo l’uso di una parola purtroppo più adatta alla tragedia siriana che non alla tragicommedia italiana.
======================================================
Eppure, proprio nelle ore in cui a San Pietroburgo il premier Letta è impegnato a decidere con Obama e Putin i destini del Medioriente, a Villa San Martino l’ex premier Berlusconi è impegnato a cannoneggiare l’esecutivo e a sabotare la maggioranza. Un enorme danno d’immagine per l’Italia.
Il Quirinale ribadisce e rilancia tre messaggi-chiave.
Riflette un principio di necessità: a questo governo non c’è alternativa, è forte anche solo per questo e per questo il Colle non prende neanche in esame altre subordinate, né il Letta bis né un governo istituzionale con un’altra maggioranza né, meno che mai, le elezioni anticipate.
Riflette il principio di realtà: aprire una crisi adesso precipiterebbe il Paese «in gravissimi rischi», come hanno ampiamente dimostrato le reazioni nervose dei mercati e degli organismi internazionali di fronte alla nostra instabilità interna.
Riflette il principio di responsabilità: il Cavaliere ha subito una condanna definitiva, le sentenze vanno non solo rispettate ma anche eseguite, la giustizia deve fare il suo corso senza che le altre istituzioni subiscano “ritorsioni” per questo.
Dunque è inutile continuare a scaricare su altri la responsabilità di quanto accade.
È inutile continuare a pretendere che la presidenza della Repubblica compia d’ufficio un impensabile gesto di clemenza.
È inutile continuare ad esigere un salvacondotto dal Parlamento, addossando sul Pd la colpa eventuale di averlo negato, e per questo di aver “ucciso” il governo.
Napolitano si rivolge direttamente ed esclusivamente a Berlusconi.
=======================================================
È lui, ormai, l’unico che deve prendere atto dell’epilogo, per quanto amaro e doloroso, della sua «Storia italiana».
=======================================================
È lui, ormai, l’unico che deve saper scindere i suoi destini personali da quelli del governo, della destra e perfino del Paese.
È lui, ormai, l’unico che deve accettare i fatti e rinunciare ai ricatti, rompendo una volta per tutte il legame incestuoso tra vicenda processuale e interesse nazionale.
È lui, infine, che deve dimostrarsi almeno per una volta coerente, rinunciando a staccare la spina a un esecutivo che ha più volte detto di aver voluto e di aver fatto nascere.
Se non lo farà, sarà a lui e non ad altri che i cittadini-elettori chiederanno conto, di fronte a una crisi al buio che può portare l’Italia all’ingovernabilità e lo spread a quota 500.
Il Capo dello Stato fa un ultimo sforzo per far ragionare lo Statista di Arcore.
«Conserva fiducia» nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi a sostegno della Grande Coalizione.
Una formula ardita, viste le prove rovinose fornite dal Cavaliere in quasi vent’anni di avventurismo politico, imprenditoriale e persino esistenziale.
Infatti le prime risposte che arrivano dalla corte di Arcore sono purtroppo disarmanti, e al tempo stesso inquietanti.
Basta leggere Sandro Bondi, per rendersene conto.
Il bardo della corte di Arcore ricalca per filo e per segno il testo di Napolitano, per sbattergli in faccia il guanto di sfida al quale la destra sembra ormai ineluttabilmente votata.
Il Pdl non solo non accoglie gli inviti del Capo dello Stato, ma «confida» a sua volta in lui perché «non ignori la drammaticità della situazione, e prenda seriamente in esame un provvedimento esaustivo che le sue prerogative gli consentono di assumere nell’interesse dell’Italia».
Un provvedimento «che scongiuri gli effetti di una sentenza allucinante».
Siamo, ancora una volta, al “berlusconismo da combattimento”, che non si limita a respingere l’appello del Quirinale.
Glielo ritorce contro, chiedendo ancora una volta al presidente della Repubblica di osare l’inosabile.
Di violare la Costituzione e i suoi principi.
Di rinunciare alla forza del diritto in nome di un impensabile “diritto della forza”.
================================================
È una “grazia tombale”, che il Cavaliere esige ancora dal Capo dello Stato.
================================================
Che lo mondi da tutti i suoi reati, e lo restituisca integro a un sistema politico e giuridico “violentato” e snaturato per sempre.
Se questi sono i presupposti sui quali si combatterà la battaglia finale, è fin troppo facile prevederne i prossimi sviluppi.
======================================================
Si profila un conflitto istituzionale senza precedenti, che vede il Cavaliere e le sue truppe all’attacco forsennato e disperato di Napolitano.
======================================================
Un attacco che inizia oggi, visto che nella mente distorta di Berlusconi c’è ancora incistata l’idea folle di un “motu proprio” del Colle sulla grazia.
E che proseguirà domani, visto che se si apre una crisi il Cavaliere userà qualunque arma possibile per estorcere al Colle lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato.
È uno scenario da incubo. Un finale da Caimano.
Ma per questo è preziosa la resistenza del Quirinale. E lo sarà anche quella del Pd. La posta in gioco è troppo alta, e va ben al di là della banale contesa tra garantismo e giustizialismo, o tra riformismo e anti-berlusconismo.
Un Lodo Violante. ammesso che esista o sia mai esistito, fa presto a diventare un altro Lodo Alfano. Quel tempo è passato. Non può e non deve tornare.
Da La Repubblica del 06/09/2013.
Ennio Flaiano
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Fronti di guerra - 15
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Questo di Giannini è uno dei più lucidi interventi degli ultimi giorni.
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(Massimo Giannini).
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PRIMA o poi doveva succedere. Il bipolarismo propiziato dal ventennio berlusconiano ha assunto un profilo “psichico” più che politico.
Destabilizzato dalla condanna in Cassazione e dalla mancata “pacificazione”, per lui unico movente che giustifica le Larghe Intese, il Cavaliere alterna i giorni dell’ira a quelli della paura.
La sera siede a tavola con la pitonessa Santanchè e annuncia la crisi. La mattina siede sul divano con il barboncino Dudù e si rimangia tutto.
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Così non si può andare avanti.
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E dunque, a tre giorni da un 9 settembre italiano che la destra tinge con i colori dell’Apocalisse, è fatale che il presidente della Repubblica sia costretto a riscendere in campo.
Per presidiare ancora una volta le istituzioni. E per inchiodare Berlusconi alle sue responsabilità. Non solo verso il governo, ma verso il Paese.
La nota diffusa da Giorgio Napolitano è un tentativo estremo, forse l’ultimo, per evitare una rottura finora solo possibile, ma a questo punto sempre più probabile.
Il fatto stesso che il Capo dello Stato abbia dovuto compiere un atto politicamente così impegnativo conferma che stavolta l’allarme è eccezionale, perché la minaccia è reale.
Il piano inclinato sul quale scivola il voto della Giunta del Senato (da lunedì prossimo convocata per dibattere sulla decadenza dell’ex premier) porta dritto alla caduta del governo.
I segnali che filtrano, tra Arcore e Palazzo Grazioli, evocano scenari dirompenti.
Come sempre, quando c’è da salvare il soldato Silvio.
Ministri del Pdl usati come scudi umani, che si dimettono o si autosospendono.
Video-messaggi usati come armi improprie, che riecheggiano ed esasperano il grido di battaglia del 1994.
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Un clima di guerra(civile - ndt), verrebbe da dire, se non suonasse blasfemo l’uso di una parola purtroppo più adatta alla tragedia siriana che non alla tragicommedia italiana.
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Eppure, proprio nelle ore in cui a San Pietroburgo il premier Letta è impegnato a decidere con Obama e Putin i destini del Medioriente, a Villa San Martino l’ex premier Berlusconi è impegnato a cannoneggiare l’esecutivo e a sabotare la maggioranza. Un enorme danno d’immagine per l’Italia.
Il Quirinale ribadisce e rilancia tre messaggi-chiave.
Riflette un principio di necessità: a questo governo non c’è alternativa, è forte anche solo per questo e per questo il Colle non prende neanche in esame altre subordinate, né il Letta bis né un governo istituzionale con un’altra maggioranza né, meno che mai, le elezioni anticipate.
Riflette il principio di realtà: aprire una crisi adesso precipiterebbe il Paese «in gravissimi rischi», come hanno ampiamente dimostrato le reazioni nervose dei mercati e degli organismi internazionali di fronte alla nostra instabilità interna.
Riflette il principio di responsabilità: il Cavaliere ha subito una condanna definitiva, le sentenze vanno non solo rispettate ma anche eseguite, la giustizia deve fare il suo corso senza che le altre istituzioni subiscano “ritorsioni” per questo.
Dunque è inutile continuare a scaricare su altri la responsabilità di quanto accade.
È inutile continuare a pretendere che la presidenza della Repubblica compia d’ufficio un impensabile gesto di clemenza.
È inutile continuare ad esigere un salvacondotto dal Parlamento, addossando sul Pd la colpa eventuale di averlo negato, e per questo di aver “ucciso” il governo.
Napolitano si rivolge direttamente ed esclusivamente a Berlusconi.
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È lui, ormai, l’unico che deve prendere atto dell’epilogo, per quanto amaro e doloroso, della sua «Storia italiana».
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È lui, ormai, l’unico che deve saper scindere i suoi destini personali da quelli del governo, della destra e perfino del Paese.
È lui, ormai, l’unico che deve accettare i fatti e rinunciare ai ricatti, rompendo una volta per tutte il legame incestuoso tra vicenda processuale e interesse nazionale.
È lui, infine, che deve dimostrarsi almeno per una volta coerente, rinunciando a staccare la spina a un esecutivo che ha più volte detto di aver voluto e di aver fatto nascere.
Se non lo farà, sarà a lui e non ad altri che i cittadini-elettori chiederanno conto, di fronte a una crisi al buio che può portare l’Italia all’ingovernabilità e lo spread a quota 500.
Il Capo dello Stato fa un ultimo sforzo per far ragionare lo Statista di Arcore.
«Conserva fiducia» nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi a sostegno della Grande Coalizione.
Una formula ardita, viste le prove rovinose fornite dal Cavaliere in quasi vent’anni di avventurismo politico, imprenditoriale e persino esistenziale.
Infatti le prime risposte che arrivano dalla corte di Arcore sono purtroppo disarmanti, e al tempo stesso inquietanti.
Basta leggere Sandro Bondi, per rendersene conto.
Il bardo della corte di Arcore ricalca per filo e per segno il testo di Napolitano, per sbattergli in faccia il guanto di sfida al quale la destra sembra ormai ineluttabilmente votata.
Il Pdl non solo non accoglie gli inviti del Capo dello Stato, ma «confida» a sua volta in lui perché «non ignori la drammaticità della situazione, e prenda seriamente in esame un provvedimento esaustivo che le sue prerogative gli consentono di assumere nell’interesse dell’Italia».
Un provvedimento «che scongiuri gli effetti di una sentenza allucinante».
Siamo, ancora una volta, al “berlusconismo da combattimento”, che non si limita a respingere l’appello del Quirinale.
Glielo ritorce contro, chiedendo ancora una volta al presidente della Repubblica di osare l’inosabile.
Di violare la Costituzione e i suoi principi.
Di rinunciare alla forza del diritto in nome di un impensabile “diritto della forza”.
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È una “grazia tombale”, che il Cavaliere esige ancora dal Capo dello Stato.
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Che lo mondi da tutti i suoi reati, e lo restituisca integro a un sistema politico e giuridico “violentato” e snaturato per sempre.
Se questi sono i presupposti sui quali si combatterà la battaglia finale, è fin troppo facile prevederne i prossimi sviluppi.
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Si profila un conflitto istituzionale senza precedenti, che vede il Cavaliere e le sue truppe all’attacco forsennato e disperato di Napolitano.
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Un attacco che inizia oggi, visto che nella mente distorta di Berlusconi c’è ancora incistata l’idea folle di un “motu proprio” del Colle sulla grazia.
E che proseguirà domani, visto che se si apre una crisi il Cavaliere userà qualunque arma possibile per estorcere al Colle lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato.
È uno scenario da incubo. Un finale da Caimano.
Ma per questo è preziosa la resistenza del Quirinale. E lo sarà anche quella del Pd. La posta in gioco è troppo alta, e va ben al di là della banale contesa tra garantismo e giustizialismo, o tra riformismo e anti-berlusconismo.
Un Lodo Violante. ammesso che esista o sia mai esistito, fa presto a diventare un altro Lodo Alfano. Quel tempo è passato. Non può e non deve tornare.
Da La Repubblica del 06/09/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
8 settembre 1943 – 8 settembre 2013, un ciclo durato 70 anni - 1
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
Non ci sono per strada gli americani, non ci sono per strada i tedeschi, i fascisti ci sono ancora ma non sono in divisa.
Non ci sono case bombardate e montagnole di detriti.
Non c’è la borsa nera ma abbiamo i “Cambio oro”.
Di italiani pelle ossa che sembrano attaccapanni ambulanti non se ne vedono, salvo rari casi di malattie particolari.
I tricolori sono invece ben pasciuti, anzi, piuttosto grassi, e devono andare in palestra o a nuoto o in bicicletta per smaltire il grasso in superfluo.
La radio era una rarità allora ed è una rarità oggi.
Oggi ci sono mezzi di comunicazione che allora avrebbero definito avveniristiche, cose di altri pianeti.
La radio di oggi quindi non trasmette le canzonette in voga nel ‘43.
Almeno due generazioni digitalizzate non sanno neppure chi sia Beniamino Gigli che imperversava con la strappalacrime “Mamma” del ’40.
http://www.youtube.com/watch?v=KLjfbTYqoI8
Carlo Buti canta “Non ti scordar di me”
http://www.youtube.com/watch?v=h40X2JB9cHY
Il Trio Lescano rallegra gli italiani con “Pippo non lo sa”.
http://www.youtube.com/watch?v=TqczPsTdUzs
Natalino Otto si diverte con lo swing di “Ho un sassolino nella scarpa”
http://www.youtube.com/watch?v=hdlKWJWhOqs
L’Inter si chiama ancora Ambrosiana perché il suo nome originale “Internazionale” di Milano era proibito.
Quando il generale Badoglio legge il comunicato di resa agli anglo americani si scatena il putiferio.
L’esercito si sfascia.
C’è chi andrà a trovare rifugio nella Repubblica di Salò. Chi se ne andrà in montagna per combattere contro i nazifascisti, chi verrà deportato in Germania, chi verrà fucilato come traditore e chi tenterà di tornare a casa.
Tra le tantissime differenze che ci dividono da quella data fatidica di 70 anni fa che dava inizio ad un ciclo storico, una cosa è rimasta uguale, la totale confusione del popolo italiano davanti agli eventi.
Il ciclo storico si apre e si chiude nello smarrimento, nella confusione più totale.
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
Non ci sono per strada gli americani, non ci sono per strada i tedeschi, i fascisti ci sono ancora ma non sono in divisa.
Non ci sono case bombardate e montagnole di detriti.
Non c’è la borsa nera ma abbiamo i “Cambio oro”.
Di italiani pelle ossa che sembrano attaccapanni ambulanti non se ne vedono, salvo rari casi di malattie particolari.
I tricolori sono invece ben pasciuti, anzi, piuttosto grassi, e devono andare in palestra o a nuoto o in bicicletta per smaltire il grasso in superfluo.
La radio era una rarità allora ed è una rarità oggi.
Oggi ci sono mezzi di comunicazione che allora avrebbero definito avveniristiche, cose di altri pianeti.
La radio di oggi quindi non trasmette le canzonette in voga nel ‘43.
Almeno due generazioni digitalizzate non sanno neppure chi sia Beniamino Gigli che imperversava con la strappalacrime “Mamma” del ’40.
http://www.youtube.com/watch?v=KLjfbTYqoI8
Carlo Buti canta “Non ti scordar di me”
http://www.youtube.com/watch?v=h40X2JB9cHY
Il Trio Lescano rallegra gli italiani con “Pippo non lo sa”.
http://www.youtube.com/watch?v=TqczPsTdUzs
Natalino Otto si diverte con lo swing di “Ho un sassolino nella scarpa”
http://www.youtube.com/watch?v=hdlKWJWhOqs
L’Inter si chiama ancora Ambrosiana perché il suo nome originale “Internazionale” di Milano era proibito.
Quando il generale Badoglio legge il comunicato di resa agli anglo americani si scatena il putiferio.
L’esercito si sfascia.
C’è chi andrà a trovare rifugio nella Repubblica di Salò. Chi se ne andrà in montagna per combattere contro i nazifascisti, chi verrà deportato in Germania, chi verrà fucilato come traditore e chi tenterà di tornare a casa.
Tra le tantissime differenze che ci dividono da quella data fatidica di 70 anni fa che dava inizio ad un ciclo storico, una cosa è rimasta uguale, la totale confusione del popolo italiano davanti agli eventi.
Il ciclo storico si apre e si chiude nello smarrimento, nella confusione più totale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
8 settembre 1943 – 8 settembre 2013, un ciclo durato 70 anni - 1
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
Silenzio, parlano gli ambienti del Colle
(Alessandro Robecchi).
07/09/2013 di triskel182
La notiziona del giorno, ieri, come il pesce fresco che se lo guardi negli occhi è morto da due anni ed è della specie “fossili”, era che il Quirinale, cioè il Presidente, cioè Giorgio Napolitano, non vuole la crisi di governo e tenderebbe a credere al Berlusconi buono invece che al Berlusconi cattivo.
In soldoni, siccome Silvio nostro buonanima, un filino bipolare, dice oggi A e domani B, oggi crisi e domani pace, oggi guerra e domani tregua, ci fanno sapere dall’alto Colle che è meglio credere al primo che al secondo.
Il bicchiere mezzo pieno eccetera eccetera, sai che roba nuova. E va bene. Come dicono i gggiovani: ci sto dentro.
E però, corre l’obbligo di notare certi dettagli che dettagli non sono.
E il principale è: ma da dove vengono questi severi moniti, queste argute elucubrazioni, questi venti di ottimismo?
Ce lo dicono i grandi giornali: sono “note ufficiose”, sono “notizie trapelate”, sono “ambienti del Quirinale”. Ecco, appunto.
Essere italiani ci ha preparato a tutto, e va bene, ma voi avete mai sentito dire “ambienti della Casa Bianca”? O “Voci ufficiose dell’Eliseo”? O ancora, “indiscrezioni raccolte al Bundestag”? Confessate : no.
Se Merkel, Obama, Hollande (ma anche il presidente del Ghana o del Burkina Faso) dicono una cosa, la dicono loro. Firmata. Sottoscritta. Col timbro e la ceralacca.
Qui da noi, invece, parlano gli ambienti del Quirinale.
Quali ambienti? La cucina? Il soggiorno? La sala degli arazzi? Che so, il ripostiglio delle scope potrebbe dire la sua sulla tenuta del governo, subito smentito dalle scuderie.
Poi, all’apparir del vero, quando le cose andranno in senso contrario, potrà sempre alzarsi qualcuno a dire: “Ma il Presidente non ha mai detto quello!”. Giusto. Erano solo indiscrezioni, ambienti, sussurri e grida dalle retrovie, dai corridoi…
Ed è una cosa che in italiano si definisce con un suo preciso modo di dire, non elegantissimo: “pararsi il culo”.
Non lo dico io, sia chiaro, lo dicono “ambienti vicini a Robecchi”, con il che, se venisse fuori qualche rogna o se l’analisi fosse sbagliata non prendetevela con me (mi adeguo).
E questo riguarda il potere.
Poi, a voler esagerare, si potrebbe affrontare il tema dell’informazione.
Saputa una notizia proveniente da “ambienti del Quirinale” (la lavanderia? Il garage?) uno potrebbe telefonare e chiedere: ok, abbiamo appreso cosa si dice negli “ambienti”, ma potremmo avere una posizione ufficiale? No.
Non usa, non si fa, non sta bene… meglio accontentarsi degli ambienti. Bizzarro.
Poi uno – si sa che quando si comincia con le domande è difficile fermarsi – potrebbe chiedersi come mai il giornale ultras delle larghe intese, il Corriere della Sera, mette a pagina 19 (diciannove!) la notizia che per un ventennio Berlusconi ha fatto affari con la mafia, chiedendole protezione e aumentandole il fatturato.
Una cosa enorme? Un “mai visto” a livello mondiale? Ma dai, gente, non esageriamo!
Solo una notiziola proveniente da ambienti vicini alla Corte d’appello di Palermo e poi pubblicate da ambienti vicini al Corriere! Facile, no?
Da Il Fatto Quotidiano del 07/09/2013.
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
Silenzio, parlano gli ambienti del Colle
(Alessandro Robecchi).
07/09/2013 di triskel182
La notiziona del giorno, ieri, come il pesce fresco che se lo guardi negli occhi è morto da due anni ed è della specie “fossili”, era che il Quirinale, cioè il Presidente, cioè Giorgio Napolitano, non vuole la crisi di governo e tenderebbe a credere al Berlusconi buono invece che al Berlusconi cattivo.
In soldoni, siccome Silvio nostro buonanima, un filino bipolare, dice oggi A e domani B, oggi crisi e domani pace, oggi guerra e domani tregua, ci fanno sapere dall’alto Colle che è meglio credere al primo che al secondo.
Il bicchiere mezzo pieno eccetera eccetera, sai che roba nuova. E va bene. Come dicono i gggiovani: ci sto dentro.
E però, corre l’obbligo di notare certi dettagli che dettagli non sono.
E il principale è: ma da dove vengono questi severi moniti, queste argute elucubrazioni, questi venti di ottimismo?
Ce lo dicono i grandi giornali: sono “note ufficiose”, sono “notizie trapelate”, sono “ambienti del Quirinale”. Ecco, appunto.
Essere italiani ci ha preparato a tutto, e va bene, ma voi avete mai sentito dire “ambienti della Casa Bianca”? O “Voci ufficiose dell’Eliseo”? O ancora, “indiscrezioni raccolte al Bundestag”? Confessate : no.
Se Merkel, Obama, Hollande (ma anche il presidente del Ghana o del Burkina Faso) dicono una cosa, la dicono loro. Firmata. Sottoscritta. Col timbro e la ceralacca.
Qui da noi, invece, parlano gli ambienti del Quirinale.
Quali ambienti? La cucina? Il soggiorno? La sala degli arazzi? Che so, il ripostiglio delle scope potrebbe dire la sua sulla tenuta del governo, subito smentito dalle scuderie.
Poi, all’apparir del vero, quando le cose andranno in senso contrario, potrà sempre alzarsi qualcuno a dire: “Ma il Presidente non ha mai detto quello!”. Giusto. Erano solo indiscrezioni, ambienti, sussurri e grida dalle retrovie, dai corridoi…
Ed è una cosa che in italiano si definisce con un suo preciso modo di dire, non elegantissimo: “pararsi il culo”.
Non lo dico io, sia chiaro, lo dicono “ambienti vicini a Robecchi”, con il che, se venisse fuori qualche rogna o se l’analisi fosse sbagliata non prendetevela con me (mi adeguo).
E questo riguarda il potere.
Poi, a voler esagerare, si potrebbe affrontare il tema dell’informazione.
Saputa una notizia proveniente da “ambienti del Quirinale” (la lavanderia? Il garage?) uno potrebbe telefonare e chiedere: ok, abbiamo appreso cosa si dice negli “ambienti”, ma potremmo avere una posizione ufficiale? No.
Non usa, non si fa, non sta bene… meglio accontentarsi degli ambienti. Bizzarro.
Poi uno – si sa che quando si comincia con le domande è difficile fermarsi – potrebbe chiedersi come mai il giornale ultras delle larghe intese, il Corriere della Sera, mette a pagina 19 (diciannove!) la notizia che per un ventennio Berlusconi ha fatto affari con la mafia, chiedendole protezione e aumentandole il fatturato.
Una cosa enorme? Un “mai visto” a livello mondiale? Ma dai, gente, non esageriamo!
Solo una notiziola proveniente da ambienti vicini alla Corte d’appello di Palermo e poi pubblicate da ambienti vicini al Corriere! Facile, no?
Da Il Fatto Quotidiano del 07/09/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Gli italiani corrono sempre sul carro del vincitore
Ennio Flaiano
News from the:
The Planet Monkeis
18
Fronti di guerra - 16
http://www.youtube.com/watch?v=ZJE-onnw2gM
Secondo fronte di guerra
Quello stratagemma per bloccare la pena
(Liana Milella).
07/09/2013 di triskel182
Spunta la revisione del processo stratagemma per bloccare la pena
Pronto il ricorso alla Corte di Giustizia di Strasburgo
Il caso Mediaset.
ADESSO la parola magica che fa sperare Berlusconi è “revisione”. Del processo Mediaset, ovviamente. Gli articoli 629, 630 e 635 del codice di procedura penale
che disciplinano i casi di revisione di un processo già chiuso, ma che è possibile riaprire riconsiderando la sentenza già passata in giudicato, in presenza di un fatto nuovo.
CON l’obiettivo di ottenere dai giudici della Corte di appello di Brescia — grazie all’articolo 635 — anche la sospensione della pena. Un atto discrezionale quest’ultimo, non obbligatorio, ma che le toghe non potrebbero negare all’ex premier, per via della sua età e della sua storia personale e politica. Un passo possibile per via delle carte svizzere, mai acquisite in dibattimento, su Frank Agrama, che non sarebbe quel «socio occulto» nel commercio dei diritti televisivi disegnato nella sentenza Mediaset ma, come ha scritto il Giornale martedì 3 settembre pubblicando un atto giudiziario presentato come inedito, «l’intermediario ufficiale ed esclusivo tra la Paramount e molte tv europee».
Un fatto nuovo che, per lo staff legale di Berlusconi, giustifica ampiamente il ricorso a Brescia.
Non è la grazia da chiedere, quasi come un’elemosina, a Napolitano. Bensì una mossa che avrebbe il vantaggio, qualora dovesse effettivamente risultare
vincente, di cancellare del tutto la condanna, quella macchia sulla fedina penale che Berlusconi considera «insopportabile e ingiusta». Mossa che, ancor prima di eliminare la condanna a 4 anni per il reato di frode fiscale, produrrebbe l’effetto di sospendere subito la pena liberando così il Cavaliere dall’incubo, ormai incombente, di dover scegliere entro il 15 ottobre se scontare l’anno che gli residua dopo l’indulto agli arresti domiciliari oppure con un affidamento ai servizi sociali.
Non solo: la richiesta di revisione del processo, nell’ottica di chi elabora le strategie difensive di Berlusconi, avrebbe anche l’obiettivo di congelare la procedura della decadenza nella giunta per le immunità del Senato. Con un’istanza di questo genere, che potrebbe cambiare completamente la storia del processo fino ad annullarne le conclusioni, sarebbe arduo per la giunta andare avanti sulla decadenza come se niente fosse. All’opposto — secondo la strategia elaborata ad Arcore — la giunta dovrebbe valutare l’importanza della mossa di Berlusconi e procedere subito alla sospensione della pratica. Che resterebbe lì, congelata, in attesa che da Brescia arrivi la cancellazione della sentenza di condanna.
È nel pranzo ad Arcore tra Berlusconi, Schifani, Brunetta e Ghedini che si materializza l’ipotesi della revisione. Succede quando, per l’ennesima volta dalla condanna, si esaminano quali potrebbero essere le vie per fermare l’esito e le conseguenze del processo Mediaset. Al ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, si aggiunge la strada impervia e difficile della revisione del processo, finora tenuta in secondo piano in assenza di fatti nuovi. Ma ora il verbale su Agrama cambia la situazione.
Subito Berlusconi si entusiasma, anche al solo pensiero che l’odiata sentenza Mediaset possa essere cancellata perché ingiusta. Sa che il ricorso a Strasburgo — la legge Severino viola l’articolo 7 della Convenzione per i diritti umani perché viene applicata retroattivamente — è pronto. Ieri sera lo stesso Ghedini stava apportando gli ultimi ritocchi, anche se è tutto da vedere se sarà presentato già oggi presso la giunta delle immunità, oppure lunedì mattina.
L’attesa di 48 ore sarebbe giustificata dal fattore tempo. Spedita all’ultimo momento essa, nelle previsioni del Cavaliere, dovrebbe obbligare il relatore Andrea Augello, anche egli esponente del Pdl, a chiedere una moratoria per poter leggere le carte. Lo stesso relatore, nel frattempo, sta preparando la sua mossa “anti-Severino”, nel suo caso rivolgersi alla Corte di giustizia del Lussemburgo (cosa che solo un giudice può fare) e alla Consulta (idem). Ma i tre ricorsi non sono risolutivi, perché la giunta a maggioranza potrebbe ignorare quello di Berlusconi a Strasburgo, anche qualora dovesse chiedere una sospensiva. Stesso discorso per le eccezioni di Augello che potrebbero essere bocciati dalla
solida maggioranza Pd, M5S, Sel, Sc.
Ma la mossa risolutiva sarebbe quella della revisione del processo che il vice presidente della Giunta Giacomo Caliendo aveva ipotizzato nei giorni scorsi. Fatta la richiesta alla Corte di appello di Brescia, il Cavaliere potrebbe chiedere di sospendere la pena e, nelle more, domandare anche alla giunta per le immunità se è possibile sospendere l’iter della decadenza in attesa del giudizio. Ovviamente un ricorso del genere è tutto in salita e non è affatto detto che risulti possibile e non si risolva subito in una sconfitta.
Da La Repubblica del 07/09/2013.
Ennio Flaiano
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Secondo fronte di guerra
Quello stratagemma per bloccare la pena
(Liana Milella).
07/09/2013 di triskel182
Spunta la revisione del processo stratagemma per bloccare la pena
Pronto il ricorso alla Corte di Giustizia di Strasburgo
Il caso Mediaset.
ADESSO la parola magica che fa sperare Berlusconi è “revisione”. Del processo Mediaset, ovviamente. Gli articoli 629, 630 e 635 del codice di procedura penale
che disciplinano i casi di revisione di un processo già chiuso, ma che è possibile riaprire riconsiderando la sentenza già passata in giudicato, in presenza di un fatto nuovo.
CON l’obiettivo di ottenere dai giudici della Corte di appello di Brescia — grazie all’articolo 635 — anche la sospensione della pena. Un atto discrezionale quest’ultimo, non obbligatorio, ma che le toghe non potrebbero negare all’ex premier, per via della sua età e della sua storia personale e politica. Un passo possibile per via delle carte svizzere, mai acquisite in dibattimento, su Frank Agrama, che non sarebbe quel «socio occulto» nel commercio dei diritti televisivi disegnato nella sentenza Mediaset ma, come ha scritto il Giornale martedì 3 settembre pubblicando un atto giudiziario presentato come inedito, «l’intermediario ufficiale ed esclusivo tra la Paramount e molte tv europee».
Un fatto nuovo che, per lo staff legale di Berlusconi, giustifica ampiamente il ricorso a Brescia.
Non è la grazia da chiedere, quasi come un’elemosina, a Napolitano. Bensì una mossa che avrebbe il vantaggio, qualora dovesse effettivamente risultare
vincente, di cancellare del tutto la condanna, quella macchia sulla fedina penale che Berlusconi considera «insopportabile e ingiusta». Mossa che, ancor prima di eliminare la condanna a 4 anni per il reato di frode fiscale, produrrebbe l’effetto di sospendere subito la pena liberando così il Cavaliere dall’incubo, ormai incombente, di dover scegliere entro il 15 ottobre se scontare l’anno che gli residua dopo l’indulto agli arresti domiciliari oppure con un affidamento ai servizi sociali.
Non solo: la richiesta di revisione del processo, nell’ottica di chi elabora le strategie difensive di Berlusconi, avrebbe anche l’obiettivo di congelare la procedura della decadenza nella giunta per le immunità del Senato. Con un’istanza di questo genere, che potrebbe cambiare completamente la storia del processo fino ad annullarne le conclusioni, sarebbe arduo per la giunta andare avanti sulla decadenza come se niente fosse. All’opposto — secondo la strategia elaborata ad Arcore — la giunta dovrebbe valutare l’importanza della mossa di Berlusconi e procedere subito alla sospensione della pratica. Che resterebbe lì, congelata, in attesa che da Brescia arrivi la cancellazione della sentenza di condanna.
È nel pranzo ad Arcore tra Berlusconi, Schifani, Brunetta e Ghedini che si materializza l’ipotesi della revisione. Succede quando, per l’ennesima volta dalla condanna, si esaminano quali potrebbero essere le vie per fermare l’esito e le conseguenze del processo Mediaset. Al ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, si aggiunge la strada impervia e difficile della revisione del processo, finora tenuta in secondo piano in assenza di fatti nuovi. Ma ora il verbale su Agrama cambia la situazione.
Subito Berlusconi si entusiasma, anche al solo pensiero che l’odiata sentenza Mediaset possa essere cancellata perché ingiusta. Sa che il ricorso a Strasburgo — la legge Severino viola l’articolo 7 della Convenzione per i diritti umani perché viene applicata retroattivamente — è pronto. Ieri sera lo stesso Ghedini stava apportando gli ultimi ritocchi, anche se è tutto da vedere se sarà presentato già oggi presso la giunta delle immunità, oppure lunedì mattina.
L’attesa di 48 ore sarebbe giustificata dal fattore tempo. Spedita all’ultimo momento essa, nelle previsioni del Cavaliere, dovrebbe obbligare il relatore Andrea Augello, anche egli esponente del Pdl, a chiedere una moratoria per poter leggere le carte. Lo stesso relatore, nel frattempo, sta preparando la sua mossa “anti-Severino”, nel suo caso rivolgersi alla Corte di giustizia del Lussemburgo (cosa che solo un giudice può fare) e alla Consulta (idem). Ma i tre ricorsi non sono risolutivi, perché la giunta a maggioranza potrebbe ignorare quello di Berlusconi a Strasburgo, anche qualora dovesse chiedere una sospensiva. Stesso discorso per le eccezioni di Augello che potrebbero essere bocciati dalla
solida maggioranza Pd, M5S, Sel, Sc.
Ma la mossa risolutiva sarebbe quella della revisione del processo che il vice presidente della Giunta Giacomo Caliendo aveva ipotizzato nei giorni scorsi. Fatta la richiesta alla Corte di appello di Brescia, il Cavaliere potrebbe chiedere di sospendere la pena e, nelle more, domandare anche alla giunta per le immunità se è possibile sospendere l’iter della decadenza in attesa del giudizio. Ovviamente un ricorso del genere è tutto in salita e non è affatto detto che risulti possibile e non si risolva subito in una sconfitta.
Da La Repubblica del 07/09/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Leggo che ci sarebbero sondaggi che danno il Pdl in forte ascesa.
Improbabile ma non impossibile: per larga parte dell'elettorato, del tutto impermeabile alla fedina penale dei politici, essere pregiudicati è quasi un'onorificienza.
A sinistra molti hanno già rivalutato Craxi, spacciato come riformista, fregandosene del fatto che sono passate in giudicato sentenze che stabiliscono come Bettino rubasse per sè e non solo per il partito (ricordiamo i conti di Tradati e di altri scherani). Stesso discorso sui forum, tipo quello dell'ulivo. Ma ci fosse stato uno che avesse replicato con tanto di sentenze. Macchè.
Improbabile ma non impossibile: per larga parte dell'elettorato, del tutto impermeabile alla fedina penale dei politici, essere pregiudicati è quasi un'onorificienza.
A sinistra molti hanno già rivalutato Craxi, spacciato come riformista, fregandosene del fatto che sono passate in giudicato sentenze che stabiliscono come Bettino rubasse per sè e non solo per il partito (ricordiamo i conti di Tradati e di altri scherani). Stesso discorso sui forum, tipo quello dell'ulivo. Ma ci fosse stato uno che avesse replicato con tanto di sentenze. Macchè.
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Re: Come se ne viene fuori ?
8 settembre 1943 – 8 settembre 2013, un ciclo durato 70 anni - 2
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
08 SET 2013 16:55
OGGI, 8 SETTEMBRE, DATA “SPORCA” DELLA STORIA D’ITALIA - RETROSCENA DI UN ARMISTIZIO PASTICCIATO DA BADOGLIO E RE SAVOIA CHE SPINSE EISENHOWER A RIVELARLO PER SALVARE IL PAESE DAI NAZISTI
L’8 settembre è stato a lungo dimenticato dagli storici. Soprattutto perché si voleva rimuovere la memoria del criminale sodalizio con il Reich: con l’armistizio finalmente l’Italia si dissociava dal progetto tedesco, che aveva pienamente condiviso, del dominio in Europa e dell’instaurazione di un Ordine nuovo fondato sulla razza”…
Mirella Serri per Sette-Corriere della Sera
Il generale Ike, ovvero Dwight David Eisenhower, che dal 1953 risiederà alla Casa Bianca, uscendo dalla tenda piantata tra mandorli e ulivi, a Fairfield Camp, nella località di Cassibile non lontana da Siracusa, strappò un rametto e lo sventolò sotto il naso dell'operatore che riprendeva la scena. Quello fu il solo segnale di distensione e di pace nell'incontro risolutivo, almeno per il momento, dello "sporco affare".
Così Ike aveva definito in privato le giravolte e i contorcimenti di parte italiana che portarono, il pomeriggio del 3 settembre, nell'accampamento americano, al cosiddetto armistizio corto. La firma dell'armistizio fu accolta con enorme sollievo dagli alleati che fino alla fine avevano temuto un ripensamento degli italiani: il testo sanciva la cessazione immediata "di ogni attività ostile" da parte del Regno d'Italia nei confronti delle forze alleate (rimandando a più tardi la stesura definitiva dell'"armistizio lungo", siglato a Malta il 29 settembre, che fissava le durissime condizioni della resa italiana).
A quello storico incontro erano stati delegati da Ike il generale britannico Harold R. Alexander, al comando di tutte le forze alleate presenti in Italia, il suo capo di stato maggiore, Walter Bedell Smith, e il responsabile del servizio informazioni inglese, il gigantesco Kenneth Strong. In doppiopetto scuro, scriminatura centrale nei capelli impomatati, un candido fazzoletto al taschino, l'azzimato emissario del governo Badoglio, il 50 enne Giuseppe Castellano, sudava copiosamente quando siglò il documento in 12 punti.
Era uno dei generali più giovani e l'avventura che lo aveva portato sotto la tenda di Fairfield Camp era iniziata ad agosto. Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore dell'esercito, gli aveva affidato un delicatissimo incarico. Pietro Badoglio, fin da quando era subentrato al governo al posto di Mussolini, era ben consapevole che bisognava avviare un negoziato con gli angloamericani.
Il generale Castellano, in un clima denso di sospetti e di incertezze, partì il 12 agosto per Lisbona, avendo come bagaglio il suggerimento di traccheggiare, esporre la nostra situazione militare, ascoltare le intenzioni degli angloamericani e "soprattutto far capire che noi non possiamo liberarci della Germania senza il loro aiuto". Castellano e i suoi mandanti però si illudevano.
Pensavano di essere accolti quasi come nuovi alleati e di poter ottenere persino consistenti sbarchi (15 divisioni) tra Civitavecchia e la Spezia. All'incontro con gli interlocutori, Castellano capì che le previsioni erano state esageratamente rosee: Bedell Smith, freddo e scostante, gli lesse gli articoli dello "short military armistice". Il governo italiano fu posto di fronte all'accettazione di un armistizio militare, i cui termini potevano essere modificati "nella misura in cui gli italiani avessero dimostrato sul campo una reale capacità di lottare contro la Germania".
Stipulato in gran segretezza, il patto sarebbe entrato in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Ma dopo la firma di Cassibile prendeva avvio una commedia degli equivoci in un pazzesco tourbillon di inganni, segreti e bugie. "Badoglio tardò a prendere contatto con i governi angloamericani per paura dei nazisti i quali, a loro volta, erano convinti che le trattative fossero già in corso e cercavano le prove del tradimento italiano.
E' probabile che il re e Badoglio abbiano continuato fino all'8 settembre a tenere aperte due alternative", afferma Elena Aga Rossi che, con il suo "Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze" (Il Mulino) ha portato nuove acquisizioni a questo decisivo spartiacque.
"C'era la possibilità dell'armistizio con gli angloamericani, nel caso lo sbarco alleato fosse così massiccio da costringere i tedeschi a ritirarsi, e quella di una sconfessione dell'armistizio e di una continuazione della cooperazione con Hitler. L'8 settembre è stato a lungo dimenticato dagli storici. Soprattutto perché si voleva rimuovere la memoria del criminale sodalizio con il Reich: con l'armistizio finalmente l'Italia si dissociava dal progetto tedesco, che aveva pienamente condiviso, del dominio in Europa e dell'instaurazione di un Ordine nuovo fondato sulla razza".
Il 3 pomeriggio Badoglio mentì a Raffaele De Courten, responsabile della Marina, ad Antonio Sorice, ministro della Guerra e a Renato Sandalli dell'Aereonautica, dicendo che erano in corso trattative e non che il patto era già stato firmato. Il generale Alexander era convinto che gli italiani, secondo gli accordi presi, si stessero organizzando per opporsi ai nazisti - con attacchi alle formazioni, con il controllo delle strade intorno a Roma, con la sorveglianza dei porti di La Spezia, Taranto, Brindisi.
Hitler, da parte sua, sospettava oscure trame ed era sul punto di formalizzare in un ultimatum pressanti richieste, come la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, il controllo delle installazioni della marina militare, la modifica della catena di comando in proprio favore.
Eisenhower, il 7 settembre, per verificare in che modo gli italiani stessero preparando i proprio schieramenti per supportare l'arrivo di paracadutisti americani, spedì a Roma una missione formata dal generale di brigata Maxwell D. Taylor e da un colonnello. I due emissari non trovarono nessuno ad accoglierli: Giacomo Carboni, responsabile del Sim, Servizio informazioni militari, era irrintracciabile; Ambrosio, era a Torino; Badoglio era sotto le coltri fin dalle nove, Mario Roatta, capo di stato maggiore dell'esercito, cenava in famiglia.
Carboni, finalmente raggiunto, buttò giù dal letto Badoglio che si spese con i due militari perché intercedessero presso Ike al fine di rinviare l'annuncio dell'armistizio. Eisenhower, avvisato che nulla procedeva secondo i programmi, fece annullare il volo dei paracadutisti che già stavano decollando dalla Sicilia. Decise di rendere noto il trattato di Cassibile e alle 18 e 30 dell' 8 settembre venne emanato il comunicato.
Con una dichiarazione dell'agenzia Reuter e con un radiomessaggio di Eisenhower, la notizia dell'uscita dell'Italia dalla guerra divenne pubblica. Alle 19.45, dai microfoni dell' Eiar, come ricordò lo speaker, Giovanni Battista Arista, fu interrotta la canzone "Una strada nel bosco". Dopo una breve introduzione, il capo del governo annunciò la fine dei combattimenti contro gli alleati e proseguì: "l'esercito italiano reagirà contro gli attacchi di qualsiasi altra provenienza".
Il giornalista Ruggero Zangrandi, in un suo pamphlet ferocemente critico nei confronti del Maresciallo, scriverà che il discorso lo pronunciò "quasi in italiano". Il 13 ottobre l'Italia dichiarava guerra alla Germania e il 14, con una bella dose di improntitudine, Badoglio, dalla Puglia, dove era fuggito con gli esponenti della Casa Reale, in una lettera a Eisenhower, "senza alcuna esaltazione", sottolineava gli effetti positivi in campo militare e politico del suo governo.
Ma non tutti saranno d'accordo su questo giudizio autocelebrativo sul Regno del Sud, che avrà sede prima a Brindisi e poi a Salerno. "L'ambiente si era nuovamente avvelenato, e l'odore di cadavere che ammorbò l'Italia per tanti anni saliva da tutta la vecchia classe dirigente morta e non rimossa", scriveva Corrado Alvaro ne "L'Italia rinunzia? 1944: il Meridione e il Paese di fronte alla grande catastrofe" (ora ripubblicato da Donzelli).
Infatti i "cambi della guardia, dal fascismo al post regime, non erano sufficienti se a muovere le leve del comando non arrivavano uomini nuovi", ha osservato Paolo Mieli sul "Corriere della Sera" (16 ottobre 2012), "non solo per avere idee e programmi inediti ma anche per azzerare odi pregressi, vecchie rivalità, sedimentati pregiudizi, cosa che avverrà solo e solo in parte nel dopoguerra".
Nel teatrino delle incomprensioni e delle promesse tradite, però, fin dalla sera dell'8 settembre, la Wehrmacht e le Ss presenti in tutta la penisola avevano fatto scattare i piani segretissimi predisposti da Hitler già da tempo e avevano occupato tutti i centri nevralgici in Italia settentrionale e centrale, fino a Roma incluse ampie zone del Mezzogiorno.
http://www.youtube.com/watch?v=-1fNdGEkyC0
08 SET 2013 16:55
OGGI, 8 SETTEMBRE, DATA “SPORCA” DELLA STORIA D’ITALIA - RETROSCENA DI UN ARMISTIZIO PASTICCIATO DA BADOGLIO E RE SAVOIA CHE SPINSE EISENHOWER A RIVELARLO PER SALVARE IL PAESE DAI NAZISTI
L’8 settembre è stato a lungo dimenticato dagli storici. Soprattutto perché si voleva rimuovere la memoria del criminale sodalizio con il Reich: con l’armistizio finalmente l’Italia si dissociava dal progetto tedesco, che aveva pienamente condiviso, del dominio in Europa e dell’instaurazione di un Ordine nuovo fondato sulla razza”…
Mirella Serri per Sette-Corriere della Sera
Il generale Ike, ovvero Dwight David Eisenhower, che dal 1953 risiederà alla Casa Bianca, uscendo dalla tenda piantata tra mandorli e ulivi, a Fairfield Camp, nella località di Cassibile non lontana da Siracusa, strappò un rametto e lo sventolò sotto il naso dell'operatore che riprendeva la scena. Quello fu il solo segnale di distensione e di pace nell'incontro risolutivo, almeno per il momento, dello "sporco affare".
Così Ike aveva definito in privato le giravolte e i contorcimenti di parte italiana che portarono, il pomeriggio del 3 settembre, nell'accampamento americano, al cosiddetto armistizio corto. La firma dell'armistizio fu accolta con enorme sollievo dagli alleati che fino alla fine avevano temuto un ripensamento degli italiani: il testo sanciva la cessazione immediata "di ogni attività ostile" da parte del Regno d'Italia nei confronti delle forze alleate (rimandando a più tardi la stesura definitiva dell'"armistizio lungo", siglato a Malta il 29 settembre, che fissava le durissime condizioni della resa italiana).
A quello storico incontro erano stati delegati da Ike il generale britannico Harold R. Alexander, al comando di tutte le forze alleate presenti in Italia, il suo capo di stato maggiore, Walter Bedell Smith, e il responsabile del servizio informazioni inglese, il gigantesco Kenneth Strong. In doppiopetto scuro, scriminatura centrale nei capelli impomatati, un candido fazzoletto al taschino, l'azzimato emissario del governo Badoglio, il 50 enne Giuseppe Castellano, sudava copiosamente quando siglò il documento in 12 punti.
Era uno dei generali più giovani e l'avventura che lo aveva portato sotto la tenda di Fairfield Camp era iniziata ad agosto. Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore dell'esercito, gli aveva affidato un delicatissimo incarico. Pietro Badoglio, fin da quando era subentrato al governo al posto di Mussolini, era ben consapevole che bisognava avviare un negoziato con gli angloamericani.
Il generale Castellano, in un clima denso di sospetti e di incertezze, partì il 12 agosto per Lisbona, avendo come bagaglio il suggerimento di traccheggiare, esporre la nostra situazione militare, ascoltare le intenzioni degli angloamericani e "soprattutto far capire che noi non possiamo liberarci della Germania senza il loro aiuto". Castellano e i suoi mandanti però si illudevano.
Pensavano di essere accolti quasi come nuovi alleati e di poter ottenere persino consistenti sbarchi (15 divisioni) tra Civitavecchia e la Spezia. All'incontro con gli interlocutori, Castellano capì che le previsioni erano state esageratamente rosee: Bedell Smith, freddo e scostante, gli lesse gli articoli dello "short military armistice". Il governo italiano fu posto di fronte all'accettazione di un armistizio militare, i cui termini potevano essere modificati "nella misura in cui gli italiani avessero dimostrato sul campo una reale capacità di lottare contro la Germania".
Stipulato in gran segretezza, il patto sarebbe entrato in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Ma dopo la firma di Cassibile prendeva avvio una commedia degli equivoci in un pazzesco tourbillon di inganni, segreti e bugie. "Badoglio tardò a prendere contatto con i governi angloamericani per paura dei nazisti i quali, a loro volta, erano convinti che le trattative fossero già in corso e cercavano le prove del tradimento italiano.
E' probabile che il re e Badoglio abbiano continuato fino all'8 settembre a tenere aperte due alternative", afferma Elena Aga Rossi che, con il suo "Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze" (Il Mulino) ha portato nuove acquisizioni a questo decisivo spartiacque.
"C'era la possibilità dell'armistizio con gli angloamericani, nel caso lo sbarco alleato fosse così massiccio da costringere i tedeschi a ritirarsi, e quella di una sconfessione dell'armistizio e di una continuazione della cooperazione con Hitler. L'8 settembre è stato a lungo dimenticato dagli storici. Soprattutto perché si voleva rimuovere la memoria del criminale sodalizio con il Reich: con l'armistizio finalmente l'Italia si dissociava dal progetto tedesco, che aveva pienamente condiviso, del dominio in Europa e dell'instaurazione di un Ordine nuovo fondato sulla razza".
Il 3 pomeriggio Badoglio mentì a Raffaele De Courten, responsabile della Marina, ad Antonio Sorice, ministro della Guerra e a Renato Sandalli dell'Aereonautica, dicendo che erano in corso trattative e non che il patto era già stato firmato. Il generale Alexander era convinto che gli italiani, secondo gli accordi presi, si stessero organizzando per opporsi ai nazisti - con attacchi alle formazioni, con il controllo delle strade intorno a Roma, con la sorveglianza dei porti di La Spezia, Taranto, Brindisi.
Hitler, da parte sua, sospettava oscure trame ed era sul punto di formalizzare in un ultimatum pressanti richieste, come la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, il controllo delle installazioni della marina militare, la modifica della catena di comando in proprio favore.
Eisenhower, il 7 settembre, per verificare in che modo gli italiani stessero preparando i proprio schieramenti per supportare l'arrivo di paracadutisti americani, spedì a Roma una missione formata dal generale di brigata Maxwell D. Taylor e da un colonnello. I due emissari non trovarono nessuno ad accoglierli: Giacomo Carboni, responsabile del Sim, Servizio informazioni militari, era irrintracciabile; Ambrosio, era a Torino; Badoglio era sotto le coltri fin dalle nove, Mario Roatta, capo di stato maggiore dell'esercito, cenava in famiglia.
Carboni, finalmente raggiunto, buttò giù dal letto Badoglio che si spese con i due militari perché intercedessero presso Ike al fine di rinviare l'annuncio dell'armistizio. Eisenhower, avvisato che nulla procedeva secondo i programmi, fece annullare il volo dei paracadutisti che già stavano decollando dalla Sicilia. Decise di rendere noto il trattato di Cassibile e alle 18 e 30 dell' 8 settembre venne emanato il comunicato.
Con una dichiarazione dell'agenzia Reuter e con un radiomessaggio di Eisenhower, la notizia dell'uscita dell'Italia dalla guerra divenne pubblica. Alle 19.45, dai microfoni dell' Eiar, come ricordò lo speaker, Giovanni Battista Arista, fu interrotta la canzone "Una strada nel bosco". Dopo una breve introduzione, il capo del governo annunciò la fine dei combattimenti contro gli alleati e proseguì: "l'esercito italiano reagirà contro gli attacchi di qualsiasi altra provenienza".
Il giornalista Ruggero Zangrandi, in un suo pamphlet ferocemente critico nei confronti del Maresciallo, scriverà che il discorso lo pronunciò "quasi in italiano". Il 13 ottobre l'Italia dichiarava guerra alla Germania e il 14, con una bella dose di improntitudine, Badoglio, dalla Puglia, dove era fuggito con gli esponenti della Casa Reale, in una lettera a Eisenhower, "senza alcuna esaltazione", sottolineava gli effetti positivi in campo militare e politico del suo governo.
Ma non tutti saranno d'accordo su questo giudizio autocelebrativo sul Regno del Sud, che avrà sede prima a Brindisi e poi a Salerno. "L'ambiente si era nuovamente avvelenato, e l'odore di cadavere che ammorbò l'Italia per tanti anni saliva da tutta la vecchia classe dirigente morta e non rimossa", scriveva Corrado Alvaro ne "L'Italia rinunzia? 1944: il Meridione e il Paese di fronte alla grande catastrofe" (ora ripubblicato da Donzelli).
Infatti i "cambi della guardia, dal fascismo al post regime, non erano sufficienti se a muovere le leve del comando non arrivavano uomini nuovi", ha osservato Paolo Mieli sul "Corriere della Sera" (16 ottobre 2012), "non solo per avere idee e programmi inediti ma anche per azzerare odi pregressi, vecchie rivalità, sedimentati pregiudizi, cosa che avverrà solo e solo in parte nel dopoguerra".
Nel teatrino delle incomprensioni e delle promesse tradite, però, fin dalla sera dell'8 settembre, la Wehrmacht e le Ss presenti in tutta la penisola avevano fatto scattare i piani segretissimi predisposti da Hitler già da tempo e avevano occupato tutti i centri nevralgici in Italia settentrionale e centrale, fino a Roma incluse ampie zone del Mezzogiorno.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Gli italiani corrono sempre sul carro del vincitore
Ennio Flaiano
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19
Fronti di guerra - 17
http://www.youtube.com/watch?v=ZJE-onnw2gM
Quarto fronte di guerra
Congresso Pd, Epifani stoppa Renzi.Sull’ipotesi grazia militanti in rivolta
(GIOVANNA CASADIO).
08/09/2013 di triskel182
Congresso Pd, Epifani stoppa Renzi.Sull’ipotesi grazia militanti in rivolta (GIOVANNA CASADIO).
08/09/2013 di triskel182
Il segretario: “Niente concessioni al Pdl. La clemenza? Sceglie il Colle”
Il Partito Democratico.
GENOVA— Si va avanti fino in fondo sulla decadenza di Berlusconi anche se questo significa far cadere il governo? «Siiì!».
Napolitano dovrebbe concedere a Berlusconi la grazia? «Nooo!».
Prima di Epifani, alle domande di Lucia Annunziata rispondono i militanti democratici, che sono venuti in tanti a sentire il segretario al Porto Antico per la conclusione della festa nazionale del partito.
Al contrario dei dirigenti, che sono pochissimi e praticamente tutti dello schieramento anti Renzi.
A Rosy Bindi in prima fila con D’Alema, Speranza, Cuperlo, Stumpo – scappa detto: «Siamo diventati anche un partito di maleducati, neppure si viene…».
Non ci sono Bersani, né Franceschini, praticamente mancano i membri della segreteria (a parte Amendola), nessun ministro del Pd, né presidente di commissione.
Comunque la platea applaude, soprattutto quando Epifani va all’attacco di Berlusconi: «Dobbiamo difendere il principio che la legge è uguale per tutti, se no l’Italia diventa una repubblica delle banane. Noi ce la faremo a difendere lo Stato di diritto ».
Quasi un’ovazione. E sulla grazia: «Decide il capo dello Stato, ho fiducia in Napolitano».
Sceglie il format dell’intervista (dopo un breve discorso di ringraziamento), nessun tradizionale comizio di chiusura.
Già questo la dice lunga sul ruolo che Epifani si è ritagliato: “traghettare” verso il congresso, mediare sul governo delle larghe intese.
Loda il premier Letta e ribadisce la lealtà del Pd al governo: «Se il Pdl aprirà la crisi se ne assumerà la responsabilità davanti al paese ».
Dalla platea gridano: «La patrimoniale? ». E lui garantisce che dopo l’Imu il Pd non accetterà altri compromessi: «Noi un compromesso lo paghiamo, non di più, ci vuole un disegno che ci dica le risorse che ci sono…».
Il clima è quello che è: carico di tensioni in vista della sfida congressuale e di delusione per l’alleanza con il Pdl.
Epifani un paio di alt a Renzi li assesta.
Il congresso comincerà dal basso (prima i circoli, i segretari regionali…), e la separazione dei ruoli di segretario e di candidato premier: «Penso che due cambiamenti delle regole si possano fare, non è per indebolire la figura del segretario ma ci vuole flessibilità », è l’avvertimento al sindaco di Firenze. Renzi non li vuole.
L’ultima riunione presieduta da Roberto Gualtieri per una proposta comune in vista dell’Assemblea del partito il 20 e 21 settembre è finita nell’ennesimo nulla di fatto: l’accordo non c’è. Neppure c’è la data del congresso. Il segretario ripete che non è lui a stabilirla, altro che tormentone “Guglielmo dammi la data”: «… come se fossi io a darla, la decide l’Assemblea». Proprio la risposta indigesta per il “rottamatore” che sospetta trappole e rinvii.
Ai militanti che lo salutano, un Massimo D’Alema abbronzato garantisce che «la battaglia è appena all’inizio, ora viene il bello, vi vedo un po’ mosci».
Non daremo il Pd a Renzi: è la parola d’ordine del “lìder Maximo” che appoggia Gianni Cuperlo, il candidato anti Renzi.
Cuperlo è stato segretario della Fgci, scherza con compagni di lunga data come Sergio Cofferati e Mario Tullo, suoi sostenitori.
«Mancano tanti dirigenti? Vuol dire che chi c’è avrà un punto in più ma non toglieremo punti a chi manca», afferma magnanimo.
In realtà, la sfida è subito aspra: gli ex pcipds- ds rischiano concretamente di trovarsi per la prima volta in minoranza.
«Di certo Cuperlo è Davide contro Golia», ammette Barbara Pollastrini che sta tessendo la rete dei rapporti in Lombardia e con la Cgil. «Meglio perdente che perduto», commenta Tullo.
Epifani conclude la serata con il consueto giro degli stand e poi una cena con il presidente del Senato, Piero Grasso che è in prima fila ad ascoltarlo accanto alla renziana Roberta Pinotti.(Pure lei? -ndt)
Dai militanti democratici, se mai avesse avuto incertezze, ha un mandato chiaro. Alla domanda quale atteggiamento dovrebbe avere il Pd su Berlusconi, viene battuto sul tempo ancora una volta dal pubblico della festa che non ha dubbi:
«Mandarlo a casa».
Da La Repubblica del 08/09/2013.
Ennio Flaiano
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Congresso Pd, Epifani stoppa Renzi.Sull’ipotesi grazia militanti in rivolta
(GIOVANNA CASADIO).
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Il segretario: “Niente concessioni al Pdl. La clemenza? Sceglie il Colle”
Il Partito Democratico.
GENOVA— Si va avanti fino in fondo sulla decadenza di Berlusconi anche se questo significa far cadere il governo? «Siiì!».
Napolitano dovrebbe concedere a Berlusconi la grazia? «Nooo!».
Prima di Epifani, alle domande di Lucia Annunziata rispondono i militanti democratici, che sono venuti in tanti a sentire il segretario al Porto Antico per la conclusione della festa nazionale del partito.
Al contrario dei dirigenti, che sono pochissimi e praticamente tutti dello schieramento anti Renzi.
A Rosy Bindi in prima fila con D’Alema, Speranza, Cuperlo, Stumpo – scappa detto: «Siamo diventati anche un partito di maleducati, neppure si viene…».
Non ci sono Bersani, né Franceschini, praticamente mancano i membri della segreteria (a parte Amendola), nessun ministro del Pd, né presidente di commissione.
Comunque la platea applaude, soprattutto quando Epifani va all’attacco di Berlusconi: «Dobbiamo difendere il principio che la legge è uguale per tutti, se no l’Italia diventa una repubblica delle banane. Noi ce la faremo a difendere lo Stato di diritto ».
Quasi un’ovazione. E sulla grazia: «Decide il capo dello Stato, ho fiducia in Napolitano».
Sceglie il format dell’intervista (dopo un breve discorso di ringraziamento), nessun tradizionale comizio di chiusura.
Già questo la dice lunga sul ruolo che Epifani si è ritagliato: “traghettare” verso il congresso, mediare sul governo delle larghe intese.
Loda il premier Letta e ribadisce la lealtà del Pd al governo: «Se il Pdl aprirà la crisi se ne assumerà la responsabilità davanti al paese ».
Dalla platea gridano: «La patrimoniale? ». E lui garantisce che dopo l’Imu il Pd non accetterà altri compromessi: «Noi un compromesso lo paghiamo, non di più, ci vuole un disegno che ci dica le risorse che ci sono…».
Il clima è quello che è: carico di tensioni in vista della sfida congressuale e di delusione per l’alleanza con il Pdl.
Epifani un paio di alt a Renzi li assesta.
Il congresso comincerà dal basso (prima i circoli, i segretari regionali…), e la separazione dei ruoli di segretario e di candidato premier: «Penso che due cambiamenti delle regole si possano fare, non è per indebolire la figura del segretario ma ci vuole flessibilità », è l’avvertimento al sindaco di Firenze. Renzi non li vuole.
L’ultima riunione presieduta da Roberto Gualtieri per una proposta comune in vista dell’Assemblea del partito il 20 e 21 settembre è finita nell’ennesimo nulla di fatto: l’accordo non c’è. Neppure c’è la data del congresso. Il segretario ripete che non è lui a stabilirla, altro che tormentone “Guglielmo dammi la data”: «… come se fossi io a darla, la decide l’Assemblea». Proprio la risposta indigesta per il “rottamatore” che sospetta trappole e rinvii.
Ai militanti che lo salutano, un Massimo D’Alema abbronzato garantisce che «la battaglia è appena all’inizio, ora viene il bello, vi vedo un po’ mosci».
Non daremo il Pd a Renzi: è la parola d’ordine del “lìder Maximo” che appoggia Gianni Cuperlo, il candidato anti Renzi.
Cuperlo è stato segretario della Fgci, scherza con compagni di lunga data come Sergio Cofferati e Mario Tullo, suoi sostenitori.
«Mancano tanti dirigenti? Vuol dire che chi c’è avrà un punto in più ma non toglieremo punti a chi manca», afferma magnanimo.
In realtà, la sfida è subito aspra: gli ex pcipds- ds rischiano concretamente di trovarsi per la prima volta in minoranza.
«Di certo Cuperlo è Davide contro Golia», ammette Barbara Pollastrini che sta tessendo la rete dei rapporti in Lombardia e con la Cgil. «Meglio perdente che perduto», commenta Tullo.
Epifani conclude la serata con il consueto giro degli stand e poi una cena con il presidente del Senato, Piero Grasso che è in prima fila ad ascoltarlo accanto alla renziana Roberta Pinotti.(Pure lei? -ndt)
Dai militanti democratici, se mai avesse avuto incertezze, ha un mandato chiaro. Alla domanda quale atteggiamento dovrebbe avere il Pd su Berlusconi, viene battuto sul tempo ancora una volta dal pubblico della festa che non ha dubbi:
«Mandarlo a casa».
Da La Repubblica del 08/09/2013.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Anche Scalfari si é accorto di vivere nel pianeta delle scimmie.
Da La Repubblica di stamani:
Il legno storto che vorremmo raddrizzare
di EUGENIO SCALFARI
IL LEGNO con il quale siamo costruiti è storto, lo disse Kant e lo riprese Isaiah Berlin titolandoci un suo libro. Il legno è storto ma guai a tentare di raddrizzarlo perché è impossibile, bisognerebbe cambiare la natura stessa della nostra specie che sta a metà strada tra l'animale che vive di soli istinti e l'uomo animato da istinti ma anche da pensieri.
Di qui, da questa duplice natura di scimmia pensante nascono le nostre contraddizioni, le storture del nostro legno, ineliminabili perché connaturate, nostra disperazione e insieme nostra ricchezza.
Da La Repubblica di stamani:
Il legno storto che vorremmo raddrizzare
di EUGENIO SCALFARI
IL LEGNO con il quale siamo costruiti è storto, lo disse Kant e lo riprese Isaiah Berlin titolandoci un suo libro. Il legno è storto ma guai a tentare di raddrizzarlo perché è impossibile, bisognerebbe cambiare la natura stessa della nostra specie che sta a metà strada tra l'animale che vive di soli istinti e l'uomo animato da istinti ma anche da pensieri.
Di qui, da questa duplice natura di scimmia pensante nascono le nostre contraddizioni, le storture del nostro legno, ineliminabili perché connaturate, nostra disperazione e insieme nostra ricchezza.
Ultima modifica di camillobenso il 09/09/2013, 15:11, modificato 1 volta in totale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il ragazzo rosso non si smentisce mai per lucidità di giudizio.
L'ultimo grado di giudizio
di ILVO DIAMANTI
Oggi si riunisce la Giunta per le elezioni del Senato per deliberare sulla decadenza - o sulla permanenza - di Silvio Berlusconi. Il quale, nel frattempo, ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo.
Silvio Berlusconi, dunque, invoca l'intervento di un tribunale europeo per contrastare le sentenze di altri tribunali, che rischiano di comprometterne il ruolo politico (e non solo). La sentenza dei giudici di Milano, d'altronde, è la prima che abbia esito definitivo, per Berlusconi. Per questo Berlusconi, i suoi consulenti legali e parlamentari, che in buona parte coincidono, si battono perché venga sospesa, derogata, rinviata. Perché il caso sia riaperto. Com'è normale, in questa Repubblica, nata vent'anni fa per effetto dell'azione dei magistrati. I quali, da allora, hanno mantenuto un ruolo di primo piano. Nella vita pubblica e in quella politica.
In realtà, le inchieste dei magistrati investirono un sistema politico e istituzionale largamente delegittimato. Privo di fondamenta e di consenso, come dimostrarono, da ultimi, i referendum del 1991 e del 1993. Il muro di Berlino era crollato e l'anticomunismo non era più in grado di giustificare il sostegno ai partiti di governo. Così, alle elezioni politiche del 1992 tutte le forze politiche tradizionali, di governo e di opposizione, persero voti e consenso, in ampia misura. Solo la Lega Nord si impose. A testimonianza che la Prima Repubblica era finita. I magistrati, allora, apparvero come eroi popolari. Più che al servizio della giustizia: giustizieri. Al servizio del popolo, che voleva voltar pagina. Uscire dal dopo-guerra fredda.
Più di tutti e per primo ne approfittò proprio Silvio Berlusconi. Che si presentò come l'Uomo Nuovo. Estraneo rispetto ai politici e ai partiti tradizionali. Li rimpiazzò con un partito personale. Un'azienda-partito. Impose la politica come marketing. Ma i magistrati non uscirono di scena. In parte, perché l'intreccio tra interessi privati e ruoli pubblici, e quindi tra affari e politica, divenne più stretto, se possibile. Impersonato, per primo, dallo stesso Berlusconi. Ma non solo da lui. In secondo luogo, perché il deserto politico prodotto da Tangentopoli, dalla scomparsa dei leader e dei partiti della prima Repubblica, non è mai stato colmato. Abbiamo assistito, negli ultimi vent'anni, al succedersi di leader senza partito, oppure di sedicenti partiti incapaci di esprimere leader forti e duraturi. Di certo, la politica è scomparsa dalla società, dai luoghi di vita quotidiana. Si è riprodotta sui media e soprattutto in televisione. Negli ultimi anni, ha conquistato nuovi spazi attraverso la rete e i nuovi media. Tuttavia, non vi sono più soggetti politici in grado di suscitare passione e sentimento. Semmai, protesta e risentimento. Mentre lo spazio pubblico è stato occupato da altri soggetti.
In particolare: il presidente della Repubblica. Ma anche i magistrati. Il cui peso "politico" si è riprodotto e moltiplicato anche dopo e oltre Tangentopoli. Antonio di Pietro per primo. Leader di un partito che, negli ultimi dieci anni, ha conosciuto il successo e la crisi. I magistrati hanno occupato parte dello spazio lasciato vuoto da partiti scomparsi dal territorio e dalla società. Sono divenuti "garanti della pubblica virtù", per usare una formula efficace di Alessandro Pizzorno. Le loro iniziative, le loro sentenze, veicolate dai media, hanno contribuito a sostenere o, più spesso, a delegittimare un leader o un partito. Berlusconi, in particolare, dopo aver beneficiato dell'azione dei magistrati, negli anni Novanta, ne è divenuto, in seguito, l'antagonista.
Più che tra Destra e Sinistra, la frattura che ha attraversato la Seconda Repubblica richiama l'opposizione fra Berlusconi e i Giudici. Le Toghe Rosse, nella semplificazione di Berlusconi. Che, in questo modo, ha riassunto e assimilato i due mitici nemici: i Comunisti e, appunto, i Giudici. Quelli che si occupano di lui. Naturalmente "di sinistra". I Magistrati, peraltro, negli ultimi anni hanno allargato di nuovo il loro grado di considerazione sociale. Trainati dal ritorno della "questione morale" - o, forse: "immorale" - nella politica italiana. Dopo le inchieste - non solo giudiziarie, ma anche giornalistiche - contro la Casta dei politici, degli amministratori. Che, negli ultimi anni, si sono moltiplicate e hanno enfatizzato la delegittimazione dei partiti e delle istituzioni. Al punto che la maggior parte degli italiani oggi ritiene che la corruzione politica in Italia sia maggiore che ai tempi di Tangentopoli. Se quasi metà degli italiani esprime grande fiducia verso i magistrati, tuttavia, fra gli elettori del Pdl e della Lega questo orientamento scende a meno del 20%.
Più che garanti della giustizia e della legalità, dunque, agli occhi di molti italiani, essi appaiono un freno allo strapotere della classe politica. E, in particolare, di Silvio Berlusconi. Ma, per questo, sono divenuti - o, comunque, vengono percepiti - attori politici anch'essi. Mentre la vita politica e pubblica appare incatenata, più che intrecciata, ai diversi processi e alle molteplici indagini giudiziarie che si susseguono. In diversa direzione.
Così, l'Italia appare un Tribunale Permanente. Dove i processi proseguono e si riproducono. Uno dopo l'altro. Un grado di giudizio dopo l'altro. Da vent'anni e oltre. Con il rischio, davvero, che lo spazio della politica si minimizzi e scompaia. Naturalmente, non per colpa dei magistrati che fanno il loro mestiere e, comunque, tutelano il proprio spazio. Il proprio potere. Ma per i limiti della politica. Che latita. Si comprende bene, in questo scenario, lo sconcerto di Silvio Berlusconi, di fronte a una sentenza "definitiva", che lo inchioda "definitivamente" alle proprie responsabilità. E rischia di comprometterne "definitivamente" il ruolo politico. Berlusconi: non si rassegna. Per questo chiede, anzi rivendica ed esige: un'altra opportunità. Cioè: un altro grado di giudizio. Se in Italia non è possibile, in Europa. Contro l'Italia. Colpevole di tradire la propria storia e la propria vocazione. Perché in Italia, echeggiando il grande Eduardo De Filippo, non solo gli esami, ma anche i processi, non finiscono mai. In questo modo Berlusconi insegue l'appello dell'unica Corte a cui riconosca legittimità. L'ultimo grado di giudizio. Il voto.
(09 settembre 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ef=HRER1-1
L'ultimo grado di giudizio
di ILVO DIAMANTI
Oggi si riunisce la Giunta per le elezioni del Senato per deliberare sulla decadenza - o sulla permanenza - di Silvio Berlusconi. Il quale, nel frattempo, ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo.
Silvio Berlusconi, dunque, invoca l'intervento di un tribunale europeo per contrastare le sentenze di altri tribunali, che rischiano di comprometterne il ruolo politico (e non solo). La sentenza dei giudici di Milano, d'altronde, è la prima che abbia esito definitivo, per Berlusconi. Per questo Berlusconi, i suoi consulenti legali e parlamentari, che in buona parte coincidono, si battono perché venga sospesa, derogata, rinviata. Perché il caso sia riaperto. Com'è normale, in questa Repubblica, nata vent'anni fa per effetto dell'azione dei magistrati. I quali, da allora, hanno mantenuto un ruolo di primo piano. Nella vita pubblica e in quella politica.
In realtà, le inchieste dei magistrati investirono un sistema politico e istituzionale largamente delegittimato. Privo di fondamenta e di consenso, come dimostrarono, da ultimi, i referendum del 1991 e del 1993. Il muro di Berlino era crollato e l'anticomunismo non era più in grado di giustificare il sostegno ai partiti di governo. Così, alle elezioni politiche del 1992 tutte le forze politiche tradizionali, di governo e di opposizione, persero voti e consenso, in ampia misura. Solo la Lega Nord si impose. A testimonianza che la Prima Repubblica era finita. I magistrati, allora, apparvero come eroi popolari. Più che al servizio della giustizia: giustizieri. Al servizio del popolo, che voleva voltar pagina. Uscire dal dopo-guerra fredda.
Più di tutti e per primo ne approfittò proprio Silvio Berlusconi. Che si presentò come l'Uomo Nuovo. Estraneo rispetto ai politici e ai partiti tradizionali. Li rimpiazzò con un partito personale. Un'azienda-partito. Impose la politica come marketing. Ma i magistrati non uscirono di scena. In parte, perché l'intreccio tra interessi privati e ruoli pubblici, e quindi tra affari e politica, divenne più stretto, se possibile. Impersonato, per primo, dallo stesso Berlusconi. Ma non solo da lui. In secondo luogo, perché il deserto politico prodotto da Tangentopoli, dalla scomparsa dei leader e dei partiti della prima Repubblica, non è mai stato colmato. Abbiamo assistito, negli ultimi vent'anni, al succedersi di leader senza partito, oppure di sedicenti partiti incapaci di esprimere leader forti e duraturi. Di certo, la politica è scomparsa dalla società, dai luoghi di vita quotidiana. Si è riprodotta sui media e soprattutto in televisione. Negli ultimi anni, ha conquistato nuovi spazi attraverso la rete e i nuovi media. Tuttavia, non vi sono più soggetti politici in grado di suscitare passione e sentimento. Semmai, protesta e risentimento. Mentre lo spazio pubblico è stato occupato da altri soggetti.
In particolare: il presidente della Repubblica. Ma anche i magistrati. Il cui peso "politico" si è riprodotto e moltiplicato anche dopo e oltre Tangentopoli. Antonio di Pietro per primo. Leader di un partito che, negli ultimi dieci anni, ha conosciuto il successo e la crisi. I magistrati hanno occupato parte dello spazio lasciato vuoto da partiti scomparsi dal territorio e dalla società. Sono divenuti "garanti della pubblica virtù", per usare una formula efficace di Alessandro Pizzorno. Le loro iniziative, le loro sentenze, veicolate dai media, hanno contribuito a sostenere o, più spesso, a delegittimare un leader o un partito. Berlusconi, in particolare, dopo aver beneficiato dell'azione dei magistrati, negli anni Novanta, ne è divenuto, in seguito, l'antagonista.
Più che tra Destra e Sinistra, la frattura che ha attraversato la Seconda Repubblica richiama l'opposizione fra Berlusconi e i Giudici. Le Toghe Rosse, nella semplificazione di Berlusconi. Che, in questo modo, ha riassunto e assimilato i due mitici nemici: i Comunisti e, appunto, i Giudici. Quelli che si occupano di lui. Naturalmente "di sinistra". I Magistrati, peraltro, negli ultimi anni hanno allargato di nuovo il loro grado di considerazione sociale. Trainati dal ritorno della "questione morale" - o, forse: "immorale" - nella politica italiana. Dopo le inchieste - non solo giudiziarie, ma anche giornalistiche - contro la Casta dei politici, degli amministratori. Che, negli ultimi anni, si sono moltiplicate e hanno enfatizzato la delegittimazione dei partiti e delle istituzioni. Al punto che la maggior parte degli italiani oggi ritiene che la corruzione politica in Italia sia maggiore che ai tempi di Tangentopoli. Se quasi metà degli italiani esprime grande fiducia verso i magistrati, tuttavia, fra gli elettori del Pdl e della Lega questo orientamento scende a meno del 20%.
Più che garanti della giustizia e della legalità, dunque, agli occhi di molti italiani, essi appaiono un freno allo strapotere della classe politica. E, in particolare, di Silvio Berlusconi. Ma, per questo, sono divenuti - o, comunque, vengono percepiti - attori politici anch'essi. Mentre la vita politica e pubblica appare incatenata, più che intrecciata, ai diversi processi e alle molteplici indagini giudiziarie che si susseguono. In diversa direzione.
Così, l'Italia appare un Tribunale Permanente. Dove i processi proseguono e si riproducono. Uno dopo l'altro. Un grado di giudizio dopo l'altro. Da vent'anni e oltre. Con il rischio, davvero, che lo spazio della politica si minimizzi e scompaia. Naturalmente, non per colpa dei magistrati che fanno il loro mestiere e, comunque, tutelano il proprio spazio. Il proprio potere. Ma per i limiti della politica. Che latita. Si comprende bene, in questo scenario, lo sconcerto di Silvio Berlusconi, di fronte a una sentenza "definitiva", che lo inchioda "definitivamente" alle proprie responsabilità. E rischia di comprometterne "definitivamente" il ruolo politico. Berlusconi: non si rassegna. Per questo chiede, anzi rivendica ed esige: un'altra opportunità. Cioè: un altro grado di giudizio. Se in Italia non è possibile, in Europa. Contro l'Italia. Colpevole di tradire la propria storia e la propria vocazione. Perché in Italia, echeggiando il grande Eduardo De Filippo, non solo gli esami, ma anche i processi, non finiscono mai. In questo modo Berlusconi insegue l'appello dell'unica Corte a cui riconosca legittimità. L'ultimo grado di giudizio. Il voto.
(09 settembre 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ef=HRER1-1
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