camillobenso ha scritto:
Sarebbe una buona idea - che segnerebbe davvero una svolta epocale rispetto alla Prima e alla Seconda Repubblica, le quali non erano propriamente democrazie parlamentari, come detta la Costituzione, ma partitocrazie che legiferavano al posto del Parlamento ...
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Assegnando all'informazione (della Rai riformata) una funzione pedagogico-formativa nell'Italia da riformare, Renzi rivela di volerne sottrarre il controllo ai partiti per trasferirlo al governo.
Poiché il governo avrebbe contemporaneamente il monopolio dell'informazione (Rai) e della violenza (legale) sarebbe un salto dalla padella (dei partiti) alla brace (del governo).
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Non voglio neppure pensare che, nella circostanza, il capo del governo abbia manifestato tendenze autoritarie.
Voglio semplicemente segnalare che se Renzi avesse letto Hayek, non sarebbe probabilmente incorso nell'infortunio.
La tesi di Hayek è semplice.
Ogni autoritarismo e ogni totalitarismo nascono, si sviluppano e si distinguono per la pretesa di avere il monopolio della conoscenza, di essere i soli a sapere che cosa sia e occorra fare per realizzare il Bene comune.
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È dalla pluralità di principi e valori - dalla loro «dispersione», secondo Hayek - e dal loro costante confronto, che, secondo il pensiero liberale, nascono, si sviluppano e sono garantite le libertà nella democrazia moderna.
È nella pretesa di monopolizzare e centralizzare la conoscenza che l'assolutismo individua, e trova, il proprio fondamento etico.
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Non voglio neppure insinuare che il capo del governo abbia manifestato, ancorché indirettamente, una qualche intenzione autoritaria dalla quale peraltro non è del tutto esente; tanto meno credo ce la farà a riformare la Rai e a trasformarla in una sorta di Minculpop renzian-democratico.
Il ragazzotto fiorentino è solo culturalmente uno sprovveduto, che spesso, nel lodevole entusiasmo di fare, e di fare in fretta, finisce col farsi male da solo. ... Suggerirei di non prenderle troppo sul serio.
Provvederanno i partiti in Parlamento a scongiurare anche solo la parvenza di una dittatura...
Leggere Piero Ostellino è come fare un viaggio nel tempo, tornando ai primordi del liberalismo: viene voglia di affacciarsi alla finestra, per vedere se per caso c'è Beniamino Franklin sul prato davanti casa, mentre sta facendo i suoi esperimenti con l'aquilone per inventare il parafulmine.
Una figura comune, la sua, tra i "liberali duri e puri" di casa nostra, che sanno tutto sulla storia di questi ultimi due secoli e sono in grado di citare a memoria tutta la letteratura scritta contro i tiranni e contro la soppressione della libertà, ma che sul piano politico riescono a tradurre questa loro spiritualità libertaria nella sola (ma in compenso inespugnabile) certezza che i pericoli per la democrazia provengano dai sindacati, dal "buonismo", dallo statalismo, insomma dalla sinistra e dai suoi vizi, veri o presunti.
A Ostellino, per dire, non piace nemmeno Papa Francesco.
Quindi, questa sua avversione per Renzi ha tutta l'aria di essere l'ennesimo capitolo di un'avversione verso la sinistra, dato che Renzi rimane per lui, pur sempre, l'erede di terza generazione del PCI, qualunque cosa faccia: credo che per Ostellino anche Mussolini andrebbe interpretato soprattutto come ex-socialista, e credo che del nazional-socialismo hitleraino la cosa che più sconvolge la sua sensibilità sia il suffisso "socialismo".
Non si può fare a meno di ricordare, in questo senso, Marco Pannella, che, in piena era Putin, parla delle nefandezze commesse a Mosca, chiamando la Russia "ex Unione Sovietica", dove la parolina "ex" è un sussurro che si sente appena.
In questo articlo citato c'è una piccola, modesta, e tuttavia interessante somma dei percorsi del suo pensiero, e delle contraddizioni del liberalismo di casa nostra, quando "scende" a interessarsi della politica.
Intanto, basta vedere che il suo discorso si apre con una condanna della partitocrazia e si chiude con una mozione di fiducia verso i partiti, che sono destinati a fare da argine alle tendenze autoritarie del Bel Ami di Rignano.
Una contraddizone, certo, che potremmo cercare di appianare anche noi lettori, per nostro conto, spinti da uno spirito caritativo, ma che risulta piuttosto buffa in un articolo così breve, dove il capo e la coda per così dire si guardano negli occhi.
La seconda caratteristica che s'impone per evidenza è il consueto gap che separa premesse e conseguenze, il generale dal particolare: da Hayek a Renzi, dalla tirannia come fenomenologia della Storia alla riformicchia della RAI.
In genere questo, che è un vezzo accademico, serve soprattutto a dimostrare che le critiche provengono da una visione di livello superiore e che l'autore è uno che è costretto a farle dalla propria coscienza di studioso, e non da un'acredine di piccolo cabotaggio, da antipatia, e men che meno da una posizione di parte.
I liberali duri e puri di casa nostra, infatti, è ben vero che esaltano (alla Einaudi) la contrapposizione degli interessi e le leggi del libero mercato applicate alle idee politiche, ma ogni volta che parlano - loro - sono sempre super partes, ossia parlano sempre e soltanto come custodi della repubblica e dei suoi valori costituenti, fondamentali, diciamo pure eterni da Menenio Agrippa in poi.
C'è poi il paragrafo dedicato all'educazione del popolo, tramite i mezzi di comunicazione.
Davvero possiamo contrastare la "riforma" renziana con l'argomento del Minculpop?
Bel Ami avrebbe gioco facile - perfino demandando il compito alla Madia - a rispondere che il Minculpop esiste da quando l'EIAR è stata rinominata RAI, così come esiste il controllo da parte del parlamento/partiti/governo.
E poi: l'educazione. Scopre adesso, per l'occasione, Ostellino che i media sono il tramite educativo del popolo, cioè che condizionano e indirizzano le opinioni, e anzi formano le idee, le convinzioni e le superstizioni della "platea"? Quando i media servono le esigenze della pubblicità, dell'industria, del sistema economico, più che "gli interessi dei cittadini", cosa ha da dire il liberale duro e puro? Sembra, per Ostellino, che non si sia mai sentito parlare del "totalitarsimo consumistico" - e sì che ne hanno parlato sociologi e filosofi liberali, insieme a quelli d'impostazione marxista ... forse per questa commistione Ostellino li trova sospettabili.
Insomma, digiamogelo: non si sa bene quali partiti possono arginare la dilagante egomania di Bel Ami, o quali correnti di partito.
Ma è quasi certo che non saranno le correnti dei liberali duri e puri, che non a caso riempiono ora le sale della Leopolda, dopo aver umiliato la memoria di Luigi Einaudi per vent'anni, flirtando con il Cavaliere di Arcore e scrivendo sui giornali di chi ha controllato entrambi i soggetti del dupolio, RAI e Mediaset.