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Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto • LA DEMOCRAZIA PERDUTA - Pagina 5
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Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 27/02/2015, 12:53
da camillobenso
Rom ha scritto:Luca, forse hai ragione, e forse sono io quello strano.
Il fatto è che non mi sento in grado di "sapere e selezionare" a sufficienza.
Per avere un'idea mia, vera, fondata, seria, ho bisogno di dati assai più certi e più diretti, di quanto non siano quelli che provengono dalla "informazione": non ne faccio nemmeno una questione di malafede o di complottismo, da parte dei "poteri" e del "sistema", nel senso che già mi basta la difficoltà di base che deriva dal fatto che ci troviamo a nutrirci di cibo informativo precotto e predigerito anche quando lo supponessimo in perfetta buonafede.
Per le mie riflessioni sul mondo, la politica e la varia umanità mi sono sempre e soltanto basato sull'esperienza diretta, o in alternativa sulla logica che riesco a esercitare su quel poco di dati (relativamente) certi che ho a disposizione: un metodo che, francamnte, mi ha tradito molto di rado.
Quando ho sbagliato, ciò è successo perché non ho dato ascolto a quelle che erano le mie conclusioni, e ho cercato di attenuarle, facendo una specie di somma algebrica con tesi opposte alle mie.
Le tesi sulla crisi della democrazia, che adesso stanno emergendo da più parti, erano avvertibili da almeno vent'anni, o forse trenta, e io le ho spesso esternate in una forma "paradossale", credendoci sul piano puramente intellettuale, ma non pensando che si sarebbero dimostrate con tale puntualità sul piano pratico.
Sbagliavo. La realtà supera spesso la fantasia. La verità sta sotto i nostri occhi, ma non la vediamo perché non ci possiamo permettere di vederla.
Ci piace pensare e ragionare sulla democrazia secondo ciò che questa dovrebbe essere. Ma non funziona.


Nel 1994, dopo la caduta della Prima Repubblica, una buona parte di italiani credeva che si potesse ricominciare d’accapo, come sostanzialmente avvenne dopo il 25 aprile del ’45. Dopo un ventennio ci siamo resi conto che non è stato così. E’ pur vero che siamo una giovane democrazia rispetto a quelle anglosassoni, ma l’impressione che se ne trae, per via della profondità della crisi, che non è solo economica, è che non siamo adatti per la democrazia.

Dopo le parole di Zagrebelsky e Smuraglia (presidente dell’Anpi di Milano) di domenica scorsa, di una democrazia prossima allo zero, stamani, in fondo alla prima pagina del Fatto Quotidiano, possiamo leggere:

Giustizia assediata
Davigo:”Hanno
Fatto una legge
per mettere
le mani sui giudici”


Una stretta al cerchio che non era stata possibile durante il ventennio della mummia cinese di Hardcore.

Un passo alla volta, immobili davanti a questa perdita di democrazia, ci avviciniamo a quella nuova forma di dittatura che non ha bisogno delle rappresentazioni del passato.

Tanto che una parte di piddini fedeli al nuovo ducetto, sta scambiando l’autorevolezza con l’autoritarismo.

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 28/02/2015, 11:18
da camillobenso
...........e tornammo a riveder le stelle.

Torneremo anche noi a riveder le stelle? Credo proprio di no.

Perché stiamo iniziando solo ora un percorso ignoto dove prevale il buio oltre la siepe.


“L’èra degli esecutivi esecutori. Gli ordini ormai li danno altri”
(Silvia Truzzi).
28/02/2015 di triskel182


Potremmo cominciare questa conversazione con Gustavo Zagrebelsky così: a che punto stiamo? Non è un particolare che la chiacchierata avvenga su un Frecciarossa, treno ad alta velocità, simbolo della politica futurista dei rottamatori. Non è un particolare che si sia diretti a Firenze, la neocapitale del potere. E, aggiunge il professore, “nemmeno che il vagone più lussuoso si chiami executive. Subito dopo c’è la carrozza business. Esecutivo e affari sono una bella simbiosi”. Su Repubblica qualche giorno fa è apparso uno stralcio dell’intervento di Zagrebelsky che oggi (ieri per chi legge) inaugura la due giorni di Libertà e Giustizia. Il tema è l’esecutivo pigliatutto. “Alcuni colleghi, dopo aver letto l’articolo, mi hanno scritto che mi avrebbero bocciato all’esame di diritto costituzionale. Secondo la visione di Rousseau, il corpo legislativo esprime la sovranità nazionale e l’esecutivo la esegue. L’altra scuola dice che l’esecutivo è il governo, che detta l’indirizzo politico. Quando io dico che siamo in un’epoca esecutiva, intendo che il governo non decide più sui fini. Realizza compiti che gli sono assegnati e a cui non si può sottrarre”.

Quali sono questi compiti? Si dice che gli Stati hanno perso sovranità, cioè che le grandi scelte sono sottratte ai governi. I governi sono chiamati a risanare i conti. Francia, Italia, Grecia, Portogallo: non possono sgarrare, la minaccia è forte. Tanto che anche Tsipras ha fatto una mezza retromarcia. La cessione di sovranità è prevista dalla Costituzione: “L’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. La nostra Costituzione è aperta. Ma la limitazione è prevista in vista della pace e della giustizia tra le Nazioni, non per mettersi al servizio della finanza internazionale! L’obiettivo si è rovesciato in cessione di sovranità politica a favore di sovranità finanziaria. Siamo in un momento in cui il potere economico ha sopravanzato il potere politico, ci si è alleato subordinandolo. Torniamo alla sua bocciatura. L’obiezione è che sono almeno due secoli che i governi sono titolari di indirizzo politico. E non esecutivi nel senso di Rousseau. E questo sta a dire che i governi dominano i Parlamenti. I governi esecutori non ammettono ostacoli, obiezioni, inciampi. Monti, parlando in una sede europea, aveva detto che i governi devono essere in grado di educare i Parlamenti. Ma nelle democrazie parlamentari dovrebbe essere il contrario. Ma siamo ancora in un regime parlamentare? È una fase di trasformazione. C’è stato un rovesciamento dei pesi, la democrazia prevista dalla Costituzione si genera dal basso, si esprime in Parlamento e poi dal Parlamento si trasferisce al governo. A cosa è funzionale questo rovesciamento? Siamo partiti osservando che le carrozze executive sono vicine alla business. Mi pare di aver risposto. Poi bisogna guardare il quadro da lontano per cogliere l’insieme. La legge elettorale, con premio di maggioranza e ballottaggio, mira a comprimere la rappresentanza con la conseguenza che la maggioranza avrà un ruolo molto invadente nelle nomine di garanzia. E la funzione legislativa rischia di essere ridotta a plebiscito sulle decisioni dell’esecutivo, con la spada di Damocle dello scioglimento delle Camere . Si vuole andare verso una sola Camera con poteri politici pieni e con procedimenti dominati dall’esecutivo. I luoghi della partecipazione sono soffocati dall’azione dall’alto. Questo governo dice che ‘ascolta le parti sociali’. Ma avere un’idea di democrazia partecipata significa che all’ascolto segue un confronto. La svolta autoritaria è il rovesciamento delle basi della decisione pubblica. Il momento esecutivo che noi stiamo vivendo ha bisogno di omologazione, che tutti siano in sintonia con il potere. Allora la partecipazione si riduce all’ascoltare e non al deliberare insieme. Lei dice: tutto questo accade in un assoluto silenzio su due punti cruciali, la democrazia nei partiti e la vitalità dell’informazione. Per quel che riguarda l’informazione, è chiaro che la forma mentis della stampa è l’adeguamento. Con tutti i governi. Si parte dall’idea che il solo fatto che il governo ci sia è in sé un plusvalore. Non era così all’epoca di Berlusconi, quando l’informazione si divideva in pro e in contro. Oggi, visto che l’assunto è l’assenza di un’alternativa, di ogni governo bisogna dir bene. È il contrario di quello che il quarto potere dovrebbe fare: vigilare. È vero. Anche se c’è qualcuno che non si adegua. Il Fatto svolge una funzione critica per le disfunzioni, le corruzioni, le malversazioni e le ruberie. Ma anche il vostro giornale non propugna sistemi diversi. Il Fatto dà fastidio perché svolge la funzione di vigilanza all’interno del quadro di politica unica, se fosse un giornale ideologico, che propagandasse idee rivoluzionarie, darebbe molto meno fastidio. Questo significa anche che nemmeno il giornale più d’opposizione riesce o può collocarsi in una diversa prospettiva politica. La condizione di politica unica, vincolata agli obblighi superiori, è la fine della politica perché la politica è la discussione sui fini. Se il fine è unico, perché andare a votare? E la democrazia interna ai partiti? È decisiva per la qualità della vita pubblica, cioé si riflette sulla qualità degli organi in cui l’azione dei partiti si esplica. Se i partiti sono gestiti autocraticamente, la vita parlamentare sarà dominata dall’autarchia. E il rischio oligarchico diventa massimo con il sistemi elettorali che premiano un partito. Specie se il segretario del partito di maggioranza è anche il presidente del Consiglio. Questa è una grave stortura. Da un lato la sua carica di segretario del Pd influisce sul governo, ma vale anche al contrario. È un circolo vizioso in cui il potere del capo – del partito e del governo – si alimenta da due fonti. A proposito di modi della legislazione: ormai si fa tutto – velocemente e subito – con decreti. La risposta è ‘siamo costretti a farlo perché sennò c’è l’ostruzionismo’. Ma l’ostruzionismo è un diritto. Il decreto di attuazione sul Jobs Act contiene l’estensione delle nuove norme sui licenziamenti individuali anche ai licenziamenti collettivi, di cui non c’è traccia nella legge delega e nonostante il parere negativo delle commissioni di Camera e Senato. La Costituzione vuole che le leggi delega abbiano contenuti determinati. Su questo punto la legge delega tace, ma è stato inserito nel decreto. C’è una lunga prassi per cui se le commissioni, pur non essendo il loro parere vincolante, decidono unanimemente in un modo, il governo le segue. Invece il governo se ne è disinteressato. Per come si stanno orientando le istituzioni, il Parlamento non è solo superfluo, è dannoso. Questa è la svolta autoritaria, non i manganelli o l’olio di ricino.

Da Il Fatto Quotidiano del 28/02/2015.

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 02/03/2015, 0:19
da camillobenso
il Fatto 1.3.15
“Tra la P2 e l’uomo forte. Così sono nate le riforme”
“Il popolo affascinato dai capi”
La due giorni di Libertà e Giustizia a Firenze

di Silvia Truzzi

Non è strano che la seconda giornata del convegno di Libertà e Giustizia si svolga all’Aula Battilani, un tempo teatro della rivolta dei Ciompi, lavoratori poverissimi che alla fine del 1300 insorsero contro chi li governava e li aveva affamati.

Cosa ottennero? Di partecipare alla vita pubblica. Ed è esattamente di questo - di partecipazione, rappresentanza e democrazia - che si è parlato nella due giorni fiorentina con tantissimi interventi: da Gustavo Zagrebelsky a Barbara Spinelli e Stefano Rodotà, da Nando dalla Chiesa, a Marco Travaglio, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare e Paul Ginsborg.


“L’EFFICIENZA e la rapidità delle decisioni economiche prevalgono su processi democratici ritenuti troppo lenti e incompetenti”, ha detto Barbara Spinelli, scrittrice, giornalista ed eurodeputata de l’Altraeuropa.


“Gli effetti di questa decostituzionalizzazione li tocchiamo con mano in Italia.


Il Piano di rinascita democratica di Gelli (redatto forse non a caso in concomitanza con il rapporto della Trilaterale) è stato fatto da Craxi, poi da Berlusconi, infine da Matteo Renzi”.



Ed è ben strano che riforme tanto capitali per la vita democratica – come la legge elettorale e il nuovo assetto del Senato – siano portate avanti da un Parlamento su cui grava un fortissimo sospetto di legittimità, a causa della sentenza della Consulta sul Porcellum.


Molti nodi vengono al pettine nell’orgia del riformismo a tappe forzate, ma restano le tare congenite.

L’uomo forte, per esempio: “Abbiamo vissuto con Berlusconi una spinta autoritaria. Renzi resta in quella stessa tradizione: i risultati del renzismo sul processo sono incredibili”, ha spiegato lo storico Paul Ginsborg.



“Il divario tra la superficialità della proclamazione dell’imminente riforma e ciò che davvero avviene nella realtà è enorme.

Il premier parla di bellezza, di arte, di patrimonio culturale: io lavoro nella Biblioteca Nazionale di Firenze, dove da mesi piove perché il soffitto non è stato riparato.


Le risorse delle grandi istituzioni culturali del Paese sono state ridotte all’osso e contemporaneamente dobbiamo sopportare i continui slogan governativi”.


Di “popolo affascinato dai capi”, ha detto anche Lorenza Carlassare, emerito di Diritto costituzionale a Padova, che avverte: “La democrazia non è compatibile con i capi”.


E ripercorre alcuni passaggi delle riforme elettorali. A cominciare dalla famosa “legge truffa” del 1953, cui forse, visti i recenti sviluppi, dovremmo chiedere scusa e ritirando l’ingannevole appellativo.


“Era molto più democratica dell’Italicum perché il premio di maggioranza si otteneva avendo almeno il 50 per cento. Se non si raggiungeva questa soglia, non scattava.


Ma questo Italicum è più legato alla legge Acerbo del 1923”, per cui il premio di maggioranza scattava con il 25 per cento garantendo al partito più votato i due terzi dei seggi.



Ma quali sono gli affetti della sovrarappresentanza delle liste di maggioranza relativa? Il principio di uguaglianza del voto in Costituzione vale non solo in entrata ma anche in uscita, “cioè riguarda anche l’esito del voto e quanto rispecchia la volontà del popolo”.


“È vero”, conclude la costituzionalista, “che la soglia di sbarramento è stata abbassata, ma il pluralismo è comunque impedito visto il premio di maggioranza.


Tutto è fatto in modo da essere annullato di nuovo dalla Corte costituzionale”.


Quanto agli anticorpi verso quella che Gustavo Zagrebelsky aveva definito la “politica unica”, c’è ben poco in cui confidare.


“Perché l’informazione si è assegnata il compito di fare da cassa di risonanza del potere”, ha spiegato il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. “Sfiorando spesso il ridicolo, perché ogni comportamento banale, di chiunque occupi un posto di potere, diventa immediatamente straordinario. Mirabile.


Ovunque la stampa bastona i governi, da noi le opposizioni. Con cui di solito l’informazione si allea.


Perfino Mussolini mandava telegrammi ai prefetti chiedendo di intervenire presso i giornali troppo adulatori.


Succede ormai che le dichiarazioni dei ministri escono dalle virgolette e diventano verità che non hanno bisogno di essere messe in discussione”.


L’INCESSANTE canto delle res gestae dei potenti e il tradimento della funzione di vigilanza hanno un costo alto. “Dovrebbero fare”, ha concluso Travaglio, “una legge a tutela dei cittadini sulla responsabilità civile dei politici, visti gli incalcolabili danni provocati da questa classe dirigente. Ma nessuna assicurazione al mondo sarebbe disposta a garantire con una polizza”.

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 08/03/2015, 21:37
da camillobenso
L’Italia è un Paese di destra veniva giustificato più di una volta, quando la sinistra perdeva nell’ultimo ventennio.

A leggere oggi Pansa, Scalfari, e Ostellino, più che di destra questa Italia sembra fascista.



Giampaolo Pansa: “Il renzismo ha un unico traguardo: il regime di un uomo solo al comando”
8 marzo 2015
(Giampaolo Pansa per Libero quotidiano) –

«Sai che cosa mi ricorda Palazzo Chigi? Il Cremlino» dice un vecchio collega che ha fatto per parecchio tempo il corrispondente dall’Unione sovietica.

La sua sicurezza mi sorprende: «Perché il Cremlino?».

Lui risponde: «Per molti motivi. Il primo è che nessuno conosce davvero che cosa accada in quel palazzo. Quali sono gli obiettivi di chi ci lavora? Che intendono fare dell’Italia e del potere che hanno raccolto per strada, grazie a un insieme di circostanze oscure e senza essere eletti da nessuno? Ma la ragione più forte è un’altra.

Come nel vero Cremlino, la fortezza di molti leader sovietici e oggi di Vladimr Putin, anche quello di largo Chigi è abitato da una persona sola che sta diventando sempre più potente».


La persona sola è Matteo Renzi, il nostro premier.

Non esiste ancora un’analisi spassionata del leader fiorentino. Tuttavia qualche elemento del suo identikit lo conosciamo.

Ha un alto concetto di sé. L’autostima non ha incertezze. È tutto preso dalla propria volontà e intelligenza.

Non assomiglia a nessuno dei leader della Prima Repubblica.
Neppure Alcide De Gasperi o Palmiro Togliatti erano come lui.

Soltanto Amintore Fanfani, un altro toscano, ma di Arezzo, presentava gli stessi difetti: l’arroganza, il fastidio sprezzante per le lungaggini del Parlamento, la convinzione di essere il meglio del meglio. Era sicuro di vincere sempre.

Poi incontrò la disfatta nel referendum contro il divorzio. Matteo rifletta.

È il carattere a suggerire a Renzi la forma di governo che preferisce.

L’ha spiegata più volte e l’ha ripetuta nell’ultima, importante intervista a Marco Damilano dell’Espresso.

Ha detto: «Per il governo io ho in testa il modello di una giunta che funziona con un forte potere di indirizzo del sindaco».

In apparenza la parola «giunta» è innocua.

Ma pronunciata dal nostro premier assume un significato equivoco.

La politica mondiale ne ha conosciute molte di giunte, comprese quelle dei militari golpisti.

E dal dopoguerra in poi abbiamo visto molti leader autoritari che sostenevano di essere soltanto gli amministratori della loro nazione.


SINDACO D’ITALIA
Renzi si presenta come il sindaco d’Italia.

Ma non ha nulla di chi si accolla la difficoltà di lavorare per i cittadini.

Lui lavora per se stesso. Matteo è il centro della vita di Matteo.

È un logorroico, capace di pronunciare un’infinita quantità di parole.

Si sente un gigante tra i nani.

È un cinico senza limiti, lo ha dimostrato nella conquista volpina di Palazzo Chigi, attuata con l’assassinio politico di un premier del suo stesso partito.

È un campione della promessa a vuoto, dell’annuncio senza costrutto, dell’ottimismo predicato in ogni istante.

Sempre a velocità folle.

Un vecchio motto dice: puoi illudere uno per un’infinità di volte e puoi illudere tutti una volta sola. Ma non puoi ingannare tutti ogni volta.

Renzi non si cura di questa regola saggia.

Nel Cremlino di Matteo domina la strafottenza.

La parola renzista è sostanza.

Le promesse si avverano da sole.

Il suo verbo non ammette dubbi e meno che mai resistenze.

Pensa di avere la meglio su tutto e su tutti.

Il dissenso è un atteggiamento proibito che rasenta il reato.

La regola è una sola: obbedire o tacere.

La sottomissione di chi gli sta accanto è la virtù indispensabile per sopravvivere.

Lo dimostra la sorte dei ministri di Renzi.

Un critico sorprendente, il direttore del Foglio Claudio Cerasa, venerdì ci ha spiegato che non contano quasi nulla.

Tranne una: la ministra per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, che ha ottenuto persino un ufficio all’interno del Cremlino.

Gli altri e le altre, nel giro di appena un anno, appaiono comparse.

La ministra Maria Carmela Lanzetta aveva l’incarico degli Affari regionali, ma è sparita, oggi sta da qualche parte in Calabria.

La ministra della Difesa, Roberta Pinotti, voleva invadere la Libia, ma il premier l’ha bacchettata sulle dita e ridotta al silenzio.

La stessa sorte è toccata al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha parlato ignorando le intenzioni del premier.

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non sapeva nulla del decreto fiscale.

La ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, è stata messa nell’angolo da Renzi sulla questione dei professori da assumere.

Si è dichiarata «basita», ossia stupefatta, ma non ha trovato il coraggio di dimettersi.

Un sindaco «dal forte potere d’indirizzo» può preoccuparsi dei suoi assessori? Ma non scherziamo!

Il premier tiene conto soltanto della cerchia ristretta degli uomini di mano, a cominciare dal sottosegretario Luca Lotti, il meno raccontato dai media, uno sconosciuto.

Un gradino più sotto stanno i consiglieri, primo fra tutti Andrea Guerra, già amministratore delegato di Luxottica. Sono figure difficili da definire.

Senza un profilo istituzionale certo, il loro potere è uno stato di fatto.

Contano perché il premier ha deciso così. Almeno per oggi.

Nel vero Cremlino sovietico accadeva di peggio.

Una ministra ripudiata come la povera Lanzetta sarebbe finita in un gulag siberiano.

La Federica Mogherini, spedita in Europa con un incarico di cartapesta, prima di partire per Bruxelles avrebbe fatto un corso rapido di rieducazione nel collegio della Lubianka, la polizia segreta.

Il Cremlino di Renzi è meno sanguinario.

Qui bisogna soltanto dire di sì, oppure tacere.

E se non sei disposto al silenzio, non ti resta che accomodarti fuori dall’uscio.

Comunque sia, la vita all’interno di Palazzo Chigi potrebbe essere soltanto un affare del giornalismo d’inchiesta.

Non è una specialità oggi molto diffusa, ma in fondo i media non sono l’unica arma da usare per mettere in sicurezza una democrazia.

Il vero interrogativo che ci dobbiamo porre è se il modello Cremlino possa espandersi nei rapporti fra il cittadino e il potere politico.
Qui arriviamo al dunque. Ossia alla domanda delle domande: il forte «potere d’indirizzo» che connota il renzismo può mutarsi in qualcosa di peggio?



DOMANDA DELLE DOMANDE

Per peggio intendo una democrazia che, giorno dopo giorno, si incammina verso una mutazione profonda che ha un unico traguardo: il regime di un uomo solo al comando.
Sappiamo che Renzi irride quanti ne parlano. Ritiene che sia una fantasia malata fatta circolare da Renato Brunetta, l’oppositore più tenace nel giro di Silvio Berlusconi.
Eppure il quesito non è ozioso.
Se al Cremlino ci sta un signore che si ritiene investito di una missione storica e non ha modi cortesi, anzi è molto vendicativo, il risultato è fatale.

Qualunque centro di potere, burocratico, economico, giudiziario o culturale, prima di prendere una decisione vorrà sentire l’opinione del premier.

Tanti si arrendono senza avere il coraggio di combattere. E consegnano all’uomo del Cremlino la loro libertà.

Siamo già di fronte a una democrazia dimezzata.

Una condizione che può soltanto peggiorare.

Per una circostanza che sta sotto gli occhi di tutti. Il modello Cremlino, ovvero il renzismo nella versione più dura, non ha oppositori.

La destra e la sinistra mostrano le stesse pulsioni suicide.

All’interno dei loro fortini sempre più fragili, si insultano, si combattono, si distruggono.

La loro stupidità rasenta il tradimento.

Sono le quinte colonne del generalissimo calato in armi da Firenze.

Non s’illudano: dentro Palazzo Chigi è già pronto il mattatoio dove verranno decapitate.
(dagospia.com)

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 08/03/2015, 21:55
da camillobenso
La maleducazione del tele-educatore
Il premier vuole riformare la Rai per sottrarla al controllo dei partiti. Una buona idea, viziata però da un abbaglio culturale
Piero Ostellino - Dom, 08/03/2015 - 15:33


Matteo Renzi dice di voler riformare la Rai per sottrarla al controllo dei partiti.

Sarebbe una buona idea - che segnerebbe davvero una svolta epocale rispetto alla Prima e alla Seconda Repubblica, le quali non erano propriamente democrazie parlamentari, come detta la Costituzione, ma partitocrazie che legiferavano al posto del Parlamento e governavano al posto del governo: coalizioni di partiti che lottizzavano Parlamento e governo - se non fosse viziata da un abbaglio culturale.


Assegnando all'informazione (della Rai riformata) una funzione pedagogico-formativa nell'Italia da riformare, Renzi rivela di volerne sottrarre il controllo ai partiti per trasferirlo al governo.

Poiché il governo avrebbe contemporaneamente il monopolio dell'informazione (Rai) e della violenza (legale) sarebbe un salto dalla padella (dei partiti) alla brace (del governo).

Non un gran passo avanti nella riforma, nella modernizzazione e nella democratizzazione del Paese promesse da Renzi.

Forse, di qualche utilità per il presidente del Consiglio; non una garanzia per i cittadini.

Non voglio neppure pensare che, nella circostanza, il capo del governo abbia manifestato tendenze autoritarie.

Voglio semplicemente segnalare che se Renzi avesse letto Hayek, non sarebbe probabilmente incorso nell'infortunio.

La tesi di Hayek è semplice.

Ogni autoritarismo e ogni totalitarismo nascono, si sviluppano e si distinguono per la pretesa di avere il monopolio della conoscenza, di essere i soli a sapere che cosa sia e occorra fare per realizzare il Bene comune.


Da tale pretesa si sviluppa la convinzione che occorra «educare» i cittadini e che chiunque abbia un'idea diversa sia un nemico da combattere e da eliminare.

È dalla pluralità di principi e valori - dalla loro «dispersione», secondo Hayek - e dal loro costante confronto, che, secondo il pensiero liberale, nascono, si sviluppano e sono garantite le libertà nella democrazia moderna.

È nella pretesa di monopolizzare e centralizzare la conoscenza che l'assolutismo individua, e trova, il proprio fondamento etico.

La democrazia è, prima di tutto, per Hayek, una questione gnoseologica che diventa un fatto istituzionale proprio sulla base di una questione gnoseologica.

Sotto il profilo teoretico, questa idea di democrazia l'ha sviluppata I. Berlin; da noi, l'aveva sostenuta Luigi Einaudi, che vedeva nella competizione, e persino nel conflitto fra convinzioni differenti, il terreno sul quale si sviluppava la democrazia liberale; la pretesa di concentrare la conoscenza in una sola persona, o in un solo ente, hanno sostenuto Berlin, Hayek e Einaudi, porta automaticamente alla tirannia.

Non voglio neppure insinuare che il capo del governo abbia manifestato, ancorché indirettamente, una qualche intenzione autoritaria dalla quale peraltro non è del tutto esente; tanto meno credo ce la farà a riformare la Rai e a trasformarla in una sorta di Minculpop renzian-democratico.


Il ragazzotto fiorentino è solo culturalmente uno sprovveduto, che spesso, nel lodevole entusiasmo di fare, e di fare in fretta, finisce col farsi male da solo.

È ciò che è accaduto con le improvvide dichiarazioni sulla Rai.

Suggerirei di non prenderle troppo sul serio.

Provvederanno i partiti in Parlamento a scongiurare anche solo la parvenza di una dittatura...


piero.ostellino@ilgiornale.it

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 10/03/2015, 21:51
da camillobenso
“Così stravolgono anche la forma repubblicana”
(Silvia Truzzi).
10/03/2015 di triskel182
.

E dunque, nonostante i Nazareni tramontati e i mal di pancia dei dissidenti Pd, si va verso la riforma del Senato.

“Questa riforma è un cambiamento radicale del sistema politico-istituzionale: cambia la forma di governo e viene toccata la forma di Stato”, spiega Stefano Rodotà, emerito di diritto civile alla Sapienza.

“E dire che si sarebbe dovuto procedere con la massima cautela: questo Parlamento è politicamente delegittimato dalla sentenza della Consulta.

Invece si è scelto di andare avanti imponendo un punto di vista non rivolto al Parlamento, ma a un patto privato, il Nazareno”.

Lei – come altri “professoroni” – è stato da subito molto critico.

La riforma è un’occasione perduta: la discussione che all’inizio era stata generata dalle proposte del governo, aveva determinato una serie di indicazioni che non erano tese all’immobilismo, ma partivano da due premesse .

Il Titolo V è stato un disastro e il bicameralismo perfetto non può essere mantenuto: si poteva inventare – era possibile - una forma di organizzazione che concentrasse il voto di fiducia nella Camera superando il sistema attuale, creando nuovi equilibri e controlli e non scardinando la Repubblica parlamentare voluta dalla Costituzione.



Ora si comincia ad avere la consapevolezza di ciò che sta accadendo: molti tra quelli che avevano detto “non esageriamo, non si dica svolta autoritaria ” stanno cambiando idea.


Si parla di un’Italia a rischio “democratura”, di tendenze plebiscitarie, di deperimento del sistema dei controlli. Se ne sono accorti un po’ tardi.




L’Italia non sarà più una Repubblica parlamentare?

Formalmente resterà tale, ma ci sarà un accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo e della Presidenza del Consiglio e insieme una depressione di ogni forma di controllo.


Non dimentichiamo mai che questa riforma è accompagnata da una proposta di legge elettorale che costruisce una maggioranza artificiale nell’altra Camera: Montecitorio diventerà un luogo di ratifica delle decisioni del governo.

Lei dice: “Si tocca anche la forma di Stato”: cambierà l’equilibrio tra governanti e governati?
L’ultimo articolo della Carta dice che la forma repubblicana non è modificabile.[/color][/b]

Non vuol dire solo che non si può tornare alla monarchia: si vuol dire che la forma di Stato delineata dalla Costituzione – una delle nuove costituzioni del Dopoguerra, segnata dal passaggio da Stato di diritto a Stato costituzionale dei diritti – è una combinazione tra repubblica parlamentare e repubblica dei diritti.

Se si abbandona questa strada, si rischia di uscire dall’art. 139 modificando la forma repubblicana, ritenuta invece un limite invalicabile.

I richiami sulla gravità di questo passaggio sono stati trascurati? Assolutamente sì, tanto che oggi siamo alla fine di un iter molto preoccupante perché nasce dalla cultura della decisione.

In questi anni decidere è stato considerato l’unico imperativo.

Di fatto, si sono già modificati i rapporti tra governo, parlamento e partiti. Basta vedere quante leggi per decreto, o le indiscrezioni sulla riforma della Rai.
C’è già una trasformazione del sistema. L’abuso della decretazione ha una lunga storia in Italia, ma il decreto legge è stato impugnato come un’arma, dicendo “è l’unico modo che consente di decidere”.


Sulla Rai c’è un punto fermo rappresentato da una sentenza della Consulta che ha esplicitamente detto che la Rai è affare di parlamento e non di governo.

Comunque se il controllo parlamentare avrà le caratteristiche derivate dal combinato disposto di riforme e Italicum, quel Parlamento non sarà altro che la prosecuzione dell’esecutivo: la designazione da parte del governo di un amministratore delegato, non troverà nel Parlamento nessuna forma di controllo.

Anche sul Jobs Act, il governo non ha tenuto in considerazione il parere delle commissioni Lavoro contrarie a inserire nel testo i licenziamenti collettivi.


La crescente delegittimazione del Parlamento è evidente.


Il tema del licenziamento collettivo non è un fatto marginale, cambia la qualità della disciplina del licenziamento.

Il parere delle commissioni non era vincolante certo, ma la domanda è: il governo tiene conto del parere del Parlamento?
La risposta è: no. La questione centrale della riforma come dell’Italicum – sottolineata anche dai giudici della Consulta sul Porcellum – è la rappresentanza dei cittadini. Ci sono molti dubbi anche sull’Italicum: la Corte dice chiaramente che l’obiettivo e ricostituire le condizioni della rappresentanza. Aggiungo: sei mesi prima della sentenza sul Porcellum, la Corte si era espressa a favore della Fiom contro la Fiat sulla rappresentanza dei lavoratori nelle commissioni. Voglio dire: la Consulta afferma a diversi livelli che una delle caratteristiche del nostro sistema è la garanzia della rappresentanza. Renzi ha detto che con il referendum decideranno i cittadini. Vorrei far notare che questo è un potere dei cittadini, previsto dalla Carta, non una concessione del governo. Ora viene adoperato per dire alla minoranza del Pd: non vi prendiamo in considerazione, decideranno i cittadini. Cioè di nuovo l’insignificanza del Parlamento.

Da Il Fatto Quotidiano del 10/03/2015

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 10/03/2015, 22:54
da cardif
Ma di che si sta parlando?
Sto seguendo 'di martedì' su La7. C'è la sig.ra Moretti che alle 21:30 ha detto che c'è la ripresa, la fiducia e la speranza. E lo si vede dal fatto che nel nord-est ci sono state circa 7.500 assunzioni dal primo gennaio ad oggi. Al ritmo di 7.500 assunzioni in due mesi e mezzo si riassumerà un milione di persone in trent'anni.
Alle 22:30 la sig.ra Moretti ha detto che le assunzioni sono state circa 10.000, sempre dal primo gennaio a oggi. Nel semplice trascorrere di un'ora ci sono state 2.500 assunzioni. A questo ritmo bastano 20 giorni per assumere quel milione.
Questo è il governo del fare, altro che le chiacchiere sulla perdita di democrazia, sulla democratura.

A che ci serve andare a votare per scegliere i rappresentanti del popolo nelle istituzioni in una democrazia rappresentativa se abbiamo un governo così del fare?

???
O no? O ha fatto solo propaganda ? E numeri a caso? E chiacchiere al vento?

cardif

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 11/03/2015, 0:09
da iafran
camillobenso ha scritto:Il suo verbo non ammette dubbi e meno che mai resistenze. Pensa di avere la meglio su tutto e su tutti. Il dissenso è un atteggiamento proibito che rasenta il reato. La regola è una sola: obbedire o tacere.
Un grande plauso, allora, a Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, che è stata fra i primi a dire "no" ai suoi voleri.
camillobenso ha scritto:La tesi di Hayek è semplice.
Ogni autoritarismo e ogni totalitarismo nascono, si sviluppano e si distinguono per la pretesa di avere il monopolio della conoscenza, di essere i soli a sapere che cosa sia e occorra fare per realizzare il Bene comune.
Da tale pretesa si sviluppa la convinzione che occorra «educare» i cittadini e che chiunque abbia un'idea diversa sia un nemico da combattere e da eliminare.
Sotto l'ombrello di molti non ci piove: l'aumento delle astensioni conferma che il "renzismo" non farà facilmente presa (comunemente detto "scouting") fra i cittadini liberi.

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 11/03/2015, 17:18
da Rom
camillobenso ha scritto: Sarebbe una buona idea - che segnerebbe davvero una svolta epocale rispetto alla Prima e alla Seconda Repubblica, le quali non erano propriamente democrazie parlamentari, come detta la Costituzione, ma partitocrazie che legiferavano al posto del Parlamento ...
...
Assegnando all'informazione (della Rai riformata) una funzione pedagogico-formativa nell'Italia da riformare, Renzi rivela di volerne sottrarre il controllo ai partiti per trasferirlo al governo.
Poiché il governo avrebbe contemporaneamente il monopolio dell'informazione (Rai) e della violenza (legale) sarebbe un salto dalla padella (dei partiti) alla brace (del governo).
...
Non voglio neppure pensare che, nella circostanza, il capo del governo abbia manifestato tendenze autoritarie.
Voglio semplicemente segnalare che se Renzi avesse letto Hayek, non sarebbe probabilmente incorso nell'infortunio.
La tesi di Hayek è semplice.
Ogni autoritarismo e ogni totalitarismo nascono, si sviluppano e si distinguono per la pretesa di avere il monopolio della conoscenza, di essere i soli a sapere che cosa sia e occorra fare per realizzare il Bene comune.
...
È dalla pluralità di principi e valori - dalla loro «dispersione», secondo Hayek - e dal loro costante confronto, che, secondo il pensiero liberale, nascono, si sviluppano e sono garantite le libertà nella democrazia moderna.
È nella pretesa di monopolizzare e centralizzare la conoscenza che l'assolutismo individua, e trova, il proprio fondamento etico.
...
Non voglio neppure insinuare che il capo del governo abbia manifestato, ancorché indirettamente, una qualche intenzione autoritaria dalla quale peraltro non è del tutto esente; tanto meno credo ce la farà a riformare la Rai e a trasformarla in una sorta di Minculpop renzian-democratico.
Il ragazzotto fiorentino è solo culturalmente uno sprovveduto, che spesso, nel lodevole entusiasmo di fare, e di fare in fretta, finisce col farsi male da solo. ... Suggerirei di non prenderle troppo sul serio.
Provvederanno i partiti in Parlamento a scongiurare anche solo la parvenza di una dittatura...
Leggere Piero Ostellino è come fare un viaggio nel tempo, tornando ai primordi del liberalismo: viene voglia di affacciarsi alla finestra, per vedere se per caso c'è Beniamino Franklin sul prato davanti casa, mentre sta facendo i suoi esperimenti con l'aquilone per inventare il parafulmine.
Una figura comune, la sua, tra i "liberali duri e puri" di casa nostra, che sanno tutto sulla storia di questi ultimi due secoli e sono in grado di citare a memoria tutta la letteratura scritta contro i tiranni e contro la soppressione della libertà, ma che sul piano politico riescono a tradurre questa loro spiritualità libertaria nella sola (ma in compenso inespugnabile) certezza che i pericoli per la democrazia provengano dai sindacati, dal "buonismo", dallo statalismo, insomma dalla sinistra e dai suoi vizi, veri o presunti.
A Ostellino, per dire, non piace nemmeno Papa Francesco.
Quindi, questa sua avversione per Renzi ha tutta l'aria di essere l'ennesimo capitolo di un'avversione verso la sinistra, dato che Renzi rimane per lui, pur sempre, l'erede di terza generazione del PCI, qualunque cosa faccia: credo che per Ostellino anche Mussolini andrebbe interpretato soprattutto come ex-socialista, e credo che del nazional-socialismo hitleraino la cosa che più sconvolge la sua sensibilità sia il suffisso "socialismo".
Non si può fare a meno di ricordare, in questo senso, Marco Pannella, che, in piena era Putin, parla delle nefandezze commesse a Mosca, chiamando la Russia "ex Unione Sovietica", dove la parolina "ex" è un sussurro che si sente appena.

In questo articlo citato c'è una piccola, modesta, e tuttavia interessante somma dei percorsi del suo pensiero, e delle contraddizioni del liberalismo di casa nostra, quando "scende" a interessarsi della politica.
Intanto, basta vedere che il suo discorso si apre con una condanna della partitocrazia e si chiude con una mozione di fiducia verso i partiti, che sono destinati a fare da argine alle tendenze autoritarie del Bel Ami di Rignano.
Una contraddizone, certo, che potremmo cercare di appianare anche noi lettori, per nostro conto, spinti da uno spirito caritativo, ma che risulta piuttosto buffa in un articolo così breve, dove il capo e la coda per così dire si guardano negli occhi.

La seconda caratteristica che s'impone per evidenza è il consueto gap che separa premesse e conseguenze, il generale dal particolare: da Hayek a Renzi, dalla tirannia come fenomenologia della Storia alla riformicchia della RAI.
In genere questo, che è un vezzo accademico, serve soprattutto a dimostrare che le critiche provengono da una visione di livello superiore e che l'autore è uno che è costretto a farle dalla propria coscienza di studioso, e non da un'acredine di piccolo cabotaggio, da antipatia, e men che meno da una posizione di parte.
I liberali duri e puri di casa nostra, infatti, è ben vero che esaltano (alla Einaudi) la contrapposizione degli interessi e le leggi del libero mercato applicate alle idee politiche, ma ogni volta che parlano - loro - sono sempre super partes, ossia parlano sempre e soltanto come custodi della repubblica e dei suoi valori costituenti, fondamentali, diciamo pure eterni da Menenio Agrippa in poi.

C'è poi il paragrafo dedicato all'educazione del popolo, tramite i mezzi di comunicazione.
Davvero possiamo contrastare la "riforma" renziana con l'argomento del Minculpop?
Bel Ami avrebbe gioco facile - perfino demandando il compito alla Madia - a rispondere che il Minculpop esiste da quando l'EIAR è stata rinominata RAI, così come esiste il controllo da parte del parlamento/partiti/governo.
E poi: l'educazione. Scopre adesso, per l'occasione, Ostellino che i media sono il tramite educativo del popolo, cioè che condizionano e indirizzano le opinioni, e anzi formano le idee, le convinzioni e le superstizioni della "platea"? Quando i media servono le esigenze della pubblicità, dell'industria, del sistema economico, più che "gli interessi dei cittadini", cosa ha da dire il liberale duro e puro? Sembra, per Ostellino, che non si sia mai sentito parlare del "totalitarsimo consumistico" - e sì che ne hanno parlato sociologi e filosofi liberali, insieme a quelli d'impostazione marxista ... forse per questa commistione Ostellino li trova sospettabili.

Insomma, digiamogelo: non si sa bene quali partiti possono arginare la dilagante egomania di Bel Ami, o quali correnti di partito.
Ma è quasi certo che non saranno le correnti dei liberali duri e puri, che non a caso riempiono ora le sale della Leopolda, dopo aver umiliato la memoria di Luigi Einaudi per vent'anni, flirtando con il Cavaliere di Arcore e scrivendo sui giornali di chi ha controllato entrambi i soggetti del dupolio, RAI e Mediaset.

Re: LA DEMOCRAZIA PERDUTA

Inviato: 11/03/2015, 18:32
da cardif
Condivido l'opinione di Rom su Ostellino.
Del resto non a caso dal 1° febbraio è passato dal Corriere al Giornale, a collaborare con quel simpaticone di Sallusti, compagno di Santanchè (che è quanto dire), trovando una collocazione più consona

cardif