Re: Il nuovo governo Renzi
Inviato: 23/02/2014, 22:29
l’Unità 23.2.14
Il premier: «Ricreazione finita»
Federica Guidi allo Sviluppo, lo sponsor è Montezemolo
Il ministero comprende anche le deleghe alle Comunicazioni
Per il Cav è una garanzia
di B. Dig.
Giorgio Squinzi non ha fatto ancora commenti sulla formazione del governo Renzi. Da uomo d’impresa, aspetta i fatti, o per lo meno gli impegni, che arriveranno solo domani con il discorso programmatico. Neanche la nomina di una imprenditrice come Federica Guidi, di casa nel sistema confindustriale, ha suscitato reazioni pubbliche da parte del vertice. Certo, confessano fonti vicine al leader degli imprenditori, c’è soddisfazione per l’incarico dato a una figura cresciuta nelle stanze di viale dell’Astronomia. Ma non ci si sbilancia più di tanto.
Il fatto è che sull’ipotesi Guidi non ha pesato certo l’influenza di Squinzi. Anzi, dai piani alti dell’associazione sottolineano che nessuna indicazione è arrivata dal presidente, né per quella nomina, né per altre. La verità è che l’imprenditrice modenese ha un altro giro di «entrature», e per dirla proprio tutta appartiene a quella parte confindustriale che ha combattuto fino all’ultimo per fermare la corsa di Squinzi. Un’«anima» da falco, come quella del padre Guidalberto, per anni vicepresidente pasdaran dell’abolizione dell’articolo 18. Niente a che vedere con gli atteggiamenti sempre dialoganti e inclusivi di Squinzi, che non combatterebbe mai una battaglia solitaria contro le controparti sindacali. Come dire: è un’altra Confindustria quella entrata nell’esecutivo Renzi.
L’opzione Guidi potrebbe essere nata sugli spalti dello stadio Franchi di Firenze, in una delle lunghe chiacchierate di Matteo Renzi con il patron della Tod’s Diego Della Valle, uno dei suoi sponsor assieme all’inseparabile amico Luca Cordero di Montezemolo. Lo sbarco dell’erede della Ducati in via Veneto ha il marchio di Mr. Ferrari, molto legato al padre Guidalberto anche attraverso Alberto Bombassei. In un certo senso è stata la squadra di Scelta civica a fare da trait d’union tra il nuovo premier e la ex presidente dei giovani industriali, tornata poi all’azienda di famiglia, in cui però ieri ha lasciato tutti gli incarichi per incompatibilità.
Ma il vero «marchio» politico di Federica Guidi arriva dritto dritto da Silvio Berlusconi. L’ex premier le aveva proposto in passato di entrare a far parte del suo governo. Solo pochi giorni fa (lo riportava ieri l’Huffington Post) il cavaliere l’aveva invitata a cena per proporle un impegno politico nella nuova Forza Italia. Poi, la capriola: l’offerta dell’incarico arrivata da Renzi. Il quotidiano online riporta indiscrezioni che parlano dell’influenza di Verdini nell’operazione. Il ministero di via veneto, infatti, comprende anche le deleghe alle tlc: roba che scotta in casa del leader di Arcore. Il quale ha sempre tenuto sotto controllo il ministero, prima con Corrado passera, poi con Catricalà nel governo Letta. Oggi arriva la giovane Federica.
Per la verità altre indiscrezioni raccontano che il suo nome sarebbe piombato all’improvviso sul tavolo di Renzi e Graziano Delrio. Fino all’ultimo altri nomi erano destinati a quell’incarico. O meglio, le caselle non erano ben definite: Giuliano Poletti e Claudio De Vincenti «ballavano » tra Sviluppo e Lavoro. Ma la formazione dell’esecutivo richiedeva ancora una donna, per raggiungere la parità con gli uomini. Non è più un mistero per nessuno che nelle ultime ore di formazione della lista di governo ad essere contattata era stata Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. Panucci si è premurata di telefonare al suo presidente, chiedendo un consiglio. Squinzi l’ha lasciata libera di scegliere. Ma alla fine la giovane economista ha evidentemente ritenuto poco opportuno assumere un incarico politico, preferendo rimanere all’interno dell’associazione di imprese. Insomma, la Confindustria ha scelto la strada dell’autonomia dall’esecutivo. A quel punto è spuntato il nome Guidi.
Corriere 23.2.14
I sorrisi e le battute. Renzi giura
Il grande gelo di Letta
Campanella subito passata di mano senza uno scambio di sguardi
Il sindaco: "la ricreazione è finita"
di Aldo Cazzullo
La campanella passa di mano con una velocità tale che i fotografi non hanno tempo di scattare. Occhi girati altrove, sguardi che non si incrociano, mani che si stringono fugacemente. Al confronto, Prodi e Berlusconi erano cari amici. Enrico Letta è furibondo e Matteo Renzi non fa nulla per scioglierlo. L’ex premier si sente tradito, il nuovo gli rimprovera di averlo costretto a una forzatura «quando appariva chiaro a tutti che non avevo scelta diversa dall’andare al governo»; a tutti, anche a Napolitano.
Il giuramento è un «one man show». I fotografi gridano «presidente!» e anche se siamo al Quirinale si volta subito lui, Renzi. Del resto dieci mesi fa, nel giorno funestato dal ferimento del brigadiere Giuseppe Giangrande, giurava il governo del presidente della Repubblica: Saccomanni, Bonino, Giovannini; tutti assenti. Oggi giura il governo del presidente del Consiglio. Padoan, voluto da Napolitano, non c’è. In compenso ci sono giovani non sempre di prima fila, dietro i quali si intravede direttamente l’ombra del premier.
Renzi ride. Prima un sorriso breve a Maria Elena Boschi, poi uno più aperto per Federica Mogherini, infine con Andrea Orlando scoppia proprio a ridere: «Allora, sei contento?»; Orlando, che sarebbe rimasto volentieri all’Ambiente evitando la grana della Giustizia, si schermisce, interviene Napolitano: «Coraggio…». Già superata l’emozione di salire al Colle con la moglie Agnese vestita di grigio e la figlia Ester col piumino: «Mi sono perso due figli, dove sono Francesco ed Emanuele?». Poi Renzi indica alla bambina lo scalone d’onore e gli stucchi. In cima li attende Clio Napolitano con il marito.
Unico tratto formale, la giacca scura abbottonata. Per il resto, il premier è se stesso anche nel suo primo giorno. È il giuramento più breve degli ultimi sessant’anni — appena quindici ministri, vista l’assenza di Padoan —, ma Renzi non riesce a stare fermo, non sa dove mettere le mani, si alza sulla punta dei piedi, parla con i reporter che lo fotografano, ha un gesto d’intesa per Poletti, fa il serio solo con i ministri del Nuovo centrodestra; ma poi ride pure con Angelino Alfano, che ha portato la moglie Tiziana e il figlioletto Cristiano, identico a lui. I figli di Renzi sono vestiti di bianco, rosso e verde. Con la madre li accudisce Luca Lotti, considerato in famiglia come uno zio.
Mai vista tanta stampa estera nel Salone delle Feste del Quirinale, compresa una troupe di cameramen giapponesi affannatissimi. La Mogherini si è convinta di essere Hillary Clinton e si è vestita come lei: stessa tinta dei capelli, stessa pettinatura, stessa giacca rosa salmone. La Boschi indossa invece pantaloni dal colore introvabile in natura. La Forrest Gump italiana, Marianna Madia, sottratta alla visione di Peppa Pig, spiega che sarà l’anti-Brunetta: «Nella pubblica amministrazione non ci sono fannulloni ma preziosi lavoratori!». Molta Roma, molta Emilia. Poco Nord: nessun piemontese, nessun veneto. Poco Sud: né campani né pugliesi.
Napolitano, al quinto giuramento (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta), appare tra l’imbarazzato e il divertito. La sua stretta di mano è lunga, quella di Renzi nervosa. La Pinotti con i tacchi è più alta dei corazzieri. Perfide croniste si sfidano a individuare il colore del vestito della Boschi: blu elettrico, blu carta copiativa, blu tuta di Capitan America… La Giannini, catapultata in un anno dal rettorato dell’università per stranieri di Perugia al ministero dell’Istruzione, è in prudente nero con due fili di perle. Comunque le donne sono le migliori in campo: si fermano a parlare volentieri, sorridono, si fanno gli auguri a vicenda; non a caso Napolitano si fa fotografare tra la Mogherini e la Lanzetta, con stivali scuri al ginocchio. Ministri sbiaditi. Solo Franceschini sorride con il capo dello Stato: «Ero abituato a essere il più giovane, mi sono distratto un attimo e sono uno dei più vecchi…». «Chi c’è più grande di te?». «Be’, Padoan, Poletti…». Renzi ovviamente se la ride. Poi si ricompone al momento della stretta di mano. Federica Guidi tradita dal trucco ha due pomi rossi sulle guance tipo Heidi d’estate. Breve gara, tra le croniste sempre più spietate, sul colore del vestito della Lorenzin: lavanda, carta da zucchero, prugna acerba, glicine… Giapponesi attoniti. Alla fine i ministri si fanno un applauso e si ritirano a brindare.
Tranne la Boschi, non ci sono renziani; c’è lui, e basta. Dietro a ogni poltrona si staglia il profilo del premier. Il decreto per tagliare la burocrazia e riformare la pubblica amministrazione, ad esempio, dovrà essere varato nel mese in cui il ministro preposto diventerà mamma per la seconda volta. I più avveduti tra i suoi uomini si rendono conto del rischio di un accentramento eccessivo. Dopo il primo giro di interventi nel Consiglio dei ministri, il sottosegretario Graziano Delrio interviene per avvertire gli esordienti: «Prendetevi le vostre responsabilità, non scaricate tutto su Palazzo Chigi, altrimenti qui non viviamo più». Renzi ha parole di incoraggiamento: «La ricreazione è finita, mettiamoci al lavoro. Sono molto soddisfatto di questa squadra. Un consiglio, in particolare ai nuovi: non fatevi impressionare dalle telecamere in attesa qui fuori. Evitate di cadere nella trappola degli annunci. Rimanete uniti. E fate come me: non state sempre a Roma. Andate in giro, nelle scuole, nelle fabbriche. Non cercate privilegi, non ostentate le scorte. Evitate i microfoni, cercate i cittadini. Parlate con le persone normali». Gli fanno visitare Palazzo Chigi: «Quando sarò a Roma voglio stare qui, ma nell’appartamento di servizio, quello più piccolo». Poi la telefonata ai marò prigionieri in India: «Non vi abbandoneremo, faremo di tutto per riportarvi a casa». In privato Delrio avverte i ministri: «Non abbiamo tempo da sprecare. Ci giochiamo già molto fin dalle prime settimane. Dobbiamo subito battere due o tre colpi sul lavoro, la burocrazia, il fisco. E anche sui tempi della giustizia». Di nomine non si è parlato, ma un reporter inglese riferisce le voci che girano a Londra: Colao all’Eni, Gubitosi all’Enel, che libererebbe la direzione generale Rai per Campo Dall’Orto .
Un anno fa, nell’ultimo weekend di febbraio, si andava a votare, con lo choc del disastro di Bersani, della rimonta di Berlusconi, del successo di Grillo. Renzi va di fretta come se il Paese avesse perso un anno aspettando lui, Letta esce di scena in silenzio salutando gli impiegati di Palazzo Chigi con la mano sul cuore. Prima di tornare a Pontassieve con la famiglia, il nuovo premier saluta la folla di passanti e di curiosi. Presto si accorgerà che il rapporto con l’opinione pubblica non si esaurisce nei «selfie» e nei «cinque» distribuiti al volo; in questa situazione — con Berlusconi all’opposizione, Grillo pronto all’ostruzionismo anche fisico in Parlamento, lettiani e bersaniani dal coltello pronto dietro la schiena, il difficile voto europeo del 25 maggio —, il nuovo governo non avrà neppure i classici cento giorni per portare a casa i primi risultati .
La Stampa 23.2.14
Gratteri voleva “carta bianca” Così è stato bocciato
L’incarico alla Giustizia sfumato all’ultimo
di Guido Ruotolo
Deve esserci rimasto male. Alla fine di un estenuante tira e molla Nicola Gratteri aveva ceduto. «Ma sia chiaro - aveva detto allo sherpa Graziano Delrio e allo stesso Renzi - mi dovrete lasciare carta bianca sulla riforma dei codici e sulla riorganizzazione della giustizia». Quell’impegno l’aveva ottenuto. E, dunque, quando ha visto aprirsi la porta e uscire Renzi nella Sala della Vetrata, era convinto che avrebbe sentito leggere il suo nome come ministro di Giustizia.
Non avevano messo nel conto Renzi e lo stesso Gratteri l’opposizione che la sua nomina a Guardasigilli avrebbe trovato nel Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Inspiegabile, se fosse una pregiudiziale nei confronti di un magistrato, perché non sarebbe stata la prima volta, appunto, di un magistrato Guardasigilli. Proprio con l’ultimo governo Berlusconi aveva giurato un magistrato che aveva lavorato alla procura nazionale antimafia, Nitto Palma.
«Non dico nemmeno una sillaba». È l’unico commento strappato al procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Un silenzio dettato intanto dalla discrezione, in questi casi. Gratteri è un magistrato operativo, l’ultima sua inchiesta «New Bridge» ha portato al fermo nei giorni scorsi di esponenti della ’ndrangheta che trafficavano in droga con la famiglia mafiosa dei Gambino di New York.
Memoria storica della lotta alla ’ndrangheta, Gratteri è nato e vive a Gerace, Locride. Terra di ’ndrangheta, di sequestri di persona un tempo, dei più importanti trafficanti di cocaina in Europa oggi. E lui, oltre a coordinare tutta l’Antimafia della provincia orientale di Reggio Calabria, è stato responsabile anche della sala d’ascolto (delle intercettazioni) della procura di Reggio Calabria.
Un esperto di ’ndrangheta e di strumenti investigativi. Un «razionalizzatore» in grado di produrre risparmi ed efficienza. E oltre a una prolifica produzione di libri sulla ’ndrangheta (gli ultimi collaboratori di giustizia raccontano che ormai ogni ’ndranghetista ha sul comodino del letto i suoi libri), Gratteri ha lavorato in una commissione presieduta da Roberto Garofoli, segretario generale di Palazzo Chigi, che ha prodotto un testo ricco di spunti per una efficace lotta alla criminalità.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi rimase colpito della sua dichiarazione - erano le ore della clamorosa e sanguinaria evasione dell’ergastolano Francesco Cutri, a Gallarate - sulla necessità di ridurre il rischio di evasione durante i trasferimenti dei detenuti, introducendo la videoconferenza anche per «i detenuti di alta sicurezza».
Al largo del Nazareno sono convinti che la «risorsa» Gratteri non potrà non essere utilizzata. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nelle prossime ore potrebbe decidere di consultare di nuovo lo stesso Gratteri.
il Fatto 23.2.14
Federica Guidi
Lo Sviluppo riparte da una cena ad Arcore
di Ste. Fel.
Federica Guidi non è una quota rosa, è una quota azzurra. È l’unico ministro del governo Renzi che anche Silvio Berlusconi avrebbe voluto se a Palazzo Chigi ci fosse stato lui con Forza Italia. A chiarire le simpatie della signora modenese sarebbero bastate le dichiarazioni della titolare dello Sviluppo economico quando era a capo dei giovani di Confindustria, il sorriso mentre Berlusconi umiliava lei e Emma Marcegaglia da un palco: “Prendete atto che sono l’unico uomo e che queste due donne non sono minorenni” (era il 2009).
Sull’HuffingtonPost.it Alessandro De Angelis rivela che ancora lunedì sera Federica Guidi era ad Arcore, assieme al padre Guidalberto da cui ha ricevuto un’azienda (la Ducati Energia, dalla cui vicepresidenza il ministro ora si dimette) e le sue entrature confindustriali e politiche. A cena il Cavaliere, scrive De Angelis, non nasconde la sintonia: “Federica, prima o poi questa tessera di Forza Italia dovrai fartela...”. La Guidi è una delle scelte più misteriose di Renzi: non ha esperienza ministeriale, guidare la Confindustria giovani non è un vero lavoro, non richiede particolari competenze, a parte lamentarsi un paio di volte all’anno da Santa Margherita Ligure e da Capri per il fisco e la burocrazia che opprimono le imprese.
QUINDI PERCHÉ dare alla Guidi un ministero come lo Sviluppo, dove ha faticato un super-manager come Corrado Passera e un sindaco esperto come Flavio Zanonato è stato travolto dalla complessità della struttura? Per rassicurare Confindustria, certo, ed evitare che faccia opposizione a Renzi come durante la fase finale dell’esecutivo Letta. Ma anche per rassicurare Silvio Berlusconi su una delle sue due preoccupazioni (una è l’arresto, l’altra le comunicazioni, che dipendono dallo Sviluppo). Non sono più i momenti cruciali del beauty contest che doveva regalare a Rai e Mediaset le frequenze liberate dal passaggio della tv dall’analogico al digitale: tra lungaggini burocratiche e vincoli europei, le frequenze si sono svalutate e sono meno strategiche (ma Mediaset almeno ha evitato l’ingresso di pericolosi concorrenti).
Nel dubbio meglio prevenire: ora che Google, per esempio, ha un potere di lobby tale da spingere Renzi a bloccare la apposita tassa voluta da Letta, per Mediaset si annunciano anni complicati. Sta arrivando Netflix, a sconvolgere il mercato della tv a pagamento, Mediaset Premium non ha mai funzionato e ora, dopo aver acquistato l’esclusiva della Champions League, cerca nuovi assetti, magari fusioni. Il ministro sbagliato potrebbe favorire il web a scapito della vecchia tv generalista. Ma Berlusconi non pare doversi preoccupare. Vedremo se come vice alle Comunicazioni la Guidi confermerà Antonio Catricalà, da sempre amico di Gianni Letta, ombra del Cavaliere.
Repubblica 23.2.14
Guidi, prima grana per Renzi quelle cene a casa di Berlusconi e l’azienda in affari con lo Stato
Lei lascia l’impresa. Il Cavaliere: ho anche io un ministro
di Roberto Mania
ROMA -Lunedì scorso a cena ad Arcore da Berlusconi, forse per parlare anche di una sua possibile candidatura con Forza Italia alle prossime europee. Ieri il Cavaliere che pare abbia detto ai suoi: «Abbiamo un ministro pur stando all’opposizione ». Su Federica Guidi, neo ministro dello Sviluppo Economico con delega anche alle Comunicazioni, tv comprese, è già bufera. Perché c’è pure un potenziale conflitto di interessi per via delle commesse dell’azienda di famiglia, la Ducati Energia, con Enel, Poste, Ferrovie. Un ginepraio. Dalle imprevedibili conseguenze politiche.
Ma andiamo con ordine. «Donna, imprenditrice, quarantenne, famosa»: questo era l’identikit tracciato da Matteo Renzi, tra giovedì notte e venerdì, per il ministro dello Sviluppo Economico. Casella chiave per provare a far ripartire la produzione e il lavoro. E donna, imprenditrice, quarantenne e famosa, appunto, è stata: in Via Veneto, nel ministero che fu anche delle Corporazioni, è arrivata Federica Guidi, figlia di imprenditore, che ha battuto al fotofinish Marcella Panucci, direttore generale della Confindustria. E forse per la fretta, forse per qualche sottovalutazione, forse per tutte e due le cose messe insieme, Federica Guidi ora rischia di portare con sé, nel suo ufficio al primo piano dell’austero palazzo disegnato da Piacentini e Vaccaro, una notevole dose di potenziali conflitti di interesse. Perché la Ducati Energia in quel di Bologna, con fatturato in crescita negli ultimi anni (oltre i 110 milioni) e una sempre più marcata spinta alla delocalizzazione nell’est Europa (Croazia e Romania), nell’estremo Oriente (India) e in America Latina (Argentina) lavora (tanto) di commesse pubbliche, nazionali ed estere. Con un rapporto strettissimo, dunque, con la Pubblica amministrazione. E non è affatto un caso che ieri il primo atto del neo ministro Guidi, dopo il giuramento al Quirinale, sia stato proprio quello di dimettersi da tutte le cariche operative (era vicepresidente con la delega sugli acquisti) della Ducati Energia e dal consiglio del Fondo italiano d’investimento. Un passo inevitabile, ma una conferma dei possibili conflitti. L’ultima parola spetterà comunque all’Antitrust, l’autorità di garanzia alla quale la legge Frattini ha attribuito il potere di giudicare la posizione dei membri del governo. Dice Stefano Fassina, ex vice ministro dell’Economia, esponente della minoranza del Pd: «Il potenziale conflitto di interessi è del tutto evidente. Ma oltre a questo mi preoccupa la visione del ministro sulla politica industriale, la sua idea di rilanciare il nucleare, la sua contrarietà al ruolo dello Stato nell’economia. Penso che ci sarebbe bisogno di un ministro dello Sviluppo con un orientamento molto diverso».
La decisione di ieri della Guidi riduce solo di poco dunque il pericolo dei conflitti per l’ex vicepresidente della Ducati Energia, ora super ministro con responsabilità sulle politiche industriale, su quelle energetiche, sulla gestione delle tante (sono 160 le vertenze sul tavolo)crisi aziendali, e sul politicamente sensibile settore delle comunicazioni dove si addensano gli interessi dell’ex senatore Berlusconi.
E qui risiede anche il “caso Guidi” sul versante politico. Tra Guidalberto Guidi, ex falco confindustriale, e Berlusconi c’è un’antica consuetudine. Anche lui era alla cena di Arcore di lunedì. La figlia Federica ha sempre espresso posizioni vicino alla destra berlusconiana. È stata euroscettica, iperliberista fino al punto di proporre l’abolizione del contratto nazionale di lavoro sostituendolo con i contratti individuali. Il Cavaliere ha provato più volte a candidarla nelle sue liste. Pensò addirittura a un futuro da vice di Forza Italia per la giovane industriale. Che ora, però, è al governo mentre Berlusconi è all’opposizione.
E i problemi nascono dalle competenze che ha il dicastero dello Sviluppo. L’azienda dei Guidi, infatti, opera in tutti i settori controllati dal ministero: energia elettrica, eolico, meccanica di precisione, elettronica. Fornisce i suoi prodotti, oltreché a diversi enti locali e alle rispettive municipalizzate, ai grandi gruppi pubblici di cui lo Stato è ancora azionista di maggioranza o di riferimento, attraverso il ministero del Tesoro: Enel, Poste, Ferrovie dello Stato.
Lo stabilimento bolognese della Ducati Energia si è trasformato nel tempo in un impianto di mero assemblaggio di parti di prodotto che vengono realizzate all’estero. Sono circa 60 gli operai su un totale di quasi 220 lavoratori (impiegati, tecnici, ingegneri). Il restante dei 700 dipendenti, a parte una ventina che opera nel laboratorio di ricerca a Trento, è all’estero dove Guidi si è spostato da tempo per ridurre i costi di produzione. La Ducati ha sei stabilimenti nel mondo e produce, tra l’altro: condensatori, generatori eolici, segnalamento ferroviario, sistemi ed apparecchiature autostradali e per il trasporto pubblico, veicoli elettrici e colonnine di ricarica, generatori e motori elettrici, rifasamento industriale e elettronica di potenza. Oggi dalla fabbrica italiana di Borgo Panigale escono i “Free Duck”, piccole automobiline alimentate a elettricità, che vengono utilizzate dalle Poste per la consegna delle lettere e dei pacchi, da diversi Comuni per la raccolta dei rifiuti, e anche dalla Polizia municipale, per esempio a Genova. Alle municipalizzate (l’Atac di Roma, per esempio) le macchine per obliterare i biglietti dell’autobus. All’Enel dalla Ducati Energia arrivano le cabine per lo smistamento dell’energia e anche le colonnine per le ricariche delle automobili elettriche. Alle Ferrovie dello Stato sistemi per verificare la funzionalità dei binari e le macchinette per l’emissione dei biglietti self service. A Finmeccanica, negli anni passati, Guidi aveva presentato un’offerta per rilevare la Breda Menarinibus. Proposta che però non venne accolta dai vertici di Piazza Monte Grappa.
Guidalberto Guidi, da presidente dell’Anie (l’associazione di Confindustria delle imprese elettrotecniche ed elettroniche) condusse una battaglia a favore degli incentivi per le energie rinnovabili. Fu scontro anche in Confindustria tra i produttori tradizionali e gli altri. Non sarà facile, insomma, per il ministro Guidi puntare all’obiettivo di tagliare, come chiede Renzi, del 30% la bolletta energetica gravata dai 12,5 miliardi proprio di incentivi, per il 70% destinati alle rinnovabili. Figlia-ministro contro padre-imprenditore. Un altro conflitto di interessi?
Poletti è presidente dell’Alleanza della cooperative (Coop rosse più coop bianche) con la Compagnia delle Opere il braccio economico-finanziario di Comunione e Liberazione
Fra di esse anche Eataly distribuzione, una delle parti del gruppo alimentare di Oscar Farinetti, imprenditore molto vicino a Matteo Renzi
Il premier: «Ricreazione finita»
Federica Guidi allo Sviluppo, lo sponsor è Montezemolo
Il ministero comprende anche le deleghe alle Comunicazioni
Per il Cav è una garanzia
di B. Dig.
Giorgio Squinzi non ha fatto ancora commenti sulla formazione del governo Renzi. Da uomo d’impresa, aspetta i fatti, o per lo meno gli impegni, che arriveranno solo domani con il discorso programmatico. Neanche la nomina di una imprenditrice come Federica Guidi, di casa nel sistema confindustriale, ha suscitato reazioni pubbliche da parte del vertice. Certo, confessano fonti vicine al leader degli imprenditori, c’è soddisfazione per l’incarico dato a una figura cresciuta nelle stanze di viale dell’Astronomia. Ma non ci si sbilancia più di tanto.
Il fatto è che sull’ipotesi Guidi non ha pesato certo l’influenza di Squinzi. Anzi, dai piani alti dell’associazione sottolineano che nessuna indicazione è arrivata dal presidente, né per quella nomina, né per altre. La verità è che l’imprenditrice modenese ha un altro giro di «entrature», e per dirla proprio tutta appartiene a quella parte confindustriale che ha combattuto fino all’ultimo per fermare la corsa di Squinzi. Un’«anima» da falco, come quella del padre Guidalberto, per anni vicepresidente pasdaran dell’abolizione dell’articolo 18. Niente a che vedere con gli atteggiamenti sempre dialoganti e inclusivi di Squinzi, che non combatterebbe mai una battaglia solitaria contro le controparti sindacali. Come dire: è un’altra Confindustria quella entrata nell’esecutivo Renzi.
L’opzione Guidi potrebbe essere nata sugli spalti dello stadio Franchi di Firenze, in una delle lunghe chiacchierate di Matteo Renzi con il patron della Tod’s Diego Della Valle, uno dei suoi sponsor assieme all’inseparabile amico Luca Cordero di Montezemolo. Lo sbarco dell’erede della Ducati in via Veneto ha il marchio di Mr. Ferrari, molto legato al padre Guidalberto anche attraverso Alberto Bombassei. In un certo senso è stata la squadra di Scelta civica a fare da trait d’union tra il nuovo premier e la ex presidente dei giovani industriali, tornata poi all’azienda di famiglia, in cui però ieri ha lasciato tutti gli incarichi per incompatibilità.
Ma il vero «marchio» politico di Federica Guidi arriva dritto dritto da Silvio Berlusconi. L’ex premier le aveva proposto in passato di entrare a far parte del suo governo. Solo pochi giorni fa (lo riportava ieri l’Huffington Post) il cavaliere l’aveva invitata a cena per proporle un impegno politico nella nuova Forza Italia. Poi, la capriola: l’offerta dell’incarico arrivata da Renzi. Il quotidiano online riporta indiscrezioni che parlano dell’influenza di Verdini nell’operazione. Il ministero di via veneto, infatti, comprende anche le deleghe alle tlc: roba che scotta in casa del leader di Arcore. Il quale ha sempre tenuto sotto controllo il ministero, prima con Corrado passera, poi con Catricalà nel governo Letta. Oggi arriva la giovane Federica.
Per la verità altre indiscrezioni raccontano che il suo nome sarebbe piombato all’improvviso sul tavolo di Renzi e Graziano Delrio. Fino all’ultimo altri nomi erano destinati a quell’incarico. O meglio, le caselle non erano ben definite: Giuliano Poletti e Claudio De Vincenti «ballavano » tra Sviluppo e Lavoro. Ma la formazione dell’esecutivo richiedeva ancora una donna, per raggiungere la parità con gli uomini. Non è più un mistero per nessuno che nelle ultime ore di formazione della lista di governo ad essere contattata era stata Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. Panucci si è premurata di telefonare al suo presidente, chiedendo un consiglio. Squinzi l’ha lasciata libera di scegliere. Ma alla fine la giovane economista ha evidentemente ritenuto poco opportuno assumere un incarico politico, preferendo rimanere all’interno dell’associazione di imprese. Insomma, la Confindustria ha scelto la strada dell’autonomia dall’esecutivo. A quel punto è spuntato il nome Guidi.
Corriere 23.2.14
I sorrisi e le battute. Renzi giura
Il grande gelo di Letta
Campanella subito passata di mano senza uno scambio di sguardi
Il sindaco: "la ricreazione è finita"
di Aldo Cazzullo
La campanella passa di mano con una velocità tale che i fotografi non hanno tempo di scattare. Occhi girati altrove, sguardi che non si incrociano, mani che si stringono fugacemente. Al confronto, Prodi e Berlusconi erano cari amici. Enrico Letta è furibondo e Matteo Renzi non fa nulla per scioglierlo. L’ex premier si sente tradito, il nuovo gli rimprovera di averlo costretto a una forzatura «quando appariva chiaro a tutti che non avevo scelta diversa dall’andare al governo»; a tutti, anche a Napolitano.
Il giuramento è un «one man show». I fotografi gridano «presidente!» e anche se siamo al Quirinale si volta subito lui, Renzi. Del resto dieci mesi fa, nel giorno funestato dal ferimento del brigadiere Giuseppe Giangrande, giurava il governo del presidente della Repubblica: Saccomanni, Bonino, Giovannini; tutti assenti. Oggi giura il governo del presidente del Consiglio. Padoan, voluto da Napolitano, non c’è. In compenso ci sono giovani non sempre di prima fila, dietro i quali si intravede direttamente l’ombra del premier.
Renzi ride. Prima un sorriso breve a Maria Elena Boschi, poi uno più aperto per Federica Mogherini, infine con Andrea Orlando scoppia proprio a ridere: «Allora, sei contento?»; Orlando, che sarebbe rimasto volentieri all’Ambiente evitando la grana della Giustizia, si schermisce, interviene Napolitano: «Coraggio…». Già superata l’emozione di salire al Colle con la moglie Agnese vestita di grigio e la figlia Ester col piumino: «Mi sono perso due figli, dove sono Francesco ed Emanuele?». Poi Renzi indica alla bambina lo scalone d’onore e gli stucchi. In cima li attende Clio Napolitano con il marito.
Unico tratto formale, la giacca scura abbottonata. Per il resto, il premier è se stesso anche nel suo primo giorno. È il giuramento più breve degli ultimi sessant’anni — appena quindici ministri, vista l’assenza di Padoan —, ma Renzi non riesce a stare fermo, non sa dove mettere le mani, si alza sulla punta dei piedi, parla con i reporter che lo fotografano, ha un gesto d’intesa per Poletti, fa il serio solo con i ministri del Nuovo centrodestra; ma poi ride pure con Angelino Alfano, che ha portato la moglie Tiziana e il figlioletto Cristiano, identico a lui. I figli di Renzi sono vestiti di bianco, rosso e verde. Con la madre li accudisce Luca Lotti, considerato in famiglia come uno zio.
Mai vista tanta stampa estera nel Salone delle Feste del Quirinale, compresa una troupe di cameramen giapponesi affannatissimi. La Mogherini si è convinta di essere Hillary Clinton e si è vestita come lei: stessa tinta dei capelli, stessa pettinatura, stessa giacca rosa salmone. La Boschi indossa invece pantaloni dal colore introvabile in natura. La Forrest Gump italiana, Marianna Madia, sottratta alla visione di Peppa Pig, spiega che sarà l’anti-Brunetta: «Nella pubblica amministrazione non ci sono fannulloni ma preziosi lavoratori!». Molta Roma, molta Emilia. Poco Nord: nessun piemontese, nessun veneto. Poco Sud: né campani né pugliesi.
Napolitano, al quinto giuramento (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta), appare tra l’imbarazzato e il divertito. La sua stretta di mano è lunga, quella di Renzi nervosa. La Pinotti con i tacchi è più alta dei corazzieri. Perfide croniste si sfidano a individuare il colore del vestito della Boschi: blu elettrico, blu carta copiativa, blu tuta di Capitan America… La Giannini, catapultata in un anno dal rettorato dell’università per stranieri di Perugia al ministero dell’Istruzione, è in prudente nero con due fili di perle. Comunque le donne sono le migliori in campo: si fermano a parlare volentieri, sorridono, si fanno gli auguri a vicenda; non a caso Napolitano si fa fotografare tra la Mogherini e la Lanzetta, con stivali scuri al ginocchio. Ministri sbiaditi. Solo Franceschini sorride con il capo dello Stato: «Ero abituato a essere il più giovane, mi sono distratto un attimo e sono uno dei più vecchi…». «Chi c’è più grande di te?». «Be’, Padoan, Poletti…». Renzi ovviamente se la ride. Poi si ricompone al momento della stretta di mano. Federica Guidi tradita dal trucco ha due pomi rossi sulle guance tipo Heidi d’estate. Breve gara, tra le croniste sempre più spietate, sul colore del vestito della Lorenzin: lavanda, carta da zucchero, prugna acerba, glicine… Giapponesi attoniti. Alla fine i ministri si fanno un applauso e si ritirano a brindare.
Tranne la Boschi, non ci sono renziani; c’è lui, e basta. Dietro a ogni poltrona si staglia il profilo del premier. Il decreto per tagliare la burocrazia e riformare la pubblica amministrazione, ad esempio, dovrà essere varato nel mese in cui il ministro preposto diventerà mamma per la seconda volta. I più avveduti tra i suoi uomini si rendono conto del rischio di un accentramento eccessivo. Dopo il primo giro di interventi nel Consiglio dei ministri, il sottosegretario Graziano Delrio interviene per avvertire gli esordienti: «Prendetevi le vostre responsabilità, non scaricate tutto su Palazzo Chigi, altrimenti qui non viviamo più». Renzi ha parole di incoraggiamento: «La ricreazione è finita, mettiamoci al lavoro. Sono molto soddisfatto di questa squadra. Un consiglio, in particolare ai nuovi: non fatevi impressionare dalle telecamere in attesa qui fuori. Evitate di cadere nella trappola degli annunci. Rimanete uniti. E fate come me: non state sempre a Roma. Andate in giro, nelle scuole, nelle fabbriche. Non cercate privilegi, non ostentate le scorte. Evitate i microfoni, cercate i cittadini. Parlate con le persone normali». Gli fanno visitare Palazzo Chigi: «Quando sarò a Roma voglio stare qui, ma nell’appartamento di servizio, quello più piccolo». Poi la telefonata ai marò prigionieri in India: «Non vi abbandoneremo, faremo di tutto per riportarvi a casa». In privato Delrio avverte i ministri: «Non abbiamo tempo da sprecare. Ci giochiamo già molto fin dalle prime settimane. Dobbiamo subito battere due o tre colpi sul lavoro, la burocrazia, il fisco. E anche sui tempi della giustizia». Di nomine non si è parlato, ma un reporter inglese riferisce le voci che girano a Londra: Colao all’Eni, Gubitosi all’Enel, che libererebbe la direzione generale Rai per Campo Dall’Orto .
Un anno fa, nell’ultimo weekend di febbraio, si andava a votare, con lo choc del disastro di Bersani, della rimonta di Berlusconi, del successo di Grillo. Renzi va di fretta come se il Paese avesse perso un anno aspettando lui, Letta esce di scena in silenzio salutando gli impiegati di Palazzo Chigi con la mano sul cuore. Prima di tornare a Pontassieve con la famiglia, il nuovo premier saluta la folla di passanti e di curiosi. Presto si accorgerà che il rapporto con l’opinione pubblica non si esaurisce nei «selfie» e nei «cinque» distribuiti al volo; in questa situazione — con Berlusconi all’opposizione, Grillo pronto all’ostruzionismo anche fisico in Parlamento, lettiani e bersaniani dal coltello pronto dietro la schiena, il difficile voto europeo del 25 maggio —, il nuovo governo non avrà neppure i classici cento giorni per portare a casa i primi risultati .
La Stampa 23.2.14
Gratteri voleva “carta bianca” Così è stato bocciato
L’incarico alla Giustizia sfumato all’ultimo
di Guido Ruotolo
Deve esserci rimasto male. Alla fine di un estenuante tira e molla Nicola Gratteri aveva ceduto. «Ma sia chiaro - aveva detto allo sherpa Graziano Delrio e allo stesso Renzi - mi dovrete lasciare carta bianca sulla riforma dei codici e sulla riorganizzazione della giustizia». Quell’impegno l’aveva ottenuto. E, dunque, quando ha visto aprirsi la porta e uscire Renzi nella Sala della Vetrata, era convinto che avrebbe sentito leggere il suo nome come ministro di Giustizia.
Non avevano messo nel conto Renzi e lo stesso Gratteri l’opposizione che la sua nomina a Guardasigilli avrebbe trovato nel Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Inspiegabile, se fosse una pregiudiziale nei confronti di un magistrato, perché non sarebbe stata la prima volta, appunto, di un magistrato Guardasigilli. Proprio con l’ultimo governo Berlusconi aveva giurato un magistrato che aveva lavorato alla procura nazionale antimafia, Nitto Palma.
«Non dico nemmeno una sillaba». È l’unico commento strappato al procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Un silenzio dettato intanto dalla discrezione, in questi casi. Gratteri è un magistrato operativo, l’ultima sua inchiesta «New Bridge» ha portato al fermo nei giorni scorsi di esponenti della ’ndrangheta che trafficavano in droga con la famiglia mafiosa dei Gambino di New York.
Memoria storica della lotta alla ’ndrangheta, Gratteri è nato e vive a Gerace, Locride. Terra di ’ndrangheta, di sequestri di persona un tempo, dei più importanti trafficanti di cocaina in Europa oggi. E lui, oltre a coordinare tutta l’Antimafia della provincia orientale di Reggio Calabria, è stato responsabile anche della sala d’ascolto (delle intercettazioni) della procura di Reggio Calabria.
Un esperto di ’ndrangheta e di strumenti investigativi. Un «razionalizzatore» in grado di produrre risparmi ed efficienza. E oltre a una prolifica produzione di libri sulla ’ndrangheta (gli ultimi collaboratori di giustizia raccontano che ormai ogni ’ndranghetista ha sul comodino del letto i suoi libri), Gratteri ha lavorato in una commissione presieduta da Roberto Garofoli, segretario generale di Palazzo Chigi, che ha prodotto un testo ricco di spunti per una efficace lotta alla criminalità.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi rimase colpito della sua dichiarazione - erano le ore della clamorosa e sanguinaria evasione dell’ergastolano Francesco Cutri, a Gallarate - sulla necessità di ridurre il rischio di evasione durante i trasferimenti dei detenuti, introducendo la videoconferenza anche per «i detenuti di alta sicurezza».
Al largo del Nazareno sono convinti che la «risorsa» Gratteri non potrà non essere utilizzata. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nelle prossime ore potrebbe decidere di consultare di nuovo lo stesso Gratteri.
il Fatto 23.2.14
Federica Guidi
Lo Sviluppo riparte da una cena ad Arcore
di Ste. Fel.
Federica Guidi non è una quota rosa, è una quota azzurra. È l’unico ministro del governo Renzi che anche Silvio Berlusconi avrebbe voluto se a Palazzo Chigi ci fosse stato lui con Forza Italia. A chiarire le simpatie della signora modenese sarebbero bastate le dichiarazioni della titolare dello Sviluppo economico quando era a capo dei giovani di Confindustria, il sorriso mentre Berlusconi umiliava lei e Emma Marcegaglia da un palco: “Prendete atto che sono l’unico uomo e che queste due donne non sono minorenni” (era il 2009).
Sull’HuffingtonPost.it Alessandro De Angelis rivela che ancora lunedì sera Federica Guidi era ad Arcore, assieme al padre Guidalberto da cui ha ricevuto un’azienda (la Ducati Energia, dalla cui vicepresidenza il ministro ora si dimette) e le sue entrature confindustriali e politiche. A cena il Cavaliere, scrive De Angelis, non nasconde la sintonia: “Federica, prima o poi questa tessera di Forza Italia dovrai fartela...”. La Guidi è una delle scelte più misteriose di Renzi: non ha esperienza ministeriale, guidare la Confindustria giovani non è un vero lavoro, non richiede particolari competenze, a parte lamentarsi un paio di volte all’anno da Santa Margherita Ligure e da Capri per il fisco e la burocrazia che opprimono le imprese.
QUINDI PERCHÉ dare alla Guidi un ministero come lo Sviluppo, dove ha faticato un super-manager come Corrado Passera e un sindaco esperto come Flavio Zanonato è stato travolto dalla complessità della struttura? Per rassicurare Confindustria, certo, ed evitare che faccia opposizione a Renzi come durante la fase finale dell’esecutivo Letta. Ma anche per rassicurare Silvio Berlusconi su una delle sue due preoccupazioni (una è l’arresto, l’altra le comunicazioni, che dipendono dallo Sviluppo). Non sono più i momenti cruciali del beauty contest che doveva regalare a Rai e Mediaset le frequenze liberate dal passaggio della tv dall’analogico al digitale: tra lungaggini burocratiche e vincoli europei, le frequenze si sono svalutate e sono meno strategiche (ma Mediaset almeno ha evitato l’ingresso di pericolosi concorrenti).
Nel dubbio meglio prevenire: ora che Google, per esempio, ha un potere di lobby tale da spingere Renzi a bloccare la apposita tassa voluta da Letta, per Mediaset si annunciano anni complicati. Sta arrivando Netflix, a sconvolgere il mercato della tv a pagamento, Mediaset Premium non ha mai funzionato e ora, dopo aver acquistato l’esclusiva della Champions League, cerca nuovi assetti, magari fusioni. Il ministro sbagliato potrebbe favorire il web a scapito della vecchia tv generalista. Ma Berlusconi non pare doversi preoccupare. Vedremo se come vice alle Comunicazioni la Guidi confermerà Antonio Catricalà, da sempre amico di Gianni Letta, ombra del Cavaliere.
Repubblica 23.2.14
Guidi, prima grana per Renzi quelle cene a casa di Berlusconi e l’azienda in affari con lo Stato
Lei lascia l’impresa. Il Cavaliere: ho anche io un ministro
di Roberto Mania
ROMA -Lunedì scorso a cena ad Arcore da Berlusconi, forse per parlare anche di una sua possibile candidatura con Forza Italia alle prossime europee. Ieri il Cavaliere che pare abbia detto ai suoi: «Abbiamo un ministro pur stando all’opposizione ». Su Federica Guidi, neo ministro dello Sviluppo Economico con delega anche alle Comunicazioni, tv comprese, è già bufera. Perché c’è pure un potenziale conflitto di interessi per via delle commesse dell’azienda di famiglia, la Ducati Energia, con Enel, Poste, Ferrovie. Un ginepraio. Dalle imprevedibili conseguenze politiche.
Ma andiamo con ordine. «Donna, imprenditrice, quarantenne, famosa»: questo era l’identikit tracciato da Matteo Renzi, tra giovedì notte e venerdì, per il ministro dello Sviluppo Economico. Casella chiave per provare a far ripartire la produzione e il lavoro. E donna, imprenditrice, quarantenne e famosa, appunto, è stata: in Via Veneto, nel ministero che fu anche delle Corporazioni, è arrivata Federica Guidi, figlia di imprenditore, che ha battuto al fotofinish Marcella Panucci, direttore generale della Confindustria. E forse per la fretta, forse per qualche sottovalutazione, forse per tutte e due le cose messe insieme, Federica Guidi ora rischia di portare con sé, nel suo ufficio al primo piano dell’austero palazzo disegnato da Piacentini e Vaccaro, una notevole dose di potenziali conflitti di interesse. Perché la Ducati Energia in quel di Bologna, con fatturato in crescita negli ultimi anni (oltre i 110 milioni) e una sempre più marcata spinta alla delocalizzazione nell’est Europa (Croazia e Romania), nell’estremo Oriente (India) e in America Latina (Argentina) lavora (tanto) di commesse pubbliche, nazionali ed estere. Con un rapporto strettissimo, dunque, con la Pubblica amministrazione. E non è affatto un caso che ieri il primo atto del neo ministro Guidi, dopo il giuramento al Quirinale, sia stato proprio quello di dimettersi da tutte le cariche operative (era vicepresidente con la delega sugli acquisti) della Ducati Energia e dal consiglio del Fondo italiano d’investimento. Un passo inevitabile, ma una conferma dei possibili conflitti. L’ultima parola spetterà comunque all’Antitrust, l’autorità di garanzia alla quale la legge Frattini ha attribuito il potere di giudicare la posizione dei membri del governo. Dice Stefano Fassina, ex vice ministro dell’Economia, esponente della minoranza del Pd: «Il potenziale conflitto di interessi è del tutto evidente. Ma oltre a questo mi preoccupa la visione del ministro sulla politica industriale, la sua idea di rilanciare il nucleare, la sua contrarietà al ruolo dello Stato nell’economia. Penso che ci sarebbe bisogno di un ministro dello Sviluppo con un orientamento molto diverso».
La decisione di ieri della Guidi riduce solo di poco dunque il pericolo dei conflitti per l’ex vicepresidente della Ducati Energia, ora super ministro con responsabilità sulle politiche industriale, su quelle energetiche, sulla gestione delle tante (sono 160 le vertenze sul tavolo)crisi aziendali, e sul politicamente sensibile settore delle comunicazioni dove si addensano gli interessi dell’ex senatore Berlusconi.
E qui risiede anche il “caso Guidi” sul versante politico. Tra Guidalberto Guidi, ex falco confindustriale, e Berlusconi c’è un’antica consuetudine. Anche lui era alla cena di Arcore di lunedì. La figlia Federica ha sempre espresso posizioni vicino alla destra berlusconiana. È stata euroscettica, iperliberista fino al punto di proporre l’abolizione del contratto nazionale di lavoro sostituendolo con i contratti individuali. Il Cavaliere ha provato più volte a candidarla nelle sue liste. Pensò addirittura a un futuro da vice di Forza Italia per la giovane industriale. Che ora, però, è al governo mentre Berlusconi è all’opposizione.
E i problemi nascono dalle competenze che ha il dicastero dello Sviluppo. L’azienda dei Guidi, infatti, opera in tutti i settori controllati dal ministero: energia elettrica, eolico, meccanica di precisione, elettronica. Fornisce i suoi prodotti, oltreché a diversi enti locali e alle rispettive municipalizzate, ai grandi gruppi pubblici di cui lo Stato è ancora azionista di maggioranza o di riferimento, attraverso il ministero del Tesoro: Enel, Poste, Ferrovie dello Stato.
Lo stabilimento bolognese della Ducati Energia si è trasformato nel tempo in un impianto di mero assemblaggio di parti di prodotto che vengono realizzate all’estero. Sono circa 60 gli operai su un totale di quasi 220 lavoratori (impiegati, tecnici, ingegneri). Il restante dei 700 dipendenti, a parte una ventina che opera nel laboratorio di ricerca a Trento, è all’estero dove Guidi si è spostato da tempo per ridurre i costi di produzione. La Ducati ha sei stabilimenti nel mondo e produce, tra l’altro: condensatori, generatori eolici, segnalamento ferroviario, sistemi ed apparecchiature autostradali e per il trasporto pubblico, veicoli elettrici e colonnine di ricarica, generatori e motori elettrici, rifasamento industriale e elettronica di potenza. Oggi dalla fabbrica italiana di Borgo Panigale escono i “Free Duck”, piccole automobiline alimentate a elettricità, che vengono utilizzate dalle Poste per la consegna delle lettere e dei pacchi, da diversi Comuni per la raccolta dei rifiuti, e anche dalla Polizia municipale, per esempio a Genova. Alle municipalizzate (l’Atac di Roma, per esempio) le macchine per obliterare i biglietti dell’autobus. All’Enel dalla Ducati Energia arrivano le cabine per lo smistamento dell’energia e anche le colonnine per le ricariche delle automobili elettriche. Alle Ferrovie dello Stato sistemi per verificare la funzionalità dei binari e le macchinette per l’emissione dei biglietti self service. A Finmeccanica, negli anni passati, Guidi aveva presentato un’offerta per rilevare la Breda Menarinibus. Proposta che però non venne accolta dai vertici di Piazza Monte Grappa.
Guidalberto Guidi, da presidente dell’Anie (l’associazione di Confindustria delle imprese elettrotecniche ed elettroniche) condusse una battaglia a favore degli incentivi per le energie rinnovabili. Fu scontro anche in Confindustria tra i produttori tradizionali e gli altri. Non sarà facile, insomma, per il ministro Guidi puntare all’obiettivo di tagliare, come chiede Renzi, del 30% la bolletta energetica gravata dai 12,5 miliardi proprio di incentivi, per il 70% destinati alle rinnovabili. Figlia-ministro contro padre-imprenditore. Un altro conflitto di interessi?
Poletti è presidente dell’Alleanza della cooperative (Coop rosse più coop bianche) con la Compagnia delle Opere il braccio economico-finanziario di Comunione e Liberazione
Fra di esse anche Eataly distribuzione, una delle parti del gruppo alimentare di Oscar Farinetti, imprenditore molto vicino a Matteo Renzi