La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
LA BANCAROTTA DELL'UMANITA'
UNA QUESTIONE DI MERLI PIRLA.
PASSI ORMAI PER IL BEL PAESE, IN CUI BENITO PINOCCHIO MUSSOLONI-LA TRUFFA, RIESCE ANCORA AD INCANTARE I MERLI PIRLA, TUTTI INTERESSATI, NELLA CLASSICA COMMEDIA ALL'ITALIANA DEL BUNGA BUNGA.
MA E' LECITO CHIEDERSI SE LA COMMISSIONE EUROPEA E' DISPONIBILE A FARSI FARE IL BUNGA-BUNGA DAL CHIACCHIERONE FIORENTINO.
SE COSI' FOSSE, UN ULTERIORE DISCREDITO SI ABBATTEREBBE SULLA ORMAI MORENTE UE. AGLI ORDINI DELLA MASSONERIA FINANZIARIA DELL'OLTRE ATLANTICO.
7 NOV 2016 12:25
MALA TEMPORA PER PADOAN: A BRUXELLES LO ASPETTANO CON I FORCONI
- LA SOLIDARIETA’ PELOSA DELLA MERKEL
- SE CONVINCE LA COMMISSIONE A CHIUDERE UN OCCHIO SUI CONTI SBALLATI DI RENZI, POI SE NE DOVRA’ OCCUPARE IL FONDO SALVASTATI A GUIDA TEDESCA. DALLA PADELLA ALLA BRACE
Federico Fubini per il Corriere della Sera
Le lettere non erano tutto, ma forse solo la parte dedicata al pubblico: quella in cui entrambe le parti in causa cercano di provare alla platea la propria determinazione. Lo scambio epistolare dei giorni scorsi dei commissari europei Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici con il ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, non ha risolto niente e potrebbe aver radicalizzato le posizioni. La sua conseguenza però è che ora sui dettagli del prossimo bilancio dell' Italia è ufficialmente aperto un confronto fra Roma e Bruxelles.
Oggi che si riunisce l' Eurogruppo dei ministri finanziari, quindi Padoan, Moscovici, Dombrovskis e le loro squadre avranno occasione di parlarne, anche perché sanno che nessuna decisione è già stata presa sull' Italia.
La Commissione Ue aspetta in questi giorni nuove informazioni dal Tesoro, nella speranza che lascino intravedere un piccolo movimento per sollevare tutti da un disagio ormai evidente. Quella sul bilancio italiano, vista da Bruxelles, ormai è una partita sulla credibilità delle istituzioni dell' area euro di fronte al Paese che oggi preoccupa più di qualunque altro.
Mai come su questa legge di Stabilità dell' Italia per il 2017 era apparso chiaro che nel sistema di vigilanza sui bilanci pubblici dell' area euro si è consumato uno slittamento. Le nuove regole disegnate nel 2012, quelle del Fiscal compact, hanno spostato una dose di potere dalle riunioni mensili dei ministri finanziari dei 19 Paesi (Eurogruppo e Ecofin) verso un organismo sovranazionale come la Commissione Ue. Adesso per un governo è più difficile rovesciare nell' Eurogruppo la proposta di una procedura a proprio carico, come riuscì a Francia e Germania nel 2003 con l' aiuto dell' Italia.
Se nelle prossime settimane Dombrovkis e Moscovici suggerissero formalmente all' Ecofin di approvare una procedura di deficit eccessivo contro il governo di Roma, per Padoan sarebbe quasi impossibile impedirla. In base alle vecchie regole, sarebbe bastato riunire una minoranza di blocco di Paesi affini per impedire che la proposta della Commissione Ue passasse. Adesso invece per rovesciare un' iniziativa del genere serve una maggioranza fra i ministri finanziari dell' area euro. E mobilitare nell' Eurogruppo una vasta coalizione di ministri disposti a graziare l' Italia è praticamente impossibile.
Questa innovazione sta producendo conseguenze che adesso si respirano nei corridoi di Bruxelles. Poiché la Commissione è diventata a un tempo procuratore e quasi giudice di ultima istanza sulle violazioni nella finanza pubblica, anche il fuoco dei conflitti si è spostato dai ministri finanziari dei 19 Paesi all' interno stesso dell' organismo di Bruxelles. Ciò genera una stress politico proprio all' interno della Commissione, ogni volta che un bilancio appare fuori dalle regole. Oggi è il caso dell' Italia.
Il governo di Matteo Renzi sei mesi fa si era impegnato a erodere lo zoccolo di fondo del disavanzo nel bilancio statale, benché solo di poco; invece la legge di Stabilità appena varata può solo farlo crescere, anche eliminando dai calcoli gli effetti negativi della crescita debole, i costi non ricorrenti o le spese per emergenze eccezionali come i terremoti. I tecnici di Bruxelles sono di fronte a un caso di violazione delle regole molto difficile da dissimulare.
Se nulla cambierà, è dunque quasi inevitabile che la direzione generale Economia e finanza della Commissione Ue segnali alle istanze politiche dell' organismo - i commissari e il presidente Jean-Claude Juncker - che occorre proporre all' Eurogruppo di aprire la procedura sull' Italia per deficit eccessivo. Poi però il collegio dei commissari dovrebbe approvare (a maggioranza) di sottoporre all' Eurogruppo un caso del genere.
È qui che il confronto potrebbe diventare molto politico. Nei mesi scorsi, sotto la guida di Juncker, il collegio dei commissari per esempio ha di fatto azzerato le multe a carico di Spagna e Portogallo proposte dalle istanze tecniche della Commissione dopo una prolungata violazione delle regole sul deficit in entrambi i Paesi. All' epoca fu la Germania a fare pressione sui commissari Ue per evitare sanzioni sul governo di Madrid, alleato politico di Berlino.
Il caso dell' Italia è più complesso. La cancelliera tedesca Angela Merkel è disposta ad aiutare Renzi in vista del referendum, anche concedendo spazio sui conti pubblici. Ma Juncker e i suoi temono già la prossima mossa del ministro delle finanze di Berlino Wolfgang Schaeuble, se prendessero troppo alla lettera gli inviti di Merkel all' indulgenza: sottrarre i poteri di vigilanza sui conti alla Commissione Ue, per manifesta debolezza, per spostarli verso un organismo tecnico a guida tedesca come il fondo salvataggi Esm
UNA QUESTIONE DI MERLI PIRLA.
PASSI ORMAI PER IL BEL PAESE, IN CUI BENITO PINOCCHIO MUSSOLONI-LA TRUFFA, RIESCE ANCORA AD INCANTARE I MERLI PIRLA, TUTTI INTERESSATI, NELLA CLASSICA COMMEDIA ALL'ITALIANA DEL BUNGA BUNGA.
MA E' LECITO CHIEDERSI SE LA COMMISSIONE EUROPEA E' DISPONIBILE A FARSI FARE IL BUNGA-BUNGA DAL CHIACCHIERONE FIORENTINO.
SE COSI' FOSSE, UN ULTERIORE DISCREDITO SI ABBATTEREBBE SULLA ORMAI MORENTE UE. AGLI ORDINI DELLA MASSONERIA FINANZIARIA DELL'OLTRE ATLANTICO.
7 NOV 2016 12:25
MALA TEMPORA PER PADOAN: A BRUXELLES LO ASPETTANO CON I FORCONI
- LA SOLIDARIETA’ PELOSA DELLA MERKEL
- SE CONVINCE LA COMMISSIONE A CHIUDERE UN OCCHIO SUI CONTI SBALLATI DI RENZI, POI SE NE DOVRA’ OCCUPARE IL FONDO SALVASTATI A GUIDA TEDESCA. DALLA PADELLA ALLA BRACE
Federico Fubini per il Corriere della Sera
Le lettere non erano tutto, ma forse solo la parte dedicata al pubblico: quella in cui entrambe le parti in causa cercano di provare alla platea la propria determinazione. Lo scambio epistolare dei giorni scorsi dei commissari europei Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici con il ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, non ha risolto niente e potrebbe aver radicalizzato le posizioni. La sua conseguenza però è che ora sui dettagli del prossimo bilancio dell' Italia è ufficialmente aperto un confronto fra Roma e Bruxelles.
Oggi che si riunisce l' Eurogruppo dei ministri finanziari, quindi Padoan, Moscovici, Dombrovskis e le loro squadre avranno occasione di parlarne, anche perché sanno che nessuna decisione è già stata presa sull' Italia.
La Commissione Ue aspetta in questi giorni nuove informazioni dal Tesoro, nella speranza che lascino intravedere un piccolo movimento per sollevare tutti da un disagio ormai evidente. Quella sul bilancio italiano, vista da Bruxelles, ormai è una partita sulla credibilità delle istituzioni dell' area euro di fronte al Paese che oggi preoccupa più di qualunque altro.
Mai come su questa legge di Stabilità dell' Italia per il 2017 era apparso chiaro che nel sistema di vigilanza sui bilanci pubblici dell' area euro si è consumato uno slittamento. Le nuove regole disegnate nel 2012, quelle del Fiscal compact, hanno spostato una dose di potere dalle riunioni mensili dei ministri finanziari dei 19 Paesi (Eurogruppo e Ecofin) verso un organismo sovranazionale come la Commissione Ue. Adesso per un governo è più difficile rovesciare nell' Eurogruppo la proposta di una procedura a proprio carico, come riuscì a Francia e Germania nel 2003 con l' aiuto dell' Italia.
Se nelle prossime settimane Dombrovkis e Moscovici suggerissero formalmente all' Ecofin di approvare una procedura di deficit eccessivo contro il governo di Roma, per Padoan sarebbe quasi impossibile impedirla. In base alle vecchie regole, sarebbe bastato riunire una minoranza di blocco di Paesi affini per impedire che la proposta della Commissione Ue passasse. Adesso invece per rovesciare un' iniziativa del genere serve una maggioranza fra i ministri finanziari dell' area euro. E mobilitare nell' Eurogruppo una vasta coalizione di ministri disposti a graziare l' Italia è praticamente impossibile.
Questa innovazione sta producendo conseguenze che adesso si respirano nei corridoi di Bruxelles. Poiché la Commissione è diventata a un tempo procuratore e quasi giudice di ultima istanza sulle violazioni nella finanza pubblica, anche il fuoco dei conflitti si è spostato dai ministri finanziari dei 19 Paesi all' interno stesso dell' organismo di Bruxelles. Ciò genera una stress politico proprio all' interno della Commissione, ogni volta che un bilancio appare fuori dalle regole. Oggi è il caso dell' Italia.
Il governo di Matteo Renzi sei mesi fa si era impegnato a erodere lo zoccolo di fondo del disavanzo nel bilancio statale, benché solo di poco; invece la legge di Stabilità appena varata può solo farlo crescere, anche eliminando dai calcoli gli effetti negativi della crescita debole, i costi non ricorrenti o le spese per emergenze eccezionali come i terremoti. I tecnici di Bruxelles sono di fronte a un caso di violazione delle regole molto difficile da dissimulare.
Se nulla cambierà, è dunque quasi inevitabile che la direzione generale Economia e finanza della Commissione Ue segnali alle istanze politiche dell' organismo - i commissari e il presidente Jean-Claude Juncker - che occorre proporre all' Eurogruppo di aprire la procedura sull' Italia per deficit eccessivo. Poi però il collegio dei commissari dovrebbe approvare (a maggioranza) di sottoporre all' Eurogruppo un caso del genere.
È qui che il confronto potrebbe diventare molto politico. Nei mesi scorsi, sotto la guida di Juncker, il collegio dei commissari per esempio ha di fatto azzerato le multe a carico di Spagna e Portogallo proposte dalle istanze tecniche della Commissione dopo una prolungata violazione delle regole sul deficit in entrambi i Paesi. All' epoca fu la Germania a fare pressione sui commissari Ue per evitare sanzioni sul governo di Madrid, alleato politico di Berlino.
Il caso dell' Italia è più complesso. La cancelliera tedesca Angela Merkel è disposta ad aiutare Renzi in vista del referendum, anche concedendo spazio sui conti pubblici. Ma Juncker e i suoi temono già la prossima mossa del ministro delle finanze di Berlino Wolfgang Schaeuble, se prendessero troppo alla lettera gli inviti di Merkel all' indulgenza: sottrarre i poteri di vigilanza sui conti alla Commissione Ue, per manifesta debolezza, per spostarli verso un organismo tecnico a guida tedesca come il fondo salvataggi Esm
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Re: La crisi dell'Europa
Manovra, Juncker minaccia Renzi "Il governo rispetti le regole"
Il presidente della Commissione mette nel mirino il governo: "Attacchi all'Ue ma non rispettate i patti con Bruxelles"
Luca Romano - Lun, 07/11/2016 - 16:03
commenta
Prosegue il braccio di ferro tra Europa e governo. Dopo le perplessità espresse da Bruxelles sulla manovra e le accuse di Renzi ai burocrati dell'Unione arriva un altro duro attacco da parte del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker.
Intervenuto a un incontro della Confederazione dei sindacati europei, Juncker ha parlato proprio della manovra varata dal governo bacchettando le scelte di Renzi e Padoan: "’Italia non smette di attaccare la Commissione, a torto e questo nnon produrrà i risultati sperati. L’Italia può oggi spendere 19 miliardi in più di quelli che avrebbe potuto se non avessi riformato il patto di stabilità con la flessibilità- ha osservato - e sono del parere che bisognerà saggiamente prendere in considerazione il costo dei terremoti e dei rifugiati. Ma - ha aggiunto - il costo addizionale è dello 0,1% del Pil, e l’Italia, che ci aveva promesso un deficit dell’1,7% nel 2017, ora ci propone il 2,4% per i terremoti e i rifugiati, con un costo pari allo 0,1%". Insomma le parole di Juncker potrebbero nuovamente portare una nuova fase di gelo nei rapporti tra Italia e Ue. E a Juncker risponde Renzi: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli". "Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal patto di stabilità vogliano o meno i funzionari di Bruxelles", insiste il premier.
Intanto sulla legge di Bilancio il governo deve fare i conti anche in Italia raccogliendo i rilievi dell'Ufficio per il Bilancio che "smonta" la legge di stabilità: "II giudizio complessivo è nell’intervallo dell’accettabilità ma con dei rischi derivanti dal fatto che le stime del Governo sono al limite superiore", ha affermato il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in audizione sulla manovra nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Ue, Juncker: Italia critica, ma su sisma e rifugiati spende 0,1 per cento
Pubblica sul tuo sito
"Nel complesso - ha aggiunto - l’effetto sull’equilibrio dei conti non è privo di rischi. Non tanto per l’incremento delle spese in conto capitale in disavanzo, dato il carattere non permanente di queste spese e gli effetti che esse potranno avere sulla crescita economica, quanto per l’assunzione di impegni permanenti dal lato delle spese correnti (in particolare per le pensioni e il pubblico impiego) compensati solo in parte da entrate permanenti e certe". "In particolare, il mantenimento della clausola di aumento dell’Iva e, anzi, il suo rafforzamento nel 2019 con la finalità di garantire la tenuta dei conti rendono difficile identificare gli obiettivi della programmazione di bilancio di medio termine. Per il secondo anno consecutivo, l’intervento più rilevante della manovra di finanza pubblica è l’annullamento dell’aumento delle aliquote Iva per l’anno successivo". "Nell’ipotesi - ha concluso - vi sia l’intenzione di disattivare la clausola anche negli anni seguenti, lo stesso scenario sembra destinato a riproporsi nei futuri progetti di bilancio". E come se non bastasse alcuni dubbi sulla manovra sono stati mostrati anche dalla Corte dei Conti che ha messo in discussione diversi punti della legge di stabilità. Il governo dunque ora dovrà far quadrare i conti. Altrimenti gli annunci di Renzi in chiave elettorale, col referendum alle porte, avranno ancora una volta il sapore amaro di una promessa non mantenuta.
Il presidente della Commissione mette nel mirino il governo: "Attacchi all'Ue ma non rispettate i patti con Bruxelles"
Luca Romano - Lun, 07/11/2016 - 16:03
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Prosegue il braccio di ferro tra Europa e governo. Dopo le perplessità espresse da Bruxelles sulla manovra e le accuse di Renzi ai burocrati dell'Unione arriva un altro duro attacco da parte del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker.
Intervenuto a un incontro della Confederazione dei sindacati europei, Juncker ha parlato proprio della manovra varata dal governo bacchettando le scelte di Renzi e Padoan: "’Italia non smette di attaccare la Commissione, a torto e questo nnon produrrà i risultati sperati. L’Italia può oggi spendere 19 miliardi in più di quelli che avrebbe potuto se non avessi riformato il patto di stabilità con la flessibilità- ha osservato - e sono del parere che bisognerà saggiamente prendere in considerazione il costo dei terremoti e dei rifugiati. Ma - ha aggiunto - il costo addizionale è dello 0,1% del Pil, e l’Italia, che ci aveva promesso un deficit dell’1,7% nel 2017, ora ci propone il 2,4% per i terremoti e i rifugiati, con un costo pari allo 0,1%". Insomma le parole di Juncker potrebbero nuovamente portare una nuova fase di gelo nei rapporti tra Italia e Ue. E a Juncker risponde Renzi: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli". "Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal patto di stabilità vogliano o meno i funzionari di Bruxelles", insiste il premier.
Intanto sulla legge di Bilancio il governo deve fare i conti anche in Italia raccogliendo i rilievi dell'Ufficio per il Bilancio che "smonta" la legge di stabilità: "II giudizio complessivo è nell’intervallo dell’accettabilità ma con dei rischi derivanti dal fatto che le stime del Governo sono al limite superiore", ha affermato il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in audizione sulla manovra nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Ue, Juncker: Italia critica, ma su sisma e rifugiati spende 0,1 per cento
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"Nel complesso - ha aggiunto - l’effetto sull’equilibrio dei conti non è privo di rischi. Non tanto per l’incremento delle spese in conto capitale in disavanzo, dato il carattere non permanente di queste spese e gli effetti che esse potranno avere sulla crescita economica, quanto per l’assunzione di impegni permanenti dal lato delle spese correnti (in particolare per le pensioni e il pubblico impiego) compensati solo in parte da entrate permanenti e certe". "In particolare, il mantenimento della clausola di aumento dell’Iva e, anzi, il suo rafforzamento nel 2019 con la finalità di garantire la tenuta dei conti rendono difficile identificare gli obiettivi della programmazione di bilancio di medio termine. Per il secondo anno consecutivo, l’intervento più rilevante della manovra di finanza pubblica è l’annullamento dell’aumento delle aliquote Iva per l’anno successivo". "Nell’ipotesi - ha concluso - vi sia l’intenzione di disattivare la clausola anche negli anni seguenti, lo stesso scenario sembra destinato a riproporsi nei futuri progetti di bilancio". E come se non bastasse alcuni dubbi sulla manovra sono stati mostrati anche dalla Corte dei Conti che ha messo in discussione diversi punti della legge di stabilità. Il governo dunque ora dovrà far quadrare i conti. Altrimenti gli annunci di Renzi in chiave elettorale, col referendum alle porte, avranno ancora una volta il sapore amaro di una promessa non mantenuta.
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Re: La crisi dell'Europa
7 NOV 2016 16:22
QUANTI SCHIAFFI PER MATTEUCCIO!/2
- COSE MAI VISTE: JUNCKER CHE DICE ''ME NE FREGO DI QUEL CHE DICE RENZI''
- IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE: “AVEVA PROMESSO UN DEFICIT ALL’1,7%, NE HA PRESENTATO UN ALTRO AL 2,4%”. MINACCIA PER NIENTE SOTTILE: GLI ATTACCHI DEL PREMIER A BRUXELLES NON PRODURRANNO “I RISULTATI PREVISTI”
Da “Ansa”
L'Italia "non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza".
Così Jean Claude Juncker durante un ragionamento sulle richieste italiane di flessibilità, in cui sottolinea tra l'altro che i costi "aggiuntivi" per migranti e terremoto valgono lo 0,1% del Pil e che l'Italia aveva promesso di avere un deficit dell' 1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4%.
Ed aggiunge: "La Commissione che presiedo ha introdotto nell'interpretazione del Patto di stabilità degli elementi di flessibilità che sono andati a beneficio di un certo numero di stati membri. Prenderei l'esempio dell'Italia perché l'Italia non smette di attaccare la Commissione a torto e questo non produrrà i risultati previsti”.
QUANTI SCHIAFFI PER MATTEUCCIO!/2
- COSE MAI VISTE: JUNCKER CHE DICE ''ME NE FREGO DI QUEL CHE DICE RENZI''
- IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE: “AVEVA PROMESSO UN DEFICIT ALL’1,7%, NE HA PRESENTATO UN ALTRO AL 2,4%”. MINACCIA PER NIENTE SOTTILE: GLI ATTACCHI DEL PREMIER A BRUXELLES NON PRODURRANNO “I RISULTATI PREVISTI”
Da “Ansa”
L'Italia "non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza".
Così Jean Claude Juncker durante un ragionamento sulle richieste italiane di flessibilità, in cui sottolinea tra l'altro che i costi "aggiuntivi" per migranti e terremoto valgono lo 0,1% del Pil e che l'Italia aveva promesso di avere un deficit dell' 1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4%.
Ed aggiunge: "La Commissione che presiedo ha introdotto nell'interpretazione del Patto di stabilità degli elementi di flessibilità che sono andati a beneficio di un certo numero di stati membri. Prenderei l'esempio dell'Italia perché l'Italia non smette di attaccare la Commissione a torto e questo non produrrà i risultati previsti”.
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Re: La crisi dell'Europa
Migranti e sisma, per la Ue i conti sono gonfiati
Juncker: “L’Italia ci attacca? Io me ne frego”
Presidente Commissione: “Costo per profughi e terremoti è dello 0,1% del Pil. Era stato promesso deficit
dell’1,7%. Ora viene proposto il 2,4%”. Renzi: “Su soldi per le scuole non guardiamo in faccia a nessuno”
Zonaeuro
“L’Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati”. E “non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione”. Jean Claude Juncker respinge gli attacchi del governo italiano e rincara: Renzi “aveva promesso un deficit dell’1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4%”. E questo nonostante i costi “aggiuntivi” per migranti e terremoto valgano lo 0,1% del Pil. “L’Italia – ha ricordato – oggi nel 2016 può spendere 19 miliardi in più, che non avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il Patto di stabilità”
^^^^^^^^
Manovra, Juncker: “Italia dice che siamo per l’austerity? Me ne frego”. E su sisma e migranti l’Ufficio bilancio gli dà ragione
Zonaeuro
Il presidente della Commissione Ue respinge gli attacchi di Renzi e ricorda che Roma "aveva promesso di avere un deficit dell’1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4% a causa dei terremoti e dei rifugiati, mentre il costo si riduce allo 0,1%". Il premier risponde, come sempre, che "la stabilità delle scuole" vale più di quella dei conti. Ma l'authority indipendente è d'accordo con il lussemburghese
di F. Q. | 7 novembre 2016
COMMENTI
Più informazioni su: Commissione Europea, Deficit, Jean-Claude Juncker, Matteo Renzi, Pil
“L’Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati”. E “non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza”. Il presidente dell’esecutivo comunitario Jean Claude Juncker respinge gli attacchi del premier italiano Matteo Renzi, ricordando che Roma “ci aveva promesso di arrivare a un deficit dell’1,7% nel 2017 e ora ci propone un deficit del 2,4% a causa dei terremoti e dei rifugiati, mentre il costo si riduce allo 0,1%”. Insomma, da un lato l’Italia chiede di aumentare il disavanzo giustificandosi con le “spese eccezionali” legate a sisma e migranti, dall’altro il Documento programmatico e la legge di Bilancio mostrano che le spese effettive per le due “emergenze” sono molto inferiori rispetto alle cifre rivendicate. Tra l’altro per la ricostruzione post terremoto sono a disposizione fino a 354 milioni a valere sul Fondo di solidarietà Ue, ma Palazzo Chigi non ne ha ancora fatto richiesta.
Il presidente del Consiglio ha risposto a stretto giro evocando, come sempre, la “stabilità delle scuole” contrapposta alla stabilità dei bilanci: “Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull’edilizia scolastica non c’è possibilità di bloccarci”. Per quanto riguarda i migranti, poi, “se i funzionari di Bruxelles vogliono che spendiamo meno”, facciano in modo che si “rispettino gli impegni presi e vedranno che il bilancio dell’Italia migliorerà”. Ma intanto da Roma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, cioè l’autorità indipendente chiamata a verificare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo, ha espresso dubbi sulla possibilità che Bruxelles possa dire sì all’esclusione di quelle spese dal calcolo del deficit. Le trattative continuano: il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici ha annunciato che a margine dell’Eurogruppo in corso a Bruxelles avrebbe incontrato in bilaterale il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “per la quindicesima o sedicesima volta”, perché “c’è ancora del lavoro da fare” per avvicinare le posizioni sulle cifre previste per la manovra per il 2017″.
Juncker: “Italia ha gonfiato i costi per sisma e migranti” – Parlando alla riunione dell’associazione del sindacato europeo (Etuc) Juncker ha ricordato ancora una volta che “l’Italia oggi, nel 2016, può spendere 19 miliardi in più, che non avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il Patto di stabilità nel senso della flessibilità indicato”. E ancora: “Sono del parere che la saggezza vuole che teniamo in conto i costi del terremoto e dei rifugiati, come è vero anche per la Grecia, in Italia. Ma i costi aggiuntivi delle politiche dedicate alle migrazioni e al terremoto in Italia sono lo 0,1% del Pil, mentre l’Italia ci aveva promesso di arrivare ad un deficit dell’1,7% nel 2017 ed ora ci propone un deficit del 2,4% in ragione del terremoto e dei rifugiati, quando i costi sono dello 0,1%”.
E l’Upb conferma i dubbi: “Difficile considerare eccezionale il piano antisismico. E per i rifugiati chiediamo di riconoscere l’incremento di spesa rispetto al 2011-2013” – Gli stessi dubbi di Juncker, del resto, ce li ha anche il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. “Allo stato delle informazioni attuali, non è possibile prevedere quale sarà l’esito delle decisioni della Commissione europea”, ha spiegato in audizione sulla manovra. Infatti “vi sono alcune difficoltà nel collocare un piano straordinario di prevenzione antisismico in un quadro di eccezionalità ai fini delle regole europee. Lo spazio richiesto (0,2 punti percentuali di pil) non comprende solo nuove risorse, ma anche l’impatto sui conti di misure adottate negli scorsi esercizi (già presenti nel bilancio a legislazione vigente) legate a più generali finalità di ristrutturazione del patrimonio immobiliare e all’efficienza energetica. Inoltre, la richiesta di esclusione per il solo 2017 non sembrerebbe coerente con la dimensione necessariamente pluriennale di un eventuale piano di prevenzione sismica”. Quanto alle spese per i migranti, “già l’anno scorso la Commissione ha riconosciuto che si tratta di un evento eccezionale. Sull’evento non ci sono dubbi, i dubbi sono sulla spesa”. Ma “nel documento italiano si chiede di riconoscere non l’incremento di spesa rispetto al periodo precedente ma rispetto al periodo 2011-2013. Questo fa una enorme differenza. Se prendiamo la differenza tra il 2016 e il 2017 è molto più modesta”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... o/3173836/
Juncker: “L’Italia ci attacca? Io me ne frego”
Presidente Commissione: “Costo per profughi e terremoti è dello 0,1% del Pil. Era stato promesso deficit
dell’1,7%. Ora viene proposto il 2,4%”. Renzi: “Su soldi per le scuole non guardiamo in faccia a nessuno”
Zonaeuro
“L’Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati”. E “non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione”. Jean Claude Juncker respinge gli attacchi del governo italiano e rincara: Renzi “aveva promesso un deficit dell’1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4%”. E questo nonostante i costi “aggiuntivi” per migranti e terremoto valgano lo 0,1% del Pil. “L’Italia – ha ricordato – oggi nel 2016 può spendere 19 miliardi in più, che non avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il Patto di stabilità”
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Manovra, Juncker: “Italia dice che siamo per l’austerity? Me ne frego”. E su sisma e migranti l’Ufficio bilancio gli dà ragione
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Il presidente della Commissione Ue respinge gli attacchi di Renzi e ricorda che Roma "aveva promesso di avere un deficit dell’1,7% nel 2017 mentre ora ne propone uno del 2,4% a causa dei terremoti e dei rifugiati, mentre il costo si riduce allo 0,1%". Il premier risponde, come sempre, che "la stabilità delle scuole" vale più di quella dei conti. Ma l'authority indipendente è d'accordo con il lussemburghese
di F. Q. | 7 novembre 2016
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Più informazioni su: Commissione Europea, Deficit, Jean-Claude Juncker, Matteo Renzi, Pil
“L’Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati”. E “non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza”. Il presidente dell’esecutivo comunitario Jean Claude Juncker respinge gli attacchi del premier italiano Matteo Renzi, ricordando che Roma “ci aveva promesso di arrivare a un deficit dell’1,7% nel 2017 e ora ci propone un deficit del 2,4% a causa dei terremoti e dei rifugiati, mentre il costo si riduce allo 0,1%”. Insomma, da un lato l’Italia chiede di aumentare il disavanzo giustificandosi con le “spese eccezionali” legate a sisma e migranti, dall’altro il Documento programmatico e la legge di Bilancio mostrano che le spese effettive per le due “emergenze” sono molto inferiori rispetto alle cifre rivendicate. Tra l’altro per la ricostruzione post terremoto sono a disposizione fino a 354 milioni a valere sul Fondo di solidarietà Ue, ma Palazzo Chigi non ne ha ancora fatto richiesta.
Il presidente del Consiglio ha risposto a stretto giro evocando, come sempre, la “stabilità delle scuole” contrapposta alla stabilità dei bilanci: “Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull’edilizia scolastica non c’è possibilità di bloccarci”. Per quanto riguarda i migranti, poi, “se i funzionari di Bruxelles vogliono che spendiamo meno”, facciano in modo che si “rispettino gli impegni presi e vedranno che il bilancio dell’Italia migliorerà”. Ma intanto da Roma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, cioè l’autorità indipendente chiamata a verificare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo, ha espresso dubbi sulla possibilità che Bruxelles possa dire sì all’esclusione di quelle spese dal calcolo del deficit. Le trattative continuano: il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici ha annunciato che a margine dell’Eurogruppo in corso a Bruxelles avrebbe incontrato in bilaterale il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “per la quindicesima o sedicesima volta”, perché “c’è ancora del lavoro da fare” per avvicinare le posizioni sulle cifre previste per la manovra per il 2017″.
Juncker: “Italia ha gonfiato i costi per sisma e migranti” – Parlando alla riunione dell’associazione del sindacato europeo (Etuc) Juncker ha ricordato ancora una volta che “l’Italia oggi, nel 2016, può spendere 19 miliardi in più, che non avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il Patto di stabilità nel senso della flessibilità indicato”. E ancora: “Sono del parere che la saggezza vuole che teniamo in conto i costi del terremoto e dei rifugiati, come è vero anche per la Grecia, in Italia. Ma i costi aggiuntivi delle politiche dedicate alle migrazioni e al terremoto in Italia sono lo 0,1% del Pil, mentre l’Italia ci aveva promesso di arrivare ad un deficit dell’1,7% nel 2017 ed ora ci propone un deficit del 2,4% in ragione del terremoto e dei rifugiati, quando i costi sono dello 0,1%”.
E l’Upb conferma i dubbi: “Difficile considerare eccezionale il piano antisismico. E per i rifugiati chiediamo di riconoscere l’incremento di spesa rispetto al 2011-2013” – Gli stessi dubbi di Juncker, del resto, ce li ha anche il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. “Allo stato delle informazioni attuali, non è possibile prevedere quale sarà l’esito delle decisioni della Commissione europea”, ha spiegato in audizione sulla manovra. Infatti “vi sono alcune difficoltà nel collocare un piano straordinario di prevenzione antisismico in un quadro di eccezionalità ai fini delle regole europee. Lo spazio richiesto (0,2 punti percentuali di pil) non comprende solo nuove risorse, ma anche l’impatto sui conti di misure adottate negli scorsi esercizi (già presenti nel bilancio a legislazione vigente) legate a più generali finalità di ristrutturazione del patrimonio immobiliare e all’efficienza energetica. Inoltre, la richiesta di esclusione per il solo 2017 non sembrerebbe coerente con la dimensione necessariamente pluriennale di un eventuale piano di prevenzione sismica”. Quanto alle spese per i migranti, “già l’anno scorso la Commissione ha riconosciuto che si tratta di un evento eccezionale. Sull’evento non ci sono dubbi, i dubbi sono sulla spesa”. Ma “nel documento italiano si chiede di riconoscere non l’incremento di spesa rispetto al periodo precedente ma rispetto al periodo 2011-2013. Questo fa una enorme differenza. Se prendiamo la differenza tra il 2016 e il 2017 è molto più modesta”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... o/3173836/
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Re: La crisi dell'Europa
Il presidente del Consiglio ha risposto a stretto giro evocando, come sempre, la “stabilità delle scuole” contrapposta alla stabilità dei bilanci: “Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli.
Argomenti degni di un Tremonti qualunque.
Possibili solo perchè a causa della mancanza di cultura scientifica, le masse, ma anche le elite,
faticano a percepire la differenza fra migliaia, milioni, miliardi e centinaia di miliardi.
La PA spende 850 miliardi di euro OGNI anno.
Non è possibile che da quell'enorme calderone un governo non riesca a tirare
fuori 10-20 miliardi per gestire le emergenze.
Vuol dire che non vogliono cambiare nulla nell'allocazione della spesa.
Le scuole, i terremotati e gli immigrati deve gestirli coi soldi che ha.
Non favorire l'incistarsi di clientele, corruzione, sprechi ed evasione come sta facendo.
Per poi dirci che lui pensa alle "generazioni future"... lasciando loro altri 80 miliardi di
euro di debito solo nei primi 8 mesi di quest'anno.
Ma già, tanto 80 miliardi o milioni, di euro o di lire, di che parliamo?
soloo42001
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Re: La crisi dell'Europa
A QUELLI DELLA MIA GENERAZIONE AVEVANO INSEGNATO CHE LA STORIA E' MAESTRA.
ORA POSSA TRANQUILLAMENTE DIRE CHE LA STORIA E' MAESTRA MA NON HA ALLIEVI.
GIA' QUELLI DELLA MIA GENERAZIONE SI SONO DATI DA FARE PER SMENTIRE QUANTO CI AVEVANO INSEGNATO.
MA QUELLI DELLE GENERAZIONI SUCCESSIVE NON "CI AZZECCANO" PER NIENTE.
Così il marziano-egiziano Magdi Allam.
6 ore fa
Un anno dopo il Bataclan
non abbiamo imparato nulla
Magdi Cristiano Allam
ORA POSSA TRANQUILLAMENTE DIRE CHE LA STORIA E' MAESTRA MA NON HA ALLIEVI.
GIA' QUELLI DELLA MIA GENERAZIONE SI SONO DATI DA FARE PER SMENTIRE QUANTO CI AVEVANO INSEGNATO.
MA QUELLI DELLE GENERAZIONI SUCCESSIVE NON "CI AZZECCANO" PER NIENTE.
Così il marziano-egiziano Magdi Allam.
6 ore fa
Un anno dopo il Bataclan
non abbiamo imparato nulla
Magdi Cristiano Allam
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Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
Cacciari: popoli in rivolta, dopo gli Usa ora tocca all’Europa
Scritto il 15/11/16 • nella Categoria: idee Condividi
È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di sinistra o centrosinistra. Lo stesso Trump ha vinto nonostante il Partito Repubblicano. Una riflessione analoga si può fare per la Brexit. Io uso questo termine: secessio plebis, secessione della plebe. Ovviamente l’effetto del tracollo è più eclatante per le forze democratiche e socialdemocratiche perché sono state soprattutto loro a non comprendere i fenomeni che ci hanno condotto a tutto questo. La moltiplicazione delle ingiustizie e delle diseguaglianze; il crollo del ceto medio; lo smottamento della tradizionale base operaia; l’incapacità di superare lo schema di welfare basato sulla pressione fiscale. Oggi l’unico sindacato che conta è quello dei pensionati e, a mano a mano che si pensionavano i genitori, sono emersi i figli precari, i figli pagati con il voucher, i figli ancora a carico della famiglia. La classe dirigente, a destra come a sinistra, ha pensato solo a diventare establishment? Non è solo questo, perché non era semplice prevedere cambiamenti colossali. E un Churchill o un Roosevelt non nascono in ogni epoca. Anzi.Quasi trent’anni fa, ormai, avevi voglia a dire che a Vicenza gli operai votavano Lega oppure che la sinistra a Milano la sceglievano solo contesse e contessine di via Montenapoleone. Adesso Bersani, per quel che vale, dice: “Basta con la retorica blairiana”?La sinistra è stata a rimorchio delle liberalizzazioni e dei poteri forti. Ma l’immagine di una donna liberal di sinistra a Wall Street è una contraddizione in termini. L’ex comunista Napolitano, oggi presidente emerito della Repubblica, se la prende pure con il suffragio universale? Ecco, appunto. È la conferma che le élite liberal si sono adeguate al trend burocratico e centralistico. La tecnocrazia al posto delle elezioni. La partecipazione è diventata un optional. Di qui la secessio plebis. Populismo? A me non interessa come definire il fenomeno, a me preme capirlo. Tutti sono populisti in campagna elettorale. Francamente il punto non è questo. Io voglio comprendere questi fenomeni sociali, poi chi li rappresenta può avere un tono o l’altro.Ora tocca all’Europa, dove gli effetti dell’immigrazione sono devastanti. Ma è necessario fare una premessa: l’Europa non sono gli Stati Uniti. Dove c’è un impero, la politica la fa l’impero. Non Trump, quindi: in fondo, basta sentire le sue prime dichiarazioni concilianti. In Europa, invece? La storia è matematica, non sbaglia mai. E in assenza di politiche efficienti e credibili, non banali promesse, ci sono tre tappe nel nostro continente. La prima è quella del malcontento o della secessio plebis di cui ho già parlato. Poi, sparare contro i Palazzi. Infine l’affermazione di una destra cattiva anti-immigrazione. Penso a Le Pen, Farage, Orban, Salvini e Meloni. E Grillo? No, Grillo non fa parte di questa destra cattiva. Ho scritto un articolo su chi saranno i Trump d’Europa e concludo proprio così: in Italia non resteranno che i Cinquestelle. Un argine contro la peggiore destra. Renzi si è fatto establishment. Per questo i suoi tentativi populistici puzzano parecchio. Effetto Trump sul referendum del 4 dicembre? Vedo due tendenze. Da un lato può galvanizzare le forze che vogliono mandare Renzi a casa. Dall’altro, in questo clima, gli italiani potrebbero scegliere l’opzione ritenuta più tranquilla e meno traumatica, cioè il Sì.
(Massimo Cacciari, dichiarazioni rilasciate a Fabrizio d’Esposito per l’intervista “Trump, Cacciari: per i tecnocrati la partecipazione è un optional, così trionfa il voto anti-establishment” pubblicata dal “Fatto Quotidiano” il 10 novembre 2016).
Cacciari: popoli in rivolta, dopo gli Usa ora tocca all’Europa
Scritto il 15/11/16 • nella Categoria: idee Condividi
È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di sinistra o centrosinistra. Lo stesso Trump ha vinto nonostante il Partito Repubblicano. Una riflessione analoga si può fare per la Brexit. Io uso questo termine: secessio plebis, secessione della plebe. Ovviamente l’effetto del tracollo è più eclatante per le forze democratiche e socialdemocratiche perché sono state soprattutto loro a non comprendere i fenomeni che ci hanno condotto a tutto questo. La moltiplicazione delle ingiustizie e delle diseguaglianze; il crollo del ceto medio; lo smottamento della tradizionale base operaia; l’incapacità di superare lo schema di welfare basato sulla pressione fiscale. Oggi l’unico sindacato che conta è quello dei pensionati e, a mano a mano che si pensionavano i genitori, sono emersi i figli precari, i figli pagati con il voucher, i figli ancora a carico della famiglia. La classe dirigente, a destra come a sinistra, ha pensato solo a diventare establishment? Non è solo questo, perché non era semplice prevedere cambiamenti colossali. E un Churchill o un Roosevelt non nascono in ogni epoca. Anzi.Quasi trent’anni fa, ormai, avevi voglia a dire che a Vicenza gli operai votavano Lega oppure che la sinistra a Milano la sceglievano solo contesse e contessine di via Montenapoleone. Adesso Bersani, per quel che vale, dice: “Basta con la retorica blairiana”?La sinistra è stata a rimorchio delle liberalizzazioni e dei poteri forti. Ma l’immagine di una donna liberal di sinistra a Wall Street è una contraddizione in termini. L’ex comunista Napolitano, oggi presidente emerito della Repubblica, se la prende pure con il suffragio universale? Ecco, appunto. È la conferma che le élite liberal si sono adeguate al trend burocratico e centralistico. La tecnocrazia al posto delle elezioni. La partecipazione è diventata un optional. Di qui la secessio plebis. Populismo? A me non interessa come definire il fenomeno, a me preme capirlo. Tutti sono populisti in campagna elettorale. Francamente il punto non è questo. Io voglio comprendere questi fenomeni sociali, poi chi li rappresenta può avere un tono o l’altro.Ora tocca all’Europa, dove gli effetti dell’immigrazione sono devastanti. Ma è necessario fare una premessa: l’Europa non sono gli Stati Uniti. Dove c’è un impero, la politica la fa l’impero. Non Trump, quindi: in fondo, basta sentire le sue prime dichiarazioni concilianti. In Europa, invece? La storia è matematica, non sbaglia mai. E in assenza di politiche efficienti e credibili, non banali promesse, ci sono tre tappe nel nostro continente. La prima è quella del malcontento o della secessio plebis di cui ho già parlato. Poi, sparare contro i Palazzi. Infine l’affermazione di una destra cattiva anti-immigrazione. Penso a Le Pen, Farage, Orban, Salvini e Meloni. E Grillo? No, Grillo non fa parte di questa destra cattiva. Ho scritto un articolo su chi saranno i Trump d’Europa e concludo proprio così: in Italia non resteranno che i Cinquestelle. Un argine contro la peggiore destra. Renzi si è fatto establishment. Per questo i suoi tentativi populistici puzzano parecchio. Effetto Trump sul referendum del 4 dicembre? Vedo due tendenze. Da un lato può galvanizzare le forze che vogliono mandare Renzi a casa. Dall’altro, in questo clima, gli italiani potrebbero scegliere l’opzione ritenuta più tranquilla e meno traumatica, cioè il Sì.
(Massimo Cacciari, dichiarazioni rilasciate a Fabrizio d’Esposito per l’intervista “Trump, Cacciari: per i tecnocrati la partecipazione è un optional, così trionfa il voto anti-establishment” pubblicata dal “Fatto Quotidiano” il 10 novembre 2016).
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Re: La crisi dell'Europa
L’ascesa elettorale dei populisti spaventa Merkel
Così la cancelliera va alla guerra contro Draghi
Con le elezioni vicine Berlino teme la destra che conquista consensi bersagliando Ue ed Eurotower
BANCHE E ASSICURAZIONI SOTTO STRESS. ECCO IL VERO MOTIVO DELLE CRITICHE TEDESCHE ALLA BCE
draghi-990
Zona Euro
Berlino ha voltato le spalle al presidente della Bce. Il governo Merkel è meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle elezioni del 2017 in uno scenario insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento: in alcuni Länder la CdU è scesa al di sotto del 20 per cento. La cancelliera deve fare i conti soprattutto con la crescita dei populisti di Alternativa per la Germania (AfD). E se l’apertura delle frontiere ha consentito alla destra di intercettare paure e inquietudini, il battage contro le politiche dell’Ue ha fatto il resto
di Tonino Bucci
^^^^^^^^^^^
IlFattoQuotidiano.it / Zona Euro
Germania contro Draghi, il governo Merkel volta le spalle al “più prussiano degli italiani” per ragioni politiche
Germania contro Draghi, il governo Merkel volta le spalle al “più prussiano degli italiani” per ragioni politiche
Zona Euro
Il numero uno della Bce è oggetto di attacchi sempre più frequenti per la sua politica monetaria, che secondo Berlino danneggia i contribuenti tedeschi. La cancelliera, che si prepara alle elezioni del 2017 in uno scenario politico instabile, non può permettersi di non prendere posizione mentre i populisti di destra conquistano consensi criticando l'Europa e l'Eurotower
di Tonino Bucci | 17 novembre 2016
COMMENTI (117)
291
Più informazioni su: Angela Merkel, Bce, Bundesbank, Germania, Inflazione, Mario Draghi, Politica Monetaria, Titoli di Stato
Per due volte nell’arco di un mese il presidente della Bce si è visto costretto a recarsi a Berlino per difendere le proprie scelte. Negli ultimi tempi, all’interno del governo di Angela Merkel e tra gli economisti tedeschi, si sono ingrossate le fila delle voci ostili a Mario Draghi. La materia del contendere riguarda la politica monetaria inaugurata negli ultimi anni sotto il segno del quantitative easing. L’iniezione massiccia di liquidità nelle economie dell’Eurozona attraverso l’acquisto di titoli governativi, il sostegno alla curva dell’inflazione e il ribasso dei tassi d’interesse continuano a essere visti dalla Germania come il fumo negli occhi.
Eppure c’è stato un tempo in cui all’establishment tedesco Draghi andava a genio. Al momento del suo insediamento un giornale d’assalto come la Bild lo poteva ancora celebrare con la massima onorificenza sul campo definendolo il “più prussiano di tutti gli italiani”, uno sulla cui lealtà alle regole del monetarismo si poteva fare affidamento, nonostante le origini mediterranee. Ma erano altri tempi e in Italia s’era appena formato il governo Monti dopo l’era Berlusconi. L’idillio con Berlino si interrompe bruscamente nell’estate del 2012 quando Draghi annunciò un cambio di strategia. L’euro era sotto l’attacco della speculazione finanziaria e paesi come la Spagna e l’Italia rischiano di soccombere sotto il peso degli interessi sul debito pubblico. Il presidente promette sotto gli occhi attoniti della Germania che la Bce farà tutto il necessario per mettere in sicurezza la sopravvivenza della moneta unica, anche a costo di acquistare – se necessario – i titoli di Stato dei paesi investiti dalla crisi. Per i tedeschi l’annuncio di Draghi è come un voltafaccia, oltre che una mossa troppo disinvolta rispetto ai reali poteri accordati dai Trattati dell’Ue alla Bce.
Per tutta risposta, da Berlino cominciano a partire gli attacchi a Draghi dalla stessa maggioranza di governo. Parlamentari della Csu lo definiscono un “falsario“, reo di stampare carta moneta e alimentare l’inflazione. Anche la Bundesbank, principale azionista di riferimento della Bce, si mette di traverso. La convivenza si fa sempre più difficile e cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su presunti dissidi nel board dell’Eurotower. Da allora, esternazioni e critiche diventano una costante, puntuali a ogni giro di vite verso il basso dei tassi d’interesse. Una scelta obbligata secondo Draghi, per scongiurare il rischio di deflazione e rimettere in moto l’economia nella zona euro; una misura, invece, dannosa e penalizzante per i risparmiatori tedeschi, agli occhi di Berlino.
Poi, nell’aprile scorso, con i tassi ormai allo zero, gli attacchi superano il livello di guardia. “La politica di Mario Draghi ha fatto perdere credibilità alla Bce”, dichiara il vicecapogruppo della Cdu-Csu. Berlino invoca un cambio della guardia. “Dopo la fine del suo mandato (ottobre 2019, ndr) il prossimo presidente dovrà essere un tedesco, fedele alla tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Altre voci, stessa lunghezza d’onda, sempre nelle file della Csu: “Un altro come lui non possiamo permettercelo. In futuro avremo bisogno di un esperto di finanza tedesco”. Ma il nemico numero uno di Mario Draghi è molto più in alto. Si chiama Wolfgang Schäuble. Sullo Spiegel esce la notizia che il ministro delle finanze di Angela Merkel starebbe pensando di procedere per vie legali contro il presidente della Bce e la sua “disinvolta” politica monetaria.
Il vento ormai è cambiato e Berlino sembra aver voltato definitivamente le spalle al presidente della Bce. Gli attacchi non sono più voci del sen fuggite, ma un orientamento che chiama in causa la stessa cancelliera. Il governo di Angela Merkel è molto meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle prossime elezioni per il Bundestag, che si terranno nel 2017, in uno scenario politico insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento. In alcuni Länder dove si è votato di recente il partito della Merkel è sceso al di sotto del venti per cento – vedi Berlino, Amburgo e il caso del Mecklenburg–Vorpommern. E se non bastasse, a rendere ancora più incerto il futuro politico della cancelliera è la concorrenza che viene da destra. Ormai la Cdu deve fare i conti con la crescita dei “populisti” di Alternativa per la Germania (AfD), presenti su tutto il territorio nazionale e con risultati in alcuni Länder che superano il venti per cento.
Neanche a dirlo, i due temi rispetto ai quali la cancelliera è maggiormente sotto attacco dell’opposizione alla sua destra sono l’immigrazione e l’Europa, intrecciati in maniera indissolubile l’uno all’altro. Se l’apertura delle frontiere nei mesi scorsi ha consentito ai populisti di intercettare paure e inquietudini nell’elettorato, il battage contro le politiche dell’Ue che strozzano contribuenti e risparmiatori tedeschi ha fatto il resto. Su questa linea l’imputato numero uno è naturalmente lui, Draghi, simbolo di un’Europa che fagocita i popoli in nome della finanza. L’AfD soffia sul fuoco e mette sotto accusa la Bce, ritenuta colpevole di voler trasferire alla Germania il debito pubblico dei paesi inaffidabili del sud Europa acquistandone i titoli di stato. Anche il taglio dei tassi d’interesse è percepito come una politica anti-germanica che erode il risparmio privato e la redditività delle banche tedesche. Questo mentre la crescita economica rallenta: stando ai dati diffusi il 15 novembre dall’Ufficio federale di Statistica, nel terzo trimestre di quest’anno il pil della Germania ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,4% del secondo.
Ma non è solo l’AfD a inneggiare nel proprio programma alla “fine delle politiche di salvataggio dell’euro” e all’uscita dalla moneta unica. L’antieuropeismo è ormai penetrato in profondità nell’opinione pubblica tedesca. Negli ultimi tempi gli elettori hanno dimostrato di essere sensibili ad argomenti del genere. Il prossimo anno si voterà per il Bundestag e non è detto che la cancelliera potrà permettersi di rimanere impassibile di fronte a questa realtà. Trascinare Draghi sul banco degli imputati può rappresentare una carta in extremis per arginare la crescita di consensi alla propria destra.
Così la cancelliera va alla guerra contro Draghi
Con le elezioni vicine Berlino teme la destra che conquista consensi bersagliando Ue ed Eurotower
BANCHE E ASSICURAZIONI SOTTO STRESS. ECCO IL VERO MOTIVO DELLE CRITICHE TEDESCHE ALLA BCE
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Berlino ha voltato le spalle al presidente della Bce. Il governo Merkel è meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle elezioni del 2017 in uno scenario insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento: in alcuni Länder la CdU è scesa al di sotto del 20 per cento. La cancelliera deve fare i conti soprattutto con la crescita dei populisti di Alternativa per la Germania (AfD). E se l’apertura delle frontiere ha consentito alla destra di intercettare paure e inquietudini, il battage contro le politiche dell’Ue ha fatto il resto
di Tonino Bucci
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Germania contro Draghi, il governo Merkel volta le spalle al “più prussiano degli italiani” per ragioni politiche
Germania contro Draghi, il governo Merkel volta le spalle al “più prussiano degli italiani” per ragioni politiche
Zona Euro
Il numero uno della Bce è oggetto di attacchi sempre più frequenti per la sua politica monetaria, che secondo Berlino danneggia i contribuenti tedeschi. La cancelliera, che si prepara alle elezioni del 2017 in uno scenario politico instabile, non può permettersi di non prendere posizione mentre i populisti di destra conquistano consensi criticando l'Europa e l'Eurotower
di Tonino Bucci | 17 novembre 2016
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Più informazioni su: Angela Merkel, Bce, Bundesbank, Germania, Inflazione, Mario Draghi, Politica Monetaria, Titoli di Stato
Per due volte nell’arco di un mese il presidente della Bce si è visto costretto a recarsi a Berlino per difendere le proprie scelte. Negli ultimi tempi, all’interno del governo di Angela Merkel e tra gli economisti tedeschi, si sono ingrossate le fila delle voci ostili a Mario Draghi. La materia del contendere riguarda la politica monetaria inaugurata negli ultimi anni sotto il segno del quantitative easing. L’iniezione massiccia di liquidità nelle economie dell’Eurozona attraverso l’acquisto di titoli governativi, il sostegno alla curva dell’inflazione e il ribasso dei tassi d’interesse continuano a essere visti dalla Germania come il fumo negli occhi.
Eppure c’è stato un tempo in cui all’establishment tedesco Draghi andava a genio. Al momento del suo insediamento un giornale d’assalto come la Bild lo poteva ancora celebrare con la massima onorificenza sul campo definendolo il “più prussiano di tutti gli italiani”, uno sulla cui lealtà alle regole del monetarismo si poteva fare affidamento, nonostante le origini mediterranee. Ma erano altri tempi e in Italia s’era appena formato il governo Monti dopo l’era Berlusconi. L’idillio con Berlino si interrompe bruscamente nell’estate del 2012 quando Draghi annunciò un cambio di strategia. L’euro era sotto l’attacco della speculazione finanziaria e paesi come la Spagna e l’Italia rischiano di soccombere sotto il peso degli interessi sul debito pubblico. Il presidente promette sotto gli occhi attoniti della Germania che la Bce farà tutto il necessario per mettere in sicurezza la sopravvivenza della moneta unica, anche a costo di acquistare – se necessario – i titoli di Stato dei paesi investiti dalla crisi. Per i tedeschi l’annuncio di Draghi è come un voltafaccia, oltre che una mossa troppo disinvolta rispetto ai reali poteri accordati dai Trattati dell’Ue alla Bce.
Per tutta risposta, da Berlino cominciano a partire gli attacchi a Draghi dalla stessa maggioranza di governo. Parlamentari della Csu lo definiscono un “falsario“, reo di stampare carta moneta e alimentare l’inflazione. Anche la Bundesbank, principale azionista di riferimento della Bce, si mette di traverso. La convivenza si fa sempre più difficile e cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su presunti dissidi nel board dell’Eurotower. Da allora, esternazioni e critiche diventano una costante, puntuali a ogni giro di vite verso il basso dei tassi d’interesse. Una scelta obbligata secondo Draghi, per scongiurare il rischio di deflazione e rimettere in moto l’economia nella zona euro; una misura, invece, dannosa e penalizzante per i risparmiatori tedeschi, agli occhi di Berlino.
Poi, nell’aprile scorso, con i tassi ormai allo zero, gli attacchi superano il livello di guardia. “La politica di Mario Draghi ha fatto perdere credibilità alla Bce”, dichiara il vicecapogruppo della Cdu-Csu. Berlino invoca un cambio della guardia. “Dopo la fine del suo mandato (ottobre 2019, ndr) il prossimo presidente dovrà essere un tedesco, fedele alla tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Altre voci, stessa lunghezza d’onda, sempre nelle file della Csu: “Un altro come lui non possiamo permettercelo. In futuro avremo bisogno di un esperto di finanza tedesco”. Ma il nemico numero uno di Mario Draghi è molto più in alto. Si chiama Wolfgang Schäuble. Sullo Spiegel esce la notizia che il ministro delle finanze di Angela Merkel starebbe pensando di procedere per vie legali contro il presidente della Bce e la sua “disinvolta” politica monetaria.
Il vento ormai è cambiato e Berlino sembra aver voltato definitivamente le spalle al presidente della Bce. Gli attacchi non sono più voci del sen fuggite, ma un orientamento che chiama in causa la stessa cancelliera. Il governo di Angela Merkel è molto meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle prossime elezioni per il Bundestag, che si terranno nel 2017, in uno scenario politico insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento. In alcuni Länder dove si è votato di recente il partito della Merkel è sceso al di sotto del venti per cento – vedi Berlino, Amburgo e il caso del Mecklenburg–Vorpommern. E se non bastasse, a rendere ancora più incerto il futuro politico della cancelliera è la concorrenza che viene da destra. Ormai la Cdu deve fare i conti con la crescita dei “populisti” di Alternativa per la Germania (AfD), presenti su tutto il territorio nazionale e con risultati in alcuni Länder che superano il venti per cento.
Neanche a dirlo, i due temi rispetto ai quali la cancelliera è maggiormente sotto attacco dell’opposizione alla sua destra sono l’immigrazione e l’Europa, intrecciati in maniera indissolubile l’uno all’altro. Se l’apertura delle frontiere nei mesi scorsi ha consentito ai populisti di intercettare paure e inquietudini nell’elettorato, il battage contro le politiche dell’Ue che strozzano contribuenti e risparmiatori tedeschi ha fatto il resto. Su questa linea l’imputato numero uno è naturalmente lui, Draghi, simbolo di un’Europa che fagocita i popoli in nome della finanza. L’AfD soffia sul fuoco e mette sotto accusa la Bce, ritenuta colpevole di voler trasferire alla Germania il debito pubblico dei paesi inaffidabili del sud Europa acquistandone i titoli di stato. Anche il taglio dei tassi d’interesse è percepito come una politica anti-germanica che erode il risparmio privato e la redditività delle banche tedesche. Questo mentre la crescita economica rallenta: stando ai dati diffusi il 15 novembre dall’Ufficio federale di Statistica, nel terzo trimestre di quest’anno il pil della Germania ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,4% del secondo.
Ma non è solo l’AfD a inneggiare nel proprio programma alla “fine delle politiche di salvataggio dell’euro” e all’uscita dalla moneta unica. L’antieuropeismo è ormai penetrato in profondità nell’opinione pubblica tedesca. Negli ultimi tempi gli elettori hanno dimostrato di essere sensibili ad argomenti del genere. Il prossimo anno si voterà per il Bundestag e non è detto che la cancelliera potrà permettersi di rimanere impassibile di fronte a questa realtà. Trascinare Draghi sul banco degli imputati può rappresentare una carta in extremis per arginare la crescita di consensi alla propria destra.
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Re: La crisi dell'Europa
Dopo il 4 dicembre , sia che vinca il No sia che vinca il Sì, Matteo farà ciò che dirà l'UE come ha sempre fatto-
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Re: La crisi dell'Europa
Repubblica 18.11.16
L’effetto Trump sbarca in Francia
“Un duello Sarkozy Le Pen per l’Eliseo rallegrerebbe l’inquilino della Casa Bianca
Si delinea una destra conservatrice”
di Bernardo Valli
L’HARAKIRI o seppuku, il taglio del ventre dove risiede l’anima, è il suicidio rituale con il quale si vuole espiare una colpa o sfuggire al disonore, praticato in particolare dai samurai. Ma non soltanto. Cerimonia estrema ormai in disuso, o molto rara, in Giappone, sembra diventata di moda nelle nostre democrazie. L’espressione “di moda” può sembrare un po’ frivola per un rito che non lo è affatto nella versione originaria. Essa si addice invece alla versione occidentale che non implica spargimento di sangue e tanto meno la morte fisica. In gioco è la morte politica. Assomiglia a un harakiri o seppuku soft quello che compiono gli esponenti dei partiti che condannano l’élite, la casta, l’establishment di cui sono o sono stati la massima espressione.
UCCIDONO la loro politica, quella che hanno praticato, animato, rappresentato. Uccidono se stessi. A farsi l’harakiri versione occidentale sono loro. Si sono dimezzati come il visconte, metà buono metà cattivo, del romanzo di Italo Calvino. La metà che giudicano cattiva di se stessi la ripudiano, perché impopolare. È come se nel passato al governo ci fossero stati i loro fantasmi, nel frattempo evaporati. Nel migliore dei casi si infliggono un’inconscia o meglio un’ipocrita autoflagellazione tesa a colpire i sentimenti del popolo in collera contro chi governa o ha governato, e soddisfatto di sentirne i mea culpa.
Il linguaggio stile Trump, con variabile violenza, più o meno assordante, fa breccia da tempo, prima ancora che Trump comparisse sulla ribalta politica. È una droga con effetti devastanti nella democrazia che perde via via pezzi di rispettabilità, come un malato i riflessi. Dei discorsi politici si ascolta soltanto la parte che si vuole ascoltare. E i responsabili politici si adeguano.
Ho sotto gli occhi la campagna per le primarie della destra destinate a scegliere, in Francia, il candidato alle elezioni presidenziali del maggio prossimo. Nicolas Sarkozy, impegnato nel tentativo di recuperare la presidenza della Repubblica perduta quattro anni fa, condanna nei comizi l’élite responsabile della crisi che investe la società. Non risparmia nessuno. Attacca «i feudi politici, professionali, giornalistici ». I quali, sia pure addizionati, non esprimono secondo lui la volontà popolare. Di cui si sente il rappresentante. Questi propositi fanno di Sarkozy un samurai incruento che pratica un harakiri affondando una spada virtuale nel ventre del fantasma di se stesso. Tanti leader politici, di varia nazionalità, recitano lo stesso copione. Lui è un ex capo dello Stato, un ex ministro di numerosi governi, un ex sindaco, un fondatore e capo di partito. Nessuno più di lui fa parte dell’élite che copre di improperi. Sarkozy saprà domenica, dopo il primo turno delle primarie di centro destra, se sarà ammesso al ballottaggio della domenica successiva, 27 novembre, quando sarà designato il candidato della destra repubblicana alle presidenziali di maggio. Si parla spesso a vanvera di populismo. Si abusa della parola. Due sono i punti fermi per definirne l’edizione odierna: 1)pretendere di detenere il monopolio della volontà popolare contro tutte le altre espressioni politiche, ritenute disoneste e incapaci; 2) rivolgersi al popolo come se fosse qualcosa di omogeneo, senza diversità, così com’era considerato prima del contratto sociale, da cui è nato lo spirito della democrazia. Nicolas Sarkozy riempie i due requisiti. È quasi esemplare.
Per ritornare nel Palazzo dell’Eliseo deve conquistare i voti del Front National di Marine Le Pen, alla quale i pronostici garantiscono un posto al ballottaggio di maggio, quando sarà eletto il successore del socialista François Hollande. Il candidato della destra repubblicana dovrà con tutta probabilità affrontare la candidata di estrema destra. Sarkozy si prepara alla sfida ma il designato ad affrontare Marine Le Pen potrebbe essere un altro. Gli contende il posto Alain Juppé. Il quale tiene un altro discorso. È l’esponente di una destra non inquinata dal populismo. Lui non si fa l’harakiri. Se Sarkozy cerca di recuperare i voti del Front National adottando un linguaggio simile a quello di Marine Le Pen, a volte superandolo nel populismo, Juppé non trascura gli elettori del centro, e penso non disdegni quelli di sinistra che rischiano di essere orfani (la sinistra essendo fuori gioco), e che lo preferiscono a Sarkozy.
La stagione elettorale francese consente di misurare l’impatto in Europa della vittoria di Donald Trump. La politologia si è mobilitata per scoprire le tracce del virus politico che ha colpito gli Stati Uniti. Dopo l’allarme dei primi giorni, sollecitato dalle dichiarazioni entusiaste di Marine Le Pen, un’ampia indagine d’opinione ha rivelato che il numero dei francesi ansiosi di sconfiggere il sistema, cioè la casta, l’élite, l’establishment, non è aumentato dopo il successo del miliardario americano. Il Front National conserverebbe poco meno di un terzo dell’elettorato (29%), vale a dire meno della destra repubblicana (34-35%) con Alain Juppé candidato. La sinistra riformista è fuori gioco (12-14%) in tutti i casi, che François Hollande decida di ricandidarsi, o che al suo posto ci sia il primo ministro Manuel Valls. Le due destre, quella repubblicana e quella estrema dominano la scena elettorale e il confronto finale avverrà tra i loro campioni.
Ma prima del voto di maggio, ci sono le primarie (aperte) di sinistra e di destra. Quest’ultime possono essere decisive. Domenica prossima quelle di destra dovrebbero lasciare in gara per il posto di candidato alla presidenza Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. Insidiati dall’ex primo ministro François Fillon alle loro spalle con i voti virtuali. Il prevalere di Sarkozy, con il suo discorso nettamente populista, rivelerebbe che l’impatto della vittoria di Donald Trump non è poi stato tanto insignificante in Francia. Un duello finale Sarkozy-Le Pen rallegrerebbe il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma Alain Juppé supera per ora (36 a 29) il rivale. Resta tuttavia una grande incertezza, sia per la scarsa affidabilità delle indagini d’opinione, sia per l’ancora incompleto numero dei candidati. Trump o non Trump, anche in Francia, e forse in Europa, si delinea una destra conservatrice che tende a rafforzare la pubblica autorità e il ruolo nazionale. Questi sono gli altri aspetti del populismo del nostro tempo.
L’effetto Trump sbarca in Francia
“Un duello Sarkozy Le Pen per l’Eliseo rallegrerebbe l’inquilino della Casa Bianca
Si delinea una destra conservatrice”
di Bernardo Valli
L’HARAKIRI o seppuku, il taglio del ventre dove risiede l’anima, è il suicidio rituale con il quale si vuole espiare una colpa o sfuggire al disonore, praticato in particolare dai samurai. Ma non soltanto. Cerimonia estrema ormai in disuso, o molto rara, in Giappone, sembra diventata di moda nelle nostre democrazie. L’espressione “di moda” può sembrare un po’ frivola per un rito che non lo è affatto nella versione originaria. Essa si addice invece alla versione occidentale che non implica spargimento di sangue e tanto meno la morte fisica. In gioco è la morte politica. Assomiglia a un harakiri o seppuku soft quello che compiono gli esponenti dei partiti che condannano l’élite, la casta, l’establishment di cui sono o sono stati la massima espressione.
UCCIDONO la loro politica, quella che hanno praticato, animato, rappresentato. Uccidono se stessi. A farsi l’harakiri versione occidentale sono loro. Si sono dimezzati come il visconte, metà buono metà cattivo, del romanzo di Italo Calvino. La metà che giudicano cattiva di se stessi la ripudiano, perché impopolare. È come se nel passato al governo ci fossero stati i loro fantasmi, nel frattempo evaporati. Nel migliore dei casi si infliggono un’inconscia o meglio un’ipocrita autoflagellazione tesa a colpire i sentimenti del popolo in collera contro chi governa o ha governato, e soddisfatto di sentirne i mea culpa.
Il linguaggio stile Trump, con variabile violenza, più o meno assordante, fa breccia da tempo, prima ancora che Trump comparisse sulla ribalta politica. È una droga con effetti devastanti nella democrazia che perde via via pezzi di rispettabilità, come un malato i riflessi. Dei discorsi politici si ascolta soltanto la parte che si vuole ascoltare. E i responsabili politici si adeguano.
Ho sotto gli occhi la campagna per le primarie della destra destinate a scegliere, in Francia, il candidato alle elezioni presidenziali del maggio prossimo. Nicolas Sarkozy, impegnato nel tentativo di recuperare la presidenza della Repubblica perduta quattro anni fa, condanna nei comizi l’élite responsabile della crisi che investe la società. Non risparmia nessuno. Attacca «i feudi politici, professionali, giornalistici ». I quali, sia pure addizionati, non esprimono secondo lui la volontà popolare. Di cui si sente il rappresentante. Questi propositi fanno di Sarkozy un samurai incruento che pratica un harakiri affondando una spada virtuale nel ventre del fantasma di se stesso. Tanti leader politici, di varia nazionalità, recitano lo stesso copione. Lui è un ex capo dello Stato, un ex ministro di numerosi governi, un ex sindaco, un fondatore e capo di partito. Nessuno più di lui fa parte dell’élite che copre di improperi. Sarkozy saprà domenica, dopo il primo turno delle primarie di centro destra, se sarà ammesso al ballottaggio della domenica successiva, 27 novembre, quando sarà designato il candidato della destra repubblicana alle presidenziali di maggio. Si parla spesso a vanvera di populismo. Si abusa della parola. Due sono i punti fermi per definirne l’edizione odierna: 1)pretendere di detenere il monopolio della volontà popolare contro tutte le altre espressioni politiche, ritenute disoneste e incapaci; 2) rivolgersi al popolo come se fosse qualcosa di omogeneo, senza diversità, così com’era considerato prima del contratto sociale, da cui è nato lo spirito della democrazia. Nicolas Sarkozy riempie i due requisiti. È quasi esemplare.
Per ritornare nel Palazzo dell’Eliseo deve conquistare i voti del Front National di Marine Le Pen, alla quale i pronostici garantiscono un posto al ballottaggio di maggio, quando sarà eletto il successore del socialista François Hollande. Il candidato della destra repubblicana dovrà con tutta probabilità affrontare la candidata di estrema destra. Sarkozy si prepara alla sfida ma il designato ad affrontare Marine Le Pen potrebbe essere un altro. Gli contende il posto Alain Juppé. Il quale tiene un altro discorso. È l’esponente di una destra non inquinata dal populismo. Lui non si fa l’harakiri. Se Sarkozy cerca di recuperare i voti del Front National adottando un linguaggio simile a quello di Marine Le Pen, a volte superandolo nel populismo, Juppé non trascura gli elettori del centro, e penso non disdegni quelli di sinistra che rischiano di essere orfani (la sinistra essendo fuori gioco), e che lo preferiscono a Sarkozy.
La stagione elettorale francese consente di misurare l’impatto in Europa della vittoria di Donald Trump. La politologia si è mobilitata per scoprire le tracce del virus politico che ha colpito gli Stati Uniti. Dopo l’allarme dei primi giorni, sollecitato dalle dichiarazioni entusiaste di Marine Le Pen, un’ampia indagine d’opinione ha rivelato che il numero dei francesi ansiosi di sconfiggere il sistema, cioè la casta, l’élite, l’establishment, non è aumentato dopo il successo del miliardario americano. Il Front National conserverebbe poco meno di un terzo dell’elettorato (29%), vale a dire meno della destra repubblicana (34-35%) con Alain Juppé candidato. La sinistra riformista è fuori gioco (12-14%) in tutti i casi, che François Hollande decida di ricandidarsi, o che al suo posto ci sia il primo ministro Manuel Valls. Le due destre, quella repubblicana e quella estrema dominano la scena elettorale e il confronto finale avverrà tra i loro campioni.
Ma prima del voto di maggio, ci sono le primarie (aperte) di sinistra e di destra. Quest’ultime possono essere decisive. Domenica prossima quelle di destra dovrebbero lasciare in gara per il posto di candidato alla presidenza Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. Insidiati dall’ex primo ministro François Fillon alle loro spalle con i voti virtuali. Il prevalere di Sarkozy, con il suo discorso nettamente populista, rivelerebbe che l’impatto della vittoria di Donald Trump non è poi stato tanto insignificante in Francia. Un duello finale Sarkozy-Le Pen rallegrerebbe il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma Alain Juppé supera per ora (36 a 29) il rivale. Resta tuttavia una grande incertezza, sia per la scarsa affidabilità delle indagini d’opinione, sia per l’ancora incompleto numero dei candidati. Trump o non Trump, anche in Francia, e forse in Europa, si delinea una destra conservatrice che tende a rafforzare la pubblica autorità e il ruolo nazionale. Questi sono gli altri aspetti del populismo del nostro tempo.
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