Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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La lunga agonia italiana – 19
Un drammatico vuoto di potere - 10

I giorni della follia - 9




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21 SET 2013 16:20
1. MENTRE VA IN ONDA LA GRANDE TRUFFA POLITICA E MEDIATICA DELLA RIPRESA ECONOMICA, CHE PURTROPPO IN ITALIA NON C'È E NON CI SARA’, RE GIORGIO II E LETTA NIPOTE DECIDONO CHE BISOGNA FARE DI TUTTO PER ARRIVARE AL 2015 MA NON A TUTTI I COSTI -

2. ED ECCO COME IL NIPOTE PREMIER VA ALL'ATTACCO: HA CHIESTO AL SUO PORTABORSE SUDARIO FRANCESCHINI DI PREPARARE I PASSI NECESSARI PER PRESENTARE UN AGGIORNAMENTO DEL PROGRAMMA ALLE CAMERE E AVERE UN NUOVO VOTO DI FIDUCIA -

3. I CATA-FALCHI DI FORZA ITALIA CHIEDONO A BERLUSCONI DI LASCIARE ALFANO AL PDL - 4. LA VERA PAURA DEL FIDANZATO DELLA PASCALE: L'ATTACCO FINALE DELLA MAGISTRATURA CON LA "GRANDE RETATA" DI CHI, IN POLITICA E NON, E' A LUI RICONDUCIBILE, SECONDO QUANTO AFFIORATO CON INDIZI CONSISTENTI IN MOLTEPLICI INCHIESTE -



DAGOREPORT


Conti pubblici a parte, Re Giorgio II Napolitano e Letta Enrico si sono trovati ieri sera perfettamente d'accordo: bisogna fare di tutto per arrivare al 2015, ma non a tutti i costi. E non puo' continuare, si sono detti, lo stillicidio quotidiano di dichiarazioni e di repliche che tengono costantemente in fibrillazione il quadro politico e attizzano i mercati dando un senso di provvisorieta' in cui non si capisce ormai più dove inizia e finisce la propaganda e da dove invece si fa sul serio.

Una situazione insostenibile per qualunque Paese e in primo luogo per il nostro: debole, fragile e con uno dei più grandi debiti pubblici del mondo nel bel mezzo di una "crisi epocale" che ha messo in ginocchio famiglie, imprese, commercio e consumi. E che sta subendo insieme al danno anche la beffa: per isolare e costringere a miti consigli il condannato Berlusconi Silvio un quasi impercettibile rallentamento della caduta rispetto all'anno scorso si sta trasformando nel governo, in chi lo difende e nei media compiacenti nella "ripresa economica che non va messa a rischio". Una grande truffa politica e mediatica, peraltro abbastanza inutile visto che il Cav non Cav e' il primo a preoccuparsi dei reali interessi delle sue aziende.

Chi ha assistito all'incontro tra i due presidenti, il valido anziano al secondo mandato e il giovane che non vuole restare schiacciato dal successo di essere arrivato a palazzo Chigi, racconta che i due non si sono fermati all'analisi, hanno delineato anche le prossime mosse per dire basta sul serio alla palude attuale: o le larghe intese sono vera condivisione di un percorso comune per affrontare e risolvere nodi strutturali che da sola nessuna parte politica e' in grado di fare, oppure ognuno per la propria strada.

E Letta nipote e' stato incaricato di dirlo chiaro e tondo a Letta zio oggi. Anche perché il primo non ha nessuna intenzione di bollire a fuoco lento a causa delle intemperanze berlusconiane e delle tensioni interne al Pd e dunque sta pensando davvero di giocare d'anticipo o, come lui ha detto testualmente, d'attacco.

In cosa consiste l'attacco di Letta nipote, concordato con Re Giorgio II? Se dopo la benedizione di Obama e la rappresentazione di lunedi prossimo a New York sull'attrazione di investimenti esteri in Italia davanti a capi azienda italiani che stanno volando in queste ore sull'Atlantico per quello, il quadro politico non avrà una inversione di tendenza, il premier ha già detto a Franceschini Dario, ministro per i Rapporti con il Parlamento, di apprestare una modalità per presentarsi davanti alle Camere con un programma di governo aggiornato alla luce delle rilevanti novità delle ultime settimane. Al termine del dibattito, Camera e Senato sarebbero chiamati ad esprimere il proprio voto, di sostegno o di dissenso.

Cosa succederebbe in tal caso, e come reagirebbero le forze politiche? Certo, sarebbe una occasione ghiotta per i falchi del Pdl che spererebbero, soprattutto al Senato, di cogliere un risultato che inseguono ormai da mesi.

Ma i cata-falchi non tengono conto del fatto che la provvisorietà non riguarda solo il governo e la sua maggioranza ma soprattutto le pseudo forze politiche in campo, nessuna esclusa. I fronti aperti sono tanti: nell'ordine, gli assetti di potere e organizzativi che dovranno confluire negli organigrammi del Pdl/Forza Italia con equilibri difficilissimi se non impossibili da comporre; le incognite di un insidioso percorso congressuale del Pd;

la fine pluriannunciata di Scelta Civica che deve scegliere solo il giorno in sui si scioglie in tre tronconi, un pezzo verso Renzi Matteo, un pezzo verso l'Udc/Ppe, un pezzo fedele a Monti che in Europa ora guarda ai liberali; la probabile scissione nel Movimento 5 Stelle che, in particolare nel decisivo Senato, ribolle di colpi e contraccolpi anche sotto la cintura con l'assoluta consapevolezza da parte di tutti i non allineati al verbo di Grillo Beppe e di Casaleggio Roberto che o fanno rapidamente qualcosa o la loro sorte e' inesorabilmente segnata per essere già stati cancellati con un tratto di penna dagli organigrammi del M5S dove trovano posto solo i super fedelissimi dei due paraguru.

Unica certezza a favore della stabilità gli inviti ai "terzisti" rivolti dal vecchio dc De Rita Giuseppe ad appoggiare il governo e il sempre piu' esteso radicamento della "maggioranza silenziosa" di Naccarato Paolo.

Letta Enrico si prepara dunque ad andare in Parlamento per cercare di confermare il suo governo mettendo, almeno per sei mesi, un freno ad una situazione di conflittualita' verso la sua azione che tanto danno sta producendo anche all'economia, ma sa che non ci saranno bluff perche' i numeri saranno la sola verità: o ottiene una fiducia convinta oppure soccombe.

Intanto, Berlusconi Silvio nonostante l'umore depresso e le paure che lo accompagnano, non sta con le mani in mano nelle ultime settimane di movimenti liberi che ha prima dei domiciliari e dei servizi sociali. Giovedì sera ha incontrato gli inquieti senatori siciliani del Pdl, i quali hanno ribadito chiaro e tondo al leader in pre-cattivita' due cose semplici e nette: leali e fedeli fino in fondo a sua difesa ma leali a questo governo che deve proseguire il suo lavoro: no alla decadenza del collega senatore Berlusconi ma anche no alla sfiducia al governo.

Lo stesso Berlusconi ha dovuto alla fine abbozzare e Alfano, che era presente, cercare di attutire, ma la strada delle colombe (di cui i siciliani sono la truppa piu' consistente e compatta) e' tracciata in modo chiaro e non ci saranno variabili tanto che la banda dei quattro che capeggia i cata-falchi e' ritornata alla carica su Silvio per escludere Alfano dall'organigramma di vertice di Forza Italia, ovvero di lasciarlo segretario del Pdl insieme a tutti coloro i quali volessero avere uno strumento di alleanza e aggregazione di tutte le forze che si riconoscono nel centro destra, distinte dalla rediviva Forza Italia.

Ma i siciliani hanno detto qualcosa in più a Berlusconi: gli hanno detto per esempio che non è piaciuto affatto il discorso in cassetta diffuso l'altro giorno, non a caso scritto parola per parola dal duo Bondi e Capezzone, mentre è piaciuto molto di più il discorso più spontaneo fatto all'inaugurazione della nuova sede di San Lorenzo in Lucina, sempre più mausoleo di ricordi e di una realtà che non c'e' più e non sede operativa di un partito d'attacco non al governo ma ai problemi del Paese che esclude i più e premia solo pochi super fedelissimi al Capo.

Infatti tanti parlamentari erano preoccupati e pensierosi la sera della inaugurazione della nuova sede di piazza San Lorenzo in Lucina perché è venuto meno il collante di appartenenza, non essendoci più un quadro di garanzie politiche, e sottolineavano politiche, per il futuro di ciascuno di loro dentro un quadro d insieme che ha in Berlusconi Silvio ancora il punto più alto di riferimento ma che è fatto di tante esigenze e di tanti equilibri che praticamente sono saltati tutti e ognuno pensa a se' e a cosa gli conviene nel breve periodo.

Si, nel breve periodo perché la banda dei quattro e' ben salda in una alleanza strategica con gli odiati comunisti di Bersani Pierlugi e con l' impazienza di Renzi Matteo e che apertamente puntano a portare il Paese alle elezioni la prima domenica di marzo 2014 e faranno di tutto per alimentare tensioni e mettere a ferro e fuoco il quadro politico per rendere ineluttabile questo percorso.

A chi lo ha visto nel suo ritorno a Roma dei giorni scorso e' apparso incerto, molto incerto sul futuro a breve. Non è affatto convinto che le elezioni siano il toccasana, anzi diversi suoi fidatissimi amici non italiani gli hanno detto con chiarezza che una crisi di governo nel pieno della "crisi epocale" sarebbe una vera catastrofe finanziaria per l'Italia ma anche per Mediaset, Fininvest e Mondadori che già vivono una pesante situazione di indebitamento, che devono dare circa mezzo miliardo all'odiato De Benedetti Carlo e che soffrono come e più degli altri editori nella raccolta pubblicitaria.

Tale situazione, unità alle diverse vicende giudiziarie, impaurisce sempre di più il Faraone in cattività, lo rende incerto e appannato. Da qui anche la poca convinzione nel rilanciare un disegno politico nel quale in fondo non crede più nemmeno lui. Sa che è la banale riproposizione di temi triti e ritriti dell'ultimo ventennio, quelli che semmai possono essere identificati proprio come il fallimento di quel liberalismo che il grande commerciante aveva venduto agli italiani negli anni novanta ma che oggi trova sempre meno compratori perché trattasi di un prodotto usurato proprio da anni di vane promesse.

Sempre chi lo ha visto nella ventiquattrore romana spiega anche l'eccesso di aggressività del video messaggio nei confronti della magistratura con la preoccupazione e la paura che nelle prossime settimane l'offensiva giudiziaria sferri l'attacco finale: non tanto e non solo direttamente verso di lui quanto rispetto a tutti coloro i quali a lui possono essere riconducibili, sul piano politico e non, sulla base di elementi che sarebbero confortati da indizi consistenti, se non prove evidenti, affiorati in molteplici inchieste.

L'epitaffio di un eventuale bis di Moretti Nanni, dopo il Caimano, in tal caso non potrebbe essere altro che "La grande Retata", un epilogo comunque triste per il Paese e per chi in buona fede nell'ultimo ventennio ha dato retta al grande commerciante e ai suoi mediocri venditori.


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camillobenso
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I giorni della follia - 10


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1. INCIUCIO FERROVIARIO: DALL’INCHIESTA SULLA ZARINA ROSSA LORENZETTI SALTANO FUORI, PER LA PRIMA VOLTA UFFICIALMENTE, UN FATTO CHE LETTANIPOTE HA SEMPRE NEGATO: SI SENTE ABITUALMENTE CON LO ZIA GIANNI PER LE TRATTATIVE SULLE NOMINE

2. 2012: PER L’AUTHORITY DEI TRASPORTI MONTI SI ACCORDA CON ZIO E NIPOTE: DE LISE (TENDENZA GIANNI) E SEBASTIANI (TENDENZA ENRICO). MA I DALEMIANI FANNO SALTARE TUTTO!

3. LA LORENZETTI TELEFONA A LETTANIPOTE: “PERCHÉ NON MI APPOGGI?”. ENRICHETTO: “MIO ZIO DIFENDE DE LISE A SPADA TRATTA, SE LO FATE FUORI SALTANO TUTTI. E CON SEBASTIANI ABBIAMO FATTO UNA FIGURACCIA! IO NON SO LA TUA COSA COME SIA NATA”

4. A SOSTEGNO DELLA DALEMONA LORENZETTI SI MUOVE L’ALTRA DALEMONA ANNA FINOCCHIARO. MA LA GUERRA DENTRO AL PD BLOCCA LE NOMINE PER OLTRE UN ANNO…


Fiorenza Sarzanini per "Il Corriere della Sera"

Nel settembre 2012 ci fu un pesantissimo scontro politico per la nomina del presidente dell`Authority per i Trasporti anche all`interno del Partito democratico. I retroscena di quella disputa emergono dalle intercettazioni allegate agli atti dell`inchiesta di Firenze che nei giorni scorsi ha fatto finire in carcere Maria Rita Lorenzetti, l`ex governatrice dell`Umbria poi diventata presidente della società Italferr, accusata di corruzione.

Fu proprio lei, a chiamare Enrico Letta - all`epoca vicesegretario del Pd - per lamentarsi della sua mancata nomina al vertice dell`Ente di vigilanza e garanzia. «La Lorenzetti - annotano i carabinieri del Ros delegati all`indagine - riteneva che il suo nome fosse invece sostenuto principalmente dalla senatrice Anna Finocchiaro».

E dunque, quando vede sfumare la propria candidatura chiama Letta che risponde: «Lì c`è uno scontro dentro il Pdl, nel senso che dentro il Pdl mio zio, che difende De Lise a spada tratta, dice "muoia Sansone con tutti i filistei", quindi se fate fuori De Lise saltano tutti». Il riferimento è a Pasquale De Lise, il presidente del Consiglio di Stato ritenuto favorito perché sponsorizzato dagli uomini più vicini a Silvio Berlusconi, ma alla fine escluso proprio per l`ostilità manifestata dalle opposizioni.

Aggiunge Letta durante la telefonata: «Ho l`impressione che ci sia stata un po` di superficialità nella gestione della cosa. Io so per certo che siccome questa non è come l`Autorità della privacy che sono i partiti che si mettono d`accordo e fanno i nomi, questa è una nomina del Governo e io so per certo che il Governo non farà mai una terna tra virgolette politica».

L`attuale premier in un`altra telefonata con la Lorenzetti le spiega anche che «abbiamo fatto una figuraccia» perché Mario Sebastiani «è venuto da noi, da me e da Bersani, dicendo "voi mi avete garantito, tirato fuori eccetera e adesso sento dire che salta l`operazione perché il Pd ha altri candidati", perché dentro la commissione questo è quello che gli hanno detto».

Alla collega di partito Letta spiega che c`è una «divisione nel Pdl, rispetto a questa cosa è partito Vito Riggio, presidente dell`Enac, come un ossesso, immaginando di poter fare lui l`operazione... questo per recuperare la presidenza. Dopodiché io non so la tua cosa come sia nata. Dopodiché, diciamo, il meccanismo che si è messo in moto è stato quello di un forcing pesante, questo forcing a noi ha creato due ordini di problemi, il primo la figuraccia con Sebastiani e per un altro verso, che è il tema più rilevante di cui questa cosa... l`ho detta ad Anna, ho l`impressione che ci sia stata un po` di superficialità nella gestione della cosa».

In serata da palazzo Chigi si tiene a precisare che «non c`è bisogno di intercettazioni perché è noto a tutti coloro che in quei giorni si occuparono della vicenda, che Enrico Letta da vicesegretario del Pd si batté contro nomine politicizzate per una Authority che, invece, a suo avviso, doveva e deve avere una forte caratura tecnica. In particolare Letta si pronunciò contro la candidatura della Lorenzetti, così come contro quella di tutti coloro che avrebbero politicizzato l`Authority».

Le cronache di quei giorni fanno emergere lo stallo durato quattro mesi per cercare di eleggere De Lise e poi, proprio a settembre, la decisione di ritirare la terna di candidati della quale - oltre al presidente del Consiglio di Stato - faceva parte proprio Sebastiani.



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MASSIMO D'ALEMA DIRIGE L'ORCHESTRA ANNA FINOCCHIARO NON L'ASCOLTA


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camillobenso
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La lunga agonia italiana – 21
Un drammatico vuoto di potere - 12

I giorni della follia - 11



Primi scricchiolii da implosione.

Il sistema sta riproducendo la durata dei governi democristiani.



IL MINISTRO REAGISCE ALLE PRESSIONI DI PDL E PD. «SO COSA FARE, MA SE SI VOTA È TUTTO INUTILE»
Saccomanni pronto a lasciare
«Basta compromessi». Inevitabile l'aumento dell'Iva



( f. de b. ) - Sono ore drammatiche per il governo Letta. L'amara e onesta constatazione di aver infranto, seppur di poco, il limite del 3 per cento nel deficit 2013, a pochi mesi dall'uscita dalla procedura europea, e con l'incubo di ritornarci subito, ha creato nell'esecutivo un'atmosfera nella quale la delusione si mischia all'impotenza. L'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento dal primo ottobre non appare più evitabile, e nemmeno rinviabile. Il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni lo ha detto con chiarezza sia al premier Letta, sia al presidente della Repubblica. Non accetterà altri compromessi. Ed è pronto a dimettersi. La lettera non l'ha ancora scritta, ma è come se lo avesse già fatto. La tentazione di formalizzarla è cresciuta dopo aver letto le dichiarazioni di Epifani, a cui si sono aggiunte ieri quelle di Alfano, entrambi fermamente contrari al ritocco dell'Iva.


Quello che amareggia di più il titolare dell'Economia, poco avvezzo alle liturgie della politica, è il sentirsi dire in privato una cosa, specialmente dall'esponente pdl, e ascoltare poche ore dopo in pubblico l'esatto contrario. Un po' di gioco delle parti è comprensibile, ma qui siamo alle acrobazie più estreme. Il disagio è forte. La voglia di andarsene, altrettanto: «Ho una credibilità da difendere e non ho alcuna mira politica».
Il pensiero di Saccomanni è così riassumibile. Dobbiamo trovare subito 1,6 miliardi per rientrare di corsa nei limiti del 3 per cento. Poi si dovrà concordare una tregua su Iva e Imu, rinviando la questione al 2014 con la legge di Stabilità che va presentata entro il 15 ottobre. Se si agisce subito, è sperabile che l'effetto sui tassi d'interesse sia positivo e si possa finire l'anno con un dato consuntivo sul deficit ben inferiore al maledetto limite del 3 per cento, grazie ad alcune operazioni già allo studio, come una serie di privatizzazioni, e la rivalutazione delle quote della Banca d'Italia oggi a bilancio degli istituti che ne detengono il capitale per cifre irrisorie. Una volta aggiornate le quote di via Nazionale ne beneficerebbe anche l'Erario. Solo così si potrebbe aprire una seria prospettiva per la riduzione delle tasse e rendere praticabile un sostegno alle imprese con l'alleggerimento del cosiddetto cuneo fiscale. Ma questo presuppone che non si vada a votare presto, altrimenti è tutto inutile. E oltre alle sanzioni del mercato, avremmo anche le multe dell'Unione Europea.
Anche l'ipotesi di differire l'aumento dell'Iva a fine anno è poco praticabile. Nemmeno se aumentassimo la benzina di 15 centesimi - è l'esempio che propone il ministro - riusciremmo a incassare l'equivalente. Ma, si obietta, dopotutto si tratta di un miliardo. Poca cosa rispetto a una spesa pubblica anormalmente dilatata, all'apparenza granitica, incomprimibile. Il coraggio di tagliare veramente non c'è. Già, la spesa pubblica. Qui il ministro non si trattiene da un piccolo sfogo. D'accordo, la colpa dello sforamento del limite del 3 per cento sarà tutta dell'instabilità politica, come ripete Letta un giorno sì e l'altro pure, ma se guardiamo bene a quello che è accaduto da maggio in poi ci accorgiamo che la cinghia non l'abbiamo proprio tirata del tutto. Anzi. Saccomanni ricorda che negli ultimi mesi sono stati reperiti già ben 12 miliardi per far fronte alle varie misure. Necessarie, vitali per tentare di affrontare la crisi e sperare nella ripresa, per carità. Ma con il conto dei vari incentivi, del rifinanziamento della cassa integrazione, per non parlare dello sblocco dei pagamenti arretrati della pubblica amministrazione che affluiscono alle imprese - finalmente in questi giorni, con effetti positivi sulla congiuntura - si sono esauriti i margini. Finiti. La piccola eredità del governo Monti (che alla luce degli ultimi dati di finanza pubblica non ne esce proprio così male) non c'è più. «Io non mi metto alla disperata ricerca di un miliardo se poi a febbraio si va a votare. Tutto inutile se una campagna elettorale è già iniziata».

La preoccupazione del ministro dell'Economia delle larghe intese, che il capogruppo alla Camera del Pdl Brunetta si ostina a considerare una sorta di tecnico prestato alla bisogna (con le reazioni personali che sono facilmente immaginabili) è quella che il clima politico non consenta più un discorso serio sulle finanze pubbliche, proprio nel momento in cui si cominciano a vedere i frutti dei sacrifici e il dividendo delle poche scelte rese possibili. Un vero peccato, ma soprattutto una dimostrazione di completa irresponsabilità nazionale. Saccomanni è sconcertato dal dilagante populismo antieuropeo. La retorica dei sacrifici chiesti dall'Europa senza mai dire che il rispetto degli impegni è scritto in leggi e decreti votati dal Parlamento e il pareggio di bilancio è addirittura una norma costituzionale. Avanti così e ci siederemo al tavolo a Bruxelles con poche possibilità di strappare condizioni più favorevoli (non a caso l'allentamento del 3 per cento di cui si parla in questi giorni per i Paesi ad alta disoccupazione non riguarderebbe l'Italia, come se il problema non ci toccasse direttamente). «Gli impegni vanno rispettati, altrimenti non ci sto».

Parlando a Cernobbio, al workshop Ambrosetti, all'inizio del mese, il ministro aveva ricordato le condizioni poste a Letta per accettare di lasciare la direzione generale della Banca d'Italia e trasferirsi in via Venti Settembre: il rigore nei conti. Dunque, se i partiti vogliono riaprire irresponsabilmente i rubinetti della spesa lo facciano pure, ma non con la sua firma. Anche le parti sociali hanno le loro responsabilità. A parole tutti d'accordo sulle riforme, poi c'è la fila al ministero per incentivi ed esenzioni. Più serio - termina Saccomanni - il giovane re d'Olanda Willem-Alexander, che commentando il bilancio pubblico ha detto: lo stato sociale non è più sostenibile, occupatevene seriamente prima che sia troppo tardi.
E noi qui facciamo finta di non avere né debiti né scadenze...
(f. de b. )
©

22 settembre 2013 | 8:23
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http://www.corriere.it/economia/13_sett ... ffa4.shtml


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mariok

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Messaggio da mariok »

eugenio scalfari ha scritto:... una redistribuzione del reddito che faccia diminuire le diseguaglianze e rilanci lavoro e produttività.
Questo è anche il programma di Letta ma la differenza è nei tempi di realizzazione. Letta procede con lentezza secondo il Pd.
L'ennesimo endorsement di Scalfari a Letta-Napolitano. Secondo lui il problema sarebbe solo di lentezza, non di direzione. Eppure l'unica cosa che si è vista finora è l'eliminazione dell'IMU anche per i proprietari di ville e di appartamenti di grande pregio nei centri storici (a proposito, quanti politici possiedono questo tipo di case?), con l'istituzione di una "Service tax" a carico di tutti, compresi gli inquilini che una casa non ce l'hanno. E questa sarebbe "una redistribuzione del reddito che faccia diminuire le diseguaglianze"?


Napolitano, Letta, Draghi: lo scudo Italia-Europa

di EUGENIO SCALFARI

PER cominciare prendo le mosse da due citazioni tratte dal “Diario” di Friedrich Hebbel: «La caparbietà è il più economico surrogato del carattere » e «la massa non fa progressi ».

Una gran parte dell’odierna situazione italiana è racchiusa in questi aforismi. La caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso, i propri interessi e la loro prevalenza rispetto ad ogni altro obiettivo fa premio su ogni altro aspetto del suo carattere, anzi è il suo carattere.
Quanto alle masse, esse mantengono la loro natura attraverso lo scorrere del tempo; nel caso specifico continuano ad essere affascinate e sedotte dalla demagogia, dalle promesse sempre riaffermate e mai mantenute, delle quali è intessuta la storia d’Italia nei decenni e addirittura nei secoli che stanno alle nostre spalle. Gli individui possono cambiare ed evolvere, le masse no; i loro comportamenti sono ripetitivi e i voti incassati dal Pdl e da Grillo ne sono la prova. Ancora una volta la demagogia seduce identificando in un singolo uomo la sorte di un intero Paese, mentre lo spirito critico che dovrebbe essere il lievito della democrazia si rintana nell’indifferenza e nel prevalere degli interessi particolari su quello generale.

Questi malanni non sono un’affezione soltanto italiana, se ne trovano tracce nel mondo intero, ma qui da noi hanno un’intensità e un’ampiezza molto più marcata che altrove, definiscono il carattere di un popolo e la fragilità delle sue istituzioni.

Queste comunque, per fragili e deformate che siano, sono i mattoni dei quali il cantiere Italia dispone. Chiunque voglia cimentarsi a costruire soluzioni appropriate alle difficoltà dei tempi che stiamo attraversando deve possedere la capacità di padroneggiare quel tipo di materiale di cui il cantiere dispone.
Il governo Letta, come il governo Monti, non sono stati una scelta ma il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative. Adesso ancora una volta siamo di fronte ad una crisi che rimette in discussione e nega l’esistenza di quello stato di necessità; una crisi tutta nostra, innestata su una crisi più generale che sconvolge da sette anni l’Occidente del mondo. Riusciranno i nostri eroi? con quel che segue.
***
Il pregiudicato Silvio Berlusconi non si acconcia alla condanna che lo ha colpito e alle altre che si profilano all’orizzonte. Risponde attaccando e lo fa con la sua consueta abilità. Si presenta ancora una volta come il perseguitato, l’agnello sacrificale contro il quale si accaniscono le forze del male; promette benessere e libertà con gli stessi contenuti che da vent’anni ripete: meno tasse, più investimenti, più consumi, più lavoro, più mercato e meno Stato. Ha sempre perseguito questi obiettivi ma le forze del male gli hanno sempre impedito di realizzarli.

Le forze del male hanno nomi ben precisi: magistrati e comunisti. Sempre loro, da vent’anni.

Il governo Letta è diventato la proiezione politica di quelle forze. Lui e il partito di cui è il proprietario l’accettarono anzi lo vollero perché ne riconoscevano la necessità e soprattutto lo concepivano come un elemento di pacificazione a loro favore. Ma ora è emerso, con la condanna a lui inflitta dalla magistratura sua nemica, che quel governo necessario è diventato impossibile. A meno che non faccia atto di sottomissione ai suoi voleri, collabori alla sua difesa e al suo riscatto e soprattutto capovolga la sua politica e adotti quella da lui perseguita. Quella politica ci porterebbe fuori dall’euro? Pazienza. Fuori dall’Europa? Ancora pazienza. Forse sarebbe addirittura un vantaggio, potremmo tornare padroni della nostra moneta, padroni di stamparla, di svalutarne il cambio per incentivare le esportazioni, riguadagnando così una maggiore competitività. E dopo tre o quattro anni di questa cura, rientrare in Europa e nella moneta europea a bandiere spiegate.

Questo è l’obiettivo di fondo, ma non è detto che non si possa realizzare “senza spargimento di sangue”. Perciò, per ora, il governo Letta resti pure in vita ma ad una condizione: adotti quella politica. I cinque ministri del Pdl restino pure ai loro posti ma impongano al riluttante presidente del Consiglio il programma prescritto dal loro padrone. Se non lo faranno saranno sconfessati come traditori; se tenteranno di fare quanto possono ma senza risultati, allora il governo cadrà e si andrà a votare.

E se, per impedire ancora una volta un programma così popolare, le famose forze del male passeranno al contrattacco, il popolo si risvegli e si sollevi. Un titolo sul Foglio di ieri indica con obiettiva chiarezza questa situazione: “Come far convivere un Cav. condannato e un premier spendaccione”. Questo è l’evidente e l’esplicito programma di Forza Italia nelle prossime settimane. Il periodo di prova durerà al massimo fino a dicembre, poi la guerra esploderà nella sua imponenza.
***
Il Pd è sempre più alle prese con i suoi problemi interni: l’assemblea che doveva deliberare alcune modifiche di statuto e mettere il timbro sull’accordo tra le varie correnti già raggiunto, è saltata perché all’ultimo momento è mancato il numero legale. Ne è nata
una “cagnara” poco decorosa che Epifani ha tentato di superare ma con scarsi risultati. Queste continue schermaglie tolgono a quel partito la possibilità di risollevarsi e ristrutturarsi. Da elettore democratico Renzi non mi sembra molto adatto alla carica di segretario, ma se questa è l’opinione della maggioranza mi pare più che giusto che essa abbia modo di manifestarsi.

A parte queste osservazioni il Pd per quanto riguarda lo scenario nazionale, reagisce nel solo modo possibile: denuncia la manovra berlusconiana e il pericolo che essa rappresenta per il Paese ma, dal canto suo, si preoccupa anch’esso di tracciare un programma gradito agli elettori se e quando si dovesse andare al voto: non meno tasse ma distribuite in modo diverso, più progressivo sui redditi e sui patrimoni più alti, una redistribuzione del reddito che faccia diminuire le diseguaglianze e rilanci lavoro e produttività.

Questo è anche il programma di Letta ma la differenza è nei tempi di realizzazione. Letta procede con lentezza secondo il Pd. Deve accelerare il passo, rispettare gli impegni europei ma passare al trotto se non al galoppo, e se il Pdl lo impedisse, allora meglio andare alle urne.

La maggioranza dei simpatizzanti Pd è su queste posizioni e Renzi le cavalca con abilità. Vuole vincere il Congresso per attuarle e riesce ad avere l’appoggio non soltanto della parte più moderata del suo partito, ma anche di quella riformista e perfino della sinistra. È di questi giorno l’appoggio del sindaco di Milano, Pisapia, che fu candidato di Vendola.

Renzi è un torrente in piena. Ciriaco De Mita in una recente intervista al Corriere della Sera ha dato di Renzi una perfetta definizione: i torrenti nel nostro Paese hanno una forza che tutto travolge nelle stagioni in cui sono in piena; poi, quando arriva l’estate, vanno in secca. Renzi è in piena se si voterà nei prossimi mesi, ma se dovesse aspettare un paio di anni andrà in secca e la sua forza sarà molto diminuita. Diverso – ha detto De Mita – è l’andamento dei fiumi: procedono più lentamente con una velocità più o meno costante ma ampliando il loro letto sempre di più fino a quando sboccano al mare.

Fin qui De Mita. Ritengo molto appropriata la sua immagine, dove Renzi è il torrente e Letta il fiume. Capisco chi oggi sostiene il primo, purché non impedisca a Letta di fare il suo percorso nell’interesse del Paese. Ove questo accadesse lo fermino o saranno corresponsabili delle conseguenze.
***
Oggi si vota in Germania e Bernardo Valli da Berlino ci ragguaglia su queste pagine delle previsioni e poi dei risultati di quelle elezioni. Appare fin d’ora chiaro che la Merkel vincerà ma che i suoi alleati liberali non entreranno in Parlamento, sicché sembra inevitabile una coalizione con i socialdemocratici e i Verdi. Ma è probabile anche che entrino nel Bundestag l’Adf il partito anti-europeo.

Ne deriveranno conseguenze preoccupanti perché esso farà di tutto per ottenere dalla Corte costituzionale tedesca sentenze che impongano al governo la revisione dei trattati che vincolano la Germania all’Europa. Non credo che la Merkel ceda a quella pressione, ma questo è comunque un fatto di capitale importanza per l’evoluzione dell’Europa verso uno Stato federale senza il quale sarà difficile una politica di crescita economica e di solidarietà sociale nel Continente.

Perciò le elezioni di oggi sono estremamente rilevanti anche per noi. Letta lo sa bene e lo sa altrettanto bene Napolitano e anche Mario Draghi, presidente della Bce. Sono i nostri tre punti di forza, che hanno l’Europa come obiettivo preminente per l’avvenire di tutti.
Se questa realtà è chiara, occorre operare, ciascuno nell’ambito delle sue competenze, affinché si realizzi.

(22 settembre 2013)
camillobenso
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L'eterna vocazione dei FORZA SILVIO dei PDc.



PSICHIATRIA DEMOCRATICA

(Antonio Padellaro).
22/09/2013 di triskel182

C’è il Pd di Renzi, c’è il Pd di Letta e c’è quello di Cuperlo, ma forse non sapremo mai chi sarà il nuovo leader del Pd, poiché nel Pd hanno smarrito, oltre al senno, anche 500/600 delegati (non è uno scherzo) dati ufficialmente per dispersi. Ma si tratta di un calcolo sommario, come nella contabilità delle vittime dopo le inondazioni del Gange.

Quanto al dibattito interno, il sindaco di Firenze ha parlato male del premier fingendo di appoggiarlo, mentre i supporter del premier fanno sapere in giro che preferiscono una bella scissione, piuttosto che farsi comandare dal sindaco di Firenze.

Notevole la sintesi dell’altro candidato Civati che ha esclamato: “Basta con questo atteggiamento da sfigati”.

Infine, per i cultori dell’acido lisergico, si consiglia la lettura dello statuto del Pd, che sembra scritto da un gruppo di enigmisti durante un viaggio psichedelico piuttosto intenso.

Poi c’è Sel che è il partito di Vendola, prima alleato di Bersani nelle scorse primarie Pd, poi alleato del Pd nelle passate elezioni (cosa che gli ha consentito di incamerare una buona fetta di deputati e senatori), però subito dopo avversario del Pd delle larghe intese, e domani chissà se ti va, come cantavano gli Articolo 31.

Dei Cinquestelle (spesso impegnati in riunioni molto simili ad agitate terapie di gruppo) l’unica cosa sicura è che non faranno mai alleanze col Pd (né risulta che il Pd voglia fare alleanze con i Cinquestelle).

Incuranti dei sondaggi sfavorevoli (chiaramente manipolati, fanno sapere) ambiscono a conquistare il 51 per cento dei voti alle prossime elezioni.

Di Scelta Civica si sa davvero poco, come nell’Ottocento certe carovane che si addentravano nel deserto dei Gobi.

Ogni tanto ne riemerge qualche brandello malconcio: i resti delle truppe cammellate Udc, gli sciamani di Italia Futura mentre del professor Monti si sa soltanto che vaga narrando di avere avuto in pugno l’Italia, ma poi di averla chissà come smarrita.

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Detto questo, ditemi voi per quale ragione al mondo, Silvio Berlusconi, sia pure da condannato, pregiudicato e decaduto, non dovrebbe tornare a vincere anche le prossime elezioni.
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Da Il Fatto Quotidiano del 22/09/2013.



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DEMOCRATICI, CAOS E FUGA

(Wanda Marra).
22/09/2013 di triskel182

PD, SALTA L’ACCORDO PRIMARIE A RISCHIO.

L’ASSEMBLEA NON HA I NUMERI E NON VOTA LA MODIFICA DELLO STATUTO. IL SEGRETARIO SARÀ L’UNICO CANDIDATO PREMIER. TUTTI CONTRO TUTTI, VENERDÌ LA DIREZIONE.



L’assenza di oltre 500 delegati e la lite sulle regole tra le correnti paralizzano l’Assemblea nazionale del PD. È già duello Renzi-Cuperlo. Il sindaco di Firenze attacca Letta: “Sul deficit sbaglia a incolpare la politica. Non si prende la responsabilità. E questa è antipolitica”.

GUERRIGLIA CONTINUA.

Salta l’accordo. Venerdì in direzione potrebbe essere messa in discussione anche la data delle primarie. Partono le accuse incrociate. Orfini: “Letta, Franceschini e Bersani non vogliono il congresso”. Bindi: “Se non si fa, addio partito e governo”.

Altro che primarie dell’Immacolata! Qua serve il miracolo dell’Immacolata per riuscire a farle”. La sintesi migliore dell’ennesima giornata di follia collettiva del Pd la fa Beppe Fioroni. Assemblea finita, certezze nessuna, battaglia rimandata a venerdì, in direzione.

“Sono state ritirate le modifiche statutarie. Il congresso sarà l’8 dicembre e la direzione deciderà come procedere”. Guglielmo Epifani sale sul palco che sono le due passate per dire che di 4 mesi di discussione non se n’è fatto ancora (quasi) niente.

SI CONCLUDE così una mattinata surreale. I fatti: l’Assemblea vota un documento che stabilisce la data delle primarie all’8 dicembre; ma non vota le modifiche statutarie che dovevano velocizzare e snellire il percorso, per rendere possibile quella data, nonché sancire la separazione tra segretario e candidato premier. Lo Statuto adesso è immodificabile: se Renzi viene eletto segretario, sarà l’unico candidato premier del Pd. E Letta è fuorigioco. Così un minuto dopo la chiusura iniziano le interpretazioni. Tra chi, come Francesco Sanna (consigliere del premier) commenta: “Ma vale di più lo Statuto o un voto dell’Assemblea?”. Gli fa eco Marco Meloni, altro lettiano: “Abbiamo votato l’8 dicembre, mica abbiamo detto di quale anno”. Una battuta, che scopre la volontà di far slittare il congresso. D’altra parte, i bersaniani andavano dicendo da giorni, Nico Stumpo in testa: “Se non ci sono i numeri, allora si va con lo Statuto attuale e il congresso slitta a primavera”. Sull’altro fronte, il renziano Gentiloni – mentre avverte che l’8 dicembre non si tocca – commenta: “È un grande pasticcio: a furia di cercare cavilli per frenare qualcuno e per la paura che qualcuno diventi segretario, hanno reso la situazione ingovernabile”.

Per capire cosa è successo, proviamo a riavvolgere il nastro di una mattinata che sembrava andare in una direzione e poi finisce contro il muro.

L’Assemblea si riunisce di prima mattina. La Commissione regole, dopo gli ultimi 2 giorni di conclave permanente, è arrivata a un accordo, che prevede data, congressi regionali dopo quello nazionale e separazione tra segretario e premier. Lo illustra Gualtieri. Interviene la Bindi in persona: “I risultati della Commissione non sono consensuali e unitari: voterò contro la modifica del-l’articolo 3” (ovvero quello che stabilisce la distinzione tra segretario premier e candidato, in maniera permanente). Spiega che non si cambia la natura di un partito in un’Assemblea. Con lei i veltroniani. Se si fossero limitati a confermare la norma transitoria (quella che permise in via eccezionale a Renzi di correre contro Bersani) l’avrebbero votata tutti, spiegano. In sala si comincia a vociferare che il numero legale (476 delegati) non c’è. Intanto, parlano i candidati. Si approva il documento, con 378 sì, 74 no e 24 astenuti. Numero legale sul filo. E niente maggioranza qualificata, quella che serve per lo Statuto. I bindiani chiedono che si voti separatamente la modifica permanente e quella temporanea. La Sereni vuol mettere al voto anche questo, la Bindi si oppone, minaccia di chiedere la verifica dei numeri. Dal palco il responsabile Organizzazione, Zoggia annuncia che la Commissione si riunisce e l’assemblea si riaggiorna alle 13 e 30.

PASSANO i minuti. Chiacchiera Matteo Orfini: “C’è mezzo Pd che ha lavorato per far mancare il numero legale in assemblea, far slittare il congresso ed evitare pericoli per il governo. Sono quelli che hanno lavorato con Letta, Franceschini, Bersani. E anche Epifani: se convochi un’assemblea e poi non riesce, ci sono delle responsabilità…”. Zoggia un paio di settimane fa aveva ammesso che bisognava considerare decaduti 200 o 300 membri dell’Assemblea. E poi non l’ha fatto. I minuti passano lenti. L’atmosfera è un po’ quella del Capranica: dall’ovazione per Prodi al tradimento. Il capo ufficio stampa del Pd, Seghetti, spiega che sì, la data c’è, ma a norma di statuto in questa situazione le primarie nazionali vanno a marzo. La riunione si scioglie. Riparte il tutti contro tutti. Bindi: “Senza congresso salta il governo e il partito”. I bersaniani danno la colpa a renziani, civatiani e bindiani. Renzi commenta che si è fatta una pessima figura, ma che la data c’è e le regole pure. Cuperlo anche spinge per l’8, senza se e senza ma. Veltroni, Bindi, i Giovani Turchi, i dalemiani e i renziani in direzione riusciranno a contrastare lettiani, bersaniani e franceschiniani, se si arriva a uno scontro? Stando ai numeri no.

Da Il Fatto Quotidiano del 22/09/2013.



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I giorni della follia - 13
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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La lunga agonia italiana – 23
Un drammatico vuoto di potere - 14

I giorni della follia - 13



Quella che si è celebrata ieri all’Assemblea del PDc é una classica lotta di potere di tipo democristiano.

Della due giorni romana del PDc se ne sono occupati diffusamente i media. Una volta tanto una fetta dell’informazione quotidiana non è dedicata a “Lui”. Non se ne può più che un intero Paese sia sequestrato da una sola persona anche nell’informazione.

Ma anche in questo caso può attrarre i cittadini elettori quanto si è consumato nella due giorni nell’Auditorium della Conciliazione in Roma?

Anche l’intervento di Epifani sull’Iva ha fatto parte della lotta di potere.

Una celebrazione in più del sistema oligarchico della casta.

Per la casta in generale e per quella piddina in particolare, i problemi dei cittadini elettori non esistono.

Esistono solo i loro.

Altan aveva così sintetizzato la situazione un paio di mesi fa:
Immagine

La conferma che il sistema stia saltando l’ho avuta stamani incontrando un vecchio amico classe 1940 ancora in pista nel sistema produttivo lombardo.

Entro dicembre deve accadere qualcosa perché nel mondo produttivo non si va più avanti.

Oltre all’appesantimento fiscale e alla mancanza di lavoro, ai soldi che non girano, quando girano capita che dal gruppo Marcegaglia, e non solo, incassi a 180 giorni + 20. Quel 20 è una assoluta novità. Forse perche fa impressione dire : Pagamento a 200 giorni? A babbo morto?

Ma poi i materiali li devi acquistare dalla Germania che per via dei rapporti trentennali ti concede un pagamento a 60 gg data fattura e in via eccezionale perché sono generosi, fine mese.

Solo che il fine mese per i tedeschi, diversamente da noi, non significa che effettui il pagamento a fine mese, ma che a fine mese loro devono incassare il saldo.

Oppure, in certi casi, quando sei obbligato ad acquistare altrove, come nel caso Mitsubishi, per importi superiori ai 10mila euro devi fornire la garanzia bancaria. Se non paghi tu risponde la banca.

Ma se da tre anni i soldi non girano sistematicamente, hai voglia che le banche s’impegnino a sostenerti.

In campi minati come questi le aziende saltano.

E da queste parti ne stanno saltando tante, o se si è giovani o di mezza età, si va a produrre altrove.

Non a caso venerdì è circolata la notizia che 600 aziende della zona di Chiasso vanno a produrre nel Canton Ticino, perché là la sopravvivenza aziendale è maggiore.

Lo stesso sta accadendo nel Trentino Alto Adige, dove le aziende si spostano in Austria.

Questo e ben altro, per Epifani, Cuperlo, Renzi, Fioroni, Letta, & Co sono solo e soltanto parole che servono per la propaganda verso il merla merlorum.

In questo vuoto politico che dura da 5 anni, la casta delle cosche non intende toccare i loro interessi, i loro introiti passivi, e s’industria come spennare gli elettori italiani.

Scandaloso oltre il limite della decenza il minuetto su Imu ed Iva, un balletto che dura da 5 mesi senza soluzione, mentre i soldi ci sono ma non li vogliono toccare.

Cinque lunghi scandalosi anni senza aver varato un forte piano per la ricostruzione e il rilancio dell’economia.

Tutto questo però accade perché il popolo italiano è completamente narcotizzato. Subisce soltanto e non reagisce. In questo modo la casta ci va a nozze.

Proviamo ad aprire una piccola finestra su chi ad esempio fa comodo che la crisi continui.

Un ramo è quello delle slot machine. Più la crisi si fa sentire e più persone possono essere indotte a cercare fortuna e sopravvivenza attraverso questo canale. Ma chi ci guadagna è sempre la criminalità organizzata.

Criminale poi è la mancanza d’intervento di questa classe politica sul turismo, con tutte le opere d’arte che abbiamo e i luoghi da visitare e soggiornare.

Il turismo è la nostra seconda industria, i nostri pozzi di petrolio inesauribili, ma questa classe politica altamente parassita non ci sente.

Eppure fa come Dragomanni e Letta, che continuano a dire che non ci sono soldi, ma non fanno niente per procuraseli nei modi opportuni.


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I giorni della follia - 14
Ultima modifica di camillobenso il 22/09/2013, 19:53, modificato 1 volta in totale.
paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Volano le addizionali Irpef: stangata su operai e impiegati
Dal 2010 ad oggi le addizionali regionali e comunali Irpef hanno subito un vera e propria impennata. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che ha analizzato gli effetti di questi aumenti sulle retribuzioni degli operai e degli impiegati residenti nei 40 Comuni capoluogo di Provincia che hanno già deciso per l’anno in corso l’aliquota dell’addizionale Irpef comunale. Le elaborazioni sono state costruite in modo da rappresentare la situazione a livello nazionale applicando la seguente metodologia: - per l’addizionale regionale IRPEF si è calcolata l’imposta in ogni Regione e si è proceduto a calcolare la media ponderata con il numero dei contribuenti che sono debitori dell’imposta; - per l’addizionale comunale IRPEF si è proceduto a calcolare la media del prelievo nei vari anni per ogni livello di reddito nei 40 Comuni capoluogo di provincia che hanno già preso le loro decisioni per il 2013.
IMPIEGATI
Per un impiegato con un reddito annuo di 32.000 euro (che corrisponde ad una retribuzione mensile netta di quasi 1.840 euro) la maggiore trattenuta fiscale avvenuta sempre tra il 2010 ed il 2013 è stata di 117 euro. Alla luce delle decisioni prese nel 2013, l?anno prossimo il peso delle addizionali Irpef sarà di 664 euro.
OPERAI
Per un operaio con un reddito annuo di 20.000 euro (pari a una retribuzione mensile netta di 1.240 euro) liaggravio fiscale maturato tra il 2010 ed il 2013 è di 89 euro. In merito alle decisioni prese quest'anno, nel 2014 dovrà versare ben 401 euro.
http://economia.virgilio.it/foto/volano ... egati.html
Ciao
Paolo11
paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da paolo11 »

http://www.youtube.com/watch?v=TbQBjSZk ... ploademail
M5S Village da Mondragone Sergio Puglia
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

La lunga agonia italiana – 24
Un drammatico vuoto di potere - 15

I giorni della follia - 14



Tg3 e Tg7 della sera aprono con i controricatti di Dragomanni.

Ma è credibile che il ministro dell'Economia non sappia nulla dei 98 miliardi persi del settore slot machine, dove sembra che lo Stato non riesca ad incassare neppure i 600 milioni finali?

Vedi servizio de "La gabbia".

http://www.la7.tv/richplayer/?assetid=50362733
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

La lunga agonia italiana – 25
Un drammatico vuoto di potere - 16

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Crisi, Enterprise-Italia. Non è tutta colpa dell’instabilità politica
di Loretta Napoleoni



Nessuno si sognerebbe a Bruxelles di andare in Germania per impartire una lezione d’economia politica alla cancelliera, eppure di critiche da fare ce ne sarebbero… 7,4 milioni di lavoratori guadagnano 450 euro al mese, uno stipendio che non basta per pasteggiare giornalmente a salsicce e birra, cibi e bevande a buon mercato e prediletti dei tedeschi.

Secondo i dati dell’Ocse in Germania i salari reali sono fermi agli anni Novanta e tra il 2004 ed il 2011 sono addirittura scesi del 2,9 per cento. La povertà avanza di pari passo con la sperequazione dei redditi e lo fa ad una velocità superiore al resto dell’economia europea.

La lista dei problemi economici è lunga: ad aprile la Banca centrale europea ha pubblicato uno studio sul reddito medio dei paesi dell’Unione dal quale risulta che quello delle famiglie tedesche è inferiore a quello delle famiglie greche. Possibile? Viene spontaneo chiedersi.

Sebbene in termini di Pil la Germania non è certamente un paese povero mentre la Grecia sicuramente lo è, il 25 per cento della popolazione attiva tedesca guadagna meno di 9,54 euro l’ora. In Europa ci imbattiamo in una percentuale più alta di lavoratori così mal pagati soltanto in Lituania.

Le cose in Italia non vanno certamente bene, lo sappiamo tutti, però da noi, alla vigilia delle elezioni tedesche è arrivato il portavoce del commissario agli affari economici dell’Unione Europea, Olli Rehn, per dirci di darci da fare subito, entro la fine di settembre, e far rientrare il deficit di bilancio nel limite imposto del 3 per cento. Come farlo? Sono affari nostri anche se il consiglio dell’Unione è quello di tassare immobili e consumi invece che la produzione, cosa che abbiamo fatto fino ad oggi. E così si riaccende la questione dell’Imu e dell’Iva, due sigle da scegliere. Il risultato sarà però lo stesso: riduzione ulteriore del reddito disponibile delle famiglie.

Il governo ci vuol far credere che il motivo per il quale stiamo sforando l’ennesimo parametro imposto da Bruxelles alle nostre finanze – e quello per cui uno straniero può bacchettarci e farci finire sulle prime pagine dei giornali finanziari internazionali quale nazione della periferia ‘a rischio’ – è colpa dell’instabilità politica che ha fatto fermare la discesa dei tassi d’interesse. Sembra una frase da Star Trek: la nebulosa di asteroidi che ci circonda ci impedisce di procedere, il governo come l’equipaggio dell’Enterprise non c’entra niente con questa situazione, per andare avanti bisogna aspettare che passi la nebulosa, nel nostro caso si tratta dell’instabilità politica.

In fondo quello che ci vuol far credere Letta, il suo governo e tutto questo parlamento – eletto con una legge elettorale che piace tanto ai politici e che gli elettori detestano – è che l’instabilità politica dipende dai cittadini, non da chi li rappresenta. Ma non basta, aspettiamo che la signora Merkel venga rie–Letta, tanto per fare un gioco di parole, e ci dica lei, o meglio ci imponga lei cosa fare. Imu? Iva? E così via. A quel punto le metamorfosi di un governo di coalizione che nessuno voleva, ma che tutti hanno votato, si trasformerà in un governo tecnico, di robot manovrati da Bruxelles e tutto tornerà come l’anno scorso. Fine della storia.

E l’economia? Ma perché a qualcuno interessa l’economia? Tutti gli occhi sono sempre e solo puntati sullo spread, e questo sale o meglio, smette di scendere quando c’è la cosiddetta ‘instabilità politica’. Così almeno vogliono farci credere.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... ca/719245/
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