Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 21/11/2015, 12:49
Terrorismo, da dove vengono i soldi del Califfo da L'Espresso
Petrolio, soprattutto. E poi tasse, riscosse in modo inflessibile. E razzie, sulle proprietà di chi è fuggito o dei rivali imprigionati e uccisi. Ecco come si finanzia lo stato islamico. E come spende
di Gianluca Di Feo
Il califfato è ricco. Ma non troppo. Le stime che ipotizzano entrate annue oscillanti tra uno e due miliardi di dollari vengono ridimensionate da molti esperti, che ritengono più corretto parlare di importi limitati a qualche centinaio di milioni di dollari. E sono pochi a credere che questo sia frutto delle donazioni di magnati fondamentalisti, del Qatar o di altri emirati. Lo Stato islamico infatti ha dimostrato di sapersi autofinanziare. C’è un documento eccezionale per comprenderlo: il bilancio della provincia creata nella Siria orientale, diffuso dal sito di Aymenn Jawad Al-Tamini.
Si tratta del budget relativo al gennaio scorso. I proventi vengono per il 27 per cento dalla vendita di petrolio. Un altro 4 per cento lo incassano dalle bollette elettriche: garantire la luce in città devastate dalla guerra civile è stata una prova di efficienza dell’Is. Poi c’è un 23 per cento dalle tasse, riscosse in modo inflessibile. Ma i proventi più cospicui vengono dalla voce “confische”: oltre il 44 per cento. Di cosa si tratta? Proprietà di chi è fuggito e dei rivali imprigionati o uccisi; greggi e mandrie sequestrate ai contrabbandieri; sigarette, alcolici e altri prodotti occidentali requisiti per la legge coranica. Insomma, il profitto del Terrore.
vedi anche:
Schermata-2015-11-20-alle-15-26-55-png
L'Isis sulla rivista Dabiq: negoziato non è tabù
Lo Stato islamico rende disponibile sul web il nuovo numero della rivista Dabiq. Affidando all'ostaggio John Cantlie, il giornalista britannico catturato nel 2012, un messaggio provocatorio: «Se le nazioni occidentali vogliono una tregua, ci pensino tre volte prima di buttare all'aria questa opportunità»
Le spese invece sostengono soprattutto lo sforzo militare. Il 43 per cento va nelle paghe dei miliziani e un altro 20 per mantenere le basi, inclusa la manutenzione di armi e veicoli. Un decimo sovvenziona la polizia islamica, voce che comprende i tribunali che amministrano la giustizia civile e dirimono le controversie commerciali. Il 17,7 per cento sostiene i servizi pubblici: riparazione delle strade, raccolta rifiuti, assistenza medica, rete idrica.
Poco meno del sei viene destinato agli aiuti: elargizioni per la popolazione oppure contributi per rilanciare l'agricoltura. Infine il tre per cento finanzia l'apparato mediatico di propaganda. Queste informazioni dimostrano però la capacità del califfato nell'amministrare il territorio, tra paura e consenso. E la scarsa incisività dei raid occidentali, che non hanno scalfito il business petrolifero. Solo nelle ultime settimane infatti i bombardamenti hanno preso di mira pozzi e installazioni che forniscono l'oro nero dell'Is.
Petrolio, soprattutto. E poi tasse, riscosse in modo inflessibile. E razzie, sulle proprietà di chi è fuggito o dei rivali imprigionati e uccisi. Ecco come si finanzia lo stato islamico. E come spende
di Gianluca Di Feo
Il califfato è ricco. Ma non troppo. Le stime che ipotizzano entrate annue oscillanti tra uno e due miliardi di dollari vengono ridimensionate da molti esperti, che ritengono più corretto parlare di importi limitati a qualche centinaio di milioni di dollari. E sono pochi a credere che questo sia frutto delle donazioni di magnati fondamentalisti, del Qatar o di altri emirati. Lo Stato islamico infatti ha dimostrato di sapersi autofinanziare. C’è un documento eccezionale per comprenderlo: il bilancio della provincia creata nella Siria orientale, diffuso dal sito di Aymenn Jawad Al-Tamini.
Si tratta del budget relativo al gennaio scorso. I proventi vengono per il 27 per cento dalla vendita di petrolio. Un altro 4 per cento lo incassano dalle bollette elettriche: garantire la luce in città devastate dalla guerra civile è stata una prova di efficienza dell’Is. Poi c’è un 23 per cento dalle tasse, riscosse in modo inflessibile. Ma i proventi più cospicui vengono dalla voce “confische”: oltre il 44 per cento. Di cosa si tratta? Proprietà di chi è fuggito e dei rivali imprigionati o uccisi; greggi e mandrie sequestrate ai contrabbandieri; sigarette, alcolici e altri prodotti occidentali requisiti per la legge coranica. Insomma, il profitto del Terrore.
vedi anche:
Schermata-2015-11-20-alle-15-26-55-png
L'Isis sulla rivista Dabiq: negoziato non è tabù
Lo Stato islamico rende disponibile sul web il nuovo numero della rivista Dabiq. Affidando all'ostaggio John Cantlie, il giornalista britannico catturato nel 2012, un messaggio provocatorio: «Se le nazioni occidentali vogliono una tregua, ci pensino tre volte prima di buttare all'aria questa opportunità»
Le spese invece sostengono soprattutto lo sforzo militare. Il 43 per cento va nelle paghe dei miliziani e un altro 20 per mantenere le basi, inclusa la manutenzione di armi e veicoli. Un decimo sovvenziona la polizia islamica, voce che comprende i tribunali che amministrano la giustizia civile e dirimono le controversie commerciali. Il 17,7 per cento sostiene i servizi pubblici: riparazione delle strade, raccolta rifiuti, assistenza medica, rete idrica.
Poco meno del sei viene destinato agli aiuti: elargizioni per la popolazione oppure contributi per rilanciare l'agricoltura. Infine il tre per cento finanzia l'apparato mediatico di propaganda. Queste informazioni dimostrano però la capacità del califfato nell'amministrare il territorio, tra paura e consenso. E la scarsa incisività dei raid occidentali, che non hanno scalfito il business petrolifero. Solo nelle ultime settimane infatti i bombardamenti hanno preso di mira pozzi e installazioni che forniscono l'oro nero dell'Is.