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Re: Renzi
Inviato: 25/05/2016, 8:07
da camillobenso
LIBRE news
Renzi senza vergogna, le mance come metodo di governo
Scritto il 25/5/16 • nella Categoria: idee
Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).Mutatis mutandis, siamo in pieno laurismo. Per i più giovani che non l’hanno mai conosciuto, ricordo il “Comandante Achille Lauro”, leader monarchico napoletano, che distribuiva pacchi di pasta e scarpe agli elettori, ma solo scarpe sinistre e mezzi biglietti da mille lire prima del voto, quelle destre e l’altra metà dei biglietti da mille sarebbero stati dati solo dopo, se fosse riuscito eletto. Peccato che non abbiano ancora inventato i mezzi bonus o i mezzi voucher. In secondo luogo, ci fa capire la concezione economica renziana: c’è poca domanda interna? E lui distribuisce bonus, guardandosi bene da una politica fiscale organicamente diversa o di garanzie salariali. I ragazzi fanno lavoro nero? Lui non cerca di eliminarlo, ma di renderlo un po’ più sopportabile, distribuendo voucher. Ci sono problemi per l’industria libraria e culturale? Ecco il buono da 500 euro per l’acquisto di libri e film. Insomma, le mance come metodo di governo: provvedimenti temporanei e ad hoc, mai interventi strutturali.E questo ci informa anche sulle sue concezioni sociali. Infatti, gli interventi strutturali poi generano diritti e garanzie, ma questo non produce consensi o forse lo fa per un momento e poi, acquisito il diritto, la gente vota come vuole. E questo non va bene, è meglio che la gente resti legata al bisogno. E dunque, niente diritti ma mance volta per volta. Mi chiedo come facciano gli ex militanti del Pci a non vergognarsi di stare in un partito che fa questa politica. La mossa di Renzi, però ci dice anche cose più contingenti. Ad esempio il segnale “familista” ai cattolici significa “vi ho fatti soffrire lo so, ma ora vi dimostro che abbiamo il valore comune della famiglia. Il che contiene un sotto-messaggio in codice: facciamo un accordo, voi votate Sì e del problema delle adozioni non se ne parla sino a fine legislatura”. E ci dice anche un’altra cosa: che la minaccia di votare No dei cattolici ha molto spaventato il fiorentino. Dunque, anche lui non è convinto di vincere il referendum con tanta facilità. E ha ragione, ma ne riparleremo.(Aldo Giannuli, “Renzi: le mance come metodo di governo”, dal blog di Giannuli del 16 maggio 2016).
Re: Renzi
Inviato: 08/06/2016, 8:50
da camillobenso
LA RUOTA DELLA MACINA DELLA STORIA E' DI NUOVO IN MOTO
ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2016
Elezioni Amministrative 2016, Renzi se perdi ti dimetti da segretario?
Elezioni Amministrative 2016
di Luisella Costamagna | 7 giugno 2016
COMMENTI (472)
“Non siamo contenti”, ha detto Renzi all’indomani delle comunali. E ci mancherebbe. Sarebbe stato meglio dire: “Siamo parecchio preoccupati”. Il risultato – estremamente chiaro – del primo turno segna infatti una brusca frenata, se non un’indubitabile batosta, per il Pd e il premier-segretario in particolare.
Il primo dato significativo è l’affluenza che – sì – cala, ma non crolla, nonostante Renzi abbia fatto di tutto per spostare l’attenzione da queste amministrative al referendum di ottobre, facendo votare tra l’altro un giorno solo e nel weekend di ponte (ma sappiamo che Renzi è un po’ allergico alle elezioni…). Ed è particolarmente significativo che nell’unica grande città in cui l’affluenza è cresciuta rispetto alle precedenti comunali, cioè Roma, il M5S abbia quasi triplicato i consensi (oltre 35%), doppiando il Pd (crollato al 17%) e diventando il primo partito della Capitale.
Ma è guardando i risultati nelle singole città che si capisce come Renzi abbia perso il suo “tocco magico”.
MILANO: nella presunta “capitale morale” (Cantone dixit), dove si presentava il candidato renziano per eccellenza, reduce dal presunto successo planetario di Expo ed erede dell’amministrazione di centrosinistra di Pisapia, Sala, lungi dal trionfare, ha pareggiato (meno di un punto di distacco) con lo “sconosciuto” Parisi, che ora potrebbe farcela al ballottaggio. Evidentemente le tante dimenticanze di Mister Expo (villa in Liguria, casa in Svizzera, investimenti in Romania…), gli elettori milanesi se le sono ricordate benissimo.
NAPOLI: nella città in cui Renzi si è speso di più e ha speso più soldi, con il piano per Bagnoli balneabile, polemizzando duramente con il sindaco antirenziano De Magistris “che parla mentre noi facciamo”, e dove il Pd si è presentato nell’alleanza di maggioranza con Verdini, la Valente non è arrivata neanche al ballottaggio. Un disastro che fa il paio con Cosenza, dove il Patto della Soppressata tra Pd e Ala ha fatto stravincere già al primo turno, con quasi il 60% dei voti, il candidato di centrodestra Occhiuto. La volpe Verdini inizierà a pensare: mi conviene stare con Renzi? E il gatto Renzi: mi conviene stare con Verdini? Gli italiani, ça va sans dire, sono i burattini…
BOLOGNA: è qui che Renzi ha chiuso la campagna elettorale. Risultato? Merola finisce al ballottaggio senza neanche raggiungere il 40%: la peggiore performance tra i sindaci uscenti.
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ROMA: indubitabile il “risultato storico” della Raggi; Giachetti riesce ad arrivare al ballottaggio, ma 1) soprattutto per ragioni personali, visto che ha preso più del suo Pd, e 2) solo perché il cdx si è presentato diviso. Se Meloni e Marchini fossero andati insieme, #ciaone Bobo. Tra l’altro il Pd a vocazione popolare dovrebbe riflettere sul fatto che la Raggi è forte nelle periferie, mentre Giachetti lo è nel centro storico e ai Parioli…
TORINO: il neo-renziano Fassino, che sembrava destinato a una vittoria trionfale già al primo turno, è costretto al ballottaggio con la pentastellata Appendino. E rischia grosso: il M5S ha infatti quintuplicato i voti, diventando il primo partito sotto la Mole. Insomma, il primo turno ci consegna un chiaro sconfitto (Renzi) e due chiari vincitori anti-renziani (Raggi e De Magistris), ma anche una chiara indicazione sul cdx: se è unito è competitivo (Milano e Napoli), se è diviso non arriva neanche al ballottaggio (Roma e Torino). Se queste amministrative dovevano dire chi avrebbe prevalso tra Berlusconi e Salvini, vecchio e nuovo, moderatismo e radicalismo, be’, il responso è che devono stare insieme.
E adesso? È solo il primo turno, per cui tutto può cambiare. Soprattutto: prepariamoci ai fuochi artificiali renziani in vista dei ballottaggi. Il calendario per conquistare voti è già pronto: il 14 giugno ci sarà l’incontro con i sindacati su lavoro e pensioni (Renzi, ora che i nodi vengono al pettine, ha riscoperto la concertazione…), e possiamo stare certi che l’atteggiamento del Governo non sarà di rottura ma di apertura, perché i sindacati vogliono dire consensi.
Del resto li aveva già conquistati alla vigilia delle europee – per poi deluderli e bistrattarli – non potrebbe riprovarci? Il giorno dopo, 15 giugno, il Consiglio dei Ministri approverà il decreto sui licenziamenti dei furbetti del cartellino, non ancora entrato in vigore (a gennaio era solo uno spot). Provvedimento certo molto popolare. E il 16 gli italiani festeggeranno l’altra misura elettorale (pensata proprio per queste amministrative): non pagheranno la tassa sulla prima casa. E magari Renzi tirerà fuori dal cappello anche qualcos’altro, perché adesso la paura fa 90. Io credo che se il Pd dovesse perdere a Milano e Roma, Renzi si dovrebbe dimettere, perlomeno da segretario del partito. La minoranza è d’accordo? E voi?
Re: Renzi
Inviato: 08/06/2016, 18:28
da camillobenso
BUFALISSIMA
Una domanda a Renzi
» MARCO TRAVAGLIO
Che il presidente del Consiglio
abbia un concetto
un po’ elastico della verità,
è cosa nota. L’a l t ro i e ri ,
commentando i risultati non
proprio brillanti del suo partito
alle elezioni comunali, ha dichiarato
che tutto sommato
non è andata male perché “il Pd
quasi ovunque supera il 40 per
cento”. Frase rilanciata da tutti
i tg e poi da tutti i maggiori quotidiani
senza neppure un “ma”,
un “se”, un “c h e c c a z z o s t a i a ddì?
”. Non sappiamo in quale
“quasi ovunque”Matteo Renzi
abbia tratto il dato, davvero
strepitoso, del 40% e più. A noi,
dagli esiti ufficiali del voto, risulta
che il Pd ha preso a Novara
il 23%, a Torino il 29, a Milano
il 28, a Varese il 24, a Savona
il 21, a Bologna e a Ravenna
il 35 (record nazionale), a Rimini
il 33, a Grosseto il 19, a Cagliari
il 19, a Carbonia il 18, a Olbia
il 14, a Roma il 17, a Latina il
12, a Isernia l’8, a Benevento il
17, a Caserta, a Napoli e a Brindisi
l’11, a Cosenza il 7 (record
negativo) e a Crotone il 13. Cioè
“quasi ovunque” s’è assestato
sotto il 30% e proprio da nessuna
parte sopra il 40. Escludendo
che il premier soffra di
allucinazioni o faccia uso di sostanze
psicotrope, la domanda
sorge spontanea: quando ha
detto “quasi ovunque” si riferiva
a casa sua e a casa Boschi,
oppure ha letto il discorso sbagliato
(quello di due anni fa sulle
Europee, quando il Pd raggiunse
il 40,8)?
Ora però c’è una questione
ben più seria che intendiamo
sottoporgli. Niente numeri: ci
basta un Sì o un No (e non stiamo
parlando del referendum
costituzionale). Come forse
Renzi avrà notato, il Fatto r a cconta
da una settimana, in beata
solitudine, lo scandalo del
primo giudice costituzionale
sotto inchiesta (e per corruzione)
della storia repubblicana. E
cioè del costituzionalista ed ex
parlamentare del centrosinistra
Augusto Barbera, eletto alla
Consulta il 16 dicembre scorso
in quota Pd dal Parlamento
in seduta comune, dopo ben 32
fumate nere. Insieme a lui, a
“pacchetto”, furono eletti anche
Franco Modugno (proposto
dai 5Stelle) e Giulio Prosperetti
(da Ncd-Udc), tutti con i
voti di Pd e M5S, più le solite
frattaglie centriste. Il Fatto f ece
notare che la scelta di Barbera
era inopportuna: non perché
il prof mancasse dei requisiti
scientifici per occupare
quel posto; ma perché risultava
denunciato dalla Guardia di Finanza
alla Procura di Bari per il
suo ruolo in una serie di concorsi
universitari truccati o pilotati.
Siccome le indagini prima
o poi si concludono, la Corte
costituzionale rischiava di ritrovarsi
un giudice inquisito o
addirittura imputato. Ma il Pd
se ne infischiò e tirò diritto.
SEGUE A PAGINA 24
Barbera aveva dato prova di
assoluta fedeltà alle “rifor -
me”renziane della legge elettorale
(Italicum) e della Costituzione.
La speranza del Pd e del
governo era che, entrando alla
Consulta, Barbera facesse asse
con Giuliano Amato per ribaltare
la maggioranza che nel
2014 aveva bocciato il Porcellum
per gli stessi vizi di costituzionalità
poi riprodotti dall’Italicum.
Ora si scopre che un
anno prima della sua elezione, il
18 dicembre 2014, Barbera si era
presentato alla Procura di Bari
per rendere spontanee dichiarazioni.
E lì aveva appreso di essere
indagato per corruzione,
tant’è che i pm l’avevano invitato
a eleggere domicilio e a nominarsi
un difensore. Quindi,
quando fu eletto, sapeva da 12
mesi di essere inquisito, e per un
reato così grave. Nella stessa indagine
era indagata anche la costituzionalista
Silvia Niccolai,
che i 5Stelle in un primo tempo
intendevano indicare alla Consulta.
L’interessata però scrisse
loro una lettera per invitarli a
cambiare candidato, proprio
per la sua veste di inquisita. Così
i 5Stelle consultarono Gustavo
Zagrebelsky, che suggerì loro il
nome – assolutamente apolitico
e indipendente – di Modugno.
E votarono anche per Barbera
solo dopo essersi sincerati
presso il capogruppo del Pd alla
Camera, Ettore Rosato, che il
prof bolognese del Pd non fosse
indagato (dalle cronache giornalistiche,
risultava soltanto
denunciato dalle Fiamme Gialle).
Rosato li rassicurò: Barbera
non era indagato. Così il terzetto
Barbera-Modugno-Prosperetti
ottenne i voti necessari per
riempire le tre caselle della
Consulta, vacanti da uno-due
anni.
Ora, la domanda è molto
semplice: Barbera avvertì il Pd,
cioè Rosato e a maggior ragione
Renzi, di essere indagato per
corruzione, così come fece la
Niccolai con il M5S? Se non lo
fece, ingannò il suo partito e, di
riflesso, anche i 5Stelle che gli
diedero i loro voti decisivi. Se
invece lo fece, furono Renzi e
Rosato a truffare il M5S e, soprattutto,
a mandare consapevolmente
alla Consulta un indagato
per corruzione. Il tutto
dopo che lo stesso Pd, a metà
settembre, aveva rifiutato di
votare il senatore e avvocato
forzista Donato Bruno che –c ome
il Fatto aveva rivelato – era
indagato a Isernia per un reato
meno grave della corruzione:
l’“interesse privato del curatore
negli atti del fallimento”. La
notizia aveva fatto saltare il
patto Pd-FI, provocando il ritiro
di Bruno e Violante. Lo stesso
accadde quando Repubblica
rivelò che il candidato centrista
Giovanni Pitruzzella era sotto
inchiesta a Catania per un presunto
arbitrato comprato (su
cui i pm avevano chiesto due
volte l’archiviazione). Ora, come
poté il Pd votare un proprio
indagato per corruzione subito
dopo aver bocciato due candidati
inquisiti per faccende minori?
Ieri abbiamo inseguito
Barbera e Rosato, che però non
si sono degnati di risponderci.
Gentile presidente Renzi, lei
si renderà conto della massima
importanza e urgenza di una risposta
chiara a questa domanda:
il Pd sapeva o non sapeva
che Barbera era indagato per
corruzione quando lo mandò
alla Consulta? In attesa di un
cortese riscontro, porgiamo distinti
saluti.
Il ministro dell’Economia lavora
molto e dunque a volte rischia di
non essere sempre perfettamente a
fuoco. Ieri, per dire, è caduto in un classico
caso di trepallismo: una forma particolare
di periodo ipotetico dell’i rrealtà
che prende il suo nome dal vecchio
assioma romanesco secondo cui
“se mio nonno avesse avuto tre palle,
sarebbe stato un flipper”.
Pier Carlo Padoan, ieri, ha sostenuto
quanto segue: “Abbiamo un debito
pubblico elevato e ci siamo impegnati
a farlo scendere: nel 2016 scenderà di
meno di un punto, anche grazie
alle privatizzazioni, perché manca
l’inflazione: basterebbe un 2%
di inflazione con l’1,5% di crescita
reale e la nostra dinamica del debito
sarebbe sotto controllo”. Tradotto: se
la crescita nominale fosse tra il 3,5-4%
e non lo 0,6, non avremmo problemi.
Come si vede, il classico caso di tre -
pallismo (“se mio nonno...”).
Ci permettiamo di suggerire al ministro
una parafrasi suggestiva dal
Nando Moriconi di Alberto Sordi: la
crescita italiana l’ha bloccata la malattia,
sennò a quest’ora stava in
America (forse era pure sindaco
del Kansas City).
Padoan però, bontà sua, ha pure
una ricetta (medica) per la malattia
della crescita: la ripresina in atto “si
rafforzerà”grazie alle riforme, anche
a quella della Costituzione, perché “la
stabilità istituzionale favorisce gli investimenti”.
Ecco cosa mancava per
avere una crescita del Pil al 4%: il Senato
coi consiglieri regionali e i sindaci.
Saperlo prima, mio nonno non
avrebbe vissuto in sala giochi.
Re: Renzi
Inviato: 09/06/2016, 15:48
da camillobenso
Bonus 80 euro, Renzi fischiato all’assemblea di Confcommercio. Lui: “E’ una misura di giustizia sociale”
Politica
Il discorso del capo del governo è stato interrotto proprio mentre parlava dello sconto Irpef, tornato al centro del dibattito dopo la notizia che 1,4 milioni di italiani hanno dovuto restituirlo allo Stato nel 2015. "Rispetto chi lo ritiene una mancia elettorale, ma sono contento di averli dati", ha detto il premier
di F. Q. | 9 giugno 2016
con VIDEO
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... e/2812572/
Re: Renzi
Inviato: 09/06/2016, 16:09
da camillobenso
ANALISI
Renzi e Verdini, l'accordo è vivo. E lotta insieme a loro
L'alleanza Pd-Ala non ha funzionato nelle urne, ma non ci saranno "ripercussioni", giura l'ex plenipotenziario del Cav. Lo si vedrà già nella fiducia sul decreto banche. L'intesa in Parlamento resta imprescindibile per entrambi. Il premier intanto punta al voto moderato: per i ballottaggi e oltre. Un partito della Nazione (con o senza Denis)
DI SUSANNA TURCO
08 giugno 2016
Renzi e Verdini, l'accordo è vivo. E lotta insieme a loro
Stoccatine, tensioni, dichiarazioni a uso interno. Battibecchi come quello che ha coinvolto il senatore Falanga e il deputato dem Verini. Ma niente di più: il rapporto tra Ala di Denis Verdini e il Pd renziano andrà avanti come è stato sin qui. Cioè abbastanza a gonfie vele, dove si può e finché conviene a tutti. Con pragmatismo, guardando come evolve il panorama: perché, come recita l’adagio verdiniano “certe cose non si chiedono, si fanno al momento opportuno”. O, come dice il verdiniano D’Anna: “La politica e le alleanze sono dettate dalla realtà, assai più che dalla volontà”. Dunque l’appoggio a Giachetti per il ballottaggio a Roma è confermato, il governo con De Luca in Campania pure, il lavoro per i comitati del Sì al referendum anche. E già domani, per dire, quando al Senato si voterà la fiducia sul decreto banche, se ne avrà la controprova palmare. “Nessun problema”, giurano del resto i verdiniani anche alla Camera. Insomma che sia cominciata una resa dei conti tra Renzi e Verdini, è cosa cui crede Renato Brunetta, Maurizio Gasparri e pochi altri.
I risultati e le polemiche post-voto non porteranno “ripercussioni né conseguenze”, ha chiarito anche Verdini nella riunione della mattina coi suoi. Se Renzi, spiegando che “le alleanze non hanno funzionato”, ha dato ad Ala la colpa della brutta performance elettorale, tutti sanno bene che l’elemento è in realtà marginale. «Loro hanno rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il contributo autonomo dato dal Pd affinché si perdesse è stato immenso”, ha sintetizzato l’ex sindaco Antonio Bassolino sul Corriere della Sera. La stessa analisi, più spiccia, arriva da Verdini: “Dovevamo risolvere noi i problemi del Pd?”, si è chiesto l’altro giorno l'ex plenipotenziario del Cavaliere. No, è la risposta: e la sa anche Renzi.
Il flop di Ala a Napoli e Cosenza è, per lo più , un problema appunto di Ala: che ha visto sfumare così una delle occasioni per superare, o almeno accantonare, il tema della propria “impresentabilità”. Poteva decollare qualcosa, non è decollato. Domani, c’è da giurarci, si tesseranno nuove occasioni: anche in vista delle politiche, sulla cui collocazione nel gruppo verdiniano il dibattito impazza. Ma quello è il futuro, si vedrà. Resta fermo il presente: l’appoggio alla maggioranza renziana, imprescindbile nei numeri al Senato per Renzi, e nel peso sul panorama politico per Verdini.
Piuttosto, l’aver Renzi “scaricato” il suo sodale già-pattista-del-Nazareno, spiegano nei corridoi di Palazzo, ha una valenza tattica di posizionamento: nell’immediato ci sono i ballottaggi, più in là le elezioni politiche. Bisogna chiarire quale sia il perimetro del Pd, che Renzi – anche nella conferenza stampa dopo il voto - ha continuato a definire come “un partito a vocazione maggioritaria”. La formula, di grande successo ai tempi di Veltroni, confina naturalmente con quella del Partito della Nazione, ma non nel senso che debba riguardare Verdini.
L’aggancio vincente, per il premier, continua ad essere quello con l’elettorato moderato: il famoso elettore centrista deluso che anche al primo turno, dicono le analisi del voto, è il più contendibile. Di formule uliviste e para-uliviste, manco a dirlo, Renzi non vuol sentir parlare: “i voti della sinistra scontenta del Pd vanno ai Cinque stelle”, ha detto lapidrio l’altro giorno. E bastava vedere la faccia orrificata che ha fatto Matteo Orfini, lunedì in conferenza stampa, quando un giornalista ha nominato la “foto di Vasto” (simbolo dell’alleanza tra Pd e sinistra), per capire il resto.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Re: Renzi
Inviato: 09/06/2016, 17:05
da camillobenso
A CHI LE MAZZETTE?????..........................A NOI!!!!!
9 GIU 2016 13:25
CINQUE CERCHI, CINQUE BUCHE!
- SALTO TRIPLO DELLA MAZZETTA. LANCIO DELL'APPALTO, BUFFI DAL TRAMPOLINO, 400 METRI STILE SPAZZATURA E BUSTARELLA SINCRONIZZATA. IL PROGRAMMA OLIMPICO DI ROMA 2024 È GIÀ PRONTO!
Mario Giordano; “È meraviglioso che una città che non riesce a gestire le aiuole pensi di poter gestire le Olimpiadi. Ed è altrettanto meraviglioso che la campagna elettorale verso il ballottaggio sia concentrata su questo tema fondamentale. Come si dice sempre: bisogna parlare di quello che interessa alla gente”... -
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 126402.htm
Re: Renzi
Inviato: 09/06/2016, 18:33
da camillobenso
9 GIU 2016 12:55
RENZI CON-D’ANNA-TO ALLA SCONFITTA: VERDINI HA PIU' PARLAMENTARI CHE VOTI - IL FLOP DI ALA LASCIA L’AMARO IN BOCCA A DENIS CHE SPARA UN CAZZIATONE AI SUOI PARLAMENTARI: BASTA INTERVISTE CLAMOROSE COME QUELLA DI D’ANNA SULLA SCORTA DI SAVIANO
Verdini riunisce i suoi dopo il megaflop elettorale: Renzi è furioso, l’alleanza con “Ala” è stato un autogol clamoroso. I numeri al Senato però sono quelli che sono e Matteo non può liberarsi dall’abbraccio (mortale?) con Denis…
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 126416.htm
Re: Renzi
Inviato: 10/06/2016, 5:57
da camillobenso
PER CHI SUONA LA CAMPANA
Ernest Hemingway
Il tallone d'Achille di Matteo Renzi
Il primo turno con il risultato di Roma e Napoli sancisce la fine del mito del premier invincibile. Una sconfitta al secondo riaccenderebbe le manovre nel governo e nel partito
DI MARCO DAMILANO
09 giugno 201
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Il tallone d'Achille di Matteo Renzi
Togliere al voto nelle grandi città un qualsiasi valore politico, saltare il turno elettorale e buttarsi a capofitto nella lunga campagna per il referendum sulla Costituzione di ottobre. Era la strategia di Matteo Renzi, esposta già alla fine del 2015 e rimasta coerente fino al risultato del 5 giugno. «Ci sono problemi per il Pd», afferma ora il premier dopo il primo turno elettorale che ha visto il Pd escluso dal ballottaggio a Napoli, distanziato a Roma dove la rimonta di Roberto Giachetti su Virginia Raggi appare un miracolo, in duello a Milano, Torino, Bologna. E la posta in gioco è salita, come racconta l'Espresso in edicola da venerdì 10 giugno.
ESPRESSO+ LEGGI IL SERVIZIO INTEGRALE
Renzi continua a scommettere tutto sul referendum di ottobre, ha già dichiarato che in caso di vittoria del no lascerà il governo e la politica, ma anche nel secondo turno amministrativo rischia molto, su almeno tre fronti. Un’improvvisa incertezza sulla strategia politica. La scoperta che qualcosa si è spezzato nella comunicazione tra il capo del governo e un pezzo di società italiana che pure lo ha appoggiato e votato nel 2014. La fine del mito dell’invincibilità e dell’invulnerabilità del leader, che riaccende le manovre nel partito e nel governo.
Mentre nelle città al voto si rimescolano alleanze politiche, blocchi sociali, identità culturali. Ne parlano quattro scrittori: Marco Belpoliti (Milano), Giuseppe Culicchia (Torino), Valeria Parrella (Napoli), Elena Stancanelli (Roma).
Il dossier integrale su l'Espresso in edicola da venerdì 10 giugno e già online su Espresso+
Re: Renzi
Inviato: 10/06/2016, 5:57
da camillobenso
PER CHI SUONA LA CAMPANA
Ernest Hemingway
Il tallone d'Achille di Matteo Renzi
Il primo turno con il risultato di Roma e Napoli sancisce la fine del mito del premier invincibile. Una sconfitta al secondo riaccenderebbe le manovre nel governo e nel partito
DI MARCO DAMILANO
09 giugno 201
Il tallone d'Achille di Matteo Renzi
Togliere al voto nelle grandi città un qualsiasi valore politico, saltare il turno elettorale e buttarsi a capofitto nella lunga campagna per il referendum sulla Costituzione di ottobre. Era la strategia di Matteo Renzi, esposta già alla fine del 2015 e rimasta coerente fino al risultato del 5 giugno. «Ci sono problemi per il Pd», afferma ora il premier dopo il primo turno elettorale che ha visto il Pd escluso dal ballottaggio a Napoli, distanziato a Roma dove la rimonta di Roberto Giachetti su Virginia Raggi appare un miracolo, in duello a Milano, Torino, Bologna. E la posta in gioco è salita, come racconta l'Espresso in edicola da venerdì 10 giugno.
ESPRESSO+ LEGGI IL SERVIZIO INTEGRALE
Renzi continua a scommettere tutto sul referendum di ottobre, ha già dichiarato che in caso di vittoria del no lascerà il governo e la politica, ma anche nel secondo turno amministrativo rischia molto, su almeno tre fronti. Un’improvvisa incertezza sulla strategia politica. La scoperta che qualcosa si è spezzato nella comunicazione tra il capo del governo e un pezzo di società italiana che pure lo ha appoggiato e votato nel 2014. La fine del mito dell’invincibilità e dell’invulnerabilità del leader, che riaccende le manovre nel partito e nel governo.
Mentre nelle città al voto si rimescolano alleanze politiche, blocchi sociali, identità culturali. Ne parlano quattro scrittori: Marco Belpoliti (Milano), Giuseppe Culicchia (Torino), Valeria Parrella (Napoli), Elena Stancanelli (Roma).
Il dossier integrale su l'Espresso in edicola da venerdì 10 giugno e già online su Espresso+
Re: Renzi
Inviato: 10/06/2016, 18:52
da camillobenso
POLITICA
Matteo Renzi e il bon ton del lanciafiamme
Politica
di Francescomaria Tedesco | 10 giugno 2016
COMMENTI (8)
Profilo blogger
Francescomaria Tedesco
Filosofo del diritto e della politica
C’è chi l’ha preso bene, l’esito del voto amministrativo di domenica scorsa, e, con parole alate, pacate, prive di insulti, come piace a noi, piano piano, sottovoce, commenta la politica. E che bon ton, che classe. Che gentilezza. Altro che quegli altri, i barbari, i maleducati, i ‘Malpassotu’ della politica, i tontoloni, i burattini o ex burattini che si levano le orecchie d’asino. E basta poi con la politica e la rete trasformate in latrine pubbliche dove il primo che arriva scrive sulle pareti le sue porcherie! Che diamine, signora mia, un briciolo di contegno! Il filosofo Jacques Derrida, analizzando il significato della parola ‘canaglia’, scriveva che “la democrazia, la democratizzazione verranno sempre associati alla licenza, alla troppa-libertà, al libertinaggio, al liberalismo, addirittura alla perversione e alla delinquenza, alla colpa, alla trasgressione alla legge”.
Certo, i toni sono alti, ma come non ricordare che l’invito ad abbassarli ha, nella recente vita del parlamento repubblicano, coinciso con l’invito a non sollevare obiezioni, a non essere “divisivi”? Come se “partito” non fosse parola legata a doppio filo alla divisione, a cui deve l’etimologia: partito, cioè diviso. “Abbassate i toni, non siate divisivi” ha significato, nella Terza Repubblica in cui ci troviamo almeno dal 2011, non siate partigiani, poiché non si deve prendere parte, ma occorre uno spirito unitario in nome del paese (e chi non se la ricorda la retorica dei “salva Italia”?). E così le grandi intese, i partiti della nazione, l’apertura al centro, il governo con la destra, la maggioranza parlamentare con gli ex sodali di Silvio Berlusconi.
Amore per il paese, amore per l’ex avversario, amore ovunque. E sobrietà. A Palazzo Chigi si era insediato il “genero ideale”, quello che secondo la Süddeutsche Zeitung parlava poco e vestiva in modo banale, “sobrio”. Vero è che l’Italia degli ultimi due decenni ne ha viste di cotte e di crude: il dito medio alzato, il rutto assurto a comunicazione politica, le pizzette con lo champagne, la mortadella e la spigola, l’evocazione continua di porci, vajasse, mignotte e utilizzatori finali. Quando è arrivato Monti, tutti ci siamo sentiti un po’ inferiori, come sorpresi con le dita nel naso. Non urlava non strepitava e non teneva le segretarie sulle ginocchia, non diceva della Merkel che è una “culona inchiavabile”. Adesso ci sentiamo già più sollevati. In effetti la maleducazione è brutta a vedersi e a sentirsi, mettere i piedi nel piatto non è da ladies and gentlemen, bisogna darsi un tono, urbanizzarsi. E non scherzo: è tutto vero. Occorre mettersi la cravatta, avere rispetto per le istituzioni, adempiere al proprio compito con disciplina e onore.
Eppure c’è qualcosa di sinistro nel mantra del bon ton. La storica Luisa Tasca in uno studio sui galatei dell’Ottocento scrive: “essi fornirono alle élites schemi per ordinare il corpo sociale secondo modelli più gerarchici che democratici, più classisti che abilitanti alla mobilità sociale, più disciplinanti che non fiduciosi nel libero protagonismo della società civile”. Il grande teorico russo della letteratura Michail Bachtin ricordava che “Per essere beneducati bisogna: non mettere i gomiti sulla tavola, camminare senza fare sporgere le scapole e senza ancheggiare, tenere in dentro il ventre, mangiare senza far rumore, non soffiare, non sbuffare, tenere la bocca chiusa, ecc., cioè tappare e limitare il corpo in ogni maniera, smussare i suoi spigoli”.
Bachtin esaltava il valore contestativo del carnevale alla Rabelais: il basso corporeo che serve ad annunciare un mondo nuovo, rovesciato, in cui le volpi dicono messa, gli asini cavalcano gli uomini e i buoi macellano i beccai, in cui la merda e i peti servono a descrivere un mondo capovolto che rinasce. Disciplinare quel mondo significava reprimere il corpo e con esso il valore rivoluzionario che esso aveva nei confronti del potere costituito (la Chiesa in primis, ma anche il potere politico). Ma la malacreanza la stabilisce sempre chi ha il potere di decidere. Dunque fate la riverenza, bambini. Fate l’inchino. E aspettate, asini, idiotine, fatine, burattini, co.co.pro., lupe della Garbatella, carucce, orecchie a sventola, gufi, rosiconi, paperini, improvvisati: aspettate che arrivi qualche scout mannaro con il lanciafiamme a darvi un’arrostita. Ma gentilmente, pacatamente, come piace a noi…